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  1. #71
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Ucci Do Visualizza Messaggio
    Quando si vuole parlare di una specie è importante riconoscerla nella sua identità, in ciò che la caratterizza e la distingue da altre. Ciò va fatto tenendo conto del dato biologico e del comportamento. Certamente la continuità è la categoria che meglio si adatta al pensiero darwiniano sulla evoluzione delle specie. Il concetto di continuità si lega a quello di gradualità evolutiva. Nel caso particolare dell’uomo la continuità potrebbe suggerire differenze soltanto di grado fra l’uomo e l’animale. Ciò è affermato da Darwin nella sua opera L’origine dell’uomo (1871). Questa affermazione appare più propriamente di carattere filosofico, nella linea del naturalismo riduzionistico e non tiene adeguatamente conto di ciò che è specifico del comportamento umano, che appare qualitativamente diverso, perché caratterizzato dalla cultura, pur nella continuità biologica tra ominide non umano e uomo. I più antichi rappresentanti del genere Homo sono riferiti a Homo habilis / rudolfénsi che realizzavano industria olduvaiana. Il passaggio a un livello più evoluto (maggiore capacità cranica, una certa robustezza nel cranio e nella mandibola) porta alla specie Homo erectus, che per l’Africa viene chiamata ergaster (artigiano) a partire circa da 1,6 milioni di anni fa. Con ergaster l’industria litica si fa più elaborata. Continua quella su ciottolo e compaiono i bifacciali, caratterizzati da lavorazione su entrambe le facce e sui margini, rivelatrice che il concetto di simmetria era posseduto dal suo artefice. La forma moderna o Homo sapiens, ha le sue radici in Africa e appare intorno a 150.000 anni fa. L’uscita dell’uomo moderno dall’Africa è avvenuta, forse in diverse ondate, fra 150.000 e 60.000 anni fa. L’uomo anatomicamente moderno si diffonde in Europa dal Vicino Oriente intorno a 40.000-30.000 anni fa e piuttosto rapidamente sostituisce i neandertaliani per fattori ancora non bene conosciuti. Ma è soprattutto sulle discontinuità che può essere sviluppato il discorso per cogliere l’identità dell’uomo come specie. Esse riguardano essenzialmente il comportamento che manifesta aspetti e interessi che non sono più di ordine biologico. La maggiore discontinuità nel comportamento dell’uomo rispetto all’animale viene ritenuta da molti il linguaggio simbolico. Esso viene ammesso quasi unanimemente in Homo sapiens di 100.000 anni fa. Tuttavia vari studiosi propendono a riconoscere forme di linguaggio anche nell’umanità precedente e perfino in Homo habilis. Le manifestazioni dell’arte e le pratiche funerarie, ben documentate negli ultimi 100.000 anni, vengono riferite a un simbolismo che è proprio dell’uomo e non dell’animale. In queste manifestazioni si dimostra chiaramente una discontinuità rispetto al mondo animale. Esse non appartengono propriamente alla sfera biologica. La cultura si caratterizza come capacità di progetto e di simbolo, entrambi rivelatori di intelligenza astrattiva, di coscienza e autodeterminazione. Queste proprietà non sono riconducibili alla sfera biologica e possono essere ritenute di ordine extrabiologico. Come già osservato, le manifestazioni che rivelano senso estetico o religioso, sono facilmente riferibili alla cultura. Ma anche i prodotti della tecnologia strumentale e della organizzazione del territorio, direttamente legati a strategie di sussistenza, rivelano intelligenza astrattiva nel prefigurare lo strumento che si vuole ottenere proiettandolo nel futuro e, quindi, capacità di progetto. L’uso di pietre o la pratica di rozze scheggiature sono da ammettersi per ominidi non umani che avevano realizzato la liberazione della mano, dalle funzioni di sostegno o di appoggio, ma lo strumento può considerarsi umano quando rivela un’attitudine progettuale e assume un significato. Negli australopiteci l’uso di pietre o eventuali rozze scheggiature hanno un significato «anedottico», più che definire un comportamento, ha notato Coppens (1991). Essi non realizzarono una vera cultura strumentale e forse è per questo sono stati soccombenti nella competizione con l’ambiente. La discontinuità culturale, documentata nelle fasi più antiche dai prodotti della tecnica, si arricchisce nel tempo non solo di strumenti sempre più elaborati, come i bifacciali e gli strumenti costruiti con la tecnica Levallois, ma anche di documenti ricollegabili a simbolismo di ordine