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    Predefinito I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)

    I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)







    “Appartengo allo stesso Mewat che il Mahatma Gandhi aveva elogiato nel 1933, dicendo: ‘Posso far conquistare all'India la sua libertà in 24 ore se l'intero paese riuscisse ad emulare la comunità Meo del Mewat nel suo valore, coraggio e fervore patriottico.’ Ho trascorso i miei anni d'oro tra i Meo. Sono seguaci dell'Islam, ma nelle occasioni sociali inscenano e recitano con fervore l'opera poetica del "Pandun Ka Kara", che si basa sul testo Indù classico del Mahabharata” (Bhagwan Dass Morwal, scrittore indiano)



    I Meo abitano nel Mewat, un’area compresa tra gli importanti centri urbani di Delhi, Agra e Jaipur. In quest’area, adiacente agli stati di Haryana, Rajasthan e Uttar Pradesh, la comunità Meo che vive da un millennio ha allacciato delle strette relazioni con le altre caste contadine-pastorali come i Jat, gli Ahir e i Gujar. Nell’Haryana, il Mewat cade nei distretti di Gurgaon e Faridabad.

    Gli uomini Meo sono alti e scuri, hanno dei turbanti ponderosi arrotolati attorno alle loro teste e vestono con abiti lunghi. I Meo sono una comunità di un milione e trecentomila anime. La comunità Musulmana Rajput che vive nel sud dell’Haryana e nel nord-est del Rajasthan, si contraddistingue per aver amalgamato costumi, usanze e credenze, Indù e Islamiche. I Meo hanno una doppia identità di cui vanno fieri. Da un lato, sono orgogliosi della loro Islamicità che risalirebbe ai vari santi Sufi che s’insediarono in questi territori dall'undicesimo secolo, da un altro lato, si considerano Rajput e discendenti diretti di Krishna e Rama. A queste divinità Indù, i Meo si rivolgono rispettosamente col titolo di “dada” o “nonno”.

    Pressoché ogni villaggio Meo ha una moschea, ma in molti luoghi i Meo visitano anche i templi Indù. I nomi di molti Meo del Rajasthan sono ancora Indù-Musulmani. Nomi misti come Ram Khan o Shankar Khan non sono insoliti nell’area Meo d’Alwar. La comunità Musulmana Meo è altamente Induizzata. Celebrano sia il Diwali e l’Holi Indù, sia gli ‘Aid Musulmani.

    Il Diwali simboleggia la vittoria del bene sul male ed è chiamata la festa delle luci.


    Fonte web: http://it.wikipedia.org/wiki/Diwali (in italiano)

    L’Holi, chiamato anche Holaka o Phagwa, è un festival annuale celebrato il giorno successivo alla luna piena nel mese Indù di Phalguna (20 Febbraio - 21 Marzo). L’Holi cade il 15 di Phalguna. Questa festa primaverile celebra vari eventi della mitologia Indù, è il trionfo dell'India gioiosa e dell’amore. È il festival dei colori che abbandona l’inverno per la stagione dei fiori.


    L’Aid al-Fitr o la festa di rottura del digiuno, si celebra alla fine di Ramadan. Dura tre giorni e comprende anche ‘Aid-al-Saghir, la piccola festa.

    L’Aid al Adha o Bakr-Id, è la festa del sacrificio che segna la fine dell’Hajj (il pellegrinaggio). E’ la solennità massima dell’Islam. È celebrata nel decimo giorno del mese di Dhu-l-Hajj.



    I Meo non si sposano all’interno di nessun “Gotra” come gli Indù del Nord, sebbene l’Islam permetta il matrimonio tra cugini. La legge Indù permette le nozze tra cugini con cognome diverso dal proprio.

    Il Gotra è il lignaggio assegnato alla nascita di un Indù. Nella maggior parte dei casi, il sistema è patrilineare.

    Fonte web: http://en.wikipedia.org/wiki/Gotra

    Le celebrazioni nuziali dei Meo comprendono sia il Nikah (letteralmente coito) Islamico, sia la circumambulazione Indù del sacro fuoco per sette volte, che riproduce probabilmente la rotazione attorno al “tempio Solare della Ka’abah.”

    Fonte web: IL SURYA NAMASKAR DELL'ISLAM (tempio Solare della Ka’abah)

    I Meo credono di essere diretti discendenti di Krishna e Rama che sono tra i Profeti di Dio non citati nel Santo Corano.

    La versione Meo del Mahabharata chiamata “Pandun Ka Kara” è suonata dai Mirasi o dagli Jogi per un pubblico Musulmano. Gli autori, gli esecutori e l’uditorio sono tutti Musulmani. I Meo ammirano il Mahabharata allo stesso modo dei loro antenati. Dato che le narrazioni leggendarie di carattere epico sono più comprensibili del semplice “mito”, esse sono divenute centrali nell’identità culturale dei Musulmani Meo. È importante capire ciò che la grand’epopea Indiana significhi per loro, come si richiamino ad essa, la adattino, la suscitino, la redigano, la varino, ed il modo in cui esaminino la cosiddetta “gran tradizione” Vedica e Puranica dell’Induismo.

    I musicisti Musulmani, detti Mirasi, si vestono con ampi Kurta (camicie) bianchi. Indossano anche il dhoti (un pezzo di stoffa legato attorno alla vita che arriva sino alle caviglie come una gonna) e dei turbanti dal colore cremisi vivace. Suonano il “Pandun Ka Kara”, la versione Islamica del gran poema epico della mitologia Indù, il Mahabharata, dopo una breve ode in encomio al Profeta Muhammad (ص) e al santo Sufi Khwaja Moinuddin Chishti d’Ajmer. L’intero poema epico è nella forma Meo, in altre parole in lingua Mewati. È composto di 800 versi o “doha” che sono recitati per oltre tre ore. Narra la storia dei cinque fratelli Pandava che sono ritenuti gli antenati dei Meo.

    Lo spettacolo inizia con la comparsa di Gorakhnath in compagnia di un suo discepolo, lo Yogi Aughar Nath. Gorakhnath appare nelle sembianze di un Fachiro. Questa figura molto potente dell’India medievale dell'undicesimo secolo è stimata uno straordinario Avadhut (rinunciante o liberato), un Siddha, il più grande Guru Nath ed il fondatore della setta dei “Gorakh Panth (la via di Gorakh).” Il ritratto della sua persona nel poema epico Mewati indica una doppia personalità: sia quella dello Jogi e del Fachiro, sia quella del rinunciante Indù e dell’asceta Musulmano. Il calore del suo fuoco (tapas) gli consegna i poteri magici e straordinari connessi alla fertilità. I grani d’orzo che offre alle due regine sterili, Kunti e Gandhari, le rendono fertili. Fu in questo modo che divennero le progenitrici dei Pandava (patronimico usato per indicare i virtuosi figli di Pandu) e dei Kaurava (discendenti di Kuru).

