I partiti politici non sono più in grado di rappresentare le nuove esigenze che emergono dalla popolazione.
Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)
Francesca Grego
BIZZARRE ALLEGORIE: A ROMA L’ARTE DI ARCIMBOLDO
Roma - Arriva per la prima volta nella Capitale la rara e preziosa arte di Arcimboldo: 20 capolavori, tra disegni e dipinti, celebreranno l’estro dell’autore delle "teste composte" a Palazzo Barberini dal 20 ottobre all’11 febbraio.
Un’occasione non comune, vista la difficoltà di ottenere prestiti dei dipinti di Arcimboldo, resa ancor più interessante dalla direzione curatoriale di Sylvia Ferino-Pagden, tra le maggiori studiose dell’artista, nonché ex direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che ne conserva lavori fondamentali.
Provengono da Basilea, Stoccolma, Vienna, Denver, Houston, Monaco di Baviera, oltre che da prestigiose collezioni italiane, le composizioni di frutta, fiori, ortaggi o oggetti che strappano un sorriso ingannando l’occhio con stupefacenti illusioni.
In mostra notissimi capolavori come le serie delle Stagioni e degli Elementi, dipinti per i regnanti della Casa Reale d’Asburgo, L’Ortolano, Il Giurista e Il Cuoco, ma anche arazzi, ritratti e le vetrate realizzate per il Duomo di Milano, insieme ai preziosi disegni acquerellati per le feste della corte austro-ungarica, di cui l’artista fu vulcanico regista, costumista e scenografo.
E poi curiosi oggetti provenienti dalle wunderkammer imperiali, alla cui formazione Arcimboldo contribuì come artista e come consigliere, segnalando a Massimiliano II e Rodolfo II le più ardite meraviglie da acquistare.
Furono proprio i lunghi soggiorni a Vienna e a Praga, infatti, a regalare le maggiori soddisfazioni al pittore lombardo, al punto da meritargli il prestigioso titolo di Conte Palatino.
Se le sue composizioni conquistano per lo spirito giocoso, la figura di Arcimboldo è avvolta da un alone esoterico: pittore, poeta, filosofo, era iniziato ai misteri della cabala e dell’alchimia, oltre che legato agli ambienti del Neoplatonismo caratteristici di certa cultura dell’epoca.
Nei suoi lavori nulla è come sembra: a volte basta capovolgere il dipinto per accedere a una realtà prima invisibile (il cesto di frutti o ortaggi che si trasforma in un volto), in altri casi l’artista invita l’occhio dei sapienti a decifrare simboli e allegorie rivelatrici di complesse corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo.
La sua pittura brillantemente materiale canta dunque l’immaterialità dell’universo, aggiungendo elementi nuovi al filone cinquecentesco del "buffo" inaugurato dalle caricature di Leonardo e alla tradizione più antica delle grottesche, cui pure si ispira.
Dimenticato per lunghi secoli, Arcimboldo fu riscoperto nei primi decenni del Novecento da Dadaisti e Surrealisti, che lo apprezzarono per la vena ludica, il gusto per il mimetismo animale e vegetale, nonché per i rimandi della sua arte a realtà invisibili, pur non comprendendone appieno il simbolismo.
Oggi la potenza visiva delle sue creazioni si commenta da sé: oltre il Manierismo cinquecentesco, oltre le avanguardie del Novecento, i capolavori di Arcimboldo veleggiano nel regno eterno delle icone, dove ogni spiegazione è superflua.
L'acqua (dettaglio) - 1568 - Vienna, Kunsthistorisches Museum
Bizzarre allegorie: a Roma l'arte di Arcimboldo - Roma - Arte.it
Domenico Bilotti
ARCIMBOLDO, L'EPICA QUOTIDIANA DI UN'ANIMA TERREMOTATA
Il pittore Giuseppe Arcimboldo (1526-1593) intuisce che il sogno universalista del rinascimento sta per tramontare. E tenta un originale "liberi tutti".
