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Discussione: Cultura padana

  1. #251
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    Predefinito Re: Cultura padana

    “L’arte dell’abaco” (1478, “Treviso Arithmetic”): il più antico libro di matematica stampato vide la luce in Veneto
    Gianluca Busato
    Il primo libro di matematica – e una delle prime opere scientifiche in assoluto – mai stampato al mondo vide la luce a Treviso, nel 1478. Il titolo del libro è “L’arte dell’abaco” (noto in lingua inglese anche come “Arithmetic”). L’autore è anonimo, con tutta probabilità un religioso. Il libro è scritto in lingua veneta ed è leggibile ancor oggi.
    Si tratta di un’opera divulgativa, dedicata alle applicazioni commerciali dell’aritmetica, destinato all’utilizzo degli operatori. Esso aiutò a porre fine al monopolio della conoscenza matematica e diede grande impulso alla sua diffusione presso la classe media.
    Il libro stampato a Treviso, è uno dei circa 30 libri di aritmetica stampati prima della fine del XV Secolo, metà dei quali ancora in latino. Nel periodo in cui uscì il libro le attività commerciali della Serenissima Repubblica di Venezia erano più che mai floride e l’ambiente era ideale allo sviluppo dell’attività della stampa: pensiamo che su circa settanta stamperie esistenti al tempo in Europa circa cinquanta erano attive nella sola Repubblica Veneta e di queste, tredici erano site nella città di Treviso.
    Solo 26 anni dopo la stampa della Bibbia di Magonza, “l'arte de labbacho” dimostra come i tipografi veneti fossero già molto esperti. Esso è stampato in modo chiaro, con bella impaginazione e presenta pochi errori di stampa.
    “L’arte dell’abaco” insegna le quattro operazioni fondamentali, con numerosi esempi sviluppati con diverse tecniche di scrittura, alcune delle quali ancora in uso oggi. In esso si usa il concetto di frazione. “Treviso Arithmetic” insegna anche a calcolare la data della luna nuova, partendo dal numero aureo dell’anno, dall’età della luna all’inizio dell’anno e dalla durata del mese sinodico lunare. Quest’ultimo era noto all’autore con un errore inferiore a mezzo secondo rispetto a quello reale. Tutto ciò quando ancora si usava il calendario giuliano, riformato da Gregorio XIII dopo lunghi studi nel 1582.
    Il libro originale esisterebbe in pochissime copie: 8 elencate nel 1888 da Pichi e solo una citata in tempi moderni, tradotta in parte da D.E. Smith per scopi didattici nel 1907, custodita presso la Columbia University.
    Frank J. Swetz tradusse in inglese l’opera completa con note di Smith nel 1987, nel suo Capitalism & Arithmetic: The New Math of the 15th Century. Swetz utilizzò la copia ospitata nella Biblioteca Manoscritto presso la Columbia University, giunta in tale collezione attraverso un percorso curioso. Maffeo Pinelli (1785), bibliofilo veneziano, è il primo proprietario conosciuto. Dopo la sua morte la sua biblioteca è stata acquistata da un commerciante di libri Londra e venduto all’asta il 6 febbraio 1790. Il libro fu acquistato per tre scellini da tale sig. Wodhull. Circa 100 anni dopo esso riapparve nuovamente nella biblioteca di Brayton Ives, un avvocato di New York. Quando Ives vendette la collezione di libri in asta, Arthur George Plimpton, un editore di New York, lo acquistò per arricchire la sua vasta collezione di testi scientifici precoci. Plimpton donò quindi la sua biblioteca alla Columbia University nel 1936.
    ?L?arte dell?abaco? (1478, ?Treviso Arithmetic?): il più antico libro di matematica stampato vide la luce in Veneto | Plebiscito2013.eu



    La maledizione di Paganini
    Paolo Crecchi
    Dopo avergli demolito la casa, Genova dedica al violinista un singolare monumento: una statua a San Biagio
    Genova - Un monumento, però in periferia e senza tante storie. Non ci sarà neppure l’assessore comunale alla cultura, Carla Sibilla, perché l’appuntamento è per domenica alle 11,15 e a Niccolò Paganini - il massimo violinista di ogni tempo, sì - non val la pena sacrificare il brunch. E poi San Biagio è Val Polcevera, terra incognita alla gauche caviar.
    Gli Amici di Paganini, che hanno voluto e finanziato la statua commissionata allo scultore Franco Repetto, si troveranno davanti qualche rappresentante municipale di second’ordine. Del resto, è il destino del figlio più illustre della Repubblica di Genova quello di essere maltrattato.
    Nel 1970 gli hanno demolito la casa in passo Gatta Mora, di notte, e ancora oggi sbigottiti musicofili di tutto il mondo vagano per i giardini Baltimora chiedendo di Black Cat Street: il sindaco era il democristiano Augusto Pedullà, ragionava come si suol dire con dieci anni di anticipo (sarebbero state le giunte di Cerofolini a completare lo scempio urbanistico).
    Due anni fa è stato cancellato il Premio Paganini, di fatto, che fino al 2010 regalava a Genova riflettori internazionali: non sarà allestita neanche l’edizione 2014, ormai è troppo tardi. Così alla fine è stato scelto il monumento, assai singolare.
    Ci sono «due steli gemelle e speculari», si legge nella presentazione dello scultore Franco Repetto, e «negli spigoli interni delle steli, strategivamente orientate, è ritagliata la sagoma negativa di un violino attraverso la quale è possibile scorgere la veduta dell’ex dimora paganiniana».
    La polemica - La maledizione di Paganini | Liguria | Genova | Il SecoloXIX



    Posterò a parte, nella sezione "Musica padana", alcuni articoli e alcuni filmati riguardanti il grande violinista. In questa sede mi limito a rilevare che, negli anni '70, mamma-matrigna-Rai ha prodotto uno sceneggiato televisivo su Paganini. Qualcuno indovina l'origine etnica dell'attore accuratamente selezionato per interpretare il grande genio padano-ligure?

    Canzun d’amur busina
    di Diana Ceriani
    Vi rendete conto? Quanto è bella la nostra provincia di Varese!
    Abbiamo tutto: valli verdi, splendide montagne, torrenti, laghi, magnifiche ville con incantevoli giardini, paesini caratteristici e luoghi artistici..........ma sappiamo apprezzare davvero tutto questo noi che qui viviamo, lavoriamo, ne sfruttiamo le risorse e contemporaneamente sognamo posti esotici da visitare senza avere prima visitato la nostra terra, luoghi lontani da ammirare senza aver imparato ad ammirare i nostri dintorni, bellezze culturali da conoscere senza aver prima conosciuto quelle che abbiamo qui?
    Non mi basterebbe una vita intera per conoscere veramente ogni splendido angolo, ogni sfumatura che cambia con le ore del giorno, con le stagioni, con l'animo che hai quando osservi. La grandezza del mondo è relativa. Io mi accontento del mio, la mia terra. Tutto il resto lo lascio a chi guarda e non osserva, a chi conosce senza capire.
    Diana Ceriani