    Yogi Aughar Nath si riferisce ad un iniziato della tradizione Nath Sampradaya, il lignaggio senza tempo dei Maestri Spirituali, che abbandonò la sua abitazione senza aver subito l'iniziazione rituale del Kanphata Yogi, cioè la foratura a fuoco del lobo. Questo stesso Aughar è considerato l’istruttore degli jogi Aghori che si cospargono il corpo con la cenere dei defunti e venerano i morti nei luoghi di cremazione, siti che essi considerano ideali per la pratica ascetica.

    In un frammento del testo Mewati c’è un colloquio singolare tra Gorakhnath e l’adepto Aughar riguardante l’accettazione della carità. La risposta di Gorakhnath rivela una consapevolezza impressionante del corpo femminile difficilmente apprezzabile nei termini rinunciatari dei Sadhu. Tale replica rivela un culto nascosto che coinvolge il coito nella ricostruzione dell’unione divina tra Shiva e Shakti. L’elemosina, afferma Gorakhnath, dovrebbe essere raccolta sola da una donna con un corpo ben fatto, formoso e dai polpacci proporzionati; invece, le donne sterili e le prostitute gracili, infidi e sciocche dovrebbero astenervisi. Dato che queste ultime non hanno figli, sono in compenso sicure di sé stesse ed accendono il fuoco (eccitano) coi loro corpi. Possono essere anche identificate da come sculettano. La replica che Aughar fa a Gorakhnath è veramente drastica. Egli afferma che Dio, il Guru e tutti gli uomini sono nati da prostitute:

    “Da una prostituta Har è nato, da una puttana tutti nasceranno.

    Da una prostituta tu sei venuto, Oh mio Guru, da una puttana io sono nato.”

    Har (proviene da Hari-Vishnu), certamente, si riferisce sia a Shiva (Hara) sia a Dio. Le prostitute sono considerate alla pari degli altri rinuncianti, ed entrambi sono ai margini dell’ordine sociale castale e della famiglia. Un impressionante livellamento avviene qui. Gli Jogi che di solito sono degli asceti mendicanti, rivelano i segreti delle pratiche sessuali Shivaite. Il Nathismo del testo suggerisce il modo in cui l’ascetismo rinunciatario e l’erotismo si combinano nella sessualità Tantrica.

    I Nath Yogi sono “gli Shiva e gli Shakta bhakta”. Nel “Pandun ka kara”, Krishna non è centrale come nel Bhagavat. Le divinità Vediche e Vaishnava come Indra, Surya e i nove avatar di Vishnu sono citati, ma il poema epico è chiaramente impostato sulle tradizioni Shivaite. La tendenza in atto nel testo è molto diversa dal Ramcharitmanas del poeta Tulsi Das, in cui Shiva adora Rama, o dal Mahabharata classico in sanscrito.

    Infine, termina con dei versi in lode al suo compositore, un Musulmano Meo del primo ottocento di nome Sadullah Khan. Il “Pandun Ka Kara”, è l’unico genere Islamico di Mahabharata esistente. Sadullah Khan è considerato dai Meo il loro “poeta nazionale” (“qaumi shair”). Oggi, eccetto alcuni Mirasi, nessuno può recitare a memoria il “Pandun Ka Kara.”

    Ultimamente, è stata completata una traduzione del “Pandun Ka Kara” in Rajasthani orientale. Da essa emergono affascinanti nozioni di sapere Nath, la spossessione dei Pandava, e nel repertorio di un Meo la corrispondenza con “un raro poema narrativo denominato Hasan Husain”, estratto da una tradizione Sciita. Al pari degli altri tradizionali Mahabharata regionali Indù, che non sono in lingua sanscrita, il “Pandun Ka Kara” consacra una particolare attenzione al culto della dea Draupadi, che è la figlia del re Drupada, nonché la moglie dei cinque fratelli Pandava.

    Per comprendere il culto della dea Draupadi nel Mahabharata o nel “Pandun Ka Kara”, è necessario esplorare la cultura Rajput e Rajput-Musulmana, in cui i Nizari e i Satpanth Ismaili (detti anche Khoja) ripianificarono il ruolo della dea. La “nuova Grande Tradizione Rajput” del sedicesimo secolo si avvalse di una sinergia particolare: il Sufismo operò da copertura durante i regimi Sunniti, mentre i missionari erano generalmente degli Sciiti.

    Breve descrizione del culto della dea Draupadi nel “Pandun Ka Kara”


    La dea Draupadi

    L’opera spiega chiaramente la relazione tra i Nath ed il culto della dea. Gli artisti Musulmani iniziano rendendo omaggio all’Ustad (Guru) e a Dio, che è puro e luminoso. Poi, ognuno di loro onora devotamente Bhawani, la dea madre proferendo: “Con lei seduta all’interno del mio cuore, apro il forziere della conoscenza.” La divinità ha l’aspetto maschile e femminile. I Mirasi (musicisti) adorano la loro Santa protettrice, la dea Bhawani, una manifestazione di Kali e moglie di Shiva, presso il suo sacrario a Dhaulagarh presso Lachmangarh, nel distretto d’Alwar, a metà strada tra Jaipur e Aligarh, nel Rajasthan, alla quale offrono il “sacro cibo.” Guru Gorakhnath racconta al suo seguace che dopo aver dormito per dodici anni è pronto ad andare nella terra della Devi, presso la Grande Dea, la Risplendente, il principio femminile, la Shakti o l’energia immanente.

    LA SHAKTI DELL'ISLAM

    Il ripetuto utilizzo del termine Devi al posto di Daropada (Draupadi) nel poema epico Mewati, deriva presumibilmente dalla tradizione posteriore dei Purana minori (Upa Purana), in cui è detto che “Devi Daropada è la nostra morte.” Per Arjuna, Daropada è la regina o malika, la personificazione della morte che provocherà il decesso dei suoi cinque mariti. Il termine malika proviene dall’arabo “Malaka” che significa regnare, essere Re. Draupadi ha il potere di creare e distruggere, è descritta come il “grande utero della terra” che diviene fertile dopo la semina divina, seme al quale la Madre dà potenza. Ecco perché può distruggere i Pandava, ma può anche salvarli. I cinquantasei Re e principesse riuniti con i travestiti Pandava nel svayamvara (torneo), le sessantaquattro Yogini, gli asceti, le sati e le trecentotrenta milioni di divinità ricorrono nel “Pandun ka kara”. Si ritiene che le Yogini o il potere femminile della dea seguano Gorakhnath. Esse sono gli spiriti (buoni e cattivi) e le creature feroci che si raggruppano attorno ai campi di battaglia, esse risiedono presso i terreni adibiti a cremazione, strillano, si lacerano la carne, e bevono il sangue dentro i teschi. Le Yogini sono molto influenti nel Tantrismo, le sono dedicate numerosi templi. Esse furono molto attive in epoca medievale in India.

