Il Teorema di Dio
Pubblicato da Berlicche
Sento a volte qualcuno lamentarsi del fatto che Dio non si è rivelato chiaramente, in modo incontestabile, evidente.
Voi sapete che c’è gente che dubita di tutto, dal fatto che siamo sbarcati sulla Luna a quello che la Terra sia tonda. Però non ho ancora sentito nessuno mettere in discussione il teorema di Pitagora.
Poniamo che l’esistenza di Dio o la resurrezione di Cristo fossero come il teorema di Pitagora. Assolutemente evidenti, dimostrabili. Nessuna discussione.
L’unica cosa da fare sarebbe adeguarsi.
Nessuna lotta, nessuna fede. Nessun cammino di miglioramento. Nessun desiderio di approfondire. Nessuna decisione. Solo l’applicazione un po’ pallosa di una “regola”.
Ilquadratocostruitosullipotenusaèugualeallasommade iquadraticostruitisuicateti.
Fine della discussione, e della libertà.
Non si è liberi, sul teorema di Pitagora. E’ una evidenza. Non richiede sforzi. Non dà soddisfazione.
Si è tutti uguali, nell’applicarlo, non c’è alcun merito.
E’ come se ci fosse una porta che conduce direttamente sulla cima del Monte Bianco. Se non devi fare nessuna fatica, non è più un luogo speciale.
Pensate essere sposati ad un robot che ti compiace sempre. Non puoi amarlo, perché non c’è libertà nei suoi atti. E’ un oggetto.
L’amore implica libertà. La felicità, sacrificio. Non ci sono scorciatoie.
Per questo Dio non è un teorema.
Il Teorema di Dio | Berlicche
CEDRO
Rino Cammilleri
Ho letto su «Il Cedro» n. 3-2013 una storia che val la pena di essere raccontata. Il vecchio p. Stanislas, prete del Sacro Cuore, la narrò a un’anziana suora che la riferì alla consorella suor Mary Veronica Murphy. Un capitano della forestale, in Lussemburgo, era dal macellaio quando entrò una vecchietta. Chiese un pezzetto di carne ma non poteva pagarla, così disse che avrebbe offerto in cambio la messa a cui stava andando. I due, di fatto agnostici, risero ma stettero al gioco.
Lei andò, tornò e, su invito dei due, scrisse su un pezzetto di carta: «Ho offerto la messa per te». Il macellaio mise il foglietto su un piatto della bilancia e, sull’altro, un pezzo di carne. Ma la carta risultava più pesante. Quello aggiunse carne, con lo stesso risultato. Controllò la bilancia, mise dell’altra carne ma, niente, il foglio pesava di più. I due uomini, impressionati, garantirono alla donna carne ogni giorno in cambio di un ricordo nella messa.
Il capitano prese ad andare a messa tutti i giorni. Un suo figlio si fece gesuita, l’altro era padre Stanislas.
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Francesco sfratta i Francescani (dell'Immacolata) dalla Liguria
da Il Secolo XIX del 01.03.2014
Imperia - I fratelli dicono che lui, il Santo Padre, «ha agito così perché lo hanno male informato». E tuttavia è stato Jorge Maria Bergoglio, il papa della tenerezza, a consentire - se non proprio intimare - uno sfratto umiliante e clamoroso. Ieri i francescani dell’Immacolata, saio turchino, hanno dovuto abbandonare le comunità di Porto Maurizio e San Bartolomeo al mare. Entro novembre dovranno sloggiare quelli di Albenga. Il seminario marchigiano di Sasso Ferrato è già stato chiuso e il suo rettore, Settimio Manelli, spedito a fare il parroco a Portovenere.
Francesco, anche il nome scelto dal Pontefice stride con la spietatezza mostrata nei confronti dei frati devoti al Santo di Assisi, aveva deciso di commissariare l’Ordine già l’estate scorsa. Motivo, divagazioni liturgiche e dottrinali denunciate da alcuni fratelli. «Calunnie», si sono sempre difesi gli accusati.