    Cugnossi un sit ca l’è inscì bel in tuti i stagiun
    Al gh’à set lagh ca specian i cà di nostra bei cantun
    Al’è famus dumà par laurà e produziun
    Ma se te vegnet, te disi de visità i nost dinturn
    Gh’è ul lac Magiur, cunt’isul Bela, Madre e Pescadur
    Tanti giardit ma bei cürà, sentè par caminà
    Rampega un zich, te rivaret drizz drizz al Camp di fiur
    Mo fermas chi a ciapà fià, varda luntan……
    Canzun d’amur busina canzun dul lac Magiur
    Canzun d’amur busina canzun dul Camp di fiur
    Gh’in di paes che in restà cum’eran tanti an fa
    Cantun scundü, mür afrescà, Sant e Madon da pregà
    Bosch da castegn, prà da velü, fiüm sbarlusenti al su
    besti dul bosch insema al vent fan na canzun
    Canzun d’amur busina canzun del Sacro Munt
    Canzun d’amur busina canzun dul lach da Vares
    Na cara a la me tera, la fo cun la me vus
    La me canzun la va luntan, e cun lè tanta emuziun
    News - Canzun d?amur busina - Centro Studi l'Insorgente


  2. #252
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da Erlembaldo Visualizza Messaggio

    Cugnossi un sit ca l’è inscì bel in tuti i stagiun
    Al gh’à set lagh ca specian i cà di nostra bei cantun
    Al’è famus dumà par laurà e produziun
    Ma se te vegnet, te disi de visità i nost dinturn
    Gh’è ul lac Magiur, cunt’isul Bela, Madre e Pescadur
    Tanti giardit ma bei cürà, sentè par caminà
    Rampega un zich, te rivaret drizz drizz al Camp di fiur
    Mo fermas chi a ciapà fià, varda luntan……
    Canzun d’amur busina canzun dul lac Magiur
    Canzun d’amur busina canzun dul Camp di fiur
    Gh’in di paes che in restà cum’eran tanti an fa
    Cantun scundü, mür afrescà, Sant e Madon da pregà
    Bosch da castegn, prà da velü, fiüm sbarlusenti al su
    besti dul bosch insema al vent fan na canzun
    Canzun d’amur busina canzun del Sacro Munt
    Canzun d’amur busina canzun dul lach da Vares
    Na cara a la me tera, la fo cun la me vus
    La me canzun la va luntan, e cun lè tanta emuziun
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    home sweet home

  3. #253
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da sciadurel Visualizza Messaggio
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    Ah, il Monte Rosa.....
    sklöpp & kanù

  4. #254
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da Scarpon Visualizza Messaggio
    Ah, il Monte Rosa.....

    la montagna più alta dell'Insubria, dalla provincia di Varese lo si vede un po' dappertutto

  5. #255
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    Predefinito Re: Cultura padana

    La storia dello specchio
    I primi metodi per osservare la propria immagine indubbiamente sfruttavano l'acqua. Fiumi, laghi, pozzanghere offrivano un riflesso mosso del proprio volto.
    Successivamente, con la scoperta dei metalli e delle loro caratteristiche riflettenti, etruschi, egizi e greci preferivano l'utilizzo di specchi primordiali, i quali erano costituiti principalmente da lastre di bronzo lucidate e decorate.
    Cominciava, intanto, l'annerimento del fondo di lastre di vetro utilizzando il piombo. Ciò rendeva la superficie vetrosa specchiante. I romani avviarono piccole produzioni, ma senza grandi risultati.
    Nel XII secolo nella Germania e nella Lorena si inizia a metallizzare il vetro con il piombo e con lo stagno, non arrivando, tuttavia, alla produzione di specchi di grandi dimensioni.
    E' nel 1540 che Vincenzo Redor, veneziano, elaborò finalmente un processo di spianamento delle lastre di vetro che permise la produzione di specchi di grandi dimensioni e di altissimo pregio, conosciuti come specchi veneziani, e presto noti in tutto il mondo. Il processo di lavorazione prevedeva che lastre di stagno venissero pressate sulla superficie del vetro grazie a un bagno di mercurio. Le cornici, inoltre, erano molto curate e varie: ricoperte con liste di specchio molate, foglie e fiori di vetro. Per questo gli specchi veneziani erano molto pregiati e ricercati.
    Storia di uno specchio: La storia dello specchio



    Marc Tamburell
    Per quelli che: "ma no, ma i 'dialetti' non si possono salvare, è troppo tardi, blah blah blah.."
    The number of Catalan speakers has exceeded the 10 million mark (growing to 10.1 million), 'despite an adverse political context', according to the latest report on the situation of the Catalan language issued on Wednesday by the Institut d’Estudis Catalans (Catalonia’s Science and Language Academy), with data from 2012. Full report:
    L’<i>Informe sobre la situació de la llengua catalana</i> del 2012 evidencia que el català avança malgrat l’entorn sociopolític advers

    Delio Tessa: quando il dialetto diventa allucinato e grottesco
    di Paola Montonati
    Delio Tessa nacque nel 1886 a Milano, in via Fieno, in una delle tante casa di ringhiera, da una famiglia di bancari della piccola borghesia milanese dell’epoca. Anche se si era laureato in legge del 1911, fin da subito il giovane rivolse i suoi interessi principali alla filosofia, al cinema, alla musica, ma soprattutto alla poesia, a cui si dedicava dagli anni del Liceo, inizialmente muovendosi nella tradizione milanese di Maggi e Porta, ma poi utilizzò idee e suggestioni nuove e originali. Fisicamente, come dice uno dei suoi biografi, Carlo Linati, il poeta era "non molto alto, minuto, sorridente, con un dente d'oro nella bocca vizza e, dietro gli occhiali (era miope) ballettanti, un po' malsicuri nella loro orbita, quei suoi occhi grigi ed acquosi, da cordiale allucinato".
    D’estate Tessa vestiva abiti dal taglio alquanto "demodé" come pantaloni di tela bianca, solino, cravatta, e maggiostrina sulle ventiquattro, mentre se pioveva, portava sempre con se una vecchia ombrella a becco appartenuta a suo padre.
    D'inverno invece il poeta indossava un paletò color tabacco, che lo faceva sembrare un notaio di provincia.
    La sua carriera professionale non fu di grande successo, i suoi clienti erano solo sufficienti a fargli sbarcare il lunario con dignità.
    E per arrotondare Tessa si dedicò anche ad una attività giornalistica in provincia e nel Canton Ticino, dove lavorò con la Radio della Svizzera italiana.
    Inoltre nel 1936 collaborò al giornale "L'Ambrosiano" che riuniva molte delle migliori firme della letteratura di allora, con scritti malinconici e al tempo stesso umoristici incentrati su figure e scorci della città, che sarebbero stati raccolti postumi nel volume "Ore di città"
    Fu anche un fine dicitore di poesie, che preparava come "si preparerebbe un concerto" cosi sosteneva lui.
    Tessa condusse una tranquilla esistenza da scapolo, a seguito di una cocente delusione sentimentale, col solo sostegno della famiglia e di pochi amici che gli furono vicini fino a quando una setticemia, provocata da un'infezione ad un dente curato troppo tardi non lo condusse alla morte il 21 settembre 1939.
    Inizialmente il poeta venne seppellito in un piccolo cimitero nel comune di Musocco, ma nel 1950 il Comune di Milano ne fece traslare i resti nel Famedio.





