Il bollettino di guerra di Bankitalia. Draghi smonta i numeri-farsa di Tremonti
Roma, 16 apr - (di Marco Palombi)
Bassa crescita, disoccupazione – soprattutto giovanile – e precariato, consumi contenuti, prezzi che aumentano e potere d’acquisto reale che continua a diminuire. Oltre a questo, manovre recessive di finanza pubblica fin dove l’occhio può vedere. Questo il ritratto della situazione italiana contenuto nel Bollettino economico di Bankitalia diffuso ieri, al netto ovviamente del fumo di scena sparso da Giulio Tremonti col suo Piano nazionale di riforma (Pnr), che sarà all’esame del Parlamento la settimana prossima. Che la situazione non fosse per niente piacevole, l’aveva già chiarito il governatore di Bankitalia Mario Draghi mercoledì: “Il nostro paese è entrato nella crisi già debole, ha pagato un prezzo alto di riduzione del reddito e dell’occupazione e ne esce con i suoi problemi strutturali ancora da risolvere”.
Tradotto dal linguaggio curiale dei governatori: cosa ha fatto il governo in questi tre anni? Le pezze d’appoggio numeriche a questo ragionamento ce le ha messe invece ieri il suddetto Bollettino: la crescita economica, come previsto anche dal recentissimo Documento di economia e finanza (Def) del Tesoro, si attesterà all’1,1% quest’anno e all’1,3% nel 2012, il che ci tiene largamente sotto i livelli pre-crisi. L’Italia deve ritrovare la sua “capacità di sviluppo”, aveva avvertito Draghi, e la politica creare le condizioni perché questa “possa dispiegarsi appieno”. È evidente che Bankitalia non si fida della frustata all’economia che dovrebbe arrivare dal Pnr a costo zero: uno 0,4% di crescita in più l’anno non può essere assicurato da un documento in cui non c’è un impegno preciso, una data, in cui si ritirano persino fuori le grandi opere infrastrutturali già bloccate da questo stesso governo.
Così, avverte il Bollettino, per il pareggio di bilancio entro il 2014 a cui s’è impegnato l’esecutivo serve una manovra correttiva dal 2,3% del Pil: in soldi fa oltre 35 miliardi di euro. E questo senza contare che dal 2015 parte il Patto di stabilità Plus che prevede sanzioni assai pesanti per chi non riporta il debito pubblico entro il 60% del Prodotto a colpi di un ventesimo di riduzione dell’eccedenza l’anno: una roba da oltre 30 miliardi ogni 12 mesi (a cui vanno aggiunte pure cinque rate da 2,86 miliardi per il Fondo salva-Stati) che senza una crescita almeno del 2% sarà un incubo recuperare.
Ma è dal lato della crisi sociale che il Bollettino di Bankitalia morde di più l’immaginazione: “L’occupazione non riparte”, scrive Palazzo Koch: “Dopo un lieve incremento nel 2010, il numero degli occupati è ripiegato nel primo bimestre di quest’anno sui livelli minimi dell’estate scorsa. Sono tornate a crescere le assunzioni con contratti flessibili e a tempo parziale; è proseguita la contrazione delle posizioni permanenti a tempo pieno. Il tasso di disoccupazione rimane stabile sui valori medi dello scorso anno, mentre sono aumentate l’incidenza dei disoccupati di lungo periodo e la disoccupazione giovanile”. Crescono, dice Bankitalia, i “disoccupati” (+1,6% rispetto a un anno prima, 35 mila persone) e gli “inattivi” (+0,4%, 65 mila) e quelli che cercano lavoro da più di un anno (+7,4%, 73 mila) e pure gli “scoraggiati”, che un posto non lo cercano neanche più (6,5%, 92 mila), mentre rimane su livelli di guardia la Cassa integrazione, specialmente in deroga. Complessivamente il tasso di disoccupazione è dell’8,5%, con una situazione terrificante tra i giovani sotto i 25 anni: senza impiego il 29,8%. E infatti ieri, plasticamente, s’è saputo che il Fondo Gita – che doveva rilevare le attività di Vinyls Italia – non ha rispettato gli impegni e quindi si dovrà riaprire la gara e trovare un nuovo investitore: i lavoratori del gruppo chimico, insomma, rischiano seriamente di andare tutti a casa.
In una situazione del genere, ovviamente, anche i consumi soffrono: “Restano improntati alla prudenza i comportamenti di spesa delle famiglie, influenzati dalle condizioni del mercato del lavoro e dall’andamento del reddito disponibile, nel 2010 ancora diminuito in termini reali”. A gennaio, scrive Palazzo Koch, le vendite al dettaglio sono tornate a calare insieme al “clima di fiducia dei consumatori”. Questo il panorama, mentre il ministro dell’Economia continua a parlare di “fase 2”: se la crescita è la stella polare, la diminuzione delle spese in conto capitale e dei contributi alle imprese certificata dal Def non è un bel segnale, mentre la pressione fiscale (stessa fonte) è prevista in crescita dello 0,2%. “Più che un documento economico-finanziario, una pubblica autoaccusa”, ironizza l’ex segretario della Cisl Sergio D’Antoni.
Il bollettino di guerra di Bankitalia. Draghi smonta i numeri-farsa di Tremonti