Da qui la «carta bianca» data dal Papa alla Congregazione dei religiosi, il ministero della Santa Sede che sovrintende ai vari Ordini. Il suo presidente, il brasiliano Joao Braz de Aviz (grande elettore di Bergoglio) ha nominato subito un commissario, Fidenzio Volpi. Il commissario ha fatto scattare le epurazioni, allontanando i priori dalle varie Case francescane e chiudendo il seminario, dove studiavano settanta giovani. «Un delitto», si dispera un anonimo epurato, «hanno tagliato le gambe a noi ma anche al futuro della Chiesa. Con la crisi di vocazioni che c’è... ».
MiL - Messainlatino.it: Francesco sfratta i Francescani (dell'Immacolata) dalla Liguria
Liquida Chiesa in liquido stato
di Giorgio Mariano
La volontà di decentrare ancor più il potere pontificio e frazionare l’autorità in una serie di poteri uguali e distinti quali le conferenze episcopali locali appare un passo decisivo verso quella collegialità tanto deprecata dai Concili e dai Padri in ogni epoca della Chiesa.
Tanto più nell’attuale anomala condizione di un “co-papato”, non de iure ma de facto, primo ed unico caso nella storia. Le ultime immagini del primo concistoro nella storia della Chiesa presieduto da due Papi legittimamente eletti hanno allo stesso tempo toccato e scioccato. L’invenzione di un papa in carica e di un papa “emerito”, di un magistero papale attivo e di uno, per così dire, “passivo-contemplativo”, non ha convinto fra l’altro il buon Antonio Socci il quale, da diverse settimane sul suo blog sta giustamente ponendo dei seri interrogativi in merito. Non ha tutti i torti il giornalista senese quando ricorda che tale sdoppiamento dell’esercizio del ministero petrino non ha alcun fondamento né teologico né canonico. Insomma non sta né in cielo né in terra.
Alcuni l’hanno definito come “l’ennesimo colpo al dogma del primato petrino” che tiene unito, in sostanza, tutto il “sistema-Chiesa”. Senza dubbio questa “doppia papalità” indebolisce l’importanza del Sommo Pontefice declassato, se non sul piano canonico, certamente sul piano del sensus communis, a mero primus inter pares. La sua autorità decisionale in materia di fede e di morale non sarebbe che quella di un vescovo fra gli altri.
Esagerazioni? Leggiamo alcuni passaggi tratti dall’ultima esortazione Evangelii gaudium: "Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente". La volontà, dunque, è chiaramente quella di traghettare la Chiesa Cattolica ad un organismo collegiale pluralistico di stampo federale. Tuttavia questo auspicio conciliare, osserva il Papa, "non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria". Ossia, non solo potere giurisdizionale alle conferenze episcopali ma anche autonomia dottrinale (come se già i vescovi non insegnassero tutto e il contrario di tutto!). Secondo l’auspicio di papa Francesco si dovrebbe, dunque, adottare una struttura ecclesiale federalista sul modello delle chiese “ortodosse” le quali sono autocefale per giurisdizione e per dottrina, organizzate appunto in “federazioni”.
Nel viaggio di ritorno da Rio, alla richiesta sul perché in Brasile non ha parlato di aborto, Francesco ha risposto: "Non era necessario. I giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa". A questo tipo di risposta, tuttavia, verrebbe da far notare: “Caro Papa, a suo figlio crede sia sufficiente dirgli una volta soltanto nella vita che deve fare i compiti e rimettere a posto la stanza, o non dovrà piuttosto con fatica e costanza ripeterlo fino alla nausea?”. Se questo vale in una famiglia in cui i figli sanno perfettamente come il padre la pensa, tanto più nella Chiesa attuale in cui i fedeli vivono, oggettivamente, nella più relativistica libertà d’opinione e non solo su questioni etiche ma sulle fondanti questioni della fede. Le generazioni di giovani, infatti, mutano ad una velocità crescente e non si può certamente affermare che sappiano già come la Chiesa la pensi in materia di aborto o anche di rapporti prematrimoniali dato che a seconda della parrocchia che vai, fede che trovi.
