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    Predefinito Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    ARCIMBOLDO E L'ARTE DELLE MERAVIGLIE


    Tanto regolata e coronata dal successo fu la vita di Giuseppe Arcimboldo, quanto accidentato e censurato dall'oblio il destino postumo delle sue opere. Pittore tra i più amati, lusingati e imitati del suo tempo, svolse onorata carriera al servizio di arcivescovi e imperatori; i suoi dipinti subirono invece il flusso di alterne vicissitudini, andarono in gran parte dispersi e confusi nella massa delle modeste e anonime imitazioni. Intravista come "curiosità" e relegata nella sottospecie dei "capricci e bizzarie" dal gusto dominante, la sua opera fu pressoché ignorata dalla letteratura artistica ufficiale, o citata solo accidentalmente, spesso a sproposito. (Corinna Ferrari – da Arcimboldo di Roland Barthes)






    "Ingegnosissimo pittor fantastico", come lo definiva il canonico Gregorio Comanini, suo grande amico, Giuseppe Arcimboldo, o Arcimboldi (l'oscillazione è continua nei testi dell'epoca. Il pittore si firma Giuseppe Arcimboldo F, dove F sta per fecit) nasce a Milano nel 1527. Nel 1549, all'età di 22 anni, il suo nome compare negli Annali della Fabbrica del Duomo, dove produce cartoni per le vetrate del Duomo di Milano (la storia di Santa Caterina)., in collaborazione con il padre Biagio, e cartoni di arazzi per il Duomo di Como (Transito di Maria, 1562).

    Lavora alla corte di Vienna come ritrattista sotto Ferdinando I e lì rimane con Massimiliano II. Con Rodolfo II si trasferisce poi a Praga, dove si fonde con l'arcana atmosfera di quell'ambiente, a tal punto da entrare nella mitologia del tempo, assumendo egli stesso qualcosa di quella magica ambiguità e malinconia saturnina propria degli alchimisti.

    E c'è qualcosa di magico, di alchemico, che lega effettivamente la figura del giovane imperatore con i quadri dell'Arcimboldo. Pare che Rodolfo ammirasse fino all'idolatria il genio e la fantasia dell'anziano pittore: lo dimostra il fatto che, nonostante le insistenti richieste, gli concesse a malincuore di tornare in patria soltanto dopo undici anni di onorato servizio.

  2. #2
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    E' davvero profondo e radicale il mutamento di linguaggio artistico avvenuto in Arcimboldo dal momento del suo trasferimento a Praga. Dalle figurazioni classiche degli arazzi e delle vetrate disegnate per il Duomo di Milano, alle orinalissime soluzioni figurative delle composizioni di frutti, di fiori, di animali, di piante, di oggetti che formano volti ed immagini, il divario è enorme. Ma cosa è avvenuto a Praga al nostro pittore Arcimboldo? A Praga c'era la corte dell'imperatore, ma c'era anche il ritrovo prediletto degli alchimisti e dei Rosa+Croce. Da lì passarono Sendivojus, John Dee, Michele Maier e tanti altri che resero negli anni questa città il centro dell'esoterismo europeo, al punto di conquistarsi l'attributo di città magica. Per questa via ed acquisendo questa conoscenza Arcimboldo elaborò la sua tecnica: scomporre la realtà in parti, come le monadi di Leibnitz o gli atomi di Democrito, trasformare queste parti, a loro volta in organismi che avessero un senso simbolico rispetto al quadro generale, e ricomporre infine la realtà, come un mosaico, utilizzando le nuove tessere che aveva creato. Una trasmutazione alchemico-artistica della materia, una Grande Opera pittorica, Scomponi e Ricomponi, Solve et Coagula, nella migliore tradizione dell'alchimia. (Giovanni Francesco Carpeoro)


    Scrive Angelo Maria Ripellino in "Praga magica":