    L'Arya-Samaj, in sanscrito “la Società Ariana”, un movimento riformatore Induista nato a Bombay nel XIX secolo, considera il "Pandun ka kara", un Mahabharata a tutti gli effetti.

    Il Mewat, la patria dei Meo

    Alla pari della maggior parte dei Musulmani Indiani, i Meo erano in origine degli Indù. Le motivazioni della loro conversione all’Islam non sono chiare. Iniziarono a convertirsi nell’undicesimo secolo per opera di Sultan Saiyyed Salar Masud Ghazi. Nel tredicesimo secolo conobbero la dawa di Ghiyas ud-Din Balban, un sultano mamelucco che ha regnato su Delhi dal 1266 al 1287. Durante la dinastia Tughlak nel 14mo secolo d.C avvennero nuove adesioni all’Islam, ma i Meo mantennero sempre il loro antico retaggio culturale e spirituale. Poi, nel diciassettesimo secolo, durante il governo d’Aurangzeb, abbracciarono in massa l’Islam. Attualmente, l’intero Mewat è cosparso di dargah e mazar (sacrari e mausolei). La comunità Meo si ritiene discendente dei Rajput. Per anni i Meo hanno integrato tradizioni culturali Indù e Musulmane. Per esempio, ai nomi maschili e femminili che erano in origine Indù fu aggiunto il titolo Islamico di Khan. I Meo osservano la circoncisione e la sepoltura del morto secondo il rito Islamico, ma osservano anche le feste e le cerimonie Indù. Celebrano i due ‘Aid, l’Asciurà nel mese di Muharram e lo Shab-e-barat. In India, lo Shab-e-barat è la notte del destino. In persiano, “Shab” significa notte e “Barat” notte di commissione o d’assegnazione. I Musulmani sciiti associano allo Shab-e-barat anche la nascita dell’ultimo Imam. Leggono il Corano alla pari delle opere epiche del Ramayana e del Mahabharata. I Meo eseguono la Salat (preghiera Islamica) ed invocano Allah con i nomi delle divinità Indù. È detto nelle sacre Scritture:

    “Invocate Allah o invocate il Compassionevole, qualunque sia il nome con il quale Lo invochiate, Egli possiede i nomi più belli.” (Corano, 17: 110)

    “I Saggi (i dotti Sacerdoti) invocano l’Unico Dio con molti nomi.” (Rigveda, Libro 1, Inno 164, verso 46)

    La spartizione tra India e Pakistan del 1947 ha spinto molti Meo ad una maggiore Islamizzazione, mentre altri hanno preferito emigrare in Pakistan. In Pakistan abitano nelle province del Punjab e del Sindh e sono trecentomila. In India risiedono negli stati di Haryana, Punjab, Rajasthan e Delhi superando un milione d’individui.

    I Meo oggi seguono molte norme Musulmane, ma i riti nuziali e i modelli parentali s’incentrano sulla tradizione Indù. Il matrimonio tra cugini è un tabù per i Musulmani Meo: quest’interdizione li ha opposti ultimamente ai matrimoni misti proposti dai capi Indù dei Mina, coi quali condivisero gli stessi Gotra (nomi del clan) prima della loro adesione all’Islam. I Meo non segregano le loro donne. La società Meo è divisa in almeno 800 clan esogamici.

    Alcune tribù sono organizzate come i Rajput, mentre altre somigliano alle caste Indù dei Brahmani, dei Mina, dei Jat e dei Bhatiara. A quanto pare, i Meo discendono da molte caste Indù, non solo dai Rajput.

    I Meo, le cui radici risalgono ai primi Ariani dell’India Settentrionale, appartengono alla casta dei Kshatriya come la maggior parte dei Rajput e ne conservano tutte le peculiarità, diversamente dalle altre tribù vicine.

    I Musulmani Meo sono fieri della loro cultura Rajasthana e di essere dei coraggiosi combattenti. Hasan Khan Meo e Deo Khan Meo sono i loro signori della guerra e gli eroi di molte battaglie.

    La religione che è nell’anima della cultura Indiana non è necessariamente fonte di divisione. I miti del Ramayana e del Mahabharata forniscono un comune idioma, una condivisa matrice spirituale. Non tutti gli Indiani furono sorpresi quando l’emittente televisiva Doordarshan trasmise un serial del Mahabharata in 52 puntate, preparato da un Musulmano, il Dott. Rahi Masum Raza. L’Induismo e l’Islam sono vincolati in India perché hanno condiviso la stessa storia nel medesimo spazio. La coabitazione è una necessità di fatto.



    Bibliografia

    Kinship and Rituals Among the Meo of Northern India: Locating Sibling Relationship/Raymond Jamous. Translated from the French by Nora Scott. New Delhi, Oxford University Press, 2003, xiv, 200 p., ills., tables, $31. ISBN 019566459-0.





    www.tradizionesacra.it/i_musulmani_meo_e_il_p...
    "Sarebbe anche simpatico, se non fosse nazista!" (Malandrina) :gluglu:


    "Al di là dell'approvazione o disapprovazione altrui!" :gluglu:

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    Predefinito Rif: I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)

    Articolo molto interessaante, grazie per averlo postato.
    Controllori di volo pronti per il decollo,
    telescopi giganti per seguire le stelle
    (F. Battiato, No time no space)

  3. #3
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    Predefinito Rif: I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)

    Citazione Originariamente Scritto da subiectus Visualizza Messaggio
    Articolo molto interessaante, grazie per averlo postato.
    Prego. Grazie a te per averlo apprezzato.
    "Sarebbe anche simpatico, se non fosse nazista!" (Malandrina) :gluglu:


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  4. #4
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    Predefinito Rif: I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)

    L’IMPERO MOGHUL COL POTERE DEL TANTRA E DEL VASTU SHASTRA
    L'Islam ha originato lo Shastra. Lo Shastra è nato con Adamo (A) ed Eva (A). Gli eremiti e gli adoratori in India in base alla struttura geografica del loro paese hanno riformato lo Shastra per essere coerenti con la loro religione e i loro rituali, ma furono incapaci di apportare un qualsiasi cambiamento alla creazione basato sulla teoria dei cinque elementi del mondo. Lo Shastra, quindi, non è Indiano.

