Guglielmina la Boema, eresiarca per forza
Arrivata in città intorno al 1270, era la figlia di re Premislao, o almeno così diceva. Poi fu travolta da un amore impossibile.
Il disegno imponente del campanile dell’abbazia di Chiaravalle si staglia netto contro un cielo plumbeo e carico di pioggia. Il sagrato è gremito da una folla che attende silente l’arrivo delle spoglie di Guglielmina, soprannominata da tutti la Boema. Lo spacco di un tuono rompe il silenzio e una lieve pioggerella che entra nelle ossa comincia a cadere dal cielo. La folla muta resta immobile. Qualcuno alza il suo cappuccio per ripararsi. Chi è più vicino all’abbazia si stringe per coprirsi sotto il portale. Ma nessuno abbandona il suo posto. Il corteo funebre intanto si fa largo fra due ali di folla con il capo chino. Il silenzio è quasi un ronzio, interrotto, solo a tratti, dal tamburellare della pioggia, ora più insistente, sul catafalco portato a braccia da quattro frati, su cui si trova il corpo di Guglielmina. La pioggia le picchietta il volto cinereo in cui ogni scintilla di vita è ormai spenta. Le gocce scendono come lacrime sul volto pallido e spento, e qualcuno tra la folla si commuove.
Oggi è un giorno speciale, una santa è morta e il popolo di Milano vuole esserle accanto in questo ultimo, difficile viaggio. Guglielmina era arrivata a Milano intorno al 1270. Era la figlia di re Premislao di Boemia, o almeno, questo è quello che lei raccontava. La sua prima casa la prese in affitto in zona Bregonia, tra porta Orientale e porta Tosa. Presto questa giovane e bella ragazza dagli occhi scuri fu presa in simpatia dagli abitanti della zona che iniziarono a chiamarla, affettuosamente, la Boema. La gente cominciò velocemente a fantasticare su quella altera ragazza e si diffusero una serie di racconti che girarono di bottega in bottega, di quelli che si sentono, la sera, in taverna davanti al vinello nuovo in una sera fredda d’autunno. E così la Boema fu una monaca travolta da un amore impossibile, costretta alla fuga per espiare le colpe sue e di quel figlio nato dal peccato più grave. Probabilmente niente più di una diceria da bettola, comunque, nonostante la paventata discendenza nobiliare la bella Guglielmina non aveva molti soldi e il suo unico e vero grande tesoro era il figlio piccolo. Nonostante le difficili condizioni la giovane e bella fanciulla era sempre disposta ad aiutare gli altri. Poi suo figlio morì. Poi la sua vita sembrò crollare. Eppura Guglielmina si rialzò. Continuò ad aiutare gli altri. Guglielmina si trasferì, prima in porta Nuova, poi in via San Pietro all’Orto. Ma la sua notorietà non sembrava scemare, in tutta la città si favoleggiava di quella ragazza gentile che aiutava i poveri e i malati. Presto anche i frati dell’abbazia di Chiaravalle e le suore di Santa Caterina in Brera si accorsero di lei e, tenendola in alta considerazione, alimentavano fra i milanesi la credenza che fra di loro camminnasse una santa. E la coda fuori dalla porta della sua casa era sempre più lunga. E così i malati, gli storpi che volevano anche solo una carezza, erano in ogni posto dove lei andasse. L’Inquisizione si interessò della Boema per almeno due volte, ma non trovando niente di pericoloso nelle sue azioni, fu costretta a lasciarla andare.
La sua fama proseguì in un’ascesa costante anche grazie all’amicizia di un ricco mercante milanese, Andrea Saramita. Il Saramita cominciò a dire che Guglielmina era l’incarnazione dello Spirito Santo, esattamente come Cristo era incarnazione del figlio di Dio. Con il trascorrere del tempo le invenzioni dell’ex mercante si arricchirono di nuovi particolari, come la visitazione ricevuta da Costanza, madre di Guglielmina, da parte dell’angelo Raffaele che le avrebbe annunciato la nascita di una figlia santa. Guglielmina continuò ad aiutare gli altri come aveva sempre fatto, negando le parole dell’amico fino alla morte.
Nonostante la pioggia continui a cadere, uno squarcio di luce si apre nel cielo e un sole pallido illumina la facciata dell’abbazia. La gente sta scemando, deve tornare al lavoro dei campi. Crocchi di persone con gli occhi arrossati si fermano davanti al portone e con voce sommessa ricordano del loro incontro con Guglielmina. Oggi è un giorno triste, ma bisogna gioire perché finalmente Guglielmina è tornata nel Paradiso da cui veniva.Sono i frati di Chiaravalle i primi a promulgare la fede in questa donna che merita la santità. Ogni giorno sulla sua tomba uno storpio ricomincia a camminare, un cieco riacquista la vista. Ma in quegli stessi mesi dopo il funerale, a Milano, Andrea Saramita sta seguendo altre strade. Insieme a una monaca seguage di Guglielmina, Maifreda, il Saramita raccoglie attorno a sé un folto numero di fedeli. Il clero milanese, inizialmente, sembra vedere di buon occhio questi nuovi proseliti, almeno fino a che il mercante si autoproclama teologo e decide di organizzare i seguaci di Guglielmina in un vero ordine religioso, i Guglielmiti. Per dare lustro alle suo parole, il Saramita compone quattro nuovi vangeli che devono sostituire quelli vecchi. In queste scritture si ribadisce come Guglielmina sia incarnazione dello Spirito Santo e di come Maifreda sia ora il suo vicario nel mondo. Secondo il Saramita, Maifreda deve rilevare tutti i poteri papali e, divenuta papessa, diffondere la nuova novella nel mondo.
Stranamente nessuno sembra preoccuparsi dei vaneggiamenti dei due, o forse il fatto che Maifreda sia cugina di Matteo Visconti, signore di Milano, impedisce al clero e all’Inquisizione di muoversi con la libertà che sono soliti avere. I Guglielmiti hanno sempre più seguaci e decidono di sostituire la vecchia messa con una nuova, elaborata da Andrea Saramita. Anche le voci che cominciano a circolare sulle pratiche che prevedeva questa nuova messa, atti sessuali pubblici e ogni genere di oscenità, sembrano non toccare più di tanto la Chiesa ufficiale.
Andrea Saramita, Maifreda e i Guglielmiti, per quasi vent’anni sono liberi di coltivare la loro religione senza eccessivi disturbi dall’esterno, almeno fino al giorno in cui Corrado Coppa, un ex Guglielmita, si reca da Matteo Visconti per denunciare con chiarezza le pratiche della nuova religione. Il Visconti, visto che le molte dicerie sono diventate ormai realtà, è costretto a ignorare i legami di sangue e denunciare la setta al tribunale dell’Inquisizione. In pochi giorni tutti i Guglielmiti sono arrestati.A differenza del solito l’Inquisizione non usa il pugno di ferro e dopo lunghi mesi di estenuanti interrogatori e processi, tutti i Guglielmiti sono liberi di andarsene. Tutti tranne Andrea Saramita e Maifreda. I due eresiarchi sono bruciati in pubblica piazza nel dicembre del 1300. Purtroppo il furore religioso dell’Inquisizione non risparmia neanche la povera Guglielmina. Con l’accusa di aver iniziato l’eresia, il corpo della Boema viene riesumato e mandato al rogo. La sua tomba viene distrutta. A distanza di qualche anno nessuno a Milano si ricorda più di Guglielmina detta la Boema, morta in odore di santità.
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