USA - FIAT A MIRAFIORI
di Giacomo Dolzani
Dopo il “Sì” estorto con un referendum-farsa agli operai FIAT di Mirafiori, il nostro Paese è arrivato sull’orlo di una catastrofe sociale. Con questo voto l’italo-canadese Marchionne ha mandato in fumo anni di lotte operaie, o almeno così crede dall’alto della sua miopia o megalomania di Amministratore Delegato di una grande azienda, forse la più grande d’Italia, che ha dato molto al nostro Paese, ma che in contemporanea ha anche ricevuto contributi in abbondanza dallo Stato per anni.
Ora ci si è trovati dinanzi all’ennesimo ricatto, forse il più spudorato, infatti la minaccia, rivolta ufficialmente ai soli operai FIAT, è in realtà estesa a tutte le aziende dell’indotto, quindi all’intera città di Torino e forse all’intera Nazione che, in caso di chiusura di uno stabilimento dell’entità di Mirafiori (5.500 posti di lavoro), avrebbe dovuto sopportare un forte colpo in molti campi di produzione.
Sembra che Marchionne voglia importare in Italia la sua cultura di Oltreoceano, la cultura americana, la cultura di un Paese che, al contrario del nostro arricchitosi con il lavoro dei suoi cittadini, è diventato una potenza con lo sfruttamento del lavoro di schiavi, e la cui cultura sembra rimasta la stessa anche nei confronti dei suoi operai.
Gli operai delle fabbriche Chrysler negli USA hanno accettato limitazioni dei loro diritti di lavoratori per la paura, giustificata, di perdere, assieme al lavoro, anche l’assistenza sanitaria, ma la storia americana è molto diversa da quella italiana.
Quello che è successo in Italia, e che ha scatenato le giustificate proteste degli operai, è stato un ricatto, “O i diritti o il lavoro”; e cosa doveva fare un lavoratore con una famiglia da mantenere, un mutuo o un affitto da pagare, che forse aveva già da prima problemi ad arrivare a fine mese, di fronte ad una scelta del genere? Forse quel che si aspettava il canadese Marchionne era un risultato che premiasse il “buonsenso di chi deve sopravvivere” e le sue ambizioni di despota. Ma il risultato è stato un altro, forse inaspettato da tutti, anche dagli stessi operai, trovatisi a lottare da soli, traditi da sindacati collaborazionisti, abbandonati da quei politici che una volta difendevano le loro posizioni, e spalleggiati soltanto dalla FIOM, il risultato ha premiato il grande coraggio e gli ideali di persone che, anche rischiando il lavoro, non ci stavano a cedere i loro diritti sotto minaccia.
Il “referendum” è stato vinto dal Sì solo grazie al voto degli impiegati, toccati solo in maniera marginale da questa variazione nel contratto, l’esercito di colletti bianchi che Marchionne ha schierato per contrastare un eventuale No (puntualmente arrivato) di quelli che erano direttamente e più pesantemente interessati dall’accordo.
Questo contratto, che non lascia scegliere agli operai il loro sindacato, o che concede la scelta solo tra sindacati piegati al volere dell’industria, che affossa il contratto nazionale per passare ad uno aziendale, segue il principio del Dividit et Imperat, mette l’operaio isolato davanti al colosso da cui dipende la sua vita.
Questo accordo, che per contrastare l’assenteismo, non garantisce la paga del primo giorno di malattia di un operaio che si ammala sotto una festività, che riduce le pause in cambio di una miseria (32€, l’equivalente di una social card), che aumenta le ore di straordinario annuali da 40 a 120 mette a rischio la salute stessa della persona, la sua vita sociale e il suo rapporto con la famiglia.
Limitando il diritto di sciopero e di protesta si rende l’operaio un’appendice della macchina, si viola quel principio costituzionale di Lavoro come contributo allo sviluppo materiale o spirituale della società, come mezzo di gratificazione per il lavoratore, che lo faccia sentire parte integrante ed attiva della società, e non una macchina da spremere per generare utile a Marchionne e per garantire la sopravvivenza della sua famiglia.
Di fronte ad uno scempio di tal fatta si sarebbe dovuta vedere una reazione dello stato a difesa dei suoi cittadini, ma la risposta del governo e non solo di quello è stato un appoggio all’AD.
02/02/2011
Italia Sociale