    L’Impero Moghul ha la caratteristica di aver governato a lungo per un periodo di oltre tre secoli. Con la venuta dell’Islam ci sono stati diversi governanti Musulmani nel subcontinente Indiano, ma solo i Moghul si insediarono solidamente. I sovrani dell’Impero Moghul ebbero un successo sicuramente superiore agli altri reggenti Musulmani, e noi ne scopriremo la ragione.

    Gli storici ammettono fermamente che l’Impero Moghul fu un’istituzione sublime nel periodo medievale. L’India conobbe un’era simile solo al tempo d’oro del regno di Magadha. I Moghul avevano stabilito il loro Impero da Kabul all’Assam e dal Kashmir a Tanjore. Il loro dominio si estendeva su una vasta regione.


    Quale fu il segreto della vittoria Moghul?

    Alcuni storici sostengono che dietro la vittoria Musulmana e le loro avanzate strategie militari in India si nasconda la magia. Le loro strategie militari erano così efficaci che hanno ottenuto il sopravvento sui governanti locali. L’affermazione precedente è giusta, ma sorge una domanda: perché tutti i governanti Musulmani in India, come i Moghul, provenivano da paesi stranieri? Perché nessuno ha ottenuto il successo dei Moghul? Quando i Moghul arrivarono in India trovarono tante dinastie Musulmane: i Bijapur e i Bidar nel sud, i Gujarat nell’ovest, i Gaur e i Bihar a est, mentre i Malwa regnavano nell’India centrale. Questi governanti avevano fondato delle case regnanti indipendenti. Questi reggenti Musulmani presenti in India erano di origine Turca, Iraniana, Afgana, Siriana, ecc… Giacché erano degli stranieri militarmente potenti come i Moghul, perché solo questi ultimi hanno dominato l’intera India?

    Tutti i regni Musulmani non hanno resistito all’avanzata Moghul poiché furono sconfitti o annessi; così, la storia dimostra la spazialità dell’Impero Moghul. Tutte le strutture Moghul tra cui il Forte Rosso furono costruite secondo i principi del Vastu Shastra. Inoltre, l’architetto di quegli edifici ha stabilito il concetto Shiva-Shakti del Tantra Shastra in queste costruzioni. I Moghul ottennero, in questo modo, i vantaggi di entrambe le scienze. Gli altri regnanti Musulmani non adottarono le regole del Vastu Shastra e il concetto Shiva-Shakti del Tantra Shastra nella costruzione architettonica. Non poterono così dominare come i Moghul. I palazzi di Bijapur, Bidar e Gaur si conformano all’architettura Tantrica nella cupola e nei minareti, rispettano i satakona (l’emblema tantrico dei triangoli incrociati), ma non fissano il concetto di Shiva-Shakti nell’architettura come i Moghul. Il concetto di Shiva-Shakti adottato dai Moghul è l’anima dell’architettura Tantrica e del Vastu Shastra.

    Gli edifici e i monumenti di Bidar, Jaunapur, Bijapur sono costruiti in pietra nera, mentre le costruzioni Moghul sono costruite solo in marmo bianco e pietra rossa secondo il concetto di Shiva-Shakti del Tantra Shastra.

    Anche l’Impero Maratha tentò di stabilire il suo domino su tutta l'India. Possedeva tecniche militari molto temibili. Governarono con successo su gran parte del subcontinente Indiano, ma per poco più di un secolo. L’architettura Maratha non ha applicato una sola norma di Vastu Shastra e di Tantra Shastra alle loro fortezze e palazzi. Fu solo la terra di Shaniwarwada (Puna, Maharashtra), benefica secondo il Vastu Shastra, che gli permise di dominare l’India per un certo periodo. Al contrario, Ganesha, Brahma, Surya, Vishnu e Mahesh, il dio dello spazio assegnato alle cupole, che sono le cinque forze della natura Induiste che il Vastu Shastra sfrutta per il bene umano, furono riadeguate all’Islam.

    Inoltre, i Moghul hanno applicato architettonicamente il concetto di Shiva e Shakti e il Vastu Shastra al Forte Rosso di Delhi, al Forte Rosso di Agra e a Fatehpur Sikri. In questo modo, hanno stabilito con successo una roccaforte su tutta la regione del subcontinente Indiano. Altre dinastie Musulmane, l’Impero Maratha, i Re Rajput e i governanti Sikh furono incapaci di sviluppare la teoria concettuale di Shiva-Shakti, il Vastu Shastra e gli aspetti astrologici nella loro architettura. Per questi motivi, non regalarono all’India un’era dorata come i Moghul.

    La suddetta spiegazione dimostra il mistero che circonda il bastione della dinastia Moghul in India comprovando la potenza Tantrica di Shiva-Shakti e del Vastu Shastra. I Moghul vivevano in quegli edifici costruiti secondo il Vastu Shastra e il concetto Tantrico di Shiva-Shakti (Forte Rosso di Delhi, Forte Rosso di Agra e Fatehpur Sikri). I Moghul, quindi, ottennero un successo in India col forte sostegno del Tantra, del Vastu Shastra e dell’astrologia.

    Analizzando la religiosità Imperiale Moghul, prendiamo atto di una semplice realtà. Quest’architettura fu un’emanazione della luce divina (farr-i-izidi). Questa luce ebbe inizio con Adamo (A) e attraverso il lignaggio Profetico Coranico raggiunse la principessa Alanquwa che la trasmise ai reggenti Moghul. Questa luce divina si manifestò pienamente nella forma del sovrano Akbar che poté ricevere delle straordinarie rivelazioni. Ecco perché lo Shastra è nato con Adamo (A) ed Eva (A).

    Moghul divinità solari Indiane
    Tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, la supremazia dei Moghul diminuì e l'Impero Maratha divenne la potenza dominante. L’Impero Moghul fu invincibile e governò l’intero paese fino al 1720 d.C.