    Tessa e il milanese erano una cosa sola, come dimostra questa sua dichiarazione “Scrivo in milanese perché so che la lingua italiana non può, assolutamente non può, fornire quel mondo di suoni che mi occorre per esprimermi come voglio. Non immagino la lirica se non come musica della parola e le mie dizioni le preparo come si preparerebbe un concerto”.
    I temi tipici della sua poesia sono la vita quotidiana dei milanesi, ma anche la conseguenze della drammatica situazione della prima guerra mondiale, oltre a una particolare attenzione per gli emarginati della società, come prostitute, emarginati della vecchia Vetra e del Bottonuto, tra cui coltivò a lungo e discretamente poche ma sincere amicizie.
    E proprio in questo sta uno dei motivi cardine della poesia di Tessa, il milanese allora era una lingua viva, ancora parlata in gran parte della città, in grado di dar voce al suo mondo.
    Ma le sue poesie non sono solo una riproposizione di maniera, come quelle che per tutto l’Ottocento seguirono il modello di Carlo Porta, hanno un notevole respiro concettuale e grande attenzione alle forme metriche, sintattiche e fonosimboliche che appartengono alla grande poesia europea, da Baudelaire fino a arrivare agli espressionisti tedeschi degli anni Venti.
    Delio Tessa: quando il dialetto diventa allucinato e grottesco - LaBissa.com

    "Riconosco ed onoro un solo Maestro: il popolo che parla.
    Squisitamente parla ancora un suo mutevole linguaggio sempre ricco, sempre vario, sempre nuovo come le nuvole del cielo.
    Non è morta la lingua milanese. Creda pur taluno, sordo e cieco, che decadenza vi sia perché le vecchie forme, le usate espressioni piú non trova, ma decadenza non v'è. In perfetta aderenza colla necessità contingente, la parlata del popolo è simile all’architettura: a nuova vita, nuovo stile; chi non lo comprende, chi si lamenta, è un sorpassato."


  6. #256
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Marc Tamburell
    Per ricordare a quelli di "sarebbe meglio l'inglese" che l'apprendimento di una seconda lingua in un ambiente socio-culturale naturale (e quindi non come l'inglese, che viene appreso attraverso l'istruzione scolastica, pubblica o privata) porta ulteriori vantaggi. In Italia queste lingue ci sono, ce ne sono 31 (trentuno).

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    La scomparsa degli europei nelle pagine di Robert E. Howard
    Quello che ai primi del Novecento si leggeva nella fantascienza, oggi, di fronte ai flussi migratori, sta diventando realtà
    Paolo Mathlouthi
    Dire che Robert Erwin Howard è uno scrittore di razza potrà forse sembrare a qualcuno un’espressione abusata, perfino sgradevole. Eppure, mai come nel caso del bardo di Peaster (Texas), essa coglie nel segno. Il tema, spinoso e politicamente scorrettissimo, della consapevolezza etnica è infatti la chiave di volta della sua vastissima e multiforme produzione letteraria.
    Noto al grande pubblico soprattutto per il personaggio di Conan, granitico guerriero barbarico che all’inizio dei tempi si batte contro le forze del Caos e della dissoluzione, la breve esistenza dello scrittore texano, morto a soli trent’anni, pare come segnata dall’ossessione dell’imminente epicedio delle stirpi indoeuropee ad opera di popolazioni allogene, forme di vita inevolute, dedite a culti osceni e perversi, manifestazioni plastiche di una materialità elementare, brutale e animalesca, dinnanzi alle quali l’uomo bianco, colpevole di aver smarrito, in favore della Civiltà, lo slancio vitale delle origini, sembra inevitabilmente destinato a soccombere.
    Questo il motivo portante di The Last White Man, racconto del 1920 pubblicato in Italia dal sulfureo Franco Freda che ora Terra Insubre propone nella prima traduzione in lingua lombarda in seno ad un nutrito speciale interamente dedicato allo scrittore americano, apparso sull’ultimo numero della rivista omonima, in distribuzione in questi giorni. Con gli occhi preveggenti del poeta Howard, che a dispetto del sussiego della critica nostrana giganteggia tra i padri nobili del genere fantasy accanto a Tolkien e Lovecraft, aveva vaticinato un fenomeno, quello della scomparsa degli Europei, derubricato all’epoca come inerente alla fantascienza ma che oggi, meno di un secolo dopo, a fronte della dimensione biblica dei flussi migratori in atto, assume invece i contorni precisi di un’inquietante ineluttabilità.
    La stirpe è il risultato della complessa interazione di fattori storici, culturali, finanche genetici, che insieme costituiscono la fisionomia materiale ed etica, organica e spirituale, di un popolo, in una parola il suo patrimonio. Rinunciarvi significa per Howard abdicare a se stessi, votarsi all'annientamento. Se il tramonto sembra inevitabile, perché connesso al destino tragico dell'Occidente, dalle pagine dei suoi romanzi egli ci invita comunque ad opporci ad esso, ovviamente nelle forme e nei modi che lo spirito del tempo nel quale siamo costretti a vivere mette a disposizione. Solo così la memoria di ciò che è stato potrà essere trasmessa a coloro che verranno, diventando l’alba di un nuovo inizio.
    Robert Erwin Howard custode della vita


  7. #257
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Intervista a Belen Rodriguez:
    Quanto guadagna? «Vabbuò, guadagno bene». “Vabbuò”? «Non ci faccia caso, stando con mio marito ho iniziato a intercalare con “vabbuò” e “assai”. Meglio così, io e Stefano ci teniamo che Santiago non venga su con l’accento milanese».
    Al solito. Immaginiamo che viva a Napoli e dica "ciumbia!", e aggiunga: "mio marito e io ci teniamo che Santiago non venga su con l'accento napoletano". Se la sarebbero sbranata....
    Intanto lei e il suo degno compare terronico vivono a Milano, e non a Napulè.....chissa come mai...
    "Disen tucc che foeur da Napoli se moeur......e poi vegnen chi a Milàn".......terùn!

    Lombardia/scuola: Regione superiore a media Ocse
    (ASCA) - Milano, 4 dic - Gli studenti quindicenni lombardi registrano risultati superiori alla media Ocse nelle aree di lettura, scienze e matematica. I dati che emergono da Pisa 2012, la rilevazione condotta all'Ocse a cadenza triennale, attestano che la Lombardia e' al di sopra della media in tutte le aree di indagine. Inoltre, se paragonati con quelli della precedente rilevazione del 2009, gli esiti segnalano una sostanziale conferma delle competenze degli studenti, con un lieve incremento in matematica e scienze e una conferma dei dati precedenti in lettura.
    Lombardia/scuola: Regione superiore a media Ocse - ASCA.it

    Puntata dedicata alla lingua milanese. Gli autori sottolineano come i bambini dell'Europa continentale dell'est, a differenza di quelli del sudde, pronuncino senza problemi le vocali turbate lombarde, e pongono il bando, in materia gastronomica, al terronico capitone....