    "… Attorno a Rodolfo convennero distillatori, pittori, alchimisti, botanici, orafi, astronomi, astrologhi, giudiziari, ma anche miniaturisti, medagliai, lapidari, pittori di paesaggi e di contraffazioni e di scene sacre e di selvaggina. Il desiderio di ornare la corte di una gran folla di artisti fa riscontro in Rodolfo all'ansia spasmodica di collezionare, di accumulare preziosi e rarità e naturalia.[…] Per la sua "Kunst-und-Wunderkammer", affrontava profusissime spese. Spediva speciali commissionari a comprare per lui in tutta Europa dipinti e gioielli e suppellettili esotiche. Gli agenti sguinzagliati da Rodolfo nei paesi stranieri in cerca di oggetti d'arte avevano anche il mandato di scovare alchimisti e con regali e promesse attirarli a corte. Nella speranza di poter rinsanguare con l'oro alchemico le finanze stremate dagli acquisti di rarità e di ottenere un elettuario che gli allungasse la vita, Rodolfo amò circondarsi di uno stuolo di stravaganti distillatori, che magnificava e colmava di doni, per poi ripudiarli e rinchiuderli in un arto carcere, se lo deludevano. Si tramanda che fosse lui stesso un adepto della doctrina di Ermete e che portasse sempre, appeso al collo in uno scrignetto d'argento avvolto nel velluto nero, un inutile elisirvite. […]
    L'arte di Arcimboldo è fortemente connessa con le predilezioni di Rodolfo II: col suo amore degli Automaten e dei fantocci meccanici, col mondo bizzarro ed esotico che lo attorniava, col senso alchemico dell'amalgama di corpi diversi, col marionettismo golemico, e in specie con l'ansia di collezionare che incalzò questo sovrano. C'è un intenso rapporto tra i ritratti ibridi dell'Arcimboldo e la "Kunstkammer" di Rodolfo, gabinetto di naturalia, di rarità e anomalie. In quanto fastelli di oggetti, di frutti, di fiori e di bestie, le figure arcimboldesche sono collezioni esse stesse.
    Non a caso l'Arcimboldo contribuì ad arricchire le raccolte dell'imperatore e quando, ormai vecchio, si ritirò dalla vita di corte a Milano, continuò a provvedere all'acquisto di curiosità per il museo di Rodolfo.

    A prima vista, le stravaganti invenzioni di Arcimboldo sembrano frutto di un gioco raffinato e virtuosistico, ma non si tratta affatto di un elaborato passatempo per intellettuali: i ritratti di Arcimboldo rivelano aspetti ben più inquietanti. Come spiega Ripellino, un volto istoriato, un volto di pezzi diversi è un oggetto, un oggetto adorno. L'uomo diventa inventario e addizione dei propri strumenti abituali, un fantoccio composto degli arnesi del suo mestiere: un pupazzo, un manichino, un automa. Del corpo non v'è sentore nelle immagini dell'Arcimboldo, ma si presume rigido e marionettesco. Tutto l'umore viene riassunto dal capo che è un rompicapo, un puzzle di oggetti incastrati l'uno nell'altro, di vegetali che allignano insieme in un'apparente concordia, come le viti con gli olmi e le ulive con le mortelle, di bestie riunite per mansuetudine. Alla vita si sostituisce il rappezzo inerte, l'insieme di molti congegni: tendono ai robot di Capek le visioni morfiche dell'Arcimboldo. Aspirano a una serialità, hanno la vocazione di riprodursi in sequele, nel limbo dei duplicati. La fantoccesca ricucitura di attrezzi e di volatili e di frutti indica il decadimento della bellezza del Volto che, rinunziando ad esser sembianza di Dio, si fa laido e morchioso, e si riduce a compendio e dispensa di oggetti, perché l'uomo è schiavo degli arnesi che si illude di manovrare e che lo divorano invece, sino ad invadere le sue fattezze.

