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Discussione: Costretti alla Guerra.

  1. #1
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    Predefinito Costretti alla Guerra.

    di A. Sallusti prima pg. de ilgiornale.it 19 03 2011

    Bando ai giri di parole. L’Italia entra in guer*ra.
    Non c’èaltro modo per definire la decisio*ne presa ieri dal governo.
    Sot*to il cappello dell’Onu, i nostri caccia e le nostri navi parteci*peranno ai bombardamenti della Libia per fare cadere il dittatore Gheddafi.
    Per una suggestiva coincidenza, la de*cisione finale era stata presa l’altra sera al Teatro dell’Ope*ra di Roma, dove Napolitano, Berlusconi, Letta e La Russa stavano assistendo al «Nabuc*co » celebrativo dei 150 anni dell’Unità.
    Mentre in sala ri*suonavano le note del «Va’ pensiero», inno alla libertà dei popoli, nel foyer riservato alle spalle del palco reale veni*va messa a punto la risposta che il consiglio di sicurezza dell’Onu, riunito a New York, attendeva: l’Italia non solo metterà a disposizione delle forze Nato le proprie basi (sen*za le quali un attacco sarebbe problematico), ma sarà della partita con suoi uomini e mez*zi.

    Gheddafi è un dittatore, più pazzo che sanguinario, con trascorsi da terrorista. Questo è bene dirlo subito e tenerlo presente sempre.
    Ciò nono*stante, con lui l’Italia aveva trovato a fatica una conviven*za dettata esclusivamente da interessi.
    Dalla Libia infatti ar*riva una importante parte del nostro petrolio, molti miliardi di euro libici sono investiti in nostre aziende strategiche, la Libia è decisiva nel fermare l’ondata di clandestini che si vuole riversare sulle nostre co*ste.

    Che fine farà il recente trat*tato che dopo anni di incertez*ze ha regolato tutto questo? Non lo sappiamo, perché nes*suno è in grado di dire che co*sa accadrà una volta caduto Gheddafi.
    Quella che è in cor*so a Tripoli non è infatti una guerra di liberazione come la intendiamo noi in Occidente (via il tiranno arriva la demo*crazia) e neppure è paragona*bile alle rivolte che hanno scosso Egitto e Tunisia (popo*li affamati e anni di repressio*ne feroce).
    Il reddito medio dei libici è il più alto tra quello dei Paesi africani, e più che una lotta tra il bene e il male, da quelli parti è da sempre in corso una guerra tra tribù, che ancora costituiscono l’ossatu*ra sociale e politica del Paese.

    Bombardare la Libia è quin*di un salto nel buio, necessa*rio per mettere al riparo i rivol*tosi dalla vendetta del tiranno che stava per riprendere il controllo del territorio.
    Opera*zione nobile e a questo punto necessaria, anche se al regi*me, nei primi giorni della cri*si, sono stati imputati dalla stampa araba bombardamen*ti a tappeto su folle inermi che si sono poi dimostrati un fal*so.
    Gheddafi non ha l’atomi*ca ( ha cercato di farsela ma so*prattutto Bush padre l’ha ri*portato a miti consigli con la forza), quindi non può essere una minaccia per il mondo.
    La sua forza militare non è in grado di portare seri pericoli all’Occidente.

    Nonostante questo, Fran*cia e Inghilterra, per motivi umanitari ma anche per inte*ressi, hanno spinto molto per una soluzione militare e han*no lavorato sulle diplomazie del mondo.
    Obama, alla fine, ha detto sì.
    L’Italia poteva star*ne fuori? La risposta è no.
    Il de*stino della Libia è anche affa*re nostro, e non soltanto per motivi storici o di vicinato.
    L’italietta è diventata grande (150 anni) e deve prendersi le sue responsabilità nell’intri*cato e non sempre trasparen*te gioco dei rapporti interna*zionali.
    Non possiamo lascia*re fare, né a Gheddafi di mas*sacrare i suoi, né a Sarkozy e soci di mettere mano da soli sulla Libia, sui nostri interessi economici e sulle nostre stra*tegie politiche.
    Non abbiamo scelta, non perché succubi ma per l’esatto contrario: non vogliamo più subire decisioni di altri.