Autunno (particolare), 1573
L'11 febbraio terminerà a Palazzo Barberini di Roma la mostra dedicata al pittore milanese Giuseppe Arcimboldo (1526-1593). Date alla mano, il talentuoso artista lombardo vive la fase matura di un periodo di eccezionale vitalità e di non ripetuto e non ripetibile smalto. La maggior gloria la raggiunge, anzi, quando il XVI secolo volge al termine, insieme alle speranze, alle ideologie e agli stili che aveva ereditato dal precedente. L'ordine erudito della civitas umanistica e rinascimentale ne esce quasi ibernato: ai contemporanei non difetta la competenza tecnica e non si sono del tutto eclissati i gruppi di potere che avevano fatto del neo-mecenatismo prosperità e servitù dell'artista. Gli esordi dell'Arcimboldo sono, in fondo, nel segno già tracciato: lavora per l'edilizia di culto (a Monza e a Milano), si impegna in committenze private, ottiene patrocini illustri e alterna opere di devota filologia pittorica a prime, coraggiose, sperimentazioni che ne delineano l'originale cifra stilistica.
È abbastanza comprensibile, perciò, che l'Arcimboldo passi alla storia per qualcos'altro: qualcosa che valga definitivamente a distinguerlo dalla sua generazione. Ed ecco l'intuizione delle "teste composte", raffigurazioni che giocano a creare forme antropiche mescolando oggettistica di ogni tipo (dai libri alle vettovaglie, dai fogliami agli utensili). In effetti, ci sarebbe di che urlare al sacrilegio: il XVI secolo inizia ancora con il culto della figura, con il retaggio vitruviano di Leonardo e con le rappresentazioni neoclassiche, neoplatoniche, ireniche, idilliache.
L'ossuto genio milanese si mette a fare il guitto beffardo, con quella sensibilità e quella vivacità che non lo rendono però alieno dal potere o estraneo a certe sue smodatezze mondane: Giuseppe Arcimboldo arreda e inscena feste e magari vi partecipa, fa mascherate e giochi. Probabilmente intuisce che il sogno universalista di due secoli di civiltà sta eclissandosi, schiacciato poi definitivamente dalle crisi politiche e dalle policromie e polifonie artistiche del Seicento. Eppure, è ancora parte di quel sogno universalista e antropocentrico: è proprio nell'atto di seppellirlo definitivamente che ammette di averne fatto parte. Se va forgiandosi, sul piano delle istituzioni politiche, un'idea marcatamente territoriale e accentrata della sovranità, Giuseppe Arcimboldo è anche il talento che ne irride la precoce senescenza e la pretesa razionalistica che spesso scade nella forza, nella guerra, nel rito del potere. Le consuetudini di ancien régime non sono per forza peggio delle corone di nuovo conio che seguiranno di lì a breve.
Splendide le composizioni dell'Arcimboldo, allora, che dall'oggettistica quotidiana traggono un racconto non privo di una sua epicità, per quanto brulicante e contraddittorio, come riconosciuto da Barthes, e perciò già distante dal canone epico codificato della cultura rinascimentale. "Il fuoco" del 1566 è una catasta per cannoncini, mortai e candele; "Inverno" è tronco morto che regge con una smorfia al gelo e alle piogge, "autunno" è il maturo signore che invecchia nella botte del suo vino. Rodolfo d'Asburgo, pluridecennale guida del Sacro Romano Impero, si trova effigiato come Dio italico e pagano. Il lato mostruoso della tela provoca lo spettatore: quell'indecifrabile mostruosità, raffigurata in forme di essere umano, è specchio rovesciato dell'anima.
IL CAMERIERE
Il cameriere (1574) – Collezione privata
Arcimboldo realizzò il dipinto nel 1574 esprimendo tutta la sua carica grottesco-surreale. Nella tela campeggia un capo-cameriere ricostruito con un incastro di anfore, barili, piatti, canestri e bicchieri. Gli esperti di Christie' s l'hanno valutata, nel 1993, un minimo di mezzo milione di sterline (oltre 1,2 miliardi di lire). Secondo gli esperti della casa d'asta, Arcimboldo avrebbe realizzato l'opera su commissione dell'imperatore Massimiliano II, che voleva farne dono al cugino Filippo II di Spagna.