    La fortezza di Delhi non fu conquistata realmente dalla devastazione Maratha, ma resistette grazie alla sua meravigliosa architettura. Il Forte Rosso fu progettato così perfettamente che persino un semplice Musulmano avrebbe governato senza troppa difficoltà. Questa perfetta e potente costruzione architettonica permise all’ultimo Imperatore Moghul, Muhammad Bahâdur Shâh, noto anche come Bahadur Shah, di governare in pratica solo sul Forte Rosso di Delhi e su qualche area adiacente fino al 1857, prima di essere esiliato in Birmania. Imperatore e Sufi, la sua filosofia a corte fu applicata incarnando un sincretismo Moghul Indù-Musulmano.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Bahadur_Shah_II
    Questa condizione straordinaria dipende anche dal fiume Yamuna che scorre circolarmente verso Nord-Est formando una mezzaluna. Qualsiasi Vastu (in sanscrito significa “ciò che esiste” essendo manifestato e percepibile) che sorge presso il fiume rimane invincibile offrendo tutti i vantaggi del Vastu al Monarca che governa da esso. Tuttavia, a causa di calamità naturali, il fiume si ritirò riducendo automaticamente i benefici del Forte Rosso. Per questo motivo, la monarchia Musulmana fu limitata soltanto a Delhi.

    Essa sopravvisse anche alla forza travolgente Maratha, non solo scampò, ma mantenne anche la sua autonomia. I Maratha, i Sikh, i Jat non furono in grado di stabilire il loro dominio su Delhi. I Britannici hanno sempre dichiarato di aver spodestato in India i Moghul e non il potere Maratha.

    Bibliografia
    1.R. Nath, “Depiction of a Tantric Symbol in Mughal Architecture”, Journal of Indian Society of Oriental Art Calcutta, Vol. VII (1975-76)
    2.“Mughal Concept of Sovereignty as traced in the Inscriptions of Fatehpur Sikri, Agra and Delhi (1570-1655)”, Indica, Bombay, Vol. XI No. 2 (September 1974).
    3.Catherine B. Asher, A Ray from the Sun: Mughal Ideology and the Visual Construction of the Divine, in “The presence of light: divine radiance and religious experience” di Matthew Kapstein, 2004
    L'Impero Moghul col potere del Tantra e Vastu Shastra
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

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    Predefinito Rif: I Musulmani Meo e il “Pandun Ka Kara” (il Mahabharata Islamico)

    I SOVRANI MOGHUL DIVINITÀ SOLARI INDIANE
    Il Profeta Muhammad (ص) disse: “Io sono il Sole e i miei compagni sono simili a stelle.” 1 , “L’odio dei pipistrelli è la prova che sono il Sole.” 2


    Indipendentemente da casta, credo e religione, la personalità divina umana ha sempre adorato il Sole come fonte d’energia, salute e prosperità. La natura del Sole è la più potente, immutabile e brillante. Da quando la terra ebbe inizio, il Sole protesse sempre la razza umana. Per questo motivo, l’umanità ha adorato il Luminare diurno traendone moltissimi benefici. In India, si trovano numerosi templi dedicati al Sole e sono situati in vari punti. Molte popolazioni e civiltà presenti e passate, come i Romani, i Greci, i Cristiani, gli Indù e i Musulmani adorano il Dio Sole e gli costruiscono dei templi per venerarlo nella loro preghiera quotidiana.

    In India, esistono molti riferimenti di Re Musulmani e di complete comunità che adoravano il Dio Sole. Il Re Aurangzeb era un fervente adoratore del Sole. È detto che guarì una sua malattia della pelle adorandolo.

    L’Ain-i-Akbari (gli Istituti di Akbar), registro dettagliato dell’amministrazione dell’Imperatore Akbar e redatto dal suo visir, Abu’l-Fazl ibn Mubarak, riferisce che l’adorazione al Sole in Kashmir era diffusa tra i Musulmani.

    Mirza Haidar Dughlat (1499 o 1500-1551), cugino di Babar, annotò nel suo famoso libro “Tarikh-i-Rashidi” che una fetta importante della popolazione ancora adorava il Sole. Questo gruppo si chiamava Shamsuddin (in Arabo “il Sole della religione”) e pretesero di ricevere questo titolo dal cielo. Nella lingua Kashmiri furono chiamati Shammasi. Il loro credo è così sintetizzato: “Il fenomeno della luminosità Solare dipende dalla purezza della nostra fede: il nostro essere deriva dalla luminosità del Sole. Se contaminiamo la purezza della nostra fede, il Sole non potrebbe più esistere, e se il Sole ritira da noi la sua generosità, non avremmo più nessun essere. La nostra esistenza dipende da lui, egli è sopra di noi. Senza di noi non ha esistenza, senza di lui non siamo nessuno. Finché il Sole è visibile, le nostre azioni gli sono visibili, e nulla, eccetto la sua verticalità è legittima. Quando cala la notte, non ci vede o ci conosce..” Poiché il Sole non è a conoscenza di ciò che avviene nella notte, essi non sono convocati a spiegare le loro vicende notturne.

    Nel 1583, Akbar rifiutò molti rituali ortodossi Islamici, come la preghiera pubblica, e iniziò pubblicamente l’adorazione del Sole eseguendola quattro volte al giorno. L’origine esatta e le dirette influenze che portarono Akbar a adorare il Sole sono discutibili, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che fosse un prodotto del suo fertile intelletto. Abu’l-Fazl fornisce una breve giustificazione asserendo la divinità del Sole, perché ogni fiamma deriva dalla luce divina, ed il fuoco Solare è la fiaccola della sovranità divina. Fazl legittima l’adorazione al Sole del Sultano nell’Akbarnama attraverso la trasmissione dinastica della luce divina nascosta. Questa luce fu trasmessa attraverso cinquantadue generazioni del lignaggio di Akbar, ed il Sultano che la possedeva, era la persona vivente più vicina a Dio. Babur possedeva l’illuminazione divina, e la sua conquista dell’Hindustan con un esercito di appena 13.000 uomini fu la prova di questo “soccorso divino.”

    Babur (1526-1530) proseguì la teoria della dottrina Timuride invadendo il subcontinente Indiano e istituendo l’Impero Moghul nel 1526. Babur credeva di possedere il mandato divino per governare secondo le regole della tradizione Mongola e dei metodi governativi Musulmani. Quando invase l’Hindustan, scoprì che nell’usanza Bengalese chi uccide il sovrano usurpandogli il trono, riceve un tributo dai funzionari ufficiali e dai sottoposti. Babur, proprio come Timur e Ghengiz Khan, non credeva nella divisione dell’autorità Imperiale. Questa credenza in un’autorità centralizzata influenzò anche il metodo con cui Akbar governava il suo Impero. Le ricerche di Humayun sull’oltremondo lo portarono ad aggiungere un nuovo concetto mistico alla dottrina Timuride: “Proprio come il Sole che è il centro del mondo materiale, il destino del Sultano è strettamente associato a questo potente Luminare diurno; così egli è il centro del mondo umano.”