In questo scenario di anarchia dottrinale, di contraddizione in materia di fede e di morale alimentato dal frazionamento campanilista dei c.d. “movimenti ecclesiali”, l’unica preoccupazione dell’attuale pontificato è quella di aumentare ancora di più l’autonomia dottrinale e giuridica dei vescovi e delle chiese locali? Il discioglimento dell’autorità prelude al discioglimento dei valori e, quindi, della società. Una Chiesa “liquida”, dunque, che vorrebbe realizzare le aspirazioni di una tendenza che è sempre stata presente nelle frange più eterodosse della cattolicità.
All’epoca del santo Concilio tridentino, ad esempio, la situazione era analoga alla presente: parte dell’episcopato premeva per la collegialità, la confusione dottrinale era diffusa (certo non come oggi) e tuttavia l’unica soluzione efficace fu di sottolineare la centralità del Sommo Pontefice e il rafforzamento del Papato, non la sua dissoluzione. Solo il Papa può riportare la barca di Pietro col vento in poppa, non delegare al nostromo o ai comandanti in seconda: il timone è stato dato a Lui.
L’abbattimento del principio di autorità con il suo indispensabile accentramento, la moltiplicazione dei punti di riferimento che diventano punti di disorientamento, corrisponde a quella che è stata già definita la “svolta federalista di Francesco”. Il relativismo dottrinale e l’antidogmatismo sono i nuovi “dogmi” della Chiesa presente. Lo stesso presidente Napolitano ha elogiato l’antidogmatismo di papa Francesco. Un brivido ci corre lungo la schiena nell’assistere ai plausi del mondo al regnante pontefice, eletto personaggio dell’anno da “The Advocate”, la più nota ed antica rivista omosessuale americana la quale ha dichiarato: "Che piaccia o no", il suo "drastico cambiamento […] potrebbe avere un effetto duraturo sulla religione". Come dargli torto? Tanto più che sulle vetrine di alcune cliniche abortiste americane è apparsa questa frase in forma di slogan: “Chi sono io per giudicare?” firmato pope Francis.
Mistificazioni, manipolazioni, estrapolazioni, travisamenti? Inutile discutere sull’imprudenza del vescovo di Roma o sulla cattiva fede dei media. Noi ben sappiamo che “un albero si giudica dai frutti” e intanto ci risuonano assordanti le parole di Nostro Signore: “Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”(Lc 6,26).
Liquida Chiesa in liquido stato (prima parte) ~ CampariedeMaistre
"Fermate quel vescovo conservatore"
Marcia di protesta in Svizzera contro il vescovo di Coira: "subito la comunione ai divorziati risposati"
Almeno duemila tra vecchi, giovani, madri e padri, divorziati e separati hanno invaso San Gallo per protestare contro il vescovo di Coira, Vitus Hounder. Armati di cartelli, striscioni e fischietti, si sono diretti in corteo verso la cattedrale, con l'obiettivo di consegnare al presidente della conferenza episcopale svizzera, Markus Buechel, una lettera di protesta contro mons. Hounder, accusato "essere un conservatore che emargina e discrimina omosessuali, divorziati risposati e concubini". Tra le richieste messe nero su bianco, quella di "nominare un amministratore da affiancare al vescovo di Coira" e l'appello al Papa perché "la si smetta con l'esclusione e la discriminazione di vive situazioni irregolari".
Il capo dell'episcopato locale ha sottolineato come "la manifestazione dimostri che l'unità della chiesa è messa alla prova".