    La novità è che Berlu*sconi non ha usato i sotterfugi e le ipocrisie dei suoi prede*cessori coinvolti in analoghe, drammatiche scelte.

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    Ma si, sono anni che causiamo danni collaterali con la benedizione di tutti i partiti e D'Alema in prima fila. Morti civili collaterali in Serbia, in Iraq, in Afghanistan. Qualche centinaio in più anche in Libia non cambia nulla.

    Vedremo poi a gioco finito se gas e petrolio verranno a costarci di più o di meno.
    E vedremo anche dove mettere le decine di migliaia di rifugiati politici in più. Che poi chiederanno ricongiungimenti familiari, cittadinanza, voto..

  3. #3
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    L’Italia si ritrova al fronte per forza.

    Siamo a una bella svolta, cerchiamo di non averne paura.
    Si muovono le portaerei nel Mediterraneo, la Nato si organizza, le basi militari sono in agitazione.
    La strada della no fly zone e dell’estromissione di Gheddafi dalla tavola delle Nazioni dopo le sue azioni sanguinose di questo ultimo mese e dopo la parole di pazzesca minaccia, ha fatto il suo corso, e oggi ne siamo parte integrante.

    Anche il Parlamento italiano tutto, nelle sue Commissioni esteri e difesa convocate d’urgenza, ha ratificato la scelta del governo.

    Ai tempi della Serbia, nel ’99, il governo si mosse senza chiedere il permesso a nessuno.
    La scelta è maturata lentamente, con sofferenza, con i soliti tentennamenti di Obama, con l’Europa spaccata a metà, fra guasconate francesi e atteggiamenti troppo astuti e alla fine melensi della Germania.
    Poi tutti sono arrivati a decidere insieme che con Gheddafi non si può andare avanti.

    Ognuno avrà un ruolo diverso, ma l’insieme dei Paesi occidentali si è schierato insieme, ha avuto la forza di evitare i veti di Cina e Russia, si è trascinato dietro la Lega Araba, la Nato, tanti Paesi fuori dell’UE che vogliono unirsi all’impresa.
    È un principio elementare quanto indispensabile e per niente ovvio nel nostro tempo: i dittatori sanguinari non possono essere sopportati, anche se la realpolitik talora spingerebbe a chiudere tutti e due gli occhi.

    La risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell’ONU batte molti record: non si era mai vista tanta convergenza intorno a una risoluzione basata su uno dei principi fondanti dell’ONU, la «responsabilità di proteggere», che le Nazioni Unite avevano da tempo dimenticata, tutte prese nelle loro maggioranze automatiche che invece spesso proteggono i dittatori in assemblea e nelle commissioni, per esempio dei diritti umani o per le donne.
    E invece stavolta siamo arrivati a una stessa conclusione noi del mondo democratico: gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra, l’Italia abbiamo imposto la nostra visione del mondo e abbiamo costretta la vecchia carcassa a dire alcune cose che ci stanno a cuore, e noi italiani l’abbiamo fatto un po’ eroicamente, pieni di preoccupazione.

    Gheddafi abita molto vicino, ci sta quasi attaccato addosso, quel braccio di mare è così piccolo, valanghe di immigrati possono riversarsi da noi se dovesse cominciare un bombardamento aereo o d’altro tipo; senza Gheddafi non sappiamo cosa può accadere, ma un raìs ferito e sopravvissuto potrebbe fare di noi l’oggetto del suo odio più accanito.