    Sebbene la breve durata del governo di Humayun, figlio di Babur e secondo Imperatore Moghul, fu tormentata da fallimenti politici e da una morte precoce, egli ricevette la luce divina che poi passò al Sultano dei Sultani, Akbar. Nel tentativo di estendere legittimamente il suo potere alla maggioranza Indù, molti Mullah ortodossi presso la corte Imperiale considerarono Akbar un distruttore di Allah, e la sua prostrazione al Sole un’apostasia. Tuttavia, Sri Ram Sharma sostiene che Akbar non adorava la divinità Sole, ma pensava che fosse la manifestazione più potente di Dio: questa è la dimostrazione che Akbar rimase un Musulmano.

    Akbar credeva ancora nel culto e nella supremazia di Allah, ma non concordava con le sentenze giuridiche dei leader ortodossi o con l'ortoprassi Islamica. Akbar, in un’occasione, volle scoprire quale dottrina, tra la Cristiana e la Musulmana, fosse superiore. Propose ai Padri Cristiani e ai Mullah Musulmani, sorretti rispettivamente dalla Bibbia e dal Corano in mano, di entrare insieme nel fuoco. I sopravvissuti alla prova sarebbero stati considerati i veri possessori della Legge. Abu’l-Fazl nell’Akbarnama (Vol. III, pag. 215) offre un resoconto di quest’evento, ma afferma che all’inizio i Cappellani proposero la dimostrazione ai Mullah nella corte di Akbar, ma quest’ultimi rifiutarono.

    Infine, né i Mullah, né i Preti, fecero seguito alla richiesta, e dichiararono che la presunzione non può tentare Dio. Akbar giunse, quindi, alla seguente conclusione: “La professione di fede esteriore e il puro titolo Islamico, senza una convinzione sincera, non giovano a niente.”

    Quest’evento dimostra il disinteresse di Akbar per l’ortodossia Islamica, giacché questi religiosi arroganti non applicano i loro dogmi di fede. Akbar dichiarò: “Io ho costretto molti Bramini a adottare la religione dei miei antenati, ma ora che la mia mente è illuminata dai raggi della verità, sono convinto che la vostra elevata autostima vi ha annebbiato, cosicché non si compie un passo senza la fiaccola della prova”. Queste parole segnano il momento critico di Akbar ed il suo allontanamento dal Sultanato e dalla guida Musulmana pluriculturale.

    La fede di Akbar nell’Islam fu stabile ed evidente conformemente al suo ruolo di Sultano, poiché sostenne sempre il credo nell'Unico Dio ritenendosi un Musulmano, indipendentemente dalle opinioni altrui. La sua fede monoteistica è confermata dal numero di volte in cui durante la vita verificò la volontà divina sfidando deliberatamente la morte. Akbar spiega il suo comportamento affermando che se siamo sgraditi in qualche modo a Dio, “l’elefante può annientarci, perché non sopportiamo il fardello della vita dispiacendo ad Allah.” (Akbarnama, II, 152)

    Gli oppositori religiosi di Akbar rilevarono che il suo studio delle altre religioni combinato al culto del Sole, costituirono le azioni rivoluzionarie che l’allontanarono dall’Islam. Eppure, la curiosità di Akbar ed il suo interesse per il pensiero Musulmano eterodosso non gli erano esclusivi. Non era il primo Moghul a riconoscere l'importanza spirituale del Sole. Le credenze mistiche di Humayun e le sue conoscenze astrologiche lo portarono a sintetizzare l’idea del Sole con la luce divina.

    Vari storici tentarono di scrivere la storia del lignaggio Moghul; una versione anonima del 16 ° secolo gli attribuì delle origini mitiche, sostenendo che essa iniziò quando una vedova appartenente ad una famiglia reale, chiamata Alanquwa, si era impregnata di raggi Solari.

    LA TEORIA DELLA REGALITÀ SOLARE MOGHUL
    Babur credeva fermamente nel fondamento della monarchia ereditaria – questa nozione era in conflitto col mandato elettivo del sovrano del mondo Islamico. Ne consegue che lo Stato appartiene alla famiglia del sovrano. Babur proclamò la sua supremazia assumendo il titolo di Padshah, e non si considerava subordinato al Khalifa, il cui ufficio era passato al Sultano Turco nel 1517. L’idea del potere sovrano di Babur visualizzava un potentato del Khalifa e non limitava il potere del sovrano. Sotto Humayun il precetto era completamente separato dalla pratica, la teoria dalla realtà, l'idea dalle istituzioni. Sebbene fosse ridotto in una triste condizione, si riteneva designato divinamente a governare lo stato. Rivendicò la sua divinità essendo il centro del mondo degli esseri umani, così come il Sole era il centro dell’universo. Fu celebrato dal suo storico di corte come la personificazione della sovranità spirituale e temporale, il cui significato era che anche lui, come Babur, era libero da qualsiasi controllo, politico o religioso. Secondo Khwandamir, l’autore del Qanun l-Humayuni, Humayum era “l’ombra di Dio”, il “Sole del potere e la sovranità del cielo” ed il “valoroso e nobile Badshah.” Riferendosi alla corona e al vestito del Re, Khwandamir dichiara che la domenica “il Re, il Signore in pompa magna, indossava un abito giallo... e simile al Sole, che illumina il mondo, il Re sedeva sopra un trono elevato come nei cieli emettendo la radiosità della giustizia.

    La teoria Moghul della regalità fu sviluppata completamente sotto il governo di Akbar.

    I cambiamenti apportati nella teoria tradizionale Islamica della regalità furono resi necessari tanto dalle condizioni temporali sia dalla speculazione del sovrano, giacché entrambe conducevano allo stesso risultato – un potere sovrano assoluto.

    Colpito dalla lealtà dei principi Rajput, disgustato dai recalcitranti nobili Musulmani, spinto, soprattutto, dai suoi poteri intuitivi, Akbar ruppe soprattutto, con le tradizioni passate, accantonò audacemente l'autorità degli Ulama, e formò una propria idea del potere sovrano. L’Akbarnama insieme all’Ain-i-Akbari è un aiuto immenso alla comprensione della teoria regale sviluppata da Akbar.

    Il concetto di Akbar del potere sovrano si basa sul principio della sovranità secolare, sulla sua presunta discesa dal Sole e sulla supposta manifestazione del potere divino nella persona del Re. Esso rifiuta la teoria della regalità considerata affettuosamente da Balban e da altri, impostata sulla razza e sul sangue, e condanna il principio dell'ereditarietà accettata dai Mongoli e fondamento del loro potere sovrano.

