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  1. #1
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    Thumbs up Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini



    ESTERI: BORGHEZIO (LNP), VITTORIA IN FINLANDIA DEL NOSTRO AMICO TIMO SOINI

    ESTERI: BORGHEZIO (LNP), VITTORIA IN FINLANDIA DEL NOSTRO AMICO TIMO SOINI - AgenParl - Agenzia Parlamentare per l'informazione politica ed economica

    (AGENPARL) - Roma, 18 apr - "In tutta Europa avanza la marcia trionfale dei movimenti a noi vicini che, come noi, combattono a viso aperto per la difesa della nostra identità culturale dei popoli e contro l'immigrazione selvaggia. Un caro saluto al leader del movimento 'Veri Finlandesi' Timo Soini, membro, insieme alla Lega Nord, del Gruppo EFD al Parlamento europeo".

  2. #2
    roma kaputt!
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Viva l'Europa dei Popoli.........!!!:giagia:

  3. #3
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    Talking Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Amico???Ma se per colpa del Gabibbo verde stava per lasciare l'eurogruppo.
    ostridicolo:

  4. #4
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Elezioni in Finlandia, boom della destra euroscettica
    Vincono i conservatori, l'ultradestra vuole entrare nella coalizione di governo
    ALESSANDRO ALVIANI
    L'euroscetticismo e il populismo hanno contagiato anche gli imperturbabili finlandesi. Le elezioni di ieri hanno segnato una decisa virata a destra del Paese scandinavo e regalato un trionfo oltre tutte le aspettative al partito dei Veri Finlandesi. La formazione populista ha quasi quintuplicato i propri voti, passando dal 4,1% del 2007 al 19,6%, e ha rischiato di diventare il primo partito. Tutto merito del suo leader Timo Soini, europarlamentare scettico sull’euro, cattolico in un Paese a maggioranza protestante [è stato convertito da una suora irlandese!] e politologo con tesi di laurea dedicata proprio al tema dei partiti populisti. Il suo programma si riassume in una serie di no: alle unioni omosessuali, all’aborto, agli immigrati e, soprattutto, agli aiuti agli Stati europei in difficoltà, a cominciare dal Portogallo.
    Un tema, quest’ultimo, che ha finito per dominare la campagna elettorale e mobilitare molti più elettori rispetto al 2007. In un Paese che registra un crescente malumore nei confronti della classe politica attuale - l’anno scorso il premier Matti Vanhanen si dimise dopo essere stato coinvolto in uno scandalo su finanziamenti di dubbia provenienza al suo partito - la ricetta di Soini ha colto nel segno. Per lui si tratta del secondo trionfo personale: alle europee del 2009 ottenne 130 mila preferenze, più di qualsiasi altro politico in Finlandia. Ora i suoi Veri Finlandesi potrebbero entrare nel governo: Soini ha già chiarito di aspettarsi quanto meno un invito a sedersi al tavolo delle trattative.
    Difficile che ottenga un rifiuto: l’unico partito che non è disposto a coalizzarsi con lui è quello dei Verdi, che ha però raccolto appena il 7,1%. E alla vigilia del voto il probabile nuovo premier, Jyrki Katainen, ministro delle Finanze e leader del Partito della Coalizione Nazionale, la formazione conservatrice che ha vinto le elezioni, non ha escluso un’alleanza coi Veri Finlandesi. Per un soffio a guidare le trattative di coalizione non sarebbe stato proprio Soini: il partito di Katainen ha ottenuto il 19,8% dei voti, cioè appena lo 0,2% in più dei Veri Finlandesi.
    «È una giornata storica per la Finlandia», ha commentato Soini. Una giornata che ha rivoluzionato il panorama politico a Helsinki.
    Elezioni in Finlandia, boom della destra euroscettica - LASTAMPA.it


  5. #5
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

  6. #6
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    La destra populista in Europa non si ferma più



    La destra populista in Europa non si ferma più | La destra populista in Europa non si ferma più