"Fermate quel vescovo conservatore" - [ Il Foglio.it › La giornata ]
Una Chiesa che può piacere al mondo, ma che non gli fa alcun bene
By Riscossa Cristiana
… Per quanto nella relazione di Kasper vi siano anche molti passaggi che, in sé, non pongono problema, non si può negare che ogni capoverso, ogni riga trasudino dell’idea di un innaturale dialogo tra i valori del mondo e la morale cristiana. Un cavallo di Troia penetrato nella cittadella cattolica, al tempo stesso, come fine e come mezzo.
di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro
Un ospedale da campo in cui a malati, feriti e moribondi si dice che stanno bene così come sono. Di tornare al primitivo stato di salute neanche se ne parla e dei medicamenti, specialmente se sgradevoli al palato, men che meno. A voler mettere a frutto la metafora cara a papa Francesco ed entrata nell’immaginario collettivo cattolico a furor di media e di omelie, non si può definire diversamente il senso della relazione con cui il cardinale Walter Kasper ha aperto al concistoro sulla famiglia. Non ci possono essere dubbi quando dice “Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”: non ci sono dubbi perché tutto il suo ragionamento non è centrato sul recupero delle pecorelle fuggite dal gregge e sulle cause della fuga, ma sulla necessità di adeguarsi alla nuova situazione. Il pastore non solo deve sapere dell’odore delle sue pecore, ma soprattutto di quelle che se ne sono andate.
Che qualcosa di nuovo stia accadendo dentro la Chiesa è sottolineato dal clamore suscitato in tutto il mondo dallo scoop del Foglio che ha pubblicato lo scritto del cardinale. Può illudersi che tutto sia tranquillo solo chi mette sul bilancino le parti conservative e rassicuranti del discorso di Kasper illudendosi che siano almeno un milligrammo in più rispetto a quelle innovative e inquietanti. Come se una sola ombra di disordine non bastasse a turbare un ordine di origine celeste.
La notizia c’è, e non riguarda soltanto i giornali, i quali per loro natura rincorrono i bambini che mordono i cani invece dei cani che mordono i bambini. C’è anche per i fedeli di ogni ordine e grado e per ogni creatura razionale esistente sulla faccia della terra, perché la Chiesa deve, o dovrebbe, parlare a tutti gli uomini indistintamente testimoniando ovunque la stessa verità. E se i giornali fanno festa davanti al bambino che morde il cane per il semplice fatto che è accaduto qualcosa di nuovo, credenti, diversamente credenti, agnostici e atei devono capire se quel qualcosa sia buono o cattivo e non possono far festa a prescindere.
Basta fare la conta di chi festeggia e chi no per comprendere che il cardinale Kasper, citato nel primo Angelus di papa Francesco come “un teologo in gamba, un buon teologo” per il suo libro sulla “Misericordia”, questa volta ha dato un bel morso al cane. Ciò che emerge dalla sua relazione è il disegno di una Chiesa prossima ventura completamente liquida e sempre più ignara dei sacramenti.
Ma, al di là del merito, è prima di tutto il metodo a inquietare. Un misto di soggiacenza alle voglie del mondo e di desiderio di spalancare i battenti della cittadella all’assediante furioso. Bisogna replicare la strategia adottata durante il Vaticano II, dice pacificamente il cardinale: “Il Concilio, senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto le porte”. E’ la strategia che nasconde dietro un insignificante permanere della lettera il mutamento sostanziale della prassi. Il modernista don Ernesto Buonaiuti l’aveva teorizzata in un vero e proprio protocollo: “Fino a oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma, fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro che devono essere riformati. Ecco il vero e infallibile metodo; ma è difficile. Hoc opus, hic labor (…) Il culto esteriore durerà come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice e liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato”.
Non è necessario attribuire al cardinale Kasper le stesse intenzioni del modernista scomunicato Buonaiuti. Altri tempi, altre teorie, che comunque conformano a propria immagine e somiglianza la prassi. Bisogna avere il coraggio e l’onestà intellettuale di ammettere che la pastorale, questo concetto talismano che oggi serve a giustificare ogni cedimento, è sempre figlia di una dottrina. E’ vero che, in omaggio alla deriva illuminista, spesso la prassi finisce per mangiarsi una dottrina non vigile. Ma è lecito chiedersi dove nasca una pastorale devastante, se non nel grembo di una dottrina almeno in nuce problematica.
