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    Predefinito Lo scandalo è chi ruba, non Ruby!

    Paolo Del Debbio

    pg.3 de ilgiornale.it 19 2 2011

    La storia la conoscete già.
    Lui candidato sindaco per il centrosinistra a Milano punta molto sulla trasparenza e sul recupero etico della politica.
    Lei una delle giornaliste di punta di Repubblica sin dai tempi di Tangentopoli.

    Lei abita in un appartamento di proprietà pubblica e paga un affitto calmierato, cioè nulla, considerato quanto paga un povero cristo per un appartamento oggi a Milano.
    Dopo aver seguito per anni Tangentopoli ha finito per abitare in un casa di proprietà dell’istituzione dove Tangentopoli cominciò, il Pio Albergo Trivulzio. Roba da far impallidire anche la legge del contrappasso dell’Inferno di Dante. Chissà che ne diranno i sacerdoti del Tempio Palasharp.
    Chissà che arzigogolo si inventeranno per trovare una giustificazione.
    No perché, fino a prova del contrario, questa è una questione morale di cui è obbligatorio occuparsi e non per sapere cosa avviene in quella casa, che non ce ne importa nulla e nulla potrebbe importarcene.
    Ce ne occupiamo perché è questo fatto a occuparsi di noi e in particolare delle nostre tasche.

    Contrariamente a chi paga le feste in casa propria con i suoi soldi, qui c’è uno sperpero di denaro pubblico.
    Perché chi si indigna per le notti di Arcore, a un certo punto deve arrendersi di fronte al fatto che tutto ciò che avviene in quelle occasioni è pagato da un privato cittadino.
    Così potranno anche drizzarsi i capelli dei puritani, ma non quelli della gente che chiede alla politica di non rubare o di non buttare via i soldi che lo Stato incassa dai sacrifici dei cittadini.
    Craxi venne preso a monetine in faccia perché accusato di «rubare», non perché s’accompagnava a questa o a quella signorina.

    Nel caso degli immobili del Pio Albergo Trivulzio di Milano quei soldi ingiustamente non pagati, infatti, finiranno col gravare sui conti pubblici e, alla fine, sulle tasse che noi tutti paghiamo.
    Quei soldi non pagati di quell’affitto scandalosamente calmierato sarebbero giustificati se fosse il modo di mettere una persona in grado - non potendolo fare da sola - di poter disporre di un luogo degno dove abitare, magari con la sua famiglia.
    Si tratterebbe dell’adempimento di uno dei doveri sociali delle Istituzioni pubbliche.

    Qui non c’è ombra né di un diritto né di un dovere, qui c’è solo uno scandaloso privilegio di stampo medioevale nel senso letterale del termine.
    Questo non è moralismo e non è neanche una morale da quattro soldi.
    Si tratta di elementi di base di un’etica fiscale che impone a chi decide l’utilizzo delle proprietà pubbliche che ciò sia fatto per finalità pubbliche.

    Se c’è una casa pubblica si dà a chi ha bisogno o per farne qualcosa di utile a tutti.
    È semplice.
    Chi ha pagato allo Stato le tasse per comprare o costruire quell’immobile lo ha fatto per questo e ha diritto - lui sì - a sapere se questo diritto è stato rispetto.
    I diritti in materia fiscale non sono calmierabili.

    Chissà se i giacobini della rivoluzione moralista che, in virtù della loro missione, abbiano diritto a qualche privilegio non per legge ma in quanto appartenenti al circolo degli ispirati, delle intelligenze d’avanguardia di questo Paese.
    Un operaio può abitare ad affitto di mercato in un appartamento situato in un quartiere periferico e sguarnito dell’essenziale per condurre una vita degna.
    Chi lo difende può abitare in un appartamento con affitto calmierato.

    Attenzione, non lo ammetterà nessuno anche perché questo tipo di persone non giudica i fatti ma le intenzioni (classico del moralista).

    Una volta la sinistra difendeva il diritto dei più deboli contro i privilegi della borghesia.
    Lo faceva in modo sbagliato e poi finiva per fare il contrario, ma lo diceva.