    I brani in corsivo sono tratti da Praga magica di A. M. Ripellino – Einaudi (pagg. 91 – 92 – 101 - 105)



    Vertumno, 1590-1591 - Skoklosters Slott, Balsta

  3. #3
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    GLI ELEMENTI


    Arcimboldi eseguì due serie di Elementi per la corte praghese che, alla luce del ritrovamento di una serie di manoscritti provenienti dall'entourage di corte del pittore, sono state lette in chiave allegorico-celebrativa. E' particolarmente interessante un poema composto dal milanese Giovanni Battista Fontana, detto Fonteius, anch'egli al servizio degli Asburgo. Secondo Fontana, gli Elementi e le Stagioni si basano sul sistema di corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e vanno intesi come omaggio agli Asburgo: i profili sono infatti " Cesareos vultus", cioè ritratti dell'imperatore che celebrano il suo dominio sulle stagioni e gli elementi (macrocosmo) e sul microcosmo ad essi subordinato: fiori, oggetti, e via dicendo.

    Grazie a questa chiave di lettura, molti dettagli diventano più chiari: l'aquila e il pavone asburgico nell'Aria, l'aquila bicipite e il collare del Toson d'Oro fatto di acciarini nel Fuoco, il vello del Toson d'Oro e la pelle del leone d'Ercole, simbolo boemo, nella Terra. Inoltre, in tutti i ritratti c'è una chiara allusione a una specie di corona sul capo.



    IL FUOCO


    1566 - Vienna, Kunsthistorisches Museum

    Espressione di antico furore militare: capelli in fiamme, la fronte e la bocca sono matasse di micce, il naso e l'orecchio impugnature di spade, un portacandele e una torcia sono il collo, bombarde e archibugi formano il busto ornato da una collana del "Toson d'oro".
    Diverse possibili forme del fuoco sono rese allegoricamente: dalla piccola fiamma della lampada ad olio e della candela fino alla violenta potenza del cannone. Il Toson d'oro era uno degli ordini cavallereschi più importanti dell'epoca, fondato dal duca Filippo di Borgogna divenuto un Asburgo solo dopo il matrimonio. Alla casata si riferisce anche l'aquila bicipite del Sacro Romano Impero, nonché le armi da fuoco, probabili accenni alla potenza militare nelle guerre contro i Turchi.



    L'ACQUA


    1568 - Vienna, Kunsthistorisches Museum

    Pesci occhiuti, polipi, squali, rettili, gusci di conchiglie: l'Acqua è il trionfo del viscido. Un enorme gambero forma lo scudo pettorale, la tartaruga e una grande conchiglia cui è attaccato un polpo costituiscono la spalla. Il collo è decorato con una collana di perle e insieme all'orecchino è l'allusione a una figura femminile. A costituire la bocca vi sono le fauci aperte di uno squalo con i denti affilati, una razza forma la guancia e una cicala di mare il sopracciglio. Uno o due cetacei riconoscibili grazie a due zampilli d'acqua, uniti a un tricheco, una foca, un cavalluccio e una stella marina dal corpo centrale coperto rappresentano la chioma. Una specie di corona in corallo rafforzata dalle lunghe spine dorsali di un pesce e da un oggetto molto simile a una coroncina racchiudono il tutto. Da notare l'armonia che unisce animali così differenti e spesso ostili tra loro, armonia che probabilmente allude al benevolo e pacifico dominio asburgico.




    LA TERRA


    1570 - Collezione privata - Vienna

    Difficile raccappezzarsi in quella tarsia di bestie sovrapposte, in quell'intreccio di orecchie, code, zampe, corna che fanno dell'uomo una sorta di arca di Noè. Il petto è un ariete, la spalla un leone e, dalla nuca alla fronte, si affollano scimmia, cavallo, stambecco, cinghiale, orso, mulo, cervo, daino, leopardo, gazzella, cane e cammello. L'astuta volpe è la fronte: con la coda forma il sopracciglio, e con la schiena il naso. Un lupo con la bocca aperta evidenzia l'occhio e la guancia è un elefante. Nella parte superiore appaiono inoltre unicamente animali che con le loro corna formano una corona, ancora una volta allusiva all'imperatore. Secondo il Comanini (Il Figino), ogni animale che compone la Terra avrebbe inoltre un significato allegorico in relazione al posto che occupa: per esempio l'elefante, animale pudico, fa da guancia, che è sede della vergogna.