    Eppure l’Italia unica è andata a Bengasi a portare aiuto umanitario, unica ha stabilito contatti con i ribelli.
    Giocando a dadi sulle loro vere intenzioni, certo, ma ci faremo i conti quando saranno salvi.
    E noi avremo più forza per farceli.
    L’apprezzamento è stato grande.
    Ci siamo fatti paladini presso l’Unione Europea di quel pattugliamento del Mediterraneo che ora pare debba essere un pilastro del cessate il fuoco base del lavorio internazionale.

    Ci sono due cose molto importanti che non sappiamo: come finirà e chi sono coloro che vogliono sostituire Gheddafi.
    Ma sappiamo però, di nuovo, che siamo vivi.
    Fino a ieri lo erano solo l’Iran che approfittando della confusione attanaglia con le sue chele il canale di Suez e porta armi a Gaza tramite la Siria, e l’Arabia Saudita, che a sua volta contro il pericolo sciita manda i suoi mercenari in Bahrein a aiutare il re.
    Due grandi forze in movimento.
    E noi, dove eravamo finora?
    Adesso fra mille rischi ci siamo, secondo i nostri principi e su una larga base unitaria.

    Anche i successori di Gheddafi, se ci saranno, dovranno rispettarci di più e credete a una giornalista che si occupa di mondo arabo da molti anni: il rispetto è tutto da quelle parti.
    E anche i dittatori come Assad di Siria, o i prepotenti, come gli hezbollah in Libano, saranno meno temuti dalla loro povera gente, e da noi stessi.
    Da lontano, c’è chi guarda e protegge, e siamo noi.
    O almeno, stiamo studiando per questo.

    di Fiamma Nirenstein pg.3 de ilgiornale.it 19 03 2011.

    saluti

  4. #4
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    Tripoli aspetta l’Apocalisse: «Pronti al martirio»!

    Ma quale tregua, sono tutte bugie:
    «Il regime di Gheddafi non ha mai cessato di colpire o attaccare il suo popolo, e continua ad attaccare le città assediate» fa sapere Khaled al-Sayeh, membro del Consiglio militare dei ribelli, che dice anche che pesanti bombardamenti sono ancora in corso a Misurata, Zenten e Adjabiya nonostante il cessate il fuoco proclamato questa mattina da Tripoli.
    Che però sente vicino l’arrivo dei nostri:
    «Esiste una coordinazione con i diversi enti internazionali sulle azioni da compiere e alcuni obbiettivi sono già stati scelti».

    Parla degli obiettivi da colpire nelle incursioni aeree contro le forze del rais, ci coordineremo con la comunità internazionale e sarà lì che comincerà la riscossa. A cui parteciperanno anche degli insospettabili.
    Come Sam per esempio, che vive a Londra e si prepara a partire per la Libia. Via il joystick della Wii, largo all’AK47, l’arma del rivoluzionario che si rispetti. Un bel cambiamento per quest’adolescente londinese di origine libica.
    «Spero m’insegnino a usare un’arma», racconta durante il suo viaggio verso Bengasi. «L’unica esperienza che ho è con i videogame».
    Sam non parla una parola di arabo, ha 19 anni e ama il calcio, come tanti suoi coetanei della capitale britannica. Con una differenza.
    Stare con le mani in mano «non era più cosa». E quindi via, alla guerra.

    «Voglio dire - racconta al Daily Telegraph in un inglese pieno zeppo di slang e consonanti affogate in gola - che non ne potevo più di stare davanti alla televisione a guardare i Tg, dovevo fare qualcosa. Cioè capisci?».

    Sam è uno dei tanti ragazzi libici della diaspora, nati in giro per il mondo dopo che i loro genitori, per diverse ragioni, hanno abbandonato la Libia di Gheddafi. Il colonnello si prese il paese nel 1969: abbastanza per far crescere all’estero due generazioni di dissidenti.
    Che, da quando la rivolta è scattata, a metà febbraio, si sono mobilitati sul web attraverso i soliti social network.
    Da Malta al Cairo, da Manchester ad Atlanta, gli ultimi figli della Libia - e pensare che la maggior parte di loro nella terra dei padri o dei nonni non ci è neanche mai stata - hanno fatto fronte comune per organizzare manifestazioni o raccolte di fondi.

