Condannato perché ama la Francia
Renaud Camus e lo scandalo del Grand Remplacement islamico
Il 10 aprile 2014 è stato un giorno da non dimenticare. Nell’arco di una giornata, un pensatore fine e controverso come Alain Finkielkraut è stato eletto Immortale di Francia, nonostante l’ostilità dell’ala sinistra dell’Académie verso le sue posizioni sull’islam e sulla crisi dell’identità francese; intanto, a pochi passi dalla prestigiosa istituzione, lo scrittore e intellettuale libertario Renaud Camus veniva condannato per istigazione all’odio contro i musulmani dalla diciassettesima camera del Tribunale correzionale di Parigi. Motivo: un discorso pronunciato il 18 dicembre 2010, nel quale aveva “osato” esporre le sue tesi sul “Grand Remplacement”, sulla grande sostituzione del popolo francese e sul totalitarismo soffice dell’islam. Drôle de France, ma di strano in fondo c’è poco. Nella Francia di oggi, i laicisti del governo decidono di scardinare brutalmente la tradizione, imponendo l’introduzione di giornate secolariste al posto di festività cattoliche, e di finanziare coi soldi dei contribuenti associazioni come Act Up-Paris, celebre per i numerosi atti di vandalismo dei suoi attivisti contro i luoghi simbolo della chiesa cattolica, senza che nessuna anima candida della gauche s’indigni.
I genitori che si riversano in massa nelle piazze per protestare contro lo stravolgimento del codice civile e l’indottrinamento Lgbt nelle scuole della République vengono trattati come degli omofobi. I nostalgici della Douce France dei campanili e dei curati di campagna, come dei dannati. La cultura cattolica può essere svillaneggiata e insolentita, ma guai a toccare l’islam. Lo sa bene, ora, anche Renaud Camus, condannato a pagare quattromila euro di multa per aver espresso la sua opinione sull’islamizzazione della Francia, dove l’immigrazione scriteriata, assecondata dal potere politico-mediatico, sta spazzando via il francese “de souche”. Secondo la diciassettesima camera, il discorso pronunciato da Camus, nel corso delle “Assises sur l’islamisation” del 2010, “costituisce una violentissima stigmatizzazione dei musulmani”, presentati come dei “guerrieri invasori il cui solo obiettivo è la distruzione e la sostituzione del popolo francese e della sua civilizzazione attraverso l’islam”. I giudici della camera, così come tutti coloro che oggi lanciano grida di giubilo per la condanna di Camus – ci sarà forse anche la ministra della Cultura Aurélie Filippetti, che giovedì scorso non si è precipitata, come il protocollo esigerebbe, per complimentarsi con il neo accademico Finkielkraut, uno che ha più volte sostenuto di condividere le tesi di Camus –, dovrebbero farsi un giro oltre il périphérique che cinge Parigi, nelle banlieue dove la percentuale di franco-francesi è da prefisso telefonico e il “Grand Remplacement” è realtà da tempo. O, per restare negli arrondissement, nel quartiere di Barbès-Rochechouart, dove sembra di essere ad Algeri. Non bastavano la sparizione delle salumerie tradizionali, rimpiazzate dalle macellerie halal, la chiusura inarrestabile dei ristoranti di cucina francese per lasciare spazio a una sequela di kebab.
Ovunque, in questi giorni, campeggiano manifesti ritraenti i due candidati alle prossime elezioni presidenziali algerine, l’uscente Bouteflika e lo sfidante Benflis. Venerdì scorso, su i>Télé, il giornalista del Figaro Eric Zemmour ha sdoganato in diretta il concetto-bomba di “Grand Remplacement”, sotto gli occhi indignati della presentatrice e del suo avversario Nicolas Domenach. Non tarderà l’ennesima denuncia del Mouvement contre le racisme et pour l’amitié entre les peuples che Camus, nel suo discorso finale durante il processo, ha definito Mouvement pour le remplacement accéléré du peuple.
Guarda la video intervista alla leader di Printemps français, Béatrice Bourges