Coi neocatecumenali i vescovi giapponesi sono proprio stufi
Il 13 febbraio il settimanale cattolico giapponese “Katorikku Shinbun” ha pubblicato un commento dell’arcivescovo di Tokyo, Pietro Takeo Okada, a proposito del Cammino neocatecumenale in Giappone, col quale i vescovi sono da tempo ai ferri corti, col Vaticano che cerca di mediare.
Lo sfondo del contrasto è descritto nel servizio di www.chiesa di un mese fa: “In Giappone il Cammino di Kiko non passa“.
Ecco qui di seguito l’intervento del’arcivescovo di Tokyo.
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VORREI CHE CI CAPISSERO
di Takeo Okada
In questi ultimi vent’anni la conferenza episcopale giapponese ha dedicato una gran quantità di tempo e di energie al Cammino delle comunità neocatecumenali. Nonostante ciò, mi spiace molto dirlo, la situazione non si è per niente evoluta per in meglio.
Non dubito minimamente dello zelo e della buona intenzione delle persone impegnate. Tuttavia non si può certo dire che i risultati delle loro attività in questi trent’anni significhino una riuscita. La realtà e le attività del Cammino stentano ad accordarsi con la Chiesa e con la società giapponesi. Personalmente penso che al Cammino sia necessario un periodo di sosta nelle attività per ripensare e per esaminarsi, e su questa base aprirsi al dialogo con la Chiesa giapponese.
La percentuale dei cattolici in giappone non supera lo 0,4 per cento dell’intera popolazione. Che all’interno di questa esigua minoranza esistano divisioni e confusione, e che gli interessati debbano accumulare per questo fatiche su fatiche, è triste. Noi abbiamo il dovere di rivolgere lo sguardo alla situazione della società giapponese e alla realtà di tutti coloro che vivono oberati da tanti pesi, per annunciare loro la buona novella e portare loro luce e sollievo. Non è certo il momento di sprecarci in conflitti interni.
Nel Giappone d’oggi, da tredici anni, sono più di trentamila coloro che si tolgono la vita. Vorrei che anche quanti si impegnano nel Cammino guardassero a questa realtà. Vorrei che dessero importanza prioritaria a studiare cosa è possibile intraprendere per tali persone. Se il Cammino svolgerà attività che ottengono comprensione e simpatia da parte della società giapponese, allora otterranno anche fiducia.
Desidererei che collaborassero a una evangelizzazione che risponda ai bisogni dei giapponesi. Noi in realtà ci stiamo impegnando con tutte le forze e a prezzo di enormi fatiche nella pastorale missionaria. E tuttavia i membri del Cammino danno la precedenza alle direttive dei superiori della casa generalizia di Roma più che alla guida dei vescovi. Per questo motivo i vecovi si sentono spesso incerti sul da farsi e in preda a dilemmi e sofferenze. Questo vorrei che capissero.
La situazione della diocesi di Takamatsu è particolarmente grave. Li prego ardentemente di prestare attenzione alla voce del vescovo Mizobe. La Chiesa giapponese è stata fondata grazie a tanti santi ed eccellenti missionari. Vi ci sono nati molti martiri, e passando attraverso l’età dei divieti di insegnare la religione, sono ormai passati centoquarantanni dalla riapertura dalla evangelizzazione.
L’attuale generale dei gesuiti P. Adolfo Nicolas, così come l’attuale generale dei claretiani José Abeya hanno lavorato come missionari fino a poco tempo fa in Giappone. E nonostante tutto questo, la via per arrivare alla evangelizzazione del Giappone pare ancora lontana. Vorrei che il fondatatore del Cammino, Chico, e gli altri membri, si rendano conto di questa situazione.
Da parte mia comprendo il significato della fondazione del Cammino. Sento dire del grande contributo che essi hanno portato nel rieducare alla fede coloro che hanno ricevuto il battesimo ma non praticano. Vorrei però che comprendano che ci sono anche diversità di situazioni. Sento inoltre che altrove essi si prendono cura dei malati e degli handicappati. Vorrei che facciano questo anche in Giappone. Nutro pure aspettative per quanto riguarda la crescita di una Chiesa plurietnica. Cosa è necessario per la evangelizzazione del Giappone? Su questo vorrei che pensiamo e preghiamo assieme.
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