    Altri hanno infine scelto di attraversare il Rubicone.
    Ecco allora che Sam, dopo aver ricevuto il permesso dei genitori, è volato in Egitto e da lì si è diretto verso la frontiera.
    Ad accompagnarlo nel suo viaggio verso la ribellione, ognuno con il suo vissuto e le sue buone ragioni per rischiare la pelle, un imprenditore di mezza età e un dottore un pò più anziano.
    «Spero solo m’insegnino a usare il fucile», ripete.
    Si butta in spalla uno zaino, sorride, fa il segno della vittoria con le dita e punta verso Bengasi.
    «Se Dio vuole alla fine organizzeremo un’enorme rimpatriata a Tripoli, ok?». Inshallah.

    dalla redazione de ilgiornale.it di sabato 19 marzo 2011
    Aggiornato oggi alle 14:01

    saluti

  5. #5
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    Il Cavaliere: un conflitto a perdere ma è giusto partecipare!

    Una buona dose di realpolitik ma anche molta preoccupazione.
    È questo lo stato d’animo con cui Silvio Berlusconi si prepara a partecipare al vertice tra Ue, Lega Araba e Unione Africana in programma oggi a Parigi.
    La partecipazione dell’Italia all’intervento in Libia sancito dalla risoluzione Onu, infatti, non è mai stata in dubbio neanche quando in Consiglio dei ministri Roberto Calderoli è arrivato a evocare il «rischio che finisca come in Somalia». Ma il Cavaliere ha ben chiaro che, per una serie di ragioni, l’Italia è il Paese che più ha da perdere in questa partita.
    Ragioni politiche, geografiche ed anche economiche.

    Ed è anche per questo che Palazzo Chigi in queste settimane aveva preferito attestarsi seppur prudentemente con la più morbida linea-Merkel.
    Perché arrivare a un intervento armato nei cieli libici per il nostro Paese rischia di essere comunque «una situazione a perdere».
    Così la definisce il premier nelle tante conversazioni private della giornata, soprattutto quando si valuta il rischio che le ritorsioni più dure possano colpire proprio noi per primi.
    Intanto c’è il pericolo già più volte paventato da Roberto Maroni e cioè che Tripoli riversi sulle nostre coste decine di migliaia di clandestini.
    Ma non si esclude affatto - e il tema è stato oggetto di dibattito tra Berlusconi e i ministri Franco Frattini e Ignazio La Russa - che la ritorsione possa anche essere «militare».
    Che l’Italia, insomma, possa essere oggetto di un vero e proprio attacco missilistico.

    Nel pacchetto «a perdere», poi, un certo peso ce l’ha anche la questione economica.
    Al momento, infatti, l’Italia è uno dei principali partner della Libia con l’Eni che opera sul territorio da decenni. È chiaro, però, che un nuovo governo che dovesse nascere dopo un intervento militare della comunità internazionale non potrebbe che privilegiare quei Paesi che sono stati in prima fila sul fronte interventista.
    E dunque Francia e Inghilterra.

    Non è un caso che Berlusconi non nasconda un certo disappunto per quello che viene considerato un eccesso di protagonismo da parte di Nicolas Sarkozy.
    Tutte preoccupazioni che il Cavaliere ha intenzione di mettere sul tavolo del vertice di Parigi.
    La partecipazione attiva dell’Italia, infatti, non è in discussione.
    Lo hanno detto chiaro e tondo anche Frattini e La Russa durante un Consiglio dei ministri decisamente a ranghi ridotti (solo otto presenti).
    Berlusconi, però, vuole garanzie dalla comunità internazionale sul fatto che eventuali emergenze saranno affrontate congiuntamente.
    Sia quella umanitaria che quella migratoria.
    Insomma, tutti dovranno farsi carico di quelle che potranno essere le ritorsioni di Gheddafi.

    di A. Signori dal ilgiornale.it di sabato 19 marzo 2011
    Aggiornato oggi alle 14:02

    saluti

  6. #6
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    Basta ipocrisie, è guerra: chiamiamola col suo nome!