    Consigli per gli acquisti...
    A.G. BELLAVITE


    Un'idea per i regali di Natale: un cesto insubrico!
    di Emanuela Trevisan Ghiringhelli
    Nonostante la crisi è ora di pensare ai quei pochi regali che dobbiamo fare e più passano gli anni, più siamo portati a donare i così detti piccoli pensieri, magari qualcosa di carattere natalizio che troviamo sulle bancarelle di qualche Mercatino di Natale.
    Quando dobbiamo regalare qualcosa di più importante, molta gente ricorre al classico cesto gastronomico, solitamente pre-confezionato in vendita in tutti i supermercati e talvolta li facciamo anche personalizzare con determinati prodotti. Quest'anno ho deciso di regalare un cesto insubrico al 100%, scegliendo i prodotti tipici e confezionandolo da sola. Sarà composto da una Formagella del Luinese DOP, una scatola di Perzic de Mùna le deliziose pesche sciroppate del Lago di Monate, un sacchetto di Brutti e Buoni, il dolce tipico di Gavirate ideato nel 1878 da Costantino Veniani, qualche bottiglia di Vino della Tenuta Tovaglieri di Golasecca, dal bianco Ticinium, al rosato Serpillo, fino ai rossi Merletto, Monte Tabor e Brugus, tutti vini che riportano sia il marchio Vini Varesini e Produzione Controllata Parco del Ticino.
    Questo cesto gastronomico potrebbe essere arricchito anche da un vasetto di Miele Varesino DOP, il digestivo Elisir Borducan, un mix di scorze d'arancia, spezie ed erbe officinali inventato nel 1872 da Davide Bregonzio, per finire con una bottiglia di Olio di Sant'Imerio, un extravergine a bassa acidità prodotto con le olive delle colline del varesotto e venduto presso la Parrocchia di Bosto che ne devolve il ricavato in beneficenza. Anche questo è un modo per promuovere e far gustare i nostri prodotti tipici.
    Un'idea per i regali di Natale: un cesto insubrico! - LaBissa.com


    20 APRIL 1797 El dì del corajo
    Ecco a Voi in anteprima il nuovo libro a fumetto edito da Raixe Venete su uno dei giorni storici della Repubblica Veneta
    Con questa edizione l’associazione Raixe Venete compie l’ennesimo sforzo per cercare di far conoscere ai Veneti la propria storia, storia troppo spesso trascurata, questo impegno dell’associazione è ben giustificato e spiegato dalle parole che troverete nel retro del libro come prefazione, che vi riporto di seguito.
    “…mi chiedo per quanto tempo ancora i giovani Veneziani e Veneti, come i miei figli Caterina Angela ed Alvise Leonardo, dovranno conoscere forzatamente il tumulto dei Ciompi o i Vespri siciliani, o Ettore Fieramosca o Pier Capponi, o credere alla fola che il plebiscito che consentì la formale annessione della mia terra all’italia, nel 1866, abbia potuto sortire il risultato di 647426 voti a favore dell’annessione all'Italia e solo 69 contrari, od all’altra accattivante storiella che mille uomini in camicia rossa abbiano potuto da soli aver ragione del Regno delle Due Sicilie, e non conoscere mai chi, come Domenico Pizzamano, consegnò la propria vita alla Patria nella speranza, sino ad oggi vana, che anche i posteri potessero goderne bellezza, tolleranza, pace e fiera indipendenza.”
    Per questo Vi domandiamo di sostenere lo sforzo dell’associazione con l’aquisto di questo libro a fumetto, specie adesso con le festività natalizie potrebbe rivelarsi davvero come un bel dono.
    Per poterlo fare basta che al momento scrivere a: info@raixevenete.net, con il versamento di una quota sostegno all’iniziativa di euro 9,50 sul C.C.P. 28052421 intestato a:
    Associazione Veneto Nostro
    Vicolo Basilicata, 9
    30030 – Fossò – Venezia -
    Oppure con un semplice bonifico bancario al seguente conto corrente
    IBAN : IT28N0760102000000028052421 –
    Causale: contributo iniziativa 20 aprile 1797 -
    Zero spese di spedizione per tutto il periodo natalizio!



    Viaggio tra i presepi della Val Bisagno
    C’è ne è uno con le statue del 1700, un altro fatto di pane e anche quello annodato con i fili di rame. Le storie di chi li cura e tutte le informazioni per andarli a vedere
    Genova - C’è ne è uno con le statue del 1700, un altro fatto di pane e anche quello annodato con i fili di rame. Sono i presepi della Val Bisagno, che ogni anno rinnova una tradizione millenaria nei suoi oratori e nei giardini di alcuni privati con la passione per casette e statuine in miniatura. E perché no, con la voglia di fare del bene. Proprio come il presepe di Marcellino, allestito dalla famiglia Ferraretto – Troisi – Malcontenti nel loro grande giardino di casa in via Giovanni da Verrazzano 256, a Fontanegli. I proventi delle visite saranno devoluti in favore dell’Associazione Gigi Ghirotti di Corso Europa. Già aperto al pubblico dall’8 dicembre, accoglie i visitatori con un enorme albero di Natale, tantissime lucine colorate e una slitta trainata da renne luminose ad indicare la via. «Siamo qui tutti i giorni fino al 20 gennaio 2014 dalle 16.00 alle 20.00, ad eccezione dei giorni dal 29 dicembre 2013 al 2 gennaio 2014 – spiega Carlo Malcontenti – E’ la seconda edizione e speriamo di replicare il successo dello scorso anno, quando abbiamo raccolto ben 1000euro, poi devoluti all’Associazione».
    E proprio di tradizione si parla per il presepe dell’Abbazia San Siro di Struppa che ritrae un borgo ligure in festa, in un momento di processione. «Case e ambientazioni sono state realizzate e decorate a mano da alcuni volontari – spiega Maria Teresa Guidi, che si è occupata dell’allestimento insieme a un’amica – e le statuine sono state realizzate dall’artista Brunella Ratto di Cogoleto, in ceramica di Albisola. Saremo aperti da Natale a Befana, mattina e pomeriggio per i festivi, solo pomeriggio per i feriali. Fino al 2 febbraio 2014 poi sarà aperto anche la domenica».
    Statuine di prestigio anche per il presepe della Parrocchia S. Bartolomeo di Staglieno che espone figure del 1700 realizzate dal Maragliano. Aprirà al pubblico dal 24 dicembre 2013 al 7 gennaio 2014.
    E poi c’è il bel paesaggio illuminato esposto nella Chiesa di S. Maria e S. Giustino di Montesignano, curato da ben dieci anni da Egidio Mangeruca, ex lavoratore dell’Italsider in pensione: «Questo presepe passa dal giorno alla notte, le casette si illuminano e lasciano intravedere tutti i dettagli all’interno», spiega e poi indica la bottega dei frutta e verdura del “bisagnino”, la casa del dottore, le statuine del 1700 e la processione dei “macachi”. «Le casette sono fatte tutte a mano, c’è anche una chiesetta che un bambino ci ha voluto portare lo scorso anno. E poi abbiamo queste luci così belle perché il nostro elettricista è Enzo Malcontenti del Carlo Felice». Il presepe sarà aperto al pubblico dal 25 dicembre 2013 al 29 gennaio 2014 anche se l’idea, spiega, sarebbe quella di mantenere questo presepe tutto.
    E non può mancare la mostra dell’oratorio di Fontanegli, arrivata alla sua 23esima edizione. Come ogni anno, ospiterà un piccolo contest per decretare i tre presepi più belli. L’esposizione, dal 22 dicembre 2013 al 12 gennaio 2014, raccoglie ben sedici presepi con ambientazioni diverse l’una dall’altra. «I materiali usati sono i più vari, ogni autore dà sfogo alla sua fantasia con un presepe ogni anno diverso – racconta il signor Agostino Rivarola che si è occupato dell’allestimento – e sarete voi a decidere chi vincerà: ad ogni visitatore sarà dato un tagliandino per votare il suo presepe preferito». E mentre si fanno gli ultimi ritocchi, il signor Michele che qui espone la piccola scultura in filo di rame, ci invita a visitare anche il bel presepe della Parrocchia di Sant’Eusebio: lo ha allestito tutto lui e dall’8 dicembre ha già fatto il pieno di visite. Rimarrà aperto fino al 2 febbraio 2014.
    Video - Viaggio tra i presepi della Val Bisagno | Liguria | Genova | Il SecoloXIX