    Il risultato delle elezioni in Finlandia mette in evidenza, ancora una volta, l’avanzata delle destre populiste in Europa. Partiti simili ai Veri Finlandesi spuntano come funghi nel vecchio continente. La crisi economica e l’esplosione del caso “PIGS” hanno ulteriormente rinforzato queste formazioni i cui rappresentanti dicono ormai chiaramente che l’Unione Europea va smantellata. Ma partiti di questo genere emergono non solo nell’UE, ma pure al di fuori dei confini del Leviatano, come accaduto per esempio in Norvegia e Svizzera. Diamo però uno sguardo più in generale alla situazione di questi movimenti in giro per l’Europa, dentro e fuori l’UE

    AUSTRIA: all’interno del proprio parlamento l’Austria ha ben due formazioni di questo tipo: FPO e BZO. Ambo le formazioni prendono il via da Jorg Haider. La FPO era la formazione originaria del defunto leader, formazione da lui lasciata nel 2005 per formare la BZO. Haider era infatti in contrasto con molti membri della FPO, secondo lui troppo estremisti e fondò la BZO. Alle elezioni del 2008 ambo i partiti ottennero ottimi risultati. La FPO, ora guidata da Heinz Christian Strache otteneva il 17% mentre la BZO di Haider raggiungeva l’11%. Dopo la morte di Haider la BZO s’è avviata verso un precoce decadenza e nei sondaggi oscilla tra il 4 ed il 6%. La FPO invece continua a volare e nelle rilevazioni oscilla tra il 25 ed il 27% contendendo il ruolo di primo partito ai due storici volkspartei austriaci, SPO ed OVP. Dopo l’esperienza del governo Haider-Schussel la destra populista in Austria è stata isolata, ma non è detto che l’isolamento continui ancora a lungo.

    BELGIO: Alle ultime elezioni il Belgio è andato un po’ in controtendenza. Sia nelle Fiandre che in Vallonia le formazioni populiste non hanno brillato. Nelle Fiandre Il Vlaams Belang e la Lista Deddeker sono retrocesse ed hanno ceduto consensi alla Nuova Alleanza Fiamminga di Bart de Woewer. La formazione di De Woewer, pur indipendentista come le altre due, è però europeista e multi-culturalista e, contrariamente a quanto riporta il Corriere, non può essere annoverata tra le formazioni euro-scettiche. In Vallonia il Front National, filiale vallona della formazione dei Le Pen, è imploso. Dalle sue ceneri sta nascendo una nuova formazione vallona di destra, la lista “Wallonie d’Abord” che alle ultime elezioni è arrivata vicina allo sbarramento.

    BULGARIA:
    L’unione Nazionale di Volen Siderov ha fatto il suo debutto alle elezioni parlamentari del 2005 raccogliendo l’8% dei suffragi. Le elezioni del 2009 hanno fatto aumentare ulteriormente i consensi di questa formazione arrivata ora al 9% su scala nazionale.

    CROAZIA: Il “Partito Croato dei Diritti” è la formazione più a destra del parlamento. Alle elezioni del 2007 ha ottenuto il 3,5% dei voti. I sondaggi sulle prossime elezioni danno il partito intorno al 5% dei voti

    REPUBBLICA CECA: All’interno del panorama boemo la formazione euro-scettica più forte è il Blocco di Jana Bobosikova. Alle ultime elezioni ha mancato di poco la quota di sbarramento, fissata al 5%

    DANIMARCA: Il Folkepartei di Pia Kjaersgaard continua ininterrottamente ad avanzare, elezione dopo elezione. Il partito, venuto alla ribalta in occasione delle controversie sulle vignette danesi ritenute offensive dagli islamici, fa parte della coalizione di governo dal 2001. I suoi voti sono fondamentali per il governo di centro-destra che da ormai 10 anni si regge sull’appoggio esterno di questa formazione. Alle ultime elezioni ha ottenuto il 14% dei voti, affermandosi come il terzo partito della penisola e alle prossime potrebbe aumentare ulteriormente il suo bottino di voti e di seggi.