    Pare proprio che sia così: l'Italia non solo s'è desta, ma ha anche calzato l'elmo di Scipio.
    Una delle nazioni più pacifiste al mondo, capace di impavesare le città di bandiere arcobaleno, sta per scendere in guerra.
    E per una volta tanto - forse addirittura per la prima volta - tutti più o meno condividono la decisione, tutti sono d'accordo nel dar fuoco alle polveri.

    È bastato che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite votasse - dieci sì e cinque astenuti - la risoluzione 1973 che autorizza l'uso della forza contro il regime di Tripoli.
    Ciò che significa l'attuazione della no fly zone, il divieto di passaggio, via terra, ovviamente, di mezzi corazzati, blindati o trasporto truppe, una zona di esclusione marittima, raid per mettere fuori uso le postazioni radar e antiaerei e aiuto materiale (armi, uomini?) ai ribelli.
    Tutto ciò difficilmente potrà essere portato a termine se nelle canne dei fucili ci si mettono dei fiori.
    Saranno anche intelligenti le moderne bombe, ma all'atto pratico fanno lo stesso lavoro di quelle stupide.

    C'è una seconda sorprendente novità, oltre alla scomparsa dalla nostra scena politica dei pacifisti e del pacifismo.
    Non si parla di petrolio.
    In simili casi, quando cioè nel conflitto è interessata una nazione per così dire araba, il «fattore petrolio» è sempre stato al centro del dibattito politico e civile. E le azioni di forza occidentali immancabilmente attribuite alla volontà di salvaguardare, appunto, gli interessi petroliferi, aspirazione da sempre considerata, dai più avvertiti fra i democratici, indegna e ignobile.

    Questa volta no.
    Nemmeno Vendola ha calato sul tavolo quella carta, e sì che la Libia esporta (esportava, prima che divampasse la «primavera araba») ben 1,3 milioni di barili al giorno, entrando nel novero dei massimi produttori di oro nero.

    La benedizione dell’Onu (che in altre occasioni non è bastata, anzi) e la scelta di non tirare in ballo il petrolio restituiscono dunque alla guerra che verrà, se verrà - Ignazio La Russa ha annunciato addirittura la possibilità di incursioni aeree in Libia - una connotazione che dal 1945 in poi era scomparsa dal vocabolario politico: quella di guerra «giusta».

    Se però la si ritiene tale, si deve chiamarla con il suo nome.
    Guerra, appunto.
    Invece la si chiama in cento altri modi, nello spirito del politicamente corretto, la Lourdes linguistica dove il male e la sventura - e dunque la guerra - svaniscono con un tuffo nella sante acque dell'eufemismo.
    E dunque eccola diventata «operazione», «iniziativa», «misure» (sempre «necessarie»), «intervento» (il più delle volte «umanitario»), «raid», «no fly zone», «interposizione», «controllo» (più o meno «capillare»), «missione» (quando non addirittura «di pace»).

    Tutte perifrasi che escludono il richiamo diretto a ciò che seguirà nei fatti: sparare, bombardare.
    Fare, cioè, la guerra.
    E farla, per quel che ci riguarda, a un tiro di schioppo - è proprio il casi di dirlo - dalle nostre coste, dalle nostre città.

    L'armata se ne va - cantavano un tempo - e se non partissi anch'io sarebbe una viltà.
    Principio, questione d'onore che vale ancora oggi, basta però che si chiamino le cose col loro nome: se alla fine ci si andrà, si andrà alla guerra, non alle grandi manovre.

    di Paolo Granzotto sul ilgiornale.it di sabato 19 marzo 2011
    Aggiornato oggi alle 14:21

    saluti

  7. #7
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.