    l'ARIA


    Collezione privata – Basilea

    Un inquietante fastello di becchi, capini e occhietti d'uccelli: un pavone dalla ruota completa forma il busto, un pappagallo rosso e un gufo fanno capolino dal colletto, un tacchino dal petto rigonfio è il naso, le lunghe penne della coda del fagiano, semi nascosto dietro l'ala del gallo, formano la barba a pizzo. Molto chiaro è il riferimento agli Asburgo grazie al pavone e all'aquila, simboli del casato.
    Ultima modifica di Silvia; 24-02-11 alle 18:57

  4. #4
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    Giuseppe Arcimboldi è ricordato nella sua città natale, Milano, con una grande mostra: "Arcimboldo - Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio" (Palazzo Reale, dal 10 febbraio al 22 maggio 2011).

    Accanto alle più celebri serie delle Stagioni e degli Elementi, a lavori universalmente noti come Rodolfo II in veste di Vertumno, sono esposte per la prima volta quelle teste composte di Monaco solo di recente ritenute autografe, e precedenti di qualche anno l'invito a Vienna da parte di Massimiliano d'Asburgo, futuro imperatore d'Austria.

    L'Arcimboldo non è stato solo un celebrato artista di corte, ma anche un pittore tra i più originali del suo tempo, amato da surrealisti e dadaisti e ancora oggi capace di attrarre e sconcertare per quelle sue opere così fantastiche eppure così reali, per le inesauribili e stravaganti invenzioni, per la ricchezza di rimandi, significati e nuove possibili letture.



  5. #5
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    Davvero un bell'argomento, sono stato da sempre attratto dalle bizzarre composizioni dell'Arcimboldo...
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  6. #6
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    L’ARCIMBOLDO DISEGNATORE

    Nella seconda metà del ‘500 Giuseppe Arcimboldo entrò a far parte del gruppo artistico della corte dell’imperatore Massimiliano II d’Asburgo come ritrattista ufficiale di corte. Nonostante ciò gli restava del tempo per concentrare la sua attenzione su attività di carattere totalmente diverso. In questo periodo infatti si dedica alla stesura di progetti di cortei imperiali, rappresentazioni teatrali, tornei, arredamenti di palazzi ed illustrazioni per studi scientifico-filosofici.

    Il sorprendente successo ottenuto in questi campi artistici gli valse l’ammirazione dell’intera corte imperiale, in particolare dell’erede al trono Rodolfo II che, una volta succeduto al padre volle continuare a mantenere il pittore al suo servizio. Riguardo la produzione artistica dell’Arcimboldo in questo periodo sappiamo poco poiché si dedicò soprattutto a lavori che spaziavano molto rispetto alla classica arte pittorica , di cui abbiamo già parlato in precedenza. Tuttavia via continuò ad essere il ritrattista ufficiale, come evidenziano i due ritratti disegnati di Rodolfo II.

    Caratteristico della mentalità arcimboldiana è il desiderio di scoprire le relazioni presenti tra macrocosmo e microcosmo e di interpretarle secondo la propria capacità inventiva creando qualcosa di assolutamente unico ed originale. Naturalmente questo fine emerge soprattutto nelle sue famose rappresentazioni pittoriche, in particolare quelle degli “Elementi”,ciononostante anche nei disegni da lui confezionati in varie occasioni traspare l’intensa indagine condotta dall’artista riguardo i misteri della natura che vengono osservati da un punto di vista completamente nuovo, che è la vera chiave del successo e della popolarità di queste opere che per la loro fantasiosa astrattezza furono molto apprezzate dalla corte asburgica e collocate insieme a numerose altri oggetti bizzarri nelle stanze dei divertimenti. Questi locali erano adibiti alla raccolta di ninnoli, opere d’arte e simili che provenivano da numerose parti del mondo allora conosciuto.

