Lo Stato deve essere laico e popolare e questo significa che:
1) lo Stato è un'istituzione distinta e autonoma da qualsiasi altra autorità, religiosa e non-religiosa;
2) tutti i cittadini partecipano alla politica attraverso il suffragio universale, possono votare e candidarsi alle elezioni;
3) esiste un ampio margine (ma non totale) di libertà di professare le proprie opinioni e di promuoverle.
In sintesi in uno Stato laico e popolare le leggi cambiano in virtù delle opinioni morali religiose e non-religiose espresse dalla maggioranza popolare, garantendo un ampio margine di libertà. Lo Stato laico in questo senso si differenzia dalla teocrazia in quanto nella teocrazia lo Stato ed il clero sono la stessa struttura, il governo non è affidato al popolo ma è affidato in modo stabile alla struttura clericale.
All'anno 2010 il termine laicità è equivoco, viene inteso in significati molto diversi. Secondo una accezione diversa, denominata in genere relativista (o anche laicista oppure anche affine ad una certa corrente del pensiero liberale), lo Stato laico è uno Stato che considera in modo esattamente uguale le diverse opinioni morali nel popolo e indipendentemente da cosa desidera la maggioranza le leggi dello Stato devono rimanere il più possibile distanti dalle opinioni morali. Questa concezione è fallace per almeno tre motivazioni:
1) Anarchia. In primo luogo questo pensiero è fallace in quanto rigetta la volontà della maggioranza. In questo senso quindi si va contro il significato etimologico del termine democrazia, infatti non c'è alcun governo del popolo se la maggioranza conta per legge quanto la minoranza. La laicità relativista quindi assomiglia più all'anarchia.
2) Assurdità. In secondo luogo è fallace in quanto qualsiasi legge dello Stato presuppone e dispone in base a principi morali e quindi seguire in pieno questa idea relativista vorrebbe dire per assurdo anche dover eliminare le leggi che proibiscono, ad esempio, lo spaccio di droga, l'omicidio, il furto, lo stupro!
3) Eccessivo permissivismo. In terzo luogo perché questa idea relativista porta ad un eccessivo permissivismo morale sociale. Lo Stato relativista non è neutrale come illusoriamente si vuole presentare ma piuttosto insinua (come fa ogni Stato più o meno apertamente) uno specifico condizionamento morale: che la verità morale non esiste e tutto è relativo; che qualunque sia la propria morale non importa tanto va rispettata come ogni altra. Visto che l'uomo è un animale sociale crescere in una società eccessivamente permissiva porta gradualmente al caos morale e anche le norme morali più semplici divengono fragili o mancanti. Il danno del cattivo esempio, questa eccessiva libertà danneggiano in una certa misura anche le persone più dotate di volontà e saggezza. Cosi infatti è dimostrato nell'Europa dei primi anni del terzo millennio, in parte rivolta al pensiero relativista: quella tensione morale che sprona a ricercare sempre il giusto non esiste quasi più: é stata sostituita da un atteggiamento ateista e consumista, da una blanda idea di egalitarismo sociale.
Nella comunità umana per qualunque argomento morale si sostiene tutto e il contrario di tutto. In uno Stato relativista questioni come divorzio, pedofilia, orge, scambi di coppia, droga, poligamia, fornicazione, prostituzione, aborto, omosessualità, ordine, disciplina, famiglia, amore per i figli, pudore, pigrizia, virtù, eccetera sono tutte idee che ognuno interpreta e pratica a suo modo e ogni opinione va rispettata in egual modo perché altrimenti si starebbe calpestando il principio della suprema totale libertà morale. Non potrebbe esistere neanche una norma che si rifà al comune senso del pudore oppure la possibilità di stabilire un'età minima di maturità sessuale perché anche questo sarebbe un calpestare la piena libertà morale delle minoranze di seguire il proprio credo morale.
Di fatto la morale sociale è il risultato di un rapporto di potere politico e culturale, di chi meglio e con più sapienza riesce a vincere questo rapporto di forza, rapporto egemonico che si svolge in maniera più o meno pacifica e/o bellicosa. Questo dato di fatto però non deve far pensare che la Verità non esiste. La morale è oggettiva, la Verità non può essere che una ma le difficoltà di comprensione della Verità generano la soggettività della morale. All'interno della specie umana vi può essere solo un codice morale vero, non vari e contrastanti; questo perché la specie umana contiene una comune base genetica, psicologica, ontologica, al di là delle piccole differenze genetiche, psicologiche e ontologiche individuali. Per via di questa comune radice si ha che esiste un unico sistema di regole che determina una convivenza sana e corretta. La funzione di un codice morale non è quella di regolare ogni piccolo dettaglio della vita di una persona ma semplicemente quella di indirizzare fissando dei precisi forti limiti.
Per il benessere morale sociale occorre che, in accordo alla maggioranza popolare, lo spirito delle leggi sia in armonia con i valori morali sociali cattolici. In circa due millenni di storia cattolica si sono succedute varie interpretazioni di cattolicesimo; l'identità cattolica a cui si deve fare riferimento é quella della dottrina corrente, dottrina sintetizzata nel catechismo cattolico approvato nell'anno 1997 da Papa Giovanni Paolo II. Il cattolicesimo non obbliga ad essere cattolici e ammette ampi margini di libertà (cfr. Chiesa Cattolica, Catechismo della Chiesa Cattolica, anno 1997, art. n.2104-2109, Catechismo, art. n.2104-2109; art. n.2284-2287, Catechismo, art. n.2284-2287).