    La teoria Islamica della regalità che poggiava sull’interpretazione ordinaria del Corano e d’altri testi dell’Islam, era una teoria che rendeva il sovrano un semplice naib del Khalifa, e lo poneva in una posizione debole, giacché non poteva esercitare i pieni poteri di regnante, si trattava di una teoria in cui solo i Musulmani erano considerati i veri cittadini del dar-ul-Islam; cosicché fu rimpiazzata da una teoria illuminante del potere sovrano che allargava i diritti a tutte le comunità religiose oltre ad essere assolutamente divina.

    L’idea della regalità fu caratterizzata ulteriormente da paternalismo, magnanimità, benevolenza, altruismo, giustizia e imparzialità. Nell’Ain-i-Akbari (Ain 1, pag 3-4), Abu-l-Fazl afferma che la vera appartenenza ad una famiglia reale fu “una luce proveniente da Dio e un raggio di Sole, l’illuminatore dell’universo.” Il Sole fu considerato il rappresentante “visibile di Dio e la fonte immediata della vita.” Molte delle qualità eccellenti che sgorgano continuamente dal possesso di questa luce sono: 1. Un amore paterno verso i subalterni. 2. Un gran cuore generoso. 3. L’aumento giornaliero della fiducia in Dio. 4. La preghiera e la devozione. (Ain 1, 3)

    Il suo potere sovrano significa che i sottoposti sono un deposito divino che il governatore tratta con amore e affetto vincendo i loro cuori. La conclusione inequivocabile è che la regalità si fondava sull’idea dello stato sociale o welfare ai tempi di Akbar. Allo stesso tempo, il potere sovrano fu innalzato al massimo, non essendo ritenuto un’istituzione umana ordinaria, ma una manifestazione del potere divino e una progenie del Sole abbagliante.

    Dopo che il concetto della regalità divina si era evoluto, Akbar volle colpire duramente il potere esclusivo che gli Ulama avevano dell’interpretazione Coranica. Nel 1579 rilasciò un Mahzar (decreto infallibile) in cui dichiarava che gli Ulama non possono imporgli la loro interpretazione della legge, essendo libero di scegliersi qualsiasi esegesi proposta dai giuristi Musulmani, a condizione che essa non sia in contrasto col Corano e con il benessere del popolo. Sebbene ridusse il controllo dei giuristi esercitando l’autorità regale, ammise la supremazia della Legge Coranica. In breve tempo, però, anche questa restrizione sul potere del sovrano fu rimossa, la regalità fu concepita come un’istituzione divina ed il Re agì secondo il proprio intuito.

    Il potere sovrano privato dei suoi elementi terreni, divenne una delle più potenti istituzioni sovrumane e fu concepito come “un emblema del potere divino che illumina tramite i raggi di questo Sole dell’assoluto.”

    Questa teoria finale della regalità ha due particolarità: la divinità di Dio e la luminosità del Sole. La prima significa che il Re, a differenza di altri essere umani, è dotato di qualità divine; la seconda, lo conferma che si tratta del sostentatore dei suoi sudditi anche quando il Sole illumina il mondo.

    Il Sole fu anche un potente simbolo nello Zoroastrismo Persiano e nella sua visione di un universo polarizzato e oscuro. Abu-l-Fazl ammette l’influenza dell’Ishraqi, la scuola della filosofia Orientale, specialmente delle dottrine Sufi di Suhrawardi Maqtul, per quanto riguarda l’interpretazione del significato dell’illuminazione.

    Abu-l-Fazl narra che la luce del Sole appare nel mondo nella forma di Akbar dopo aver attraversato molte fasi. E poiché questo Sole fu il Sole dell’assoluto, esso fu eccetto che Dio stesso. Tracciando la sua discesa dal Sole, Akbar fu influenzato dalle idee dei Re Persiani, dei principi Rajput Indiani (Sisodia e Rathod) e dalle tradizioni tramandate dai suoi antenati materni. I Mongoli sostengono che la loro progenitrice Alanquwa, fu benedetta insieme alla sua stirpe dal Sole, proprio come Kunti, la madre dei Pandava in India, fu glorificata con un figlio (Karna) dal Dio Sole. Una notte, una luce gloriosa entrò nel grembo di Alanquwa dalla sua bocca, e divenne gravida dando alla luce tre figli. I discendenti di questi tre figli di Alanquwa sono conosciuti come la stirpe di luce o i nati nella luce, i Nairun. Dato che questo Sole fu il Sole dell’Assoluto, la luce che entrò nel suo corpo era la luce divina, ne risultò che la progenie di Alanquwa furono i figli di Dio. La famiglia di questi Nairun fu considerata la più nobile casata, ed è a questa dinastia che Gengiz Khan e Akbar appartennero. Secondo Abu-l-Fazl la luce che entrò nel corpo di Alanquwa dopo aver attraversato molte fasi, finalmente si manifestò pienamente nella forma di Akbar.

    L’idea del potere sovrano Moghul sviluppatosi sotto Akbar, incarna il concetto della divinità Indù del Re ed il pensiero Europeo del diritto divino dei regnanti. Se il concetto Indù mette in risalto le funzioni del Re, il concetto Europeo rileva i diritti del monarca. Akbar, è già stato osservato, evidenziò la visione paterna della regalità. Per lui, i poteri regali bisognava esercitarli solo per il benessere del popolo. Quest’idea di un monarca paterno, sempre impegnato a curare il benessere popolare, fu espressa magnificamente dai teorici Indù. Manu, per esempio, dichiara: “Lasciate che il Re emuli l’azione energica di Indra, del Sole, del Vento, di Yama, di Varuna, della Luna, del Fuoco e della Terra.” (Manu, IX, 303, p. 396)

    Ingiunge al monarca di svolgere le funzioni delle suddette divinità dinanzi ai suoi sudditi. Il Re deve, secondo questi legislatori, promuovere il benessere sociale, il progresso economico e culturale dei suoi sudditi. Inoltre, il suo primo dovere è di mantenere la pace e l’ordine nel paese. Al pari di un Rajaput, ha tracciato la sua discesa dal Sole. Il concetto Indù del Chakravartin (nelle religioni Indiane indica un governante ideale universale) forse ha influenzato il concetto della sovranità universale insito nell’idea regale di Akbar.

    LA POLARIZZAZIONE DEL SOLE NELL’ARTE MOGHUL
    I governanti Musulmani costruirono i loro palazzi in modo che da ogni pensiero potessero trarre la massima quantità d’energia Solare. Un esempio è il Forte Rosso.

    Questa facciata di marmo del Forte Rosso sulla sponda Sud Occidentale del fiume Yamuna riceve l’effetto della polarizzazione Solare.

