ARCIMBOLDO E L'ARTE DELLE MERAVIGLIE
Tanto regolata e coronata dal successo fu la vita di Giuseppe Arcimboldo, quanto accidentato e censurato dall'oblio il destino postumo delle sue opere. Pittore tra i più amati, lusingati e imitati del suo tempo, svolse onorata carriera al servizio di arcivescovi e imperatori; i suoi dipinti subirono invece il flusso di alterne vicissitudini, andarono in gran parte dispersi e confusi nella massa delle modeste e anonime imitazioni. Intravista come "curiosità" e relegata nella sottospecie dei "capricci e bizzarie" dal gusto dominante, la sua opera fu pressoché ignorata dalla letteratura artistica ufficiale, o citata solo accidentalmente, spesso a sproposito. (Corinna Ferrari – da Arcimboldo di Roland Barthes)
"Ingegnosissimo pittor fantastico", come lo definiva il canonico Gregorio Comanini, suo grande amico, Giuseppe Arcimboldo, o Arcimboldi (l'oscillazione è continua nei testi dell'epoca. Il pittore si firma Giuseppe Arcimboldo F, dove F sta per fecit) nasce a Milano nel 1527. Nel 1549, all'età di 22 anni, il suo nome compare negli Annali della Fabbrica del Duomo, dove produce cartoni per le vetrate del Duomo di Milano (la storia di Santa Caterina)., in collaborazione con il padre Biagio, e cartoni di arazzi per il Duomo di Como (Transito di Maria, 1562).
Lavora alla corte di Vienna come ritrattista sotto Ferdinando I e lì rimane con Massimiliano II. Con Rodolfo II si trasferisce poi a Praga, dove si fonde con l'arcana atmosfera di quell'ambiente, a tal punto da entrare nella mitologia del tempo, assumendo egli stesso qualcosa di quella magica ambiguità e malinconia saturnina propria degli alchimisti.
E c'è qualcosa di magico, di alchemico, che lega effettivamente la figura del giovane imperatore con i quadri dell'Arcimboldo. Pare che Rodolfo ammirasse fino all'idolatria il genio e la fantasia dell'anziano pittore: lo dimostra il fatto che, nonostante le insistenti richieste, gli concesse a malincuore di tornare in patria soltanto dopo undici anni di onorato servizio.