    I disegni di cui ci occupiamo in questa sezione sono composti direttamente a mano con inchiostro blu su fogli di carta pergamenata.

    °°° °°° °°°

    A testimonianza del desiderio di analizzare le relazioni tra macrocosmo e microcosmo è utile soffermarsi sul progetto proposto per l’arredamento della casa del Presidente del Tesoro Imperiale e consigliere finanziario Ferdinand Hoffman von Grunpichl und Strechau.

    L’artista aveva ideato una speciale decorazione di alcune stanze del palazzo con scene realizzate in lana, lino e seta, di cui spiega i motivi nella lettera inviata allo stesso:

    “Al molto illustre barone il signor Ferdinando Hoffman, presidente della Camera di Sua Sacra Cesarea Maestà.

    Conoscendo di quanto gusto è la pittura ad ogni nobilissimo et come V.S. molto illustre se ne diletta et veramente vi è degna ad ogni gran principe et sapendo io come V. signoria è per far dipingere alcune stantie nelli soi caso mi è parso de dare alcuna invenzione fatta così in grossa maggia per non haver tempo di poter con quella diligentia far detti schizzi come si convene e tanto più che al presente mi trovo molto occupato nelle opere di Sua Sacra Cesarea Maestà mio Signore. Dirò come gli antichi furro prima inventore de crotteschi, ma non da quelli antiqui nominati crotteschi se non da moderni per questa causa in Roma come ogni giorno scoprendo diversi edificij sotto terra dentro alle crotte si trovano dipinte nelli volti dette invenzione et mentre che li pittori le ano poste fuora in disegni da dette crotte gli han posto nome grotteschi; si vede che gli antiqui non ano fatto a caso né posto figure né animali in detti crotteschi, ma qualche sua intenzione sì che da questo ho pensato che li moderni medemamente potrano mettere nella tesidura dentro a gli spacij in vezzo como gli antiqui mettevano altari sacrificij animali ho altra sua intenzione che si potrà mettere alcun lavorerio io dimostro nelli presenti schizzi che è il lavorerio da seda e per essere questo più incognito dentro in Germania ho pensato di haver posto questo principio come si potrà fare in un’altra camera il lavorerio della lana e in altra camera si potrà far il lavorerio della tela o vogliamo dire il principio del lino come prima si coglie e poi de man in man si va facendo la tela.

    Di V.S. Molto Illustre Affezionatissimo Servitore Giuseppe Arcimboldo.”

    Il progetto alla fine non fu realizzato ma l’artista confezionò ugualmente una serie di disegni che raffiguravano passo per passo la lavorazione della seta.

    Quest’opera ha un forte significato simbolico e allegorico e rientra nel contesto delle illustrazioni per studi scientifico-filosofici di cui lo stesso Hoffman era grande estimatore.

    La serie è composta di tredici disegni. I primi sei riguardano l’allevamento del baco e la raccolta del filato grezzo. Le rimanenti sette immagini rappresentano la filatura e la tintura della seta.




    http://arcimboldo.interfree.it/itali...egni/intro.htm

    http://arcimboldo.interfree.it/itali...egni/studi.htm
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 26-02-11 alle 00:02
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  7. #7
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    LE QUATTRO STAGIONI


    La serie delle Quattro Stagioni (così come quella degli Elementi) viene dipinta in due varianti, per ragioni che non si esauriscono nel grande successo riscosso tra i contemporanei. Le fisionomie dell'Arcimboldo celano, nell'intricata composizione di fiori, foglie, frutti e animali un significato allegorico legato alle vicende e alle aspirazioni universalistiche della dinastia asburgica.