    Fra i carrugi pecorelle e pastori più antichi di quelli di Napoli
    DA GENOVA ANGELA CALVINI
    Il presepe per eccellenza in Italia è quello napoletano, ma quasi nessuno sa che il presepe più antico è quello genovese. «In tutti i Paesi cattolici le figure mobili articolabili ricoperte di abiti in tessuto si sviluppano intorno ai primi del '600 - spiega il professor Giulio Sommariva, direttore dell'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova -. Ma, mentre a Napoli la prima documentazione ufficiale di un presepe risale al 1627, una cronaca del monastero degli Olivetani di Pegli certifica già l'esistenza di un presepe a Genova nel 1610». Inoltre il presepe genovese si distingue per caratteristiche sue proprie: mentre i personaggi napoletani sono dei manichini di filo di ferro e stoppa con volto in terracotta, le statuine liguri (alte dai 35 ai 65 centimetri) sono interamente intagliate nel legno, con tanto di snodi nelle articolazioni principali per cambiare loro posizione. «Inoltre - aggiunge il professore - non sono presenti i diversi mestieri, come è tradizione a Napoli, bensì si punta sul carattere dei personaggi che si distinguono attraverso il loro abbigliamento». Un abbigliamento ispirato alla moda contemporanea, realizzato tanto con materiali poveri quanto con magnifiche stoffe e broccati con fili d'oro, realizzati in apposite sartorie.

























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    Predefinito Re: Cultura padana

    LOMBARDIA NEXT STATE IN EUROPE
    President Maroni, una lengua ge l'hem
    Roberto Maroni: ...Cataluña tiene una ventaja respecto a Lombardía, y es que tiene una fuerte identidad, que es fundamentalmente la lengua. La Lombardía no tiene una lengua propia. Hemos hablado de esto y me ha ilustrado de la vía que ha iniciado.
    El Paìs: ¿Le gustaría que Lombardía siguiera la misma vía y hacer un referéndum?
    Roberto Maroni Me gustaría que un día pudiéramos hacer la misma vía. El problema, insisto, es que no tenemos un elemento unificador como es la lengua catalana.
    Roberto Maroni: ...la Catalogna ha un vantaggio rispetto alla Lombardia, ovvero ha una forte identità, che è fondalmentalmente la lingua. La Lombardia non ha una propria lingua. Oggi abbiamo parlato di questo e mi ha spiegato della via che ha intrapreso.
    El Paìs: Le piacerebbe che la Lombardia seguisse la stessa via e tenesse un referendum?
    Roberto Maroni: Mi piacerebbe che un giorno potessimo intraprendere la stessa via. Il problema, insisto, è che non abbiamo un elemento unificatore come è la lingua catalana.
    lingua lombarda
    Queste le dichiarazioni del Presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni, al principale quotidiano spagnolo. Dalle sue parole, quindi, si evince che un referendum sull'indipendenza della Lombardia sarebbe impossibile a causa dell'inesistenza di un collante identitario, quale potrebbe essere la lingua comune. Nulla di più sbagliato, per i seguenti motivi:
    1) Per quanto la riscoperta del catalano (brutalmente soffocato dal regime di Franco) sia un processo fondamentale per la rinascita della coscienza catalana, non è necessariamente detto che non si possa avere un referendum sull'autodeterminazione prima del raggiungimento del bilinguismo "lingua madre - lingua statale": in Scozia, infatti, la lingua correntemente parlata è l'inglese e la diffusione del gaelico scozzese non è al pari del catalano in Catalogna. Si può benissimo ripercorrere la via irlandese, ovvero riprendendo la lingua locale dopo aver raggiunto la completa indipendenza.
    2) La lingua lombarda esiste, almeno quanto esiste quella veneta citata dallo stesso Maroni come elemento di accomunanza con il catalano in Catalogna: "El Véneto sí está haciendo algo similar a Cataluña, tiene más similitudes". Che vi siano differenze tra il parlato di Vares, di Lecch, di Bressa e di Berghem è pacifico e al di fuori di qualsiasi discussione, lo è meno però il credere che in Catalogna si parli ovunque lo stesso tipo di catalano, o che in Veneto ci sia una lingua completamente uniforme da Verona a Venezia. Una lingua è formata da varianti, non è un monolite standard immodificabile (a meno che non sia artificiale); proprio su questo blog abbiamo pubblicato lo scritto di Marc Tamburell, dell'Università di Bangor (Galles) in cui venivano messe a confronto la lingua lombarda e quella catalana, e che riportiamo di seguito: Lingua lombarda e lingua catalana, un paragone | Linkiesta
    Se la lingua lombarda è nel 2014 ancora in questo stato, il demerito è da attribuire non solo allo Stato italiano che la ignora bellamente o la ostacola (ha del resto tutto l'interesse a farlo), ma anche di chi si ergeva a paladino della stessa in campagna elettorale per poi non fare nulla nelle sedi apposite. In questa e nella scorsa legislatura, l'assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia risulta essere ricoperto da un aderente al partito Lega Nord (Massimo Zanello prima e Cristina Cappellini poi) a parole sempre in prima linea per la difesa dell'identità lombarda. Di una legge regionale volta a tutelare la lingua lombarda se ne parlava anche durante la scorsa legislatura, eppure non è mai emerso nulla in tal senso; quanto dobbiamo aspettare prima di avere un benché minimo riconoscimento, fondato su basi linguistiche riconosciute a livello internazionale (come la catalogazione UNESCO, per esempio)? Possibile che alla fine non si arrivi mai al nulla?
    President Maroni, una lengua ge l'hem | Linkiesta.it