spirituale, svincolati da necessità di ordine biologico, espressioni di una vita sociale più intensa e di interessi extrabiologici, come quelli riferibili alla sfera dell’arte e della religione. Nell’uomo l’adattamento all’ambiente si realizza sia mediante meccanismi biologici (omeostasi genetica e fisiologica) che mediante comportamenti culturali. Quest’ultima forma di adattamento assume nell’uomo un significato e una importanza tutta particolare a motivo della capacità progettuale e innovativa che caratterizza il comportamento umano. Nel caso dell’uomo la differenza è rappresentata dal fatto che non è un comportamento stereotipo, dettato dal Dna o dall’imprinting o da altri fattori non intenzionali, ma è un comportamento pensato e trasmesso anche per via non parentale, che può anche andare contro l’interesse dell’individuo o della specie. L’uomo ha la capacità di intervenire nei processi di adattamento modificando sia l’ambiente per adattarlo a sé, sia il proprio comportamento per adattarsi all’ambiente. Di conseguenza l’uomo ha la possibilità di modificare e anche contrastare intenzionalmente la selezione naturale operata dall’ambiente. Ciò rappresenta un caso unico nella natura. L’uomo avvertendo la sua interdipendenza con le altre specie ha la possibilità di intervenire nella gestione dell’ambiente in senso più generale favorendo o contrastando la presenza di altre specie. Di qui le sue responsabilità in ordine all’ecosistema di cui fa parte. Sotto questo profilo la centralità che la teoria darwiniana toglie all’uomo, considerandolo come un evento fortuito, gli viene restituita dalla sua unicità nella responsabilità che ha nella gestione dell’ambiente. La discontinuità culturale e la discontinuità ecologica suggeriscono una discontinuità di altro ordine, di carattere ontologico, sul piano dell’essere, che invece non viene ammessa in una concezione riduzionista, secondo la quale lo psichismo riflesso e la coscienza sono ricondotte all’attività neuronale e ai geni. A nostro modo di vedere le differenze espresse dal comportamento culturale non sono della stessa natura di quelle fisiche, cioè quantitative, ma qualitative, perché si collocano a un livello diverso da quello biologico e implicano proprietà che non sono riconducibili a quelle di ordine fisico, chimico o biologico. L’autocoscienza, come capacità di riconoscere sé e gli altri, come consapevolezza di esistere è propria dell’uomo. Nell’autocoscienza c’è la capacità di abbracciare il passato e il futuro, oltre al presente, non in termini deterministici. L’uomo sa e sa di conoscere, pensa e sa di pensare. Il pensiero non appartiene all’universo fisico misurabile, anche se si può registrare l’attività elettrica dei neuroni che entrano in azione quando la mente pensa, così come si possono registrare le variazioni dell’attività cardiaca per delle emozioni o attività di ordine spirituale, non riferibili a eventi di ordine fisico. Il pensiero e la coscienza non si possono misurare. La libertà, che può riconoscersi nella varietà dei comportamenti dell’uomo, esprime un’attività intrinsecamente non determinata da proprietà biologiche. Il senso religioso e il senso morale suppongono la capacità di valori e di scegliere liberamente e sono esclusivi dell’uomo. Essi non sono riconducibili a proprietà biologiche o a comportamenti stereotipi o a fattori esterni. Certamente c’è un rapporto o interfaccia tra sfera biologica e sfera mentale, tra sentimenti e reazioni sul piano biologico neuronale, tra comportamenti e stimolazioni esterne. Il divario ontologico non comporta separazione, ma distinzione sul piano dell’essere, con interazione o interfaccia tra sfera biologica e sfera mentale. Resta difficile rappresentarci il rapporto tra sfera animale e sfera spirituale per ragioni intrinseche, essendo una delle due sfere inesplorabile con i metodi empirici. Ma concettualmente ne cogliamo la distinzione.
    Ok lo sappiamo che l'Homo sapiens si differenzia dal pan paniscus? ma questa differenza ne cambia la 'sostanza' essenzialmente biochimica? abbiamo degli elementi in più che caratterizzano distintimante l'uomo o semplicemente abbiamo un modo diverso di organizzazione neuronale sia in tipo di collegamento ma soprattutto in termini quantitativi che permettono queste differenze.
    Il fatto che cambiamo le dosi degli ingredienti e le modalità di esecuzione ma non gli ingredienti cambia 'ontologicamente' la torta?
    Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna

  2. #72
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Elnath Visualizza Messaggio
    Dove sbagliano quelle analisi?
    Risatina anche a questa domanda?
    se non ci metterai troppo io ti aspetterò tutta la vita...

  3. #73
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Darwin Visualizza Messaggio
    Palmarini ha compiuto parecchi errori , sai capita quando un filosofo si avventura in campi non dominati completamente.

    Qui un bell'articolo che fa un po il sunto dell'opera del Palmerini (nota bene un libro non una pubblicazione).

    L'almanacco delle critiche all'evoluzione

    psome sempre fate una operazione di selezione positiva fermandovi al primo critico con un minimo di curriculum nom estentendo le vostre ricerche agli ben più numerosi e più ferrati in materia.
    Pregiudizi ideologici.

  4. #74
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Darwin Visualizza Messaggio
    Ok lo sappiamo che l'Homo sapiens si differenzia dal pan paniscus? ma questa differenza ne cambia la 'sostanza' essenzialmente biochimica? abbiamo degli elementi in più che caratterizzano distintimante l'uomo o semplicemente abbiamo un modo diverso di organizzazione neuronale sia in tipo di collegamento ma soprattutto in termini quantitativi che permettono queste differenze.
    Il fatto che cambiamo le dosi degli ingredienti e le modalità di esecuzione ma non gli ingredienti cambia 'ontologicamente' la torta?
    Ti rispondo stasera con calma darwin (mi fa piacere tu abbia letto).
    Elnath a te mettero' un sunto: van bene tre righe?
    Dici che riesci a dedicargli un minutino o vuoi un messaggio condensato tipo twitter?
    Ultima modifica di Ucci Do; 17-04-14 alle 18:08
    se non ci metterai troppo io ti aspetterò tutta la vita...

  5. #75
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Ucci Do Visualizza Messaggio
    Dove sbagliano quelle analisi?
    Risatina anche a questa domanda?
    Mi sta venendo il dubbio se ci fai o ci sei.
    Cioè tu veramente da non "addetto ai lavori" stai chiedendo a un altro "non addetto ai lavori" di analizzare cose che sono state già smentite dalla comunità scientifica?
    Potrei anche risponderti tanto non sapresti comunque se è verosimile. L'errore sta nell'impaginazione e nell'uso del times romans invece del century gothic.
    Ultima modifica di Elnath; 17-04-14 alle 18:11

  6. #76
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Ucci Do Visualizza Messaggio
    Ti rispondo stasera con calma darwin (mi fa piacere tu abbia letto).
    Elnath a te mettero' un sunto: van bene tre righe?
    Dici che riesci a dedicargli un minutino o vuoi un messaggio condensato tipo twitter?
    Mi basta la data e il metodo

  7. #77
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Darwin Visualizza Messaggio
    Palmarini ha compiuto parecchi errori , sai capita quando un filosofo si avventura in campi non dominati completamente.

    Qui un bell'articolo che fa un po il sunto dell'opera del Palmerini (nota bene un libro non una pubblicazione).

    L'almanacco delle critiche all'evoluzione

    psome sempre fate una operazione di selezione positiva fermandovi al primo critico con un minimo di curriculum nom estentendo le vostre ricerche agli ben più numerosi e più ferrati in materia.
    Lo leggo stasera.
    se non ci metterai troppo io ti aspetterò tutta la vita...

  8. #78
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo


  9. #79
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Elnath Visualizza Messaggio
    Mi sta venendo il dubbio se ci fai o ci sei.
    Cioè tu veramente da non "addetto ai lavori" stai chiedendo a un altro "non addetto ai lavori" di analizzare cose che sono state già smentite dalla comunità scientifica?
    Potrei anche risponderti tanto non sapresti comunque se è verosimile. L'errore sta nell'impaginazione e nell'uso del times romans invece del century gothic.
    Non soddisfacente come risposta.
    Fa niente.
    se non ci metterai troppo io ti aspetterò tutta la vita...