    Le favolose teste dell'Arcimboldi sono creazioni d'arte e non oggetti di scienza, ma corrispondono comunque a una logica ingegnosa, rivelano l'acutezza della mente che le ha concepite; costruiscono allegorie basate sul rapporto di analogia ma anche di dominio tra l'uomo e la natura; alludono alla potestà dell'imperatore-Vertunno sull'universo simboleggiato dagli elementi e dalle stagioni, all'abbondanza prodotta dal suo buon governo.Nell'Arcimboldo, pittore al servizio di una committenza laica e di corte, l'allegoria morale è completamente assente, ma è presente quella celebrativa dell'universale e benefico, produttivo dominio dei potenti. L'intento allegorico si appoggia a una visione prosperosa e positiva della natura, madre generosa, portatrice di energie e influenze benigne. (Maurizio Calvesi)






    LA PRIMAVERA


    1573 (olio su tela)
    Louvre, Parigi

    Innumerevoli fiori, foglie e steli assemblati in una sapiente combinazione naturalistica creano l'illusione dei capelli, del vestito e della pelle. Una serie di fiori bianchi forma una specie di colletto alto, il naso è un bocciolo di giglio, l'orecchio un tulipano da cui pende un'aquileia. Gli occhi sono due bacche di belladonna.
    "Sebbene un mosaico di fiori, a ben guardare, la "Primavera" si rivela arrapata, come se l'amido degli anni atteggiasse i fiori in rigide crespe di lattochiglia: tutto questo ha sapore di carnevale". (A. M. Ripellino, Praga magica, Einaudi - pag. 105)



    L'ESTATE


    1573 (olio su tela)
    Louvre, Parigi

    E' un caleidoscopio di frutti: una pera per mento, una mela per guancia, chicchi d'uva al posto dei denti mentre ciliegie rosse formano le labbra. Il naso è un cetriolo, l'orecchio una melanzana e una rigogliosa natura morta forma la testa. Una rustica giubba di paglia da cui fuoriescono spighe è il corpo. Sulla manica compare la data d'esecuzione: 1573, il colletto riporta il nome dell'artista finemente intessuto, la lettera F sta per "fecit".
    "L'applicazione dei frutti alle membra è tanto ingegnosa che la meraviglia conviene che passi in stupore". (Gregorio Comanini, Il Figino)



    L'AUTUNNO


    1573 (olio su tela)
    Louvre, Parigi

    La testa spunta da un vecchio tino disfatto e rami di salice legano i singoli listelli di legno. Una pera forma il naso bitorzoluto, la guancia rigonfia è una mela matura, il mento un melograno e l'orecchio un fungo. Il mallo della castagna forma la bocca e il frutto contenuto sembra una lingua che si spinge tra le labbra in attesa del gustoso piacere. Il capo, un'enorme zucca, è coronato da uva bianca e nera, e pampini rossicci: un chiaro richiamo alle tradizionali rappresentazioni di Bacco.
    "Sembra di scorgere nella nebbia di Praga «L'Autunno» dal piglio di lanzichenecco, tutto intessuto di pomi, poponi, tralci di vite e grappoli d'uva, campione rozzissimo di una brutale vendemmia. (A. M. Ripellino, Praga magica, Einaudi - pag. 106)



    L'INVERNO


    1573 (olio su tela)
    Louvre, Parigi

    Una stuoia di paglia avvolge l'inverno come un mantello: lo stemma allude alla casata imperiale. Il tronco d'albero nodoso e quasi essiccato che forma collo e volto rende l'idea di un uomo decrepito. Il naso è un'appendice spellata, la bocca - gonfia e senza denti - un fungo collocato sopra il mento, ispido grazie alle radici. L'occhio è incassato in una spaccatura della corteccia e un ramo spezzato suggerisce l'orecchio. Un intreccio di rami secchi, che si snodano in ogni direzione, forma la capigliatura e potrebbe alludere a una corona. L'edera verde che occupa la parte superiore della testa rafforza la speranza che l'inverno non duri eternamente e, insieme a un'arancia e a un limone dai colori caldi, porta una parvenza di sole e di calore nella desolazione della stagione fredda.