    Suicidio

    Una guerra sbagliata sotto il profilo etico: le notizie sui massacri fornite da Al Jazeera si sono rivelate false. Si sceglie di credere agli insorti qualunque cosa essi dicano e di non credere al governo libico qualunque cosa esso dica. Si presenta una guerra civile come una manifestazione per la democrazia repressa nel sangue. Chi sono gli insorti? Chi ha dato loro le armi?

    Una guerra sbagliata sotto il profilo costituzionale (art.11 Cost.): come ammesso dal nostro ceto politico questa è una "guerra", non una missione di pace. Una guerra per risolvere controversie, tra l'altro, interne ad uno Stato sovrano e col quale eravamo legati da un Trattato internazionale mai estinto formalmente.

    Una guerra disastrosa per l'immagine dell'Italia: ci mette in luce come un partner del tutto inaffidabile (davvero uno spinto eufemismo) agli occhi delle potenze emergenti e detentrici di materie prime e fonti energetiche.

    Una guerra semplicemente suicida per il nostro paese: una guerra contro le nostre Aziende (ENI in primis), contro il nostro interesse nazionale e strategico, contro la nostra sicurezza esterna e interna, contro il nostro futuro come Stato sovrano.


    Stiamo mandando i nostri uomini e i nostri mezzi a combattere (e a rischiare la vita) per consentire a inglesi e francesi di cacciare le nostre aziende a calci un culo dalla Libia.

    Questa è l'unica, assurda verità.

    G.Mazzini




    http://ilblogh.splinder.com/
    .
    Ultima modifica di Corsaro; 19-03-11 alle 15:47
    « Prego bensì che l'una e l'altra cosa,
    la vittoria e il ritorno, tu conceda,
    ma se una sola cosa, o Dio, darai,
    la vittoria concedi sola! »

  8. #8
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.





    (*)INSORTI: "I NOSTRI CACCIA BOMBARDANO LE FORZE DI GHEDDAFI" La radio dell'opposizione libica 'Voce libera della Libià, che trasmette dalla città di al-Baida, ha riferito un messaggio del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, secondo cui alcuni caccia in mano ai ribelli starebbero bombardando le truppe del colonnello Muammar Gheddafi. Lo ha riferito il sito web dell'emittente 'Bbc', senza aggiungere ulteriori dettagli a riguardo.


    (*)INSORTI: "L'AEREO ABBATTUTO ERA NOSTRO" Gli insorti libici hanno ammesso che era loro l'aereo, probabilmente un Mig-23, abbattuto stamani sopra i cieli di Bengasi. Lo ha riferito il sito web dell'emittente 'Bbc', secondo cui il caccia è stato abbattuto dalle forze del colonnello Muammar Gheddafi. Dall'alba le forze lealiste hanno lanciato una massiccia offensiva contro Gheddafi, roccaforte dei ribelli della Libia orientale.


    LIBIA, JET FRANCESI IN VOLO. (*)RAIS BOMBARDA BENGASI: DECINE DI MORTI -FOTO/VIDEO*-*Leggo



    .
    Ultima modifica di Corsaro; 19-03-11 alle 17:39
    « Prego bensì che l'una e l'altra cosa,
    la vittoria e il ritorno, tu conceda,
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  9. #9
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    Predefinito "La coalizione dei volenterosi"




    Al-Qaeda prende le distanze da Gheddafi: è un pazzo, mai alleati

    ultimo aggiornamento: 18 marzo, ore 17:17
    Roma - (Adnkronos/Aki) - Su forum e tra integralisti la minaccia di un'alleanza con il terrorismo è vista come un 'gioco stupido'. Il colonnello? ''Ha usato i libici per testare le sue idee violente, incoerenti e marce'' e ''ha diffuso la corruzione''


    Roma, 18 mar. - (Adnkronos/Aki) - La minaccia del colonnello libico Muammar Gheddafi di mettere fine alla sua lotta contro il terrorismo e di passare dalla parte di al-Qaeda nel caso in cui la comunità internazionale decida di attaccarlo non è altro che ''un gioco stupido''. E' questo il commento che circola sui forum jihadisti e tra i fondamentalisti islamici, in merito alla possibilità che Gheddafi, messo alle strette dalla risoluzione adottata ieri dall'Onu, si allei con al-Qaeda, trasformandosi in una minaccia per l'Occidente, come ha promesso in alcune interviste rilasciate nei giorni scorsi.