    Nel Forte Rosso tutte le camere delle famiglie reali furono spalancate verso Est. Il Forte Rosso che è situato sulla sponda Sud Occidentale del fiume Yamuna (a quel tempo lo Yamuna si riversava sulle mura Nord-Orientali del Forte Rosso) e le stanze delle dinastie regie, furono aperte verso oriente come ad esempio il Diwan-i-Khaas (Sala del Pubblico Privato), il Moti Mahal (Palazzo della Perla), il Khaas Mahal (le contrade del Re), ecc... Si tratta di una condizione benefica e suprema del Vastushastra che indica la salute e la prosperità dei governanti Musulmani. Tutti i membri reali che non furono assassinati durante i sabotaggi ebbero una vita lunga. Questo fu reso possibile perché adoravano il Sole. Il Dio Sole è il Re e il Signore di tutti i pianeti.

    Anche la luna trae la sua luce dal Sole. I raggi lunari contengono gli elementi dell’energia Solare. Venendo a contatto con la luna che è il luminare del tempo, si attinge l’energia del Sole. Non ha il dito del Profeta (ص) diviso la luna nel Corano 54: 1? Questo miracolo indusse il Re Indiano Shakravarti Farmad a convertirsi all’Islam.

    L’adorazione al Sole fu adottata con altre simboliche decorazioni dall’Imperatore Jahangir appena salì al trono nel 1605. In quel tempo Jahangir si diede il titolo di Nur al-Din Jahangir Padshah, “la Luce della Fede, il Conquistatore di Mondo, il Signor Supremo,” perché, dichiarava spudoratamente, che “la mia postura sul trono coincide col sorgere e con lo splendore sulla terra della gran luce (il Sole).” Quest’immagine del Sole divenne ancora più evidente quando Jahangir coniò delle monete d'oro che chiamò in quell’anno, secondo valori decrescenti, nurshahi (100 tola), nursultani (50 tola), nurdaulat (20 tola), nurkaram (10 tola), nurmihr (5 tola) e nurjahani (1 tola). Nello stesso tempo, Jahangir stampò sulle monete dei distici scritti da nobili poeti che relazionavano il regno dell’Imperatore alla brillantezza del Sole.

    La rappresentazione dell’alone Solare nelle miniature d’ogni principe e sovrano Moghul, fu un marchio caratteristico da Jahangir in poi. Akbar stesso era un devoto del Sole e cominciava la sua giornata col Surya Namaskar, il saluto al Sole sorgente, una pratica Yogica importante. Abu-l-Fazl si riferisce alla continua luce che brucia sulla e tra le sopracciglia (Ajna Chakra) di Akbar. L’adorazione al Sole fu anche introdotta nel suo harem. Akbar, inoltre, aveva fatto incidere un versetto in lode al Sole del poeta Faizi sulla più gran moneta d’oro del suo regno, il cui peso era di circa 1.200 grammi.

    Jahangir adottò il titolo di Nur al-Din (la Luce della Fede) accedendo al trono per due ragioni: Nur era in associazione al Sole e i saggi Indiani predissero che un Nur al-Din sarebbe succeduto a Akbar. Le 46 magnifiche illustrazioni del Padshah Nama, nella biblioteca della Regina a Windsor Palace, si aprono con una rappresentazione squisita del Sole su due pagine. È detto che Aurangzeb stesso abbia coniato il cronogramma seguente salendo al trono: l’Aftab-i-Alamtab, il Sole che illumina il mondo. Un dato molto interessante secondo l’Abjad è il valore numerico della frase Aftab-i-Alamtab che equivale a 1027, l’anno Egirico di nascita di Aurangzeb. Una superba miniatura Moghul lo ritrae in vecchiaia, egli tiene il Corano rispettosamente nelle due mani ed un alone Solare marcato in rilievo è posto di profilo. L’immagine del Sole era divenuta una prerogativa Imperiale Moghul.

    I PRINCIPI DEI SETTE RAGGI SOLARI
    Tra le migliaia di raggi Solari, i sette seguenti hanno la maggiore potenza per proteggere l’essere umano.

    Sushumna: durante il Krishna paksha (luna calante), il Sole energizza la luna debole, e nello Shukla paksha (luna crescente), la luna trae energia dal suo raggio e l’ambrosia è disseminata sulla terra.

    Uddanwasu: la luna ha origine dal Sole. La luna protegge l’ambrosia [Amrita Kunda] che è creata dai raggi del Sole per dissetare gli Dei e le Dee.

    Sanyadwasu: questo raggio Solare controlla la circolazione di tutti gli animali e dell’uomo sulla terra. Fornisce l’energia vitale, la salute e la prosperità. Sanyadwasu alimenta il pianeta Marte.

    Vishwakarma: questo raggio controlla direttamente il Buddha [pianeta mercurio] che influenza l’intelletto dell’uomo. L'uomo diventa la pace della mente quando entra in contatto con questo raggio.

    Uddawasu: questo raggio crea Guru [Giove]. Giove è un pianeta che controlla il progresso umano. Offre degli effetti positivi e aiuta a fiorire.

    Vishwavyacha: questo raggio Solare crea Saturno e Venere. Venere migliora Ojas (brillantezza). Saturno governa la morte. Una volta che si entra in contatto con esso, questo raggio protegge dagli effetti negativi di Saturno. La parte sottile del sistema sperma si trasforma in Ojas (brillantezza) conferendo forza e salute alla struttura umana.

    Harikesh: tutte le costellazioni ottengono nutrimento da questo raggio. Tutte le Nakshatra (dimore lunari) sono controllate da questo raggio Solare. L’uomo riceve Teja (bagliore), Bala (potenza) da questo raggio di Sole.

    Considerando l'importanza di questi raggi Solari, l’adorazione al Dio Sole è adatta a tutte le persone giacché ne deriva prosperità.

    Note

    1. “Io sono il Sole e i miei compagni sono simili a stelle.” Le stelle guida per coloro che vivranno dopo che il Sole è tramontato. (Ahadith-i Mathnawi, Furuzanfar)

    2. “L’odio dei pipistrelli è la prova che sono il Sole.” - il contrasto dei pipistrelli notturni, nemici del Sole e della vera fede, è un concetto spesso elaborato, per esempio nelle deliziose favole Persiane di Suhrawardi Maqtul. Tradotto in Wheeler M. Thackston (1982), The Mystical and Visionary Treatises of Suhrawardi.

    Bibliografia
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    2.Annemarie Schimmel, Deciphering the signs of God: a phenomenological approach to Islam, Albany : State University of New York Press, 1994
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    4.Ellison Banks Findly, Nur Jahan, empress of Mughal India, New York ; Oxford, 1993
    Moghul divinità solari Indiane
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

 

 

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