  8. #8
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    IL BIBLIOFILO


    1566 - Skoklosters Slott, Balsta


    Una raffinata combinazione di libri che contiene un'idea figurativa intrinseca: l'immagine del bibliotecario come uomo dall'inconsistenza corporea. Sulla spalla sinistra si appoggia una tenda. Il dettaglio dei segnalibri sporgenti dalle pagine riproduce le dita della mano.E' probabile che il dipinto sia la caricatura dello storiografo imperiale Wolfgang Lazius, scelto a causa della sua fortissima passione per i libri: uomo di cultura dedito alle collezioni imperiali antiche, soprattutto lapidi e monete, meritevole di uno scherzoso omaggio per l'impegno profuso nella sistemazione della Kunstkammer.

    Scrive Angelo Maria Ripellino in "Praga magica": Viene in mente, guardando quella figura, la descrizione della biblioteca nel "Labirinto" di Comenio: biblioteca-apoteca, dove si conservano medicine contro i mali del pensiero, con scatole chiamate libri, scatole-libri, apoteca con scatole e dotti che si ingozzano di libri. Il bibliotecario arcimboldesco ha una cubicità scatolosa, che rimanda alle parvenze geometriche, ai robot cubici di altri campioni del manierismo. Ma non dimentichiamo che, tra i personaggi incontrati da Svejk al manicomio (si parla di "Il buon soldato Svejk" di Hasek Jaroslav – nota mia), il "più furioso era un signore, il quale si spacciava per il sedicesimo volume dell'Enciclopedia scientifica Otto e pregava ciascuno di aprirlo e di trovarvi la voce "Cucitoio di quinterni", altrimenti sarebbe andato in rovina.





    IL GIURISTA


    1566 - Statens Konstsamlingar, Gripsholm Slott, Stoccolma


    Un viso orripilante, reso con pollo arrosto e pesci. Sconvolge un po' l'occhio ancora vivido che appartiene contemporaneamente al volatile spennato e al personaggio ritratto. Nascosti da un sontuoso mantello, solo libri e incartamenti. Alcuni critici lo ritengono il ritratto del vicecancelliere imperiale Johann Ulrich Zasius, a cui tutto il volto era guasto dal mal francese e pochi peluzzi erano al mento rimasti (Gregorio Comanini – Il Figino), probabilmente ricompensato per i suoi servigi con un'onorificenza e un quadro.

  9. #9
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    Predefinito Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    Daniela Vannini


    ARCIMBOLDO TRA NATURA E DIVINO


    Volti stravolti e riavvolti, volti contorti e ricomposti. Al centro dei dipinti di Giuseppe Arcimboldo c'è sempre un volto, un'espressione, una metafora. C'è sempre un naso (o meglio una pera), una bocca che diventa una castagna, degli occhi che divengono ciliegie, una fisionomia da interpretare, un'immagine doppia da decifrare.

    Ma che cosa si nasconde dietro questi volti? La risposta non è univoca anzi apre a infinite disquisizioni. Quel che è certo è che di fronte a queste opere lo stupore e l'incanto hanno il sopravvento. Anche se di fatto ci sono molti modi di guardare i quadri di Arcimboldo. Tante sono le chiavi di lettura a cominciare dalla sua essenza estetica di pregiata fattura che incanta l'occhio dell'osservatore con l'originalità della composizione e la finezza dell'esecuzione. I suoi volti si possono leggere anche come allegorie dell'armonico governo degli Asburgo alla cui corte Arcimboldo lavorò a lungo, o semplicemente come "capricci", "bizzarrie" frutto della fantasia dell'artista o ancora come riprese dal vivo di animali provenienti dall'Africa, dall'Asia e dal Nuovo Mondo e di nuove e rare specie di cereali e ortaggi come il mais e la melanzana che rivelano una conoscenza di tipo naturalistico.