La storia del dipinto è piuttosto travagliata. Della tela, infatti, entrò in possesso un medico cecoslovacco di nome Muller, che la considerava uno dei pezzi migliori della sua collezione. Ma Muller venne catturato dai nazisti durante l'occupazione del suo paese e morì in un campo di concentramento tedesco. La tela fu smarrita e solo recentemente è stata ritrovata.
Riccardo Bramante
RODOLFO II E ARCIMBOLDO: DUE GRANDI PERSONALITÀ A CONFRONTO
E’ un incontro che sembra voluto dal destino quello tra due dei più noti personaggi che hanno attraversato la scena della storia e dell’arte europea del tardo ‘500. L’uno è Rodolfo d’Asburgo figlio dell’Imperatore Massimiliano II, frutto di una lunghissima catena di matrimoni tra parenti stretti e destinato lui stesso a divenire Imperatore del Sacro Romano Impero alla morte del padre; l’altro è Giuseppe Arcimboldo, pittore milanese, estroso ed immaginifico autore di spettacoli, balli e mascherate, nonchè “ingegnosissimus pictor fantasticus” della corte degli Asburgo di Austria dove era approdato nel 1562 su invito dello stesso Imperatore incuriosito dalle sue celebri “teste composte”, ritratti in cui erano utilizzati in un rutilante miscuglio frutti, verdure, ortaggi, libri e quant’altro fosse attinente alla attività del committente.
Hanno modo di approfondire la loro conoscenza in occasione del matrimonio di Carlo d’Asburgo, fratello minore di Massimiliano quando, in una grande festa tenuta a Graz, Arcimboldo organizza per gli sposi una festa mascherata in cui Rodolfo rappresenta l’estate con in testa un cimiero formato da un mazzo di spighe, Ernesto, l’altro figlio dell’Imperatore, è la primavera con la testa coronata di fiori, Massimiliano rappresenta l’inverno con sulla spalla un ramo di rovere secco e l’Arcivescovo di Salisburgo rappresenta l’autunno con un cappello pieno di mele, uva, noci e castagne. Tutte immagini che sono diventate poi quadri veri e propri, le “Quattro stagioni”, di cui purtroppo la Primavera e l’Autunno sono andati dispersi.
L’estro del pittore non viene dimenticato da Rodolfo neanche quando diviene Imperatore nel 1576, assumendo il nome di Rodolfo II, e tanto meno quando decide di trasferire la capitale del suo impero da Vienna a Praga portando, naturalmente, con sè anche Arcimboldo che ne è divenuto nel frattempo una sorta di factotum.
E’ qui, nella magica Praga che le loro reciproche, bizzarre caratteristiche hanno modo di esplicarsi lontani dalla fastosa ma troppo formale corte di Vienna. Dall’alto del castello di Hradcany, da cui domina la città, Rodolfo chiama alla sua corte scultori, disegnatori, orafi, scienziati e studiosi tra cui Giordano Bruno, Tycho Brahe e Keplero ma a cui si mescolano inevitabilmente anche avventurieri e ciarlatani che gli promettono ogni sorta di oggetti di rara antichità, cammei e specchi appartenuti ai faraoni, dipinti dei più diversi artisti europei, speculando sulla sua ossessiva passione per il collezionismo di oggetti d’arte e di cose occulte. “Chiunque lo voglia, se può, deve solo recarsi a Praga presso il più grande mecenate delle arti esistente al mondo, ovvero presso Rodolfo II. Presso la residenza imperiale…potrà vedere un numero notevole di opere singolari e preziose, curiose e inconsuete” scrive lo storico dell’arte Karel van Mander. Il tutto raccolto nella “Kunst- und Wunderkammer”, una “Camera delle meraviglie” che doveva somigliare ai mitici laboratori di Faust o del dottor Caligari.