Per quanto nella relazione di Kasper vi siano anche molti passaggi che, in sé, non pongono problema, non si può negare che ogni capoverso, ogni riga trasudino dell’idea di un innaturale dialogo tra i valori del mondo e la morale cristiana. Un cavallo di Troia penetrato nella cittadella cattolica, al tempo stesso, come fine e come mezzo. L’uno e l’altro si sono saldati nel lavoro di distruzione dei concetti di natura e di persona che avevano caratterizzato la teologia fin dai suoi albori.
Il pensiero ormai dominante anche nella chiesa cattolica che soggiace al discorso del cardinale Kasper si trova anticipato da Enrico Chiavacci in una riga del “Dizionario enciclopedico di teologia morale” pubblicato nel 1973: “la vera natura umana è di non aver natura”. Da cui segue come corollario che la morale diviene autonoma dalla fondazione metafisica della natura umana e che l’"amore", inteso solo sul piano naturale, diventa l’unica regola del comportamento umano.
“I nuovi moralisti, definiti da qualcuno ‘pornoteologi’” ha spiegato in proposito Roberto de Mattei “sostituivano alla oggettività della legge naturale, la ‘persona’, intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’‘etica della situazione’. E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo della sessualità, definita ‘funzione primaria di crescita personale’, anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona umana si realizza. Citavano a questo proposito il concetto secondo cui ‘ho bisogno dell’altro per essere me stesso’, fondato sul n. 24 della Gaudium et Spes, magna charta del progressismo postconciliare”.
Nel 1966, la Conferenza episcopale francese produsse la “Documentation catholique” nella quale di “catholique” rimaneva solo il titolo e veniva sancita autorevolmente la fine della teologia classica. “All’indomani del Concilio” dicevano i vescovi francesi “la cristologia esige una speciale attenzione. Nell’ordine teologico, si tratta, ad esempio, della necessità di mantenere i concetti fondamentali di natura e di persona. A tale riguardo, la filosofia moderna pone nuovi problemi: l’accezione dei termini ‘natura’ e ‘persona’ per uno spirito filosofico è diversa da quella che era nel quinto secolo o nel tomismo. (…) Quali concetti della natura e della persona si debbono usare affinché possano esprimere, per i nostri contemporanei, la verità delle definizioni dogmatiche?”.
L’esito finale di tale premessa poteva essere solo l’impossibilità di accedere alla verità delle definizioni dogmatiche che i vescovi francesi dicevano pelosamente di avere ancora a cuore. L’attacco alla teologia del V secolo e al tomismo non era casuale poiché significava distruggere la definizione di persona formulata da Boezio poi ripresa, tra gli altri, da San Tommaso. “Persona” diceva Boezio “est rationalis naturae individua substantia”, “La persona è la sostanza individuale di una natura razionale”.
La relazione del cardinale Kasper è fatta di questa stoffa, buona per sventolare la bandiera bianca dentro la cittadella di Dio assediata.
L’atto fondativo di tale azione, come prescritto nel protocollo Buonaiuti, è l’aggressione al sacramento, ciò che nel mondo è segno del divino, della presenza di Dio tra gli uomini: ciò che, in definitiva, è principio e garanzia di ordine terreno poiché trasmette la Grazia proveniente dall’ordine divino. Dunque, l’obiettivo è quello di penetrare nella teologia cattolica e pervertirla fin nella radice.
I veri nodi che hanno imbrigliato la teologia cattolica e che lo hanno soffocato sono stati l’abolizione del peccato e la separazione tra fede e sacramenti. Il sacramento è, insieme, vincolo e mezzo per proteggere le creature dal peccare. Ecco qui il tema fondamentale, dimenticato e negletto: il peccato. Ecco lo scandalo, la vergogna senza la quale l’uomo è incomprensibile. Va bene il mistero pasquale, va bene la Resurrezione, va bene il trionfo della pietra rotolata. Ma non esiste alcuna garanzia che le nostre anime siano preservate dalla morte ineluttabile. Il peccato porta con sé il mistero della dannazione eterna.