  10. #80
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    Predefinito Re: Sherlock Holmes e il mistero dell'universo senza scopo

    Citazione Originariamente Scritto da Darwin Visualizza Messaggio
    Sebbene mi fossi più volte riproposto di non leggere il libro di Fodor e Piattelli Palmarini in virtù delle numerose critiche negative lette in vari articoli, la curiosità era tanta che alla fine ho deciso di passare un po' di tempo a leggerlo… ma non è stata una buona scelta.

    Il primo aspetto che mi ha colpito è che questo libro contiene, come già accaduto in numerosi precedenti articoli di Piattelli Palmarini, la critica ad aspetti ormai superati del dibattito sulla teoria dell’evoluzione. L’insistenza con cui il libro ribadisce, ad esempio, che l’evoluzione non è solo “adattamentismo” sorprende considerato che questo dibattito si è in realtà già chiuso da decenni e che nessuno ha più nella comunità scientifica una posizione di questo tipo. Parallelamente però questo libro non ha la stessa incisività con cui Gould e Lewontin affrontarono questo tema nel 1979 (!) nell’articolo “I Pennacchi di San Marco”. In modo analogo che esistano meccanismi che agiscono in parallelo alla selezione naturale o che ci siano diversi livelli a cui studiare la selezione o che esistano geni o porzioni del genoma in grado di agire come “free rider” (vedi ad esempio geni in linkage, epistasi,…) è noto da anni e colpisce il fatto che la critica a ciò che la teoria dell’evoluzione è oggi venga fatta su elementi ormai superati.

    Quindi possiamo sdoganare la concezione per cui "esistono meccanismi che agiscono in parallelo alla selezione naturale"?
    Il problema non è di poco conto posto che nel non determinato, non dimostrato e non legittimato dalle teorie evoluzioniste si possono aprire differenti ambiti di determinazione.
    Ad esempio, questi meccanismi paralleli a cui l'articolista fa riferimento si pongono solo in modalità funzionale alle teorie evoluzioniste oppure possono "superarle" e - perché no - delegittimarle?



    Mi ha inoltre colpito la presunta “scoperta” dell’esistenza di vincoli nell’evoluzione che viene presentata come un elemento di rottura rispetto alla teoria dell’evoluzione. Quando invece è noto da tempo che esistono vincoli così come è noto che la selezione per una nuova funzione talvolta riduc l'efficienza della vecchia. Questo è tuttavia esattamente il motivo per cui si è assistito ad esempio a livello cellulare ad una specializzazione di funzione. In cellule che svolgono simultaneamente molte funzioni, la selezione deve agire obbligatoriamente in modo da mantenere tutte queste funzioni per lo meno ad un minimo utile di funzionalità. Suddividendo queste funzioni in tipi cellulari specializzazioni in una o poche funzioni questi vincoli vengono a cadere e la selezione può spingere il singolo tipo cellulare ad avere performance ottimale dato che ora non serve mantenere altre funzioni. Questo processo, che è assolutamente darwiniano, ci permette di capire perché sia stato premiato in moltissimi casi un aumento di complessità e non rappresenta assolutamente un punto di debolezza della selezione naturale, ma ci spiega semplicemente in modo meccanicistico perché gli asini non posso volare o riprendendo un pretendete articolo di Fodor, perché i maiali non hanno le ali. In merito a questo aspetto non è chiaro perché la presenza di vincoli dovrebbe indebolire la selezione naturale, quando semplicemente pone dei paletti al potenziale creativo dell’evoluzione senza di fatto intaccare né la selezione naturale né tanto meno il suo ruolo.
    Nel momento in cui accertiamo la presenza di vincoli naturali non emendabili dal processo di evoluzione quale elemento si mette in campo affinché dal caso emerga la necessità?
    I piu' strenui difensori delle visioni nichiliste (o comunque quelle che rigettano qualsiasi finalità dell'ordine naturale) pongono la selezione come elemento dominante il caso e trasformante il chaos.

