L'Italia di domani dobbiamo farla noi
"Pochi ma buoni"? No, molti ma altrove
di Filippo Rossi
Non è questione di essere "pochi ma buoni" come si sente dire da più parti. Anzi. È l'esatto contrario. Nonostante il ruolo istituzionale di Gianfranco Fini, l'esperienza culturale e politica del nuovo movimento è stata principalmente extraparlamentare. La speranza di una destra nuova è nata (e cresciuta) al di fuori dalle logiche del Palazzo e delle burocrazie interne a un partito. È nata, per citare lo stesso Fini, da quel gusto di mettere "il sale nella minestra" del dibattito politico, dal bisogno di parlare al mondo là fuori, con un libro, con iniziative culturali e giornalistiche, con qualche provocazione e qualche “riscoperta”. È nata dal desiderio di mettersi in gioco e mettere in gioco nuove forze in un paese succube di una "gerontocrazia in salsa nordafricana", per sbloccare le teste e i cuori di un'Italia che alla politica non chiedeva più nulla.
La destra nuova, insomma, è una spinta che viene da fuori, da una società che sta cercando di chiudere il sipario su un sistema politico arroccato nelle burocrazie cortigiane. Per dirla con De Felice, è il movimento che cerca di entrare nel regime, è una scossa tellurica che scuote dalle fondamenta il palazzo di un potere indubbiamente troppo vecchio per capire un mondo cambiato tanto in fretta.
E allora è normale che un movimento del genere, una spinta di questo tipo, una forza per sua natura “extraparlamentare” abbia difficoltà a trovare rappresentanza in un'assemblea di nominati figlia di tutt'altra stagione politica. È normale che la spinta debba venire dall'esterno. Nessua recriminazione, sia chiaro. È il gioco della politica e della storia. La destra nuova che Fini ha voluto incarnare come leader è frutto dell'insofferenza non tanto verso Berlusconi (anche!) ma verso un'Italia che sa di muffa e di paura. È frutto di una rivolta generazionale che scorre nelle vene di un paese molto migliore di chi lo rappresenta.
È per questo che i conti si potranno e dovranno fare solo alla fine della partita. Solo quando i cittadini italiani ritroveranno la loro voce, esprimeranno il loro volere e sceglieranno gli uomini e le donne da cui farsi rappresentare nei palazzi del potere. Solo allora, si potrà dare un giudizio su questa esperienza, su questa “scossa”, sulla sua profondità effettiva, sulla sua “rappresentatività”. Non prima.
E allora, da oggi, da domani, l'impegno deve essere più forte di prima: nuove iniziative, nuove fantasie. Perché l'Italia di domani la dobbiamo fare noi, tutti insieme. In un nuovo, giovanissimo e modernissimo Risorgimento.
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