    ''L'unica cosa che al-Qaeda ha per Gheddafi è il coltello di al-Zarqawi'', si legge su un sito vicino ad al-Qaeda, in cui si fa riferimento all'ex leader in Iraq della rete terroristica, Abu Musab al-Zarqawi, ucciso in un raid Usa nel 2006. Come scrive il quotiodiano al-Sharq al-Awsat, sono dello stesso tenore i commenti di un collaboratore del forum 'Islamic Shemukh', vicino al gruppo di Osama Bin Laden, che incita ''i discendenti dell'eroe libico Omar Mukhtar a distruggere il regime'' e definisce ''un gioco stupido'' le parole di Gheddafi su un'allenza con il terrorismo. Nei giorni scorsi, anche il più noto esponente libico di al-Qaeda, Abu Yahya al-Libi, ha diffuso un messaggio video in cui attacca il colonnello e incita la popolazione alla rivolta.

    ''Il popolo libico ha sofferto nelle mani di Gheddafi per più di 40 anni - afferma - Gheddafi ha usato i libici per testare le sue idee violente, incoerenti e marce'', ''ha diffuso la corruzione'' e ''ha messo in mano ai suoi figli l'intero Paese e le sue finanze''. Non e' meno duro nei confronti del colonnello, dimostrando di non gradire l'ipotesi di farne un alleato, un altro ideologo di al-Qaeda, lo sceicco salafita Hussein Bin Mahmoud, che in un discorso pronunciato di recente ha definito il leader libico come un ''vero pazzo'' e suo figlio Saif al-Islam come ''stupido quanto il padre''.

    Il religioso jihadista mette in dubbio le capacità della leadership libica e arriva alla conclusione che dietro le recenti vittorie militari contro gli insorti ci sia la mano di consiglieri stranieri, in particolare israeliani, britannici e italiani. Noman Benotman, religioso libico del think-tank britannico Quilliam Foundation, spiega ad al-Sharq al-Awsat che, ''essenzialmente, c'è sempre stata inimicizia tra il regime libico e al-Qaeda e il gruppo terroristico ha chiesto più volte alla popolazione di ribellarsi e destituire Gheddafi''. Benotman non esclude tuttavia che il colonnello decida di sostenere al-Qaeda all'interno del Paese, ad esempio fornendole armi.




    Al-Qaeda prende le distanze da Gheddafi: è un pazzo, mai alleati - Adnkronos Esteri






    .
    « Prego bensì che l'una e l'altra cosa,
    la vittoria e il ritorno, tu conceda,
    ma se una sola cosa, o Dio, darai,
    la vittoria concedi sola! »

  10. #10
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    Predefinito Rif: Costretti alla Guerra.

    Libia: Germania, no a azioni militari

    Libia: Germania, no a azioni militari - Top News - ANSA.it

    (ANSA) - PARIGI, 19 MAR - Le potenze mondiali, concordemente, sostengono che la violenza in Libia debba cessare. Tuttavia, la Germania non prendera' parte ad azioni militari. Lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel al termine del vertice a Parigi sulla situazione in Libia. Di diverso avviso il presidente della Ue, Herman Van Rompuy: ''Il tempo stringe, e la risoluzione dell'Onu va attuata al piu' presto: non possiamo piu' assistere ai massacri in Libia restando con le braccia conserte''
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

 

 
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