Ed ecco qui spuntare nella storia, insieme all’incarnazione, il sacramento, il mistero che è nello stesso tempo fondamentale per salvare l’uomo dalla sua condizione di peccatore. Una chiesa senza sacramenti è semplicemente impensabile, una terra di nessuno, o se va bene un ospedale da campo, dove l’uomo si salva da sé.
La discussione in corso intorno alla riammissione delle coppie divorziate risposate è estenuante, per certi versi assurda. La vera domanda è molto più semplice: da che cosa l’uomo deve salvarsi? Ma da che cosa si deve salvare se si predica o si lascia intendere che l’inferno non esiste o, se esiste, è vuoto?
Cristo non si è fatto crocifiggere per salvare gli uomini dalla guerra, dalla povertà, dall’invidia, dal matrimonio andato male, dalla tristezza. Lo ha fatto per salvarli dalla dannazione eterna. E i sacramenti sono il mezzo per uscire da questa terribile malattia.
Il vecchio Catechismo di San Pio X spiegava che “I sacramenti sono segni efficaci della Grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificarci”. E poi che “sono efficaci della Grazia perché, con le loro parti che sono sensibili, significano o indicano quella Grazia invisibile che conferiscono; e ne sono segni efficaci perché significando la Grazia realmente la conferiscono”.
Quando portarono a Gesù un sordomuto supplicandolo perché gli imponesse le mani, Lui gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua, poi, levando gli occhi al cielo, sospirò e disse “Effatà” e l’uomo guarì. Gesù, che era Dio, avrebbe potuto ridare l’udito e la parola al sordomuto col semplice comando della sua volontà. Ma il contatto delle dita e della saliva significavano e conferivano realmente la grazia della guarigione. Era l’immagine del sacramento, dell’irrompere della Grazia nella vita dell’uomo trasformando in rito le azioni e la materia quotidiana. La Chiesa non potrà mai privarsene, pena la sua fine.
In un mondo privato dell’ancoraggio insieme carnale e spirituale dei sacramenti, il peccato non può più essere vinto perché non viene più riconosciuto e combattuto per quello che è.
Come diceva Gilbert Keith Chesterton, una chiesa siffatta può piacere al mondo, ma non gli fa alcun bene: “Non abbiamo bisogno, come dicono i giornali, di una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo”.
Una Chiesa che può piacere al mondo, ma che non gli fa alcun bene ? di Alessandro Gnocchi ? Mario Palmaro | Riscossa Cristiana
Bergoglio plaude Kasper: teologia cattolica messa in ginocchio
La morale scaturisce solo dalla Verità. Se si snatura e si estromette il Sacrificio di Cristo Signore (si moltiplicano i colpi di scure sul Rito Romano), la Chiesa snatura i suoi munera docendi, regendi e sanctificandi, e nulla più si tiene, perché i tralci vengono scissi dalla vera Vite. Ciò che sta accadendo non è che conseguenza delle spinte antropocentriche innescate nella teologia e nell'ecclesiologia negli anni post-conciliari.
Oltre al Catechismo, c'è un'altra cosa che quell'asino di Kasper non ha tenuto in debita considerazione: il fatto che a creare questa galassia di matrimoni "nulli" o "in crisi" e di "divorziati risposati" è stata la pluridecennale accondiscendenza dei preti postconciliari, che hanno spessissimo benedetto "nozze" di sposi poco coscienti del significato e dei fini del sacramento del matrimonio, e dei vescovi postconciliari, che hanno massacrato i preti che "scandalizzavano" i fedeli rifiutando di unire in matrimonio i campioni della faciloneria (cioè praticamente quasi tutti gli aspiranti sposi).
