di GIANLUCA MARCHI
Qualche riflessione sul voto per le Europee in chiave indipendentista. Diciamo subito che non c’è da stare allegri: se qualcuno aveva, magari anche legittimamente, pensato che la separazione dall’Italia di alcune aree potesse essere a portata di mano a seguito degli esiti numerici del ben noto plebiscito digitale, alla luce del voto di ieri non può non concludere che la strada sarà lunga e assai difficoltosa, ammesso e non concesso che ci sia la voglia di percorrerla. Il fatto che un partito come il Pd – al di là dell’effetto Renzi, che indubbiamente c’è stato – tocchi percentuali del 40% in regioni come la Lombardia e il Piemonte, dove la sinistra statalista e centralista era data pressoché per dispersa da diversi lustri, la dice lunga sulla volatilità degli elettori padani, e sulla disponibilità di una consistente maggioranza di essi a seguire il pifferaio magico di turno. Certo, esiste un altro buon 40% di cittadini che alle urne non ci sono proprio andati, ma pensare di poterli recuperare tutti o quasi alla causa dell’indipendenza mi sembra una prospettiva del tutto irrealizzabile.
Per quanto riguarda invece gli indipendentisti “radicali” – fra i quali molti postatori di commenti su questo giornale -, quelli convinti che il percorso verso l’indipendenza possa essere ripreso solo dopo la scomparsa e la cancellazione della Lega Nord, ebbene alla luce del 6 e rotti per cento ottenuto da Matteo Salvini (lui è stato il motore del risultato) dovranno obiettivamente mettersi il cuore in pace. Il segretario federale ha ricevuto in “dono” un movimento pressoché sfasciato e, va detto, anche attraverso messaggi un po’ disordinati, l’ha rimesso in piedi e posto in condizioni di camminare. Per andare dove è difficile da sancire al momento, ma la Lega è viva e anche abbastanza vegeta. E ciò vale non tanto per la sua dirigenza, i cui limiti e la cui indecenza sono sempre stati denunciati da L’Indipendenza, ma per alcune centinaia di migliaia di persone che non vivono di politica ma che, se hanno in mente un’ipotesi indipendentista o autonomista, continuano, a torto o a ragione, ad affidarsi al Carroccio. Il resto è onanismo mentale…
A questo punto cosa abbiamo davanti? Teoricamente solo tre possibilità per continuare a nutrire una qualche speranza indipendentista: tre sembrano tante, ma il problema è che ciascuna sembra di più difficile realizzazione dell’altra. Vediamole:
1) Smettendola di inseguire la chimera che il plebiscito digitale svoltosi a marzo in Veneto equivalga a un pronunciamento codificato della volontà del popolo veneto, il referendum regionale consultivo previsto dal progetto di legge n. 342 (che il Consiglio regionale dovrebbe discutere e votare nelle prossime settimane se non vi saranno clamorosi voltafaccia) potrebbe essere un grimaldello inserito nella corazza del malconcio stato italico e da lì dar vita a un’effetto domino. Facile? Tutt’altro, non solo perché bisognerà arrivare a indire il referendum, ma soprattutto perché bisognerà vincerlo, il che non appare del tutto pacifico alla luce del voto di ieri;
2) Come qualcuno ha già proposto da queste colonne, tutte le anime e i movimenti indipendentisti dovrebbero cercare di sedersi a un tavolo con la Lega Nord (l’unica che dispone di voti e di forza organizzativa) per capire se esiste lo spazio di un’azione comune, mettendo da parte acredini e gelosie che abbondano. Facile? Nemmeno per sogno, se non altro perché in troppi dovrebbero tacitare pulsioni personalistiche e poi per un motivo che definirei più politico: ho l’impressione che la Lega stia imboccando una strada più autonomista che indipendentista, il che non andrebbe d’accordo con il palato degli indipendentisti;
3) Fregarsene di quel che fa via Bellerio e cercare di dar vita a un movimento autenticamente indipendentista federato e trasversale, che stia al di sopra delle divisioni fra destra e sinistra. Si tratta della più complicata delle possibilità sul tappeto per vari motivi: la difficoltà a individuare un leader in grado di caricarsi sulle spalle un tale compito immane, la carenza di mezzi, l’atavica parcellizzazione territoriale degli indipendentisti e la loro diffidenza gli uni con gli altri
Come dice e ripete da sempre Gilberto Oneto, per inseguire il sogno dell’indipendenza ci vuole il consenso della gente: il tasto di un computer aiuta sicuramente a crearlo e pure a consolidarlo, ma poi ci vogliono i voti nell’urna, altrimenti rimaniamo inchiodati al solito onanismo mentale.
Questi sono gli elementi di riflessione che avvertivo la necessità di sottoporre ai nostri lettori. E aggiungo un ultimo discorso riguardante questo giornale online,
L’Indipendenza. Qualche settimana fa avevo già messo in allerta chi ci segue che la mia direzione probabilmente non sarebbe proseguita a lungo. Confermo che, a mio modo di vedere, il compito de L’Indipendenza come la concepivo io è arrivato al capolinea. Entro la metà di giugno dovrei lasciare la direzione e con me dovrebbero lasciare anche gli amici
Facco, Oneto e Bracalini (gli altri collaboratori decideranno che fare in piena autonomia). L’Indipendenza però continuerà e verrà gestita da altre persone, nessuno è indispensabile… Sono stati due anni e mezzo intensi, per certi versi entusiasmanti ma anche molto difficili, soprattutto perché gestiti con risorse molto limitate. Cosa faremo noi “quattro dell’avemaria”? Ancora non lo so, di certo non un quotidiano che si metta a fare concorrenza a L’Indipendenza nel piccolo bacino di riferimento. Più probabilmente daremo vita a un forum, un blog, un pensatoio o una rivista – chiamatelo come preferite – di riflessione e approfondimento sui temi che ci sono cari, ma senza l’impegno di ore e ore al giorno profuse in questo giornale per tenerlo continuamente aggiornato, avendo avuto la pretesa iniziale, condivisa da tutti, di farne un quotidiano.
Perché il compito de L’Indipendenza – come lo vedo io, sia chiaro, non pretendo che tutti siano d’accordo – sarebbe esaurito? Al nostro esordio ci eravamo ripromessi di creare un “filo rosso” fra tutto il mondo indipendentista così altamente polverizzato, sperando di dare ad esso una forza politica che aveva perduto. Fin dalla convention di Jesolo di fine maggio del 2012 abbiamo perseguito tale obiettivo, con la presunzione di svolgere un ruolo “politico” che probabilmente non spetta a un giornale, ancorché online ma inteso in senso tradizionale. Possiamo dire di essere diventati un punto di riferimento del mondo indipendentista e questo è il massimo che potevamo raggiungere. Per tale ragione se daremo vita a qualcosa di nuovo, lo faremo con caratteristiche diverse.
http://www.lindipendenza.com/il-voto...dipendentista/