    La Svizzera salverà i dialetti dell'Insubria?
    La Svizzera salverà i dialetti insubrici? La Pro Loco di Azzate ci ricorda e segnala, e noi volentieri pubblichiamo, un sito (Lessico.ch - 50 Mila parole e voci di tutti i vocabolari della Svizzera Italiana, del Rumantsch Grischun, dell'Insubria) per ascoltare la pronuncia di alcuni dialetti dell'Insubria. Ma cos’è Lessico.ch?
    Lessico.ch a l'è un sit internet svizer del Federico Pedotti che'l gh'ha dent un vucabulari cun püssee de 50.000 de vucabul lumbard, principalment in di variant ticines e verbanes, e anca in rumanc. La püssee part di vucabul a l'è anca parlada, inscì che se pö sentì la parnunzia de la parola.
    In sül sit se poden truà anca di puesij (semper in versiun àudiu), espressiun dialetaj e alter infurmaziun de cultüra ticinesa e de paesagg.
    Qui di seguito invece la scheda di presentazione redatta da Chiara Simoneschi-Cortesi, Consigliera nazionale
    Lessico.ch - 50 Mila parole e voci di tutti i vocabolari della Svizzera Italiana, del Rumantsch Grischun, dell'Insubria
    Vocabolario italiano/dialetto ticinese, ma non solo
    Il sito Lessico.ch - 50 Mila parole e voci di tutti i vocabolari della Svizzera Italiana, del Rumantsch Grischun, dell'Insubria è molto innovativo, poiché il “visitatore” può facilmente e gratuitamente accedere al vocabolario italiano/lingua naturale e viceversa con la ricerca automatica; basta inserire la parola che interessa ed essa appare, corredata da spiegazioni e modi di dire; inoltre cliccando sul segno apposito si sentono la parola e/o le espressioni pronunciate nel modo giusto.
    Nel sito sono stati immessi circa 70000 vocaboli ed espressioni.
    Voi sono inoltre a disposizione altre sezioni: l’antologia di testi poetici, già ora tutta in voce, le passeggiate, il “Romanico”, i “Seregnesi” e ( nuovo ) “Stori da tütt i di”.
    Siccome si tratta di un sito internet, questo deve vivere, e non diventare un giornale vecchio; perciò sono già programmate altre aggiunte: è infatti in preparazione una nuova sezione “LEZIONI DI DIALETTO”, con l’obiettivo di dare la possibilità a persone alloglotte di avvicinarsi al dialetto e di apprendere “on-line” parole ed espressioni della vita di tutti i giorni. Quest’offerta di formazione, facilmente accessibile, rappresenta un nuovo modo di promuovere concretamente una migliore integrazione delle persone alloglotte che lavorano nel nostro Paese.
    Esiste anche una parte interattiva, dedicata a quanto i nostri amici visitatori ci inviano come filastrocche, modi di dire, ecc. Anche questa parte verrà messa in voce.
    Vi è infine anche la possibilità di scrivere direttamente sul “Libro degli ospiti”.
    Il sito Lessico.ch - 50 Mila parole e voci di tutti i vocabolari della Svizzera Italiana, del Rumantsch Grischun, dell'Insubria è ormai molto conosciuto: sono più di tremila le persone che ogni mese entrano in questo sito, 50% dalla Svizzera il resto da tutto il mondo Giappone e Sud-America compresi.
    Autore del sito web Lessico.ch - 50 Mila parole e voci di tutti i vocabolari della Svizzera Italiana, del Rumantsch Grischun, dell'Insubria è Federico Pedotti
    Casella postale 6002
    6901 L u g a n o
    Telefono 078 708 35 55
    E-mail f.pedotti@bluewin.ch



    Apartheid in Piemonte
    Il 17 dicembre 2013, il consiglio dei ministri ha varato il ddl di ratifica ed esecuzione della Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie, che riguarda le sole lingue comprese nella legge 482/99. Il piemontese ne è escluso.
    Verrà pertanto instaurato un regime di apartheid linguistico all’interno della stessa Regione ai danni della lingua storica e naturale del Piemonte. È l’ennesimo, gravissimo, atto di razzismo e di discriminazione da parte dello Stato italiano nei confronti del popolo piemontese.
    E qualcuno ci viene ancora a dire che si dovrebbe portare avanti il tricolore?
    Apartheid in Piemonte | Gioventura Piemontèisa



    RENZO TRAMAGLINO SI SALVA IN TERRA DI SAN MARCO
    di Giorgio Burin
    L’italianissimo Alessandro Manzoni, don Lisander, come lo chiamavano i milanesi, autore dei Promessi Sposi, ambienta un pezzetto della sua storia in terra Bergamasca, allora terra di San Marco. Ne vien fuori un quadro che descrive indirettamente l’attitudine Veneta al buon governo: attenzione verso il popolo, lungimiranza nelle decisioni, fermezza nei comportamenti.
    Renzo, in fuga da Milano, ingiustamente ricercato dalla giustizia spagnola, fugge oltre l’Adda dal cugino Bortolo che accogliendolo gli dice che i milanesi sono strani. E’ ingiusto Bartolo, perché in realtà all’epoca i milanesi erano dominati dagli spagnoli, quindi non erano loro i responsabili. Osserva comunque Bortolo che anche in territorio di San Marco c’è la carestia, ma si è agito prudentemente, ordinando del grano all'estero, per sfamare la città prima che ci fossero disordini. Il Doge in persona si era fatto garante la sicurezza del trasporto obbligando le terre attraversate a scortare il carico, e concede inoltre un carico di miglio per sfamare anche il contado. Una bella lezione di civiltà e di prevenzione dei bisogni, piuttosto che di gestione dei problemi. Non si può non cogliere l’ammirazione del Lombardo verso una amministrazione saggia e attenta al popolo, anche a quello lontano, non Veneto diremmo oggi, ma per Venezia non fa differenza.
    Un altro spunto viene poche righe più sotto quando Bortolo comunica al cugino che in Terra Bergamasca i milanesi sono chiamati baggiani, cioè sciocchi. Renzo si inalbera e lui spiega che questa è consuetudine, magari non malevola, ma molto radicata, per cui se non è disposto a sentirsi chiamare così è meglio che pensi di vivere in un’altra terra.
    In sostanza i Veneti sono da sempre accoglienti, ma non incondizionatamente. Le regole della convivenza a casa loro le dettano loro, poi, chi le accetta è benvenuto. In poche righe si riassumono i fiumi di inchiostro versati ai nostri giorni in italia e le vane ciance sull’integrazione. Una posizione simile è stata assunta recentemente dall’Australia e anche dalla Russia di Putin. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, per chi vuole gestire saggiamente una Nazione anziché fare vuota demagogia.
    Questo passaggio mi è venuto in mente frugando tra le mie reminiscenze scolastiche, ma non ricordo però che il mio professore di liceo, un fiero veneto che a volte si esprimeva in Veneto anche a scuola, abbia perso tempo per evidenziare la grandezza del nostro passato descritta da un lombardo in tempi non sospetti. La negazione della nostra Storia e Cultura avviene metodicamente da decenni.
    Nota finale, per chi non lo ricordasse, Renzo e Lucia, felicemente sposati e fatti i debiti confronti, decidono con cognizione di causa di lasciare il Milanese sottomesso alla Spagna, e si trasferiscono definitivamente in Terra di San Marco.
    RENZO TRAMAGLINO SI SALVA IN TERRA DI SAN MARCO | Vivere Veneto

    La storia è strana: potrebbe accadere in futuro che i lombardi, come Renzo, cerchino di raggiungere il territorio del Veneto indipendente....per sfuggire alla Lombardia sottomessa all'Itaglia....

    Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleo, che, giù giù verso l'oriente, s'andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù, all'orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, tra l'azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto d'una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s'andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì andando a spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell'albeggiare così diverso da quello ch'era solito vedere ne' suoi monti; ma badava alla sua strada, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivar presto. Passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie, attraversa il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo e vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi aveva provato poche ore prima; è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra i rami, vede una barchetta di pescatore, che veniva adagio, contr'acqua, radendo quella sponda. Scende subito per la più corta, tra i pruni; è sulla riva; dà una voce leggiera leggiera al pescatore; e, con l'intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il pescatore gira uno sguardo lungo la riva, guarda attentamente lungo l'acqua che viene, si volta a guardare indietro, lungo l'acqua che va, e poi dirizza la prora verso Renzo, e approda. Renzo che stava sull'orlo della riva, quasi con un piede nell'acqua, afferra la punta del battello, ci salta dentro, e dice: - mi fareste il servizio, col pagare, di tragittarmi di là? - Il pescatore l'aveva indovinato, e già voltava da quella parte. Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e l'afferra.
    - Adagio, adagio, - disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo il giovine aveva preso lo strumento, e sl disponeva a maneggiarlo, - ah, ah, - riprese: - siete del mestiere.
    - Un pochino, - rispose Renzo, e ci si mise con un vigore e con una maestria, più che da dilettante. E senza mai rallentare, dava ogni tanto un'occhiata ombrosa alla riva da cui s'allontanavano, e poi una impaziente a quella dov'eran rivolti, e si coceva di non poterci andar per la più corta; ché la corrente era, in quel luogo, troppo rapida, per tagliarla direttamente; e la barca, parte rompendo, parte secondando il filo dell'acqua, doveva fare un tragitto diagonale. Come accade in tutti gli affari un po' imbrogliati, che le difficoltà alla prima si presentino all'ingrosso, e nell'eseguire poi, vengan fuori per minuto, Renzo, ora che l'Adda era, si può dir, passata, gli dava fastidio il non saper di certo se lì essa fosse confine, o se, superato quell'ostacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde, chiamato il pescatore, e accennando col capo quella macchia biancastra che aveva veduta la notte avanti, e che allora gli appariva ben più distinta, disse:
    - E' Bergamo, quel paese?
    - La città di Bergamo, - rispose il pescatore.
    - E quella riva lì, è bergamasca?
    - Terra di san Marco.
    - Viva san Marco! - esclamò Renzo.


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    Predefinito Re: Cultura padana

    Il dialetto che piace ai ragazzi è quello del Teatro Govi
    Riccardo Porcu
    Genova - Due ore e mezzo tra autobus, corriera, treno. Ogni giovedì pomeriggio Martino Crispino, venti anni, parte dalla sua casa di Lumarzo, nell'alta Val Fontanabuona per raggiungere con ogni mezzo il Teatro Verdi di Sestri Ponente. Oltre due ore di viaggio per una passione. Il primo corso di teatro dialettale genovese “Strenzo i denti e parlo ciaeo” è anche questo.
    «Il teatro è una delle mie passioni, lo avevo già fatto a scuola e me ne ero innamorato. Poi però, abitando a Lumarzo, sono un po' stato costretto ad abbandonarlo», ricorda Martino Crispino. «È vero il viaggio non è breve. Ogni volta parto da casa alle tre e venti e arrivo non prima di due ore dopo. E il ritorno è peggio: ma per me è importante riscoprire il genovese. Il dialetto è un pezzo della nostra cultura, non va abbandonato. Io lo parlo in casa, con mia nonna».
    E come Martino sono tanti i ragazzi che ogni giovedì partecipano al corso, nato, come spesso accade, per fare di necessità virtù e che ha subito coinvolto oltre cinquanta persone al Teatro Verdi di Sestri e altrettante al Teatro Rina e Gilberto Govi di Bolzaneto.
    Un'iniziativa partita lo scorso novembre e che si concluderà a fine maggio, con lo spettacolo teatrale in cui gli allievi potranno mettersi all'opera, alternandosi sul palco in una serie di sketch in dialetto, sotto la guida di Riccardo Canepa, regista e direttore artistico. Giunio Lavizzari Cuneo, direttore del Teatro Verdi, guarda gli allievi sfogliando i manoscritti originali dei copioni di Govi, quasi con aria sognante.
    «Il dialetto è riscoprire qualcosa di noi stessi, un cassetto chiuso e mai aperto. Ma una volta spalancato ci sono i nostri ricordi, quello che siamo, quello che abbiamo. I nostri sapori, le nostre tradizioni», ricorda Cuneo. «E studiare il genovese non è anacronistico, come alcuni pensano. Si può studiare l'inglese e sapere bene il genovese. Anzi, qui abbiamo anche una signora russa, da anni a Genova, che ha deciso di partecipare al corso per capire la “lingua dei genovesi”. - ribatte Cuneo - E' importante scoprire l'origine di certe parole. Ad esempio "massacan" per muratore. Un tempo erano loro, quando la città era assediata, a buttare giù le pietre contro gli eserciti nemici. Per questo massacan».
    E allora quale luogo migliore per imparare del teatro Verdi di Sestri, qui dove Gilberto Govi si esibì per l'ultima volta nel 1960 e dove venne registrata la versione televisiva de “I manezzi pe majà na figgia”. Un modo per tornare indietro nel tempo. E il programma di studio è davvero completo, con corsi di dialetto e pronuncia genovese tenuti da Franco Bampi, Presidente dell'Associazione genovese “A Compagna”, lezioni pratiche di tecnica teatrale, uso della voce e del respiro, presenza scenica e improvvisazione. Tutto per emulare Govi. Difficile riuscirci, ma di certo la buona volontà non manca.
    Il dialetto che piace ai ragazzi è quello del Teatro Govi | Liguria | Genova | Il Secolo XIX



    Marc Tamburell
    Per quelli che "il 'dialetto' piemontese è legato solo alla tradizione contadina": nel 1788 «preparandosi le nozze del duca d’Aosta Vittorio Emanuele, si inviò a Milano l’abate Draghetti perché insegnasse alla sposa Maria Teresa la lingua piemontese».
    (Cognasso, 1969).