Anziché curare il male (cioè riproporre il sacramento del matrimonio per quello che è e osservare che lo scandalo conseguente dipende solo dall'aver chiuso non uno ma due occhi per mezzo secolo), i cattomodernisti vogliono curare i sintomi, brutalizzando non solo il sacramento del matrimonio ma anche quello dell'Eucarestia. Il che è naturale, visto che per loro conta più l'apparenza televisiva che la verità cattolica. Per loro conta solo il plauso dell'aver "pastoralmente" risolto un problema, poco importa averne creato uno cento volte più grosso, l'importante è raccogliere il plauso oggi.
Un sacerdote di queste parti mi confidava: l'ultima volta che ho avuto da ridire sulle risposte al processetto matrimoniale il vescovo mi ha convocato immediatamente per farmi una reprimenda pazzesca dicendo che io non dovevo essere così "rigorista"; da allora, se proprio non ho modo di scaricare la patata bollente su un altro prete, li sposo anche se sono due emerite capre, perché non ho altra alternativa...
Insomma, è il solito Concilio Pastorale Vaticano II che non cessa di danneggiare la Chiesa istituendo, al di sopra delle pure e semplici verità di fede, le esigenze "pastorali" del momento, dove "pastorale" significa far sembrare che tutto vada bene, madama la marchesa, come se la Chiesa fosse un'azienda fornitrice di servizi religiosi che deve trovar modo di accontentare i clienti anche quando i clienti chiedono qualcosa di contrario allo statuto.
Il che è una vera asineria, anche se un assonnato gesuita la applaude, come mette in risalto Sandro Magister.
Chiesa e post concilio: Bergoglio plaude Kasper: teologia cattolica messa in ginocchio
Anche in tempi di epurazioni si scopre di non essere soli sul cammino
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
By Riscossa Cristiana
Se non ne fossimo già stati convinti fin dal principio, adesso avremmo 867 ragioni in più per ritenere integralmente cattolico l’articolo che ha portato anche Roberto de Mattei all’espulsione da Radio Maria. Sono le 867 firme in calce all’appello che abbiamo lanciato qui, su “Riscossa Cristiana”, a sottoscrivere il pezzo incriminato.
Come qualsiasi cattolico dovrebbe sapere, ma ormai pochi sanno, la verità, con “v” minuscola e con la “V” maiuscola, non può essere sottoposta ai voti. D’altra parte, non era questo il senso dell’operazione: anche se fossero rimaste solo le nostre due firme assieme a quella di Mattei, non avremmo mutato parere. La nostra intenzione era quella di scoprire se e quanti compagni di strada stanno camminando nella nostra stessa direzione. E, più ancora, se e quanti compagni di strada sono pronti a mostrarsi in pubblico.
Da questo punto di vista non possiamo che trarre un gran sospiro di sollievo. Questo piccolo campione di cattolicesimo residuale che galleggia sulle acque di una Chiesa in dolce balia del mondo è tutt’altro che piccolo. Ed è cattolico finanche nella sua composizione, dall’operaio all’intellettuale, fino al sacerdote e al sacerdote intellettuale.
In queste operazioni, non è mai bello fare la cernita dei nomi. Di solito la fa chi vuole punire e soffocare la libertà dell’intelligenza: e, coi tempi che corrono, se non sta già provvedendo, provvederà. Per conto nostro vogliamo soltanto dire che certi nomi, attesi ma non scontati, ci hanno fatto davvero piacere. Anzi, ci hanno fatto davvero bene, sono stati balsamo su ferite tanto più dolorose perché inflitte da chi professa, o dovrebbe professare, la nostra stessa fede. E altrettanto balsamo è quello versato dalle tante persone che non conosciamo e hanno voluto comunque testimoniare il nostro stesso dolore per lo stato disastroso in cui si trova la nostra povera Chiesa.
Scoprire di non essere in pochi fa bene. Grazie di vero cuore.
Sia lodato Gesù Cristo
Anche in tempi di epurazioni si scopre di non essere soli sul cammino ? di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro | Riscossa Cristiana