Unità e neoborbonici ripartiamo da tre - Il Mattino
Gentile Direttore,
sono un sociologo napoletano che da anni vive a Barcellona. Seguo molto da vicino e trovo interessante il fenomeno del meridionalismo. Credo sia espressione di una enorme sofferenza e insoddisfazione dovute alle continue delusioni della politica nazionale e locale. I movimenti meridionalisti sono tanti e differenti.
Nel caso specifico i «neoborbonici» non sono un partito, ma un'associazione culturale che ha come scopo quello di recuperare una memoria storica e identitaria del popolo meridionale attraverso la promozione di eventi, convegni e pubblicazioni. E la bandiera duosiciliana è solo un simbolo di un'identità perduta che si sta cercando faticosamente di recuperare.
Questo non significa che non ci fossero problemi o che i Borbone fossero dei santi. Ma governavano cercando di fare il meglio per il proprio territorio. Il termine «neoborbonico» viene utilizzato da molti a indicare non un ritorno dei Borbone, ma un auspicio a tornare a essere produttivi, innovatori, rispettosi del proprio territorio e della propria cultura come a quei tempi.
Non si mette in discussione l'unità di Italia, ma come è stata fatta e come continua a farsi. Sono d'accordissimo con lei quando afferma che l'unico antidoto ai fanatismi e agli estremismi, che culturalmente ci sono lontani, è una politica sana, nazionale e territoriale aggiungo. Ma credo sia anche giusto raccontare tutte le verità del Risorgimento.
Marco Rossano - BARCELLONA
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Ho voluto questa rubrica per il bisogno quasi fisico di ripristinare un contatto diretto con i lettori. Naturale perciò se per tre giorni di fila ho scelto di rispondere, esclusivamente, a lettere che abbiano al centro la questione dell’Unità d’Italia e dei cosiddetti neoborbonici, oggetto di una valanga di mail che sono giunte qui in redazione.
Nella maggior parte di esse prevale la critica, ai limiti dell’indignazione. Nel resto, la condivisione delle tesi fin qui esposte. Preferisco, com’è logico in una discussione aperta e franca, concentrarmi sulle prime. Ed elencare tre punti fermi, a futura memoria.
1) Il Mattino ha rievocato i fatti risorgimentali con un taglio schiettamente meridionalista, distinguendosi da gran parte degli altri giornali del Nord e del Centro Italia. Dai primi dell’anno dedichiamo ogni domenica una pagina all’inchiesta affidata a Gigi Di Fiore - noto per le sue posizioni critiche nei confronti della vulgata risorgimentale - sui punti chiave dell’Unità, concentrandoci su ciò che non ha funzionato 150 anni fa.
2) Chi scrive ha difeso sempre dagli attacchi leghisti e nordisti Napoli e il Meridione, invitando però a metter da parte demagogie e campanilismi che fanno male al Sud e che ridurebbero a bandiera logora le ragioni della difesa dell’identità meridionale, a dispetto della demogogia lumbard del momento. In una parola, abbiamo chiesto rigore e non autoassoluzioni che non ci consentirebbero oggi di risalire la china.
3) L’inserto che giovedì 17 marzo abbiamo dedicato ai 150 dell’Unità gronda criticità nei confronti di ciò che è stato fatto da allora e soprattutto demolisce un secolo e mezzo di leggi speciali che hanno fatto solo male al Mezzogiorno. Ma restiamo convinti che il processo unitario, con tutti i suoi guasti, vada incoraggiato per non cadere nelle secessione strisciante dell’oggi.
Ribadisco: per non celebrare tra altri 150 anni le stesse miserie e gli stessi luoghi comuni su Borbone e Savoia, facciamoci l’esame di coscienza, come ci ha esortato il Presidente Napolitano. Alla fine le nostre critiche avranno anche maggior forza e valore.
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