di Matteo Corsini
"Che la guerra del budget sia puramente politica, è dimostrato dal fatto che la maggior parte dei tagli chiesti dai repubblicani colpirebbero programmi voluti da Obama come la riforma sanitaria e quella delle normative ambientali. E poi c'è un fatto: il deficit federale è oggi oltre 1600 miliardi di dollari. Tagliarne 60 non lo ridurrebbe di molto." (C. Gatti)
Claudio Gatti è inviato del Sole 24 Ore negli Stati Uniti. Commentando l'iter parlamentare del budget federale, Gatti nota che i repubblicani, che dallo scorso novembre hanno la maggioranza al Congresso, vorrebbero imporre tagli di spesa per 60 miliardi di dollari (dieci volte quelli proposti da Obama), ma che il Senato, dove ancora sono in maggioranza i democratici, certamente boccerà il provvedimento.
A fine 2010 repubblicani e democratici raggiunsero un accordo bipartisan in base al quale venivano estesi alcuni provvedimenti voluti da Obama e, al tempo stesso, venivano prorogate le riduzioni fiscali introdotte anni prima da Bush Jr. Ovviamente le già precarie prospettive del bilancio federale ne uscivano ulteriormente peggiorate, dato che si ponevano le basi per spendere di più senza aumentare le entrate. In quell'occasione ricordai le pungenti critiche di Murray Rothbard alla quanto mai illusoria nomea di tutori dei conti in ordine dei repubblicani, già ai tempi di Reagan.
Può darsi che Gatti abbia ragione, e che i repubblicani vogliano solo dare l'impressione di voler tagliare la spesa pubblica, avendo come scopo effettivo unicamente quello di far sembrare spendaccioni i loro avversari.
I quali, peraltro, spendaccioni lo sono davvero, come dimostrano i numeri dei conti pubblici.
Ciò non toglie, tuttavia, che abbia poco senso sminuire in sé l'idea di tagliare la spesa di 60 miliardi di dollari perché il deficit, che supera i 1600 miliardi, ne uscirebbe solo marginalmente intaccato. Bisognerà pur cominciare a tagliare qualche spesa, o si pensa di vivere solo di debiti?
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