Le api, affascinanti
animaletti della mitologiadi
Claudia Pecoraro
Insetto affascinante e misterioso, ma eternamente
connotata in modo positivo, l’ape è stata al centro di
credenze popolari, di racconti mitici e di devozione
religiosa. Cerchiamo di seguirne il percorso attraverso la
storia.
Le api compaiono sullo stemma nobiliare dei
Barberini
L’ape è da sempre simbolo di sovranità. Casate nobiliari di
tutto il mondo e di tutte le epoche hanno raffigurato questo
laborioso insetto sui propri stemmi. Insetto ricco di
simbologie in tutte le società antiche, è stato considerato
animale nobile, impenetrabile e magico in molte religioni,
dall’Oriente all’Occidente.
Nell’antico Egitto
l’ape ebbe un significato solare; secondo un mito, quando
Ra piangeva, le
sue lacrime si trasformavano in api. A Sais il tempio del
dio Neith era soprannominato “casa dell’ape”.
Nella religione
ellenica Zeus viene
talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché da piccolo era
stato nutrito dalle api di Creta, a cui aveva poi donato
il colore aureo. L’ape era sacra anche ad
Artemide nel suo ruolo di
ninfa orgiastica e il piccolo insetto, in quanto simbolo di
produttività, era identificato poi con la dea greca
Demetra e con le romane
Cerere e Opi.
Anche dall’altro capo del
mondo, secondo la religione indiana, Visnù,
Krishna e Indra sono chiamati Madhava (nati dal nettare) e
sono spesso raffigurati con un’ape posata su un fiore loto,
mentre Karma ha una corda dell’arco fatta di api.
Persino una religione
monoteista come il cristianesimo adottò l’ape come
simbolo: si narrava che
San
Giovanni Crisostomo (“dalla bocca d’oro”) fosse nato con
uno sciame di api che gli volteggiava intorno alla bocca a
simboleggiare la dolcezza della sua predicazione.
L’ape contiene insomma, per
gli antichi, il germe del divino. Virgilio nelle
Georgiche dice che le api “hanno una parte della
mente divina e il respiro dell’etere”. Lo stesso poeta,
nell’Eneide, ritorna sul tema e vi aggiunge
l’immortalità dell’anima: paragona le api alle anime che
volano presso il Lete, e il loro rapporto starebbe nella
moltitudine e nel ronzio, oltre al fatto che entrambe volano,
Rilievo egizio raffigurante un’ape
Porfirio, filosofo del III secolo, racconta
che gli antichi chiamavano melìssas le anime avviate
alla nascita, ma solo quelle destinate a vivere con
giustizia, e a ritornare là da dove provengono dopo aver
fatto il volere degli dei.
Nell’Ippolito
di Euripide, l’eroe offre ad Artemide una corona di
fiori che proviene da un prato incontaminato, dove il pastore
non osa pascolare il suo gregge e in cui solo l’ape può
accedervi, in quanto luogo di grande purezza.
Le api erano quindi
considerate innanzitutto caste. Virgilio stesso ci dice che esse
non si abbandonano al congiungimento, non fiaccano i loro corpi
nei piaceri di Venere, né generano con le doglie. Del resto,
le donne ateniesi che partecipavano alle feste Tesmoforie
assumevano il nome di mélissai: esse si astenevano per
tre giorni da ogni contatto sessuale, digiunavano per un giorno
e giacevano a terra su giacigli di agnocasto, pianta dal potere
anafrodisiaco.
Messaggera tra i due amanti,
l’ape rappresenta simbolicamente il legame di purezza e di
fedeltà che deve stringerli l’uno all’altro: una volta infranto
tale legame, è l’ape stessa che può svolgere il ruolo di punire
il reo.
L’ape è stata considerata un
animale contrario al lusso e alla mollezza fino a tempi recenti,
per questo nel folclore tedesco il mettersi di fronte a
un alveare costituiva una tipica prova di purezza per le giovani
spose.
Dal codice amoroso si fa
presto a passare al codice alimentare, e anche qui il
comportamento deve essere irreprensibile: l’ape odia ogni forma
di putrido, mai essa si poserà su un pezzo di carne, o là dove
sia del sangue o del grasso. Inoltre l’ape tiene costantemente
pulito l’alveare, trasportandone fuori gli escrementi, e
sia Virgilio che Plinio affermano che l’apicoltore deve
allontanare da esso ogni fonte di cattivi odori e costruirlo
lontano da latrine, letamai e bagni e, persino nell’avvicinarsi
all’alveare, deve curare di essersi astenuto da ogni cibo forte
o troppo saporoso.
Per molto tempo l’ape ha
avuto una importante funzione economica, oltre che simbolica e
magica; il miele è il primo dolcificante conosciuto dall’uomo.
Cueva de la Araña, una grotta in Spagna
La prima attestazione dei rapporti tra l’ape e l’uomo
riguarda proprio questo prezioso nettare e risale
addirittura al neolitico (9.000 anni fa circa): si tratta di
una grotta in Spagna, Cueva de la Araña, sulle cui pareti è
raffigurato un nido di api e un cacciatore di miele.
Anticamente si pensava che
il miele, cibo divino donato dagli dei all’uomo,
derivasse da un pulviscolo con proprietà magiche che vagava
nell’aria, e che venisse raccolto direttamente dai fiori su cui
cadeva. Virgilio lo chiamava “dono della rugiada”. Per questo
era usato nei riti di propiziazione e magia, soprattutto
in quelli legati alla prosperità, alla fertilità e all’amore, e
nei riti di purificazione, spesso usato con il latte. Era
offerto agli dèi a titolo di ringraziamento, per consacrare
preti e sacerdotesse, per benedire i templi e scacciare spiriti
maligni.
Il miele era presente nei
più importanti riti di passaggio della vita: nascita,
matrimonio e morte. Quando nasceva un nuovo bambino gli
veniva offerto miele per dargli il benvenuto, garantirgli buona
salute e allontanare i demoni. Nelle cerimonie nuziali il miele
era offerto in dono come cibo e lo si spalmava sulla soglia di
casa della nuova coppia. Da questa usanza ancora oggi persiste
il modo di dire “luna di miele”.
Insetto dei fiori, della
rugiada e del nettare. Lontana dal putrido ma anche dai
profumi troppo forti. Essere né maschile né femminile, né
domestica né selvatica, come a dire né dalla parte della cultura
né da parte della natura. Insetto lontano, divino, enigmatico e,
di certo, eccezionale.