    Ma è soprattutto la visione del mondo e delle cose che emerge dai dipinti di Arcimboldo a risultare, a mio avviso, particolarmente suggestiva e affascinante in cui l'uomo non è separato dalla natura, bensì ne fa parte integrante, è parte degli elementi e la natura è a sua volta parte dell'essere umano. Una perfetta simbiosi uomo-natura. A differenza dell'universo medievale dove al centro c'era Dio e della concezione rinascimentale in cui l'uomo e il suo io diventano il centro, nelle opere di Arcimboldo si giunge a una visione metafisica della realtà. La concezione panteistica di Arcimboldo ci restituisce un mondo in cui tutti gli esseri sono trattati alla pari con eguale dignità. L'artista sembra voler esprimere un forte desiderio metafisico dell'uomo: quello di voler appartenere al tutto, alla natura e al divino.



    Flora, 1591 ca. – Collezione privata


    Ciò che colpisce è anche come questa simbiosi viene resa ed evocata. Colpisce l'energia e la complessità dei grovigli arcimboldeschi, pensiamo ad esempio al Bibliotecario o al colore che esplode ovunque nel ritratto di Vertunno, che raffigura un Rodolfo II dal sorriso enigmatico. Queste tele trasudano carnalità da tutti i pori. Sono le piante, i fiori, gli animali, i pesci, gli ortaggi, i funghi e i cereali a dettare le forme umane. All'oggetto è affidato il compito di definire il soggetto, l'individuo. Tutto appare ameno ma armonico, tutto coincide perfettamente, ogni parte si adatta all'altra fino a divenire un amalgama dalle sembianze umane.

    Si materializzano volti umani ritratti quasi nell'atto di pronunciare le loro ultime parole prima di decomporsi. Si ha la sensazione di una impossibilità di definire l'umano se non con l'altro da sé. Il volto umano si sostituisce con una combinazione di elementi sottoposti al logorio del tempo. Non vi è nulla di eterno o assoluto in tutto questo. Sembra piuttosto emergere con maggiore insistenza l'aspetto effimero e caduco della vita pervaso da una vena malinconica. E allora non rimane che rappresentare, giocare con le metafore che sanno vincere il tempo e reincarnarsi in altro come hanno saputo fare, molti secoli dopo, i surrealisti come René Magritte o Salvador Dalí. Comunque sia, Arcimboldo rimane un enigma che perennemente ci sfida a trovare nuovi codici, nuovi messaggi, nuove interpretazioni.




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    Predefinito Re: Rif: Arcimboldo e l'arte delle meraviglie

    Dipinti reversibili...


    Fabbricare immagini reversibili è stata una moda dell'epoca: simili giochi erano usati come caricature dai fautori o dagli avversari della Riforma. Questa figura, nella retorica, si chiama palindromo; il vero palindromo non cambia nulla del messaggio, che si legge identico, per gioco, sia in un senso sia nell'altro… Al contrario, quando rovesciate l'immagine arcimboldesca, ritrovate certamente un senso (proprio per questo si ha palindromo), solo che il senso, con il movimento di inversione, è cambiato. «Tutto è sempre identico» dice il vero palindromo; che prendiate le cose in un senso o nell'altro, la verità rimane una. « Tutto può prendere un senso diverso», dice il palindromo di Arcimboldo; che è come dire: tutto ha sempre un senso, da qualsiasi parte lo si voglia leggere, ma questo senso non è mai lo stesso. (Roland Barthes - Arcimboldo - Abscondita, pag. 34)





    L' ORTOLANO


    1590 - Museo Civico Ala Ponzone, Cremona


    Un'innocente ciotola piena di verdure che però, ribaltata a 180 gradi, diventa un volto. L'allusione è probabilmente a Priapo, l'"hortulano custode" dell'Hypenerotomachia Poliphili (che tanto influenzò l'Arcimboldo), come lascerebbe credere il particolare sospetto dei tre elementi vegetali che formano il naso e le guance, piuttosto somiglianti al classico "attributo" di Priapo.


    IL CUOCO


    1570 - Collezione privata, Stoccolma


    Nient'altro che pezzi d'arrosto formano la testa di un tipaccio dall'orribile dentatura. Capovolgendo il quadro ne risulta un piatto di arrosto ornato da una fettina di limone.

 

 
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