    Chissà che ne pensa un candidato del centrosinistra in una città con tante periferie come Milano.

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Rif: Lo scandalo è chi ruba, non Ruby!

    Ricordate Tangentopoli? È ancora qui!

    di Luca Fazzo pg.3 de ilgiornale.it 19 2 2011

    Ma, in fondo, perché le cose avrebbero dovuto cambiare?
    Qualcuno può davvero nutrire una visione così salvifica del ruolo dell’informazione e della giustizia da ritenere sorprendente che, a quasi vent’anni di distanza dal primo scandalo di Affittopoli, si scopra che a Milano tutto è ancora come prima?
    Davvero era pensabile che nella città post-Affittopoli, post-Tangentopoli, post-Prima repubblica, la pletora dei privilegiati avrebbe rinunciato a far valere il proprio status?
    Che giornalisti, politici, baroni e rampolli confindustriali si sarebbero messi disciplinatamente in coda per contrarre un mutuo in banca, lasciando ai veri bisognosi le chiavi dell’immenso patrimonio pubblico?

    Davvero nulla è cambiato.
    Identici - tecnicalities a parte - sono i meccanismi di selezione dei destinatari: meccanismi che si riassumono nell’arbitrio più spensierato, camuffato da bando o da gara.
    Identica è la trasversalità politica e culturale dei miracolati.
    E identico e inestirpabile è soprattutto il contesto, identici gli abiti mentali e le consuetudini sociali che producono tutto ciò.
    La verità è che i privilegiati si frequentano tra di loro, si scambiano favori, si trovano simpatici.
    Non sempre si amano, anzi spesso si odiano, ma sanno che alla fine in questo valzer di favori i conti alla fine tornano per tutti.

    Le liste degli inquilini della Baggina non sono certo l’unico esempio che a Milano si può toccare con mano di questo circuito di cortesie da cui a essere esclusi a priori sono gli unici che di una mano avrebbero bisogno davvero.

    Basta guardare la tribuna di San Siro una domenica sera qualunque, e si potrebbero indicare a dito - senza paura di sbagliare - i vip, i mezzivip, i notabili di qualunque estrazione che sono lì senza avere pagato il biglietto: eppure potrebbero permetterselo.

    Basta andare negli ospedali, e scoprire che a saltare a piè pari mesi di liste d’attesa sono solo quelli che avrebbero comunque i soldi per andare dallo specialista privato:
    e pochi giorni fa un grande giornalista raccontava con nonchalance, come fosse la cosa più normale del mondo, la sua visita all’ospedale San Paolo, accolto e riverito dai medici, e accompagnato fin dentro l’ascensore.

    Il bene pubblico diventa companatico per le pubbliche relazioni: come aveva ben compreso il mitico Mario Chiesa.
    Da ragazzo intelligente qual era, il presidente della Baggina aveva capito in fretta che le due categorie da cui rischiava più grattacapi erano i giudici e i giornalisti, e dispensò con generosità case agli uni e agli altri case.
    La cosa gli valse per qualche tempo ottima stampa e sonni tranquilli.

    Difficile dire se dietro al perpetuarsi del «metodo Chiesa» ci sia la stessa lucidità progettuale del suo inventore, o semplicemente la traccia di una complicità istintiva, di una solidarietà tra pari o almeno tra contigui.
    Ma il risultato non cambia.

    Sono diversi i numeri. Minore, percentualmente, è il numero degli «amici degli amici» presenti nelle liste.
    Mediamente più alti risultano gli importi degli affitti, che negli anni Novanta erano irrisori, e che oggi si collocano un po’ più in su, anche se sempre a distanza di sicurezza dai prezzi di mercato.
    È come se l’unica eredità di quello scandalo sia, alla fin fine, qualche surplus di pudore o almeno di accortezza: si va avanti come prima ma cercando almeno di non dare troppo nell’occhio.
    Non sarà granché: ma così va il mondo, e bisognerà pur accontentarsi.

    saluti

 

 

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