    Allo stesso modo non mi è chiaro perché secondo i due Autori la teoria dell’evoluzione non tenga conto dei diversi ambienti (interni ed esterni) su cui l’evoluzione si gioca. E’ assodato da tempo che esistano sia vincoli che ambienti esterni ed interni, così come è chiaro che ci saranno diverse stime del peso di queste realtà in base a semplici specializzazioni legate al fatto che il biologo molecolare tenderà a dare maggior rilievo ai vincoli interni (genetici, ontogenetici, etc..), mentre l'ecologo e lo zoologo a quelli esterni. Questo non significa tuttavia che un ecologo si aspetti che il genoma non influenzi l’evoluzione o che il biologo molecolare riduca a nulla l'importanza dei fattori ambientali. Al contrario questi due aspetti sono assolutamente compenetrati nella biologia evoluzionistica moderna e non in competizione come Fodor e Piattelli vogliono suggerire.
    Fatemi capire, il peso dell'influenza dei fattori interni ed esterni sarebbe "deciso" dalle stime degli specialisti?
    Cioè è lo scienziato che dice alla natura quanto essa deve influenzare i comportamenti dell'uomo?
    Se i due aspetti sono compenetrati, come fa la teoria evoluzionista a decidere quanto il processo evoluzionista sia influenzato dall'ambito esterno rispetto a quello interno?
    Quale dimostrazione scientifica la teoria evoluzionista è capace a mettere in campo per determinare la "ratio".

    E poi...il libero arbitrio come si relazione con i due ambienti?


    Altro aspetto in cui non concordo con Fodor e Piattelli Palmarini è legato al significato e confronto tra selezione naturale e artificiale. Gli Autori ad esempio affermano che "mediante selezione artificiale ripetuta possono emergere nuovi fenotipi che non hanno alcuna evidente relazione adattativa con quegli ambienti". Ma perché la selezione artificiale dovrebbe portare a fenotipi adattativi? La selezione artificiale non punta ad aumentare la fitness degli individui, ma ad indurre la comparsa di fenotipi scelti dall'operatore che non necessariamente hanno valori funzionali, ma che rappresentano semplicemente la risposta (con tutti i vincoli che tali risposte possono avere) che ogni organismo da in presenza di ambienti artificiali. Il problema della corretta interpretazione della selezione artificiale deriva dal fatto di voler mostrare come la selezione artificiale, che Darwin a detta di Piattelli assimilava in tutto e per tutto a quella naturale, non ha valore adattativo e quindi se queste due forme di selezione sono analoghe allora anche la selezione naturale non può spiegare tutti i fenotipi che possiamo osservare. In realtà però selezione naturale ed artificiale sono assimilabili perché entrambe possono fare diffondere in una popolazione caratteri inizialmente presenti in pochi individui.
    Quindi se selezione naturale ed artificiale sono assimilabili, quale similitudine propone l'articolista con l'essere agente ed intelligente della seconda?

    Un ultimo aspetto è legato alla totale dimenticanza del ruolo del caso nell’evoluzione ed alla successiva selezione di ciò che il caso produce. Gli autori fanno un esempio molto interessante nel capitolo 3 relativo alle ricombinasi RAG1 e 2 che derivano da una trasposasi. Questo viene portato come esempio di trasferimento orizzontale ad indicare che l’evoluzione procede in modo assolutamente non darwiniano. In realtà questo è un ottimo esempio di come l’evoluzione agisce utilizzando ciò che ha a disposizione per realizzare nuovi oggetti; anche questo aspetto è noto da Jacob in poi e tanti sono gli esempi di come l’evoluzione abbia “riciclato” ciò che aveva a disposizione. Certo Darwin non sapeva dell’esistenza degli elementi genetici mobili, ma questo semplicemente allarga ed arricchisce la teoria.
    Se l'evoluzione agisce in base a cio' che ha a disposizione per realizzare nuovi oggetti, non si puo' anche teorizzare l'ipotesi che la creazione di nuovi oggetti sia deleteria per lo status quo?
    In questo caso o non si ha evoluzione oppure avremmo una evoluzione che sarebbe in contraddizione coi suoi prodromi legittimanti.

    Nel complesso il libro, pur nascendo con l’idea di presentare una critica alla teoria dell’evoluzione che serva per dare nuova forza alla biologia evoluzionistica piuttosto che all’ID, rimane un testo piuttosto sterile...
    ...da qui non commento poichè le argomentazioni mi sembrano piu' strumentali ed interessate ad un'apologetica un po' di maniera.
    Ultima modifica di Ucci Do; 17-04-14 alle 21:45
    se non ci metterai troppo io ti aspetterò tutta la vita...

 

 
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