E alla ricerca e raccolta di tutti questi oggetti strani e meravigliosi provenienti da ogni parte d’Europa ma specie dall’Italia, contribuisce attivamente Arcimboldo che non si accontenta, però, di fare il semplice organizzatore ma nello stesso tempo esercita la sua singolare forma di pittura prendendo a modello i personaggi che ha attorno: ecco, allora, il ritratto del cuoco di corte che, visto per un verso è un volto composto da ortaggi e pesci, mentre con il quadro rovesciato rappresenta un piatto di cibi ornati da limoni e gamberi; e poi l’ortolano che da un lato è un piatto ricolmo di verdure e rovesciato è una faccia dall’espressione laida; ecco il giurista rappresentato come un pollo spennato al quale è aggrappata una quaglia. Per giungere, infine, all’apice dello sberleffo dipingendo lo stesso Imperatore non più nelle vesti e pose classiche ma nelle sembianze di Vertumno, il dio romano della vegetazione e della metamorfosi; qui Rodolfo ha la fronte formata da un rugoso melone, le sopracciglia sono due spesse spighe di grano, le palpebre due baccelli di pisello e sotto due piccole pere scarlatte, il tutto sormontato, sul capo, da una sorta di aureola di spighe dorate, ricordo della corona imperiale. E’ un allucinante Rodolfo-Vertumno sghignazzante e paonazzo, forse anche ubriaco, che sembra prendersi gioco del potere che esercita, potere di cui sarà privato alcuni anni dopo a causa della sua pazzia ormai non più controllabile. Sorte migliore avrà Arcimboldo che, tornato finalmente a Milano, morirà nel suo letto nel 1593.
Vertumno, 1590-1591 - Skoklosters Slott, Balsta
Rodolfo II e Arcimboldo: due grandi personalità a confronto - Corriere dello Spettacolo
ARCIMBOLDO. RITRATTO DI UN ARTISTA CORAGGIOSO
La modernità nel '500
E se Giuseppe Arcimboldo fosse un pittore moderno “ante litteram”? È da questa domanda che nasce “Arcimboldo. Ritratto di un artista coraggioso” il documentario di Benoit Felici, in onda mercoledì 16 agosto alle 21.15 su Rai 5 per Art Night. Il documentario è il primo in assoluto a raccontare Giuseppe Arcimboldo, che esattamente 100 anni fa, venne ripescato dall’oblio della storia dell'arte, tre secoli dopo la sua morte nel 1593. Sono i surrealisti, amanti delle illusioni ottiche, che quasi per caso nel 1920 lo riscoprono. Il movimento artistico vede in lui un precursore dell'arte moderna e lo nomina precursore del surrealismo. Da quel momento a oggi, il lavoro di Arcimboldo influenzerà molti artisti moderni e contemporanei.
Le serie dei ritratti “teste composte” fanno parte delle opere più famose del Rinascimento. Anche se i suoi dipinti sembrano familiari, che cosa si sa davvero di questo artista rinascimentale dalla visione sorprendentemente moderna? Sono in molti a considerare l'opera del maestro milanese come una rivoluzione nella storia dell’arte. Che cosa ha inventato e rivoluzionato Arcimboldo? Cosa i surrealisti, e in seguito tanti altri artisti, hanno ereditato dalle sue tecniche e del suo stile? In costante metamorfosi, profondamente originale, a volte sovversiva o spaventosa, la sua arte ha disorientato i suoi contemporanei e continua ad affascinare l'osservatore.
Il doc è stato realizzato con collaborazione del Museo Pompidou Metz e dei suoi commissari d’arte che, seguendo il filo della mostra “Effetto Arcimboldo” (Palazzo Grassi, Venezia 1987) stanno lavorando a una retrospettiva sull’eredità moderna del maestro milanese, e apre un dialogo inaspettato tra i dipinti di Arcimboldo e una selezione di opere artistiche moderne e contemporanee. Per riscoprire quest’artista enigmatico del Cinquecento attraverso l’eredità nel panorama artistico del XX secolo.