    Tecoppa ora rivive con tutti i personaggi di Edoardo Ferravilla
    In un dvd edito dalla fondazione Cineteca Italiana, ritornano restaurate le opere dell’autore che fece la fortuna di Piero Mazzarella
    Luca Marchesi
    In molti ricorderanno la straordinaria interpretazione del personaggio di Felice Tecoppa proposta fino a dieci anni fa dal sorprendente Piero Mazzarella, scomparso di recente e mai abbastanza compianto.
    Nella commedia “Che fadiga, minga laurà”, teneva banco una buona mezzora, con il fratello Rino Silveri, giocando sugli equivoci generati dai cognomi. Come si dice: “veniva giù il teatro” dalle risate!
    Autore di quella commedia era Edoardo Ferravilla, senza dubbio il più importante attore e autore del teatro leggero milanese a cavallo tra '800 e '900. Il Tecoppa, dal meneghino “Dio te cupa” (Dio ti ammazzi), è stata la sua maschera più celebre, fatta rivivere mirabilmente da colui che è stato considerato l'erede artistico di Ferravilla, appunto Piero Mazzarella.
    Proprio a quest'ultimo è dedicato Tecoppa e altri personaggi di Edoardo Ferravilla, il dvd edito dalla Fondazione Cineteca Italiana, che propone il restauro delle pièce di Edoardo Ferravilla filmate nel 1914 da Luca Comerio, pioniere del cinema milanese.
    Ferravilla seppe dare nuovo lustro al repertorio vernacolare, inaugurando, allo stesso tempo, una lunga e fortunata serie di maschere tipicamente ambrosiane che oltre al Tecoppa, vedono el Sciur Panera e Zio Camola. Nel dvd si potrà per la prima volta ascoltare la voce registrata su disco dell’attore milanese nel filmato Scena a soggetto musicale, che testimonia quanto sperimentale fosse il cinema già cento anni fa.



    Heidi, una icona svizzera e un fenomeno universale
    Nell’ambito di “Ariadifiaba” un libro e una mostra a Lugano, e altri eventi promossi attraverso il progetto della Biblioteca cantonale di Lugano che ha coinvolto anche gli studenti di un master della SUPSI.
    di Manuela Camponovo
    Per la quinta edizione di ariadifiaba, il concorso letterario di racconti destinati all’infanzia e organizzato dalla Biblioteca cantonale di Lugano, il direttore Gerardo Rigozzi e il collaboratore scientifico Luca Saltini hanno voluto coinvolgere gli studenti del Master postuniversitario SUPSI in Library and Information Science. Allievi già maturi e di provata professionalità in diversi ambiti specialistici, dalla filologia alla traduzione, alla dialettologia, ad esempio, che sono stati divisi in quattro gruppi: uno si è occupato della mostra, un altro del libro di accompagnamento (non solo un catalogo, come vedremo), un terzo del concorso e un altro del coordinamento tra tutti i vari partner della manifestazione. Al centro di un progetto durato sei mesi una figura poliedrica e universale come Heidi e la sua autrice Johanna Spyri. Il personaggio ha varcato le pagine di carta, datate 1880, per diventare un simbolo elvetico, un mito che contende o addirittura supera il primato di Guglielmo Tell con 50 milioni di copie vendute, traduzioni in 50 lingue che ne fanno il terzo libro più tradotto di tutti i tempi dopo Bibbia e Corano, come afferma Oliver Scharpf nel suo libro Lo chalet e altri miti svizzeri. Un fenomeno turistico, legato alla geografia del nostro paese, commerciale con una infinita quantità di gadget, souvenir, marchi pubblicitari per i più svariati prodotti, e multimediale, considerando film, serie tv, cartoni animati, rappresentazioni teatrali, musical, dischi, figurine Panini...
    La raccolta di saggi
    Il soggetto si offre per analisi altrettanto sfaccettate in diversi ambiti seri: storici, culturali, sociali, psicologici ecc... come dimostra la pubblicazione edita dalla Biblioteca cantonale di Lugano proprio per questa occasione, Heidi. Oltre la storia. Un’agile raccolta di saggi, ciascuno di poche pagine, scritte con uno stile che privilegia la semplicità comunicativa, ma non per questo meno approfondito o documentato a livello di contenuto. Nell’insieme i testi offrono, appunto, prospettive diverse, a volte persino in contrapposizione rispetto ai giudizi sull’opera, ma anche qualche riferimento comune e ripetuto (a Goethe ad esempio, se non altro in rapporto al titolo dell’edizione originale).
    Gerardo Rigozzi compie un excursus sull’evoluzione nei secoli del concetto della natura montana nella realtà letteraria, partendo dal monte di Dante, fino a Goethe e Mann e alla modernità. Ma è da un contesto romantico che si capisce come Heidi possa essere diventata una «ideale ambasciatrice delle alpi nel mondo», la montagna come luogo di purezza, libertà e armonia, rispetto all’oppressione, ai ritmi affannosi, alle regole della vita cittadina. Così, Renato Martinoni cerca le ragioni del successo del libro «nel fatto che il romanzo risponde alle attese del lettore» con i suoi personaggi-tipo: «Heidi esce proprio in un momento in cui l’esaltazione del mito svizzero delle montagne - tra “invenzione” della tradizione, dei luoghi della memoria, e identità nazionale - è forte e dinamico».
    Dell’autrice invece si occupa Verena Rutschmann, ripercorrendone la biografia e il carattere anche in rapporto alla costruzione del suo personaggi (ad esempio, il sentimento della nostalgia presente nel libro è riconducibile alle esperienze della Spyri). E se Rosmarie Zeller rinvia alle norme della letteratura realistica per le descrizioni ambientali del romanzo (una montagna quindi concreta, dettagliata e non idealizzata), Luca Saltini interpreta il dualismo oppositivo tra il mondo del nonno e quello della zia Dete alla luce della situazione sociale dell’epoca. Letizia Bolzani, specialista di letteratura dell’infanzia, mette l’accento sulle funzioni terapeutiche di Heidi «una piccola sciamana delle alpi», risanatrice del fisico e dell’anima: guarisce Klara che riprende a camminare, la nonna cieca di Peter, il dottore, e il nonno. I personaggi che entrano in contatto con lei ne subiscono il beneficio ma attraverso «una ricerca che avviene per gradi».
    Una prospettiva iconografica è quella trattata da Gaetano C. Frongillo che, in riferimento al famoso cartone animato giapponese degli anni ’70, compie un percorso tra Hokusai, manga e soprattutto Hiroshige Utagawa, evidenziando le analogie, sia nei procedimenti, sia nei contenuti, soprattutto nel meticoloso accento posto sulla natura.
    Dopo l’estratto dal già citato libro di Oliver Scharpf, il punto di vista commerciale e turistico è affrontato ancora da Pietro Beritelli per cui la storia di Heidi presenta «un set unico di ingredienti ideali per lo sviluppo di una identità, per un’identificazione e per un’immagine di una destinazione turistica», legata com’è al territorio.
    Il libro contiene anche una selezione di immagini dei maggiori illustratori attivi nei primi decenni del Novecento; le didascalie sono brani scelti dalla traduzione in italiano che fece una giovane Alice Ceresa per le Edizioni Silva di Zurigo (1944-’46), contenenti le famose figurine inccollate.
    Heidi, una icona svizzera e un fenomeno universale | Giornale del Popolo






























  10. #260
    Blut und Boden
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    Predefinito Re: Cultura padana

    W Heidi.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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