    FINLANDIA:
    Della Finlandia abbiam parlato ampiamente negli ultimi giorni. I Veri Finlandesi sono al 19% e probabilmente saranno decisivi per il prossimo esecutivo.

    FRANCIA: Le elezioni presidenziali e parlamentari del 2007 sembravano aver messo la parola “fine” all’epopea del “Front National”. Niente di più errato. Da quando Marine Le Pen ha sostituito il padre alla guida del movimento, la destra francese è ritornata prepotentemente in auge. L’operazione di defascistizzazione di Marine Le Pen sta contribuendo a rendere il partito più presentabile agli occhi dell’opinione pubblica. Nel 2007 il partito ottenne il 10% alle presidenziali ed un misero 4% alle parlamentari. Il prossimo anno però non andrà così, e questo è ormai conclamato. La destra “ufficiale”, volente o nolente, dovrà cominciare a parlare con loro, se vorrà evitare la debacle.

    GERMANIA: Ad oggi in Germania ancora non ci sono fenomeni di questo tipo. Il successo del libro di Sarrazin però ha fatto nascere il dibattito sull’opportunità della nascita di una formazione di questo genere. Qualcuno suggerisce che il tracollo della FDP possa aprire la strada a questo nuovo partito che Der Spiegel chiama “Il partito della Bild”. Un partito che ancora non c’è, guidato da un ipotetico Haider tedesco, che incarni i sentimenti anti-europeisti ed anti-immigrati da tempo latenti in Germania. Sentimenti che spesso vengono incarnati proprio dal più celebre e temuto giornale teutonico. Che l’unica salvezza possibile per la FDP sia quella di seguire le orme dell’ex cugina austriaca FPO?

    GRECIA: Nato da una costola di “Nuova Democrazia”, massimo partito di centro-destra ellenico, il LAOS è avanzato parecchio alle ultime elezioni, raggiungendo quasi il 6% dei suffragi. Il clima attuale potrebbe essere l’ideale per una ulteriore crescita

    ITALIA: Quanto sia giusto includere la Lega in questa fascia di partiti è spesso fonte di dibattito. Diciamo che il Carroccio ha parecchi lati in comune con alcune di queste formazioni e condivide con molte di queste la stessa collocazione al parlamento europeo, vale a dire il gruppo dell’ “Europa per la Libertà e la Democrazia”. Le posizioni critiche sull’immigrazione e scettiche sull’Unione Europea assimilano la Lega a queste formazioni. Differisce da questi movimenti però per il suo ruolo di partito locale.

    LETTONIA: Alleanza Nazionale ha fatto parte del governo lettone fino al 2010. Nonostante l’aumento nei voti, passato dal 7 all’8%, il partito è stato escluso dal governo di centro-destra, di cui aveva fatto parte fino ad allora

    LITUANIA: Ordine e Giustizia è il quarto partito del parlamento lituano. Alle ultime elezioni ha ottenuto il 13% dei voti. A capitanare la formazione il controverso ex premier ed ex presidente Rolandas Paksas.

    LUSSEMBURGO: l’ADR (Alternativa Democratica di Riforma) è parte della vita politica del piccolo granducato da ormai 20 anni. Nonostante un consenso piuttosto stabile tra l’8 ed il 10% finora non è mai riuscito ad entrare al governo del granducato. I democristiani, padroni incontrastati della vita politica del granducato, son sempre riusciti a non aver bisogno della formazione di Robert Mehlen, finora…

    NORVEGIA: Il Partito del Progresso è un elemento stabile della politica norvegese dalla metà degli anni ’70. Il suo consenso è in ascesa continua. Alle ultime elezioni risulta essere il secondo partito norvegese col 23% dei consensi. Finora non ha mai partecipato in maniera diretta al governo del paese, ma si è limitato a dare l’appoggio esterno a governi di centro-destra. I sondaggi attuali danno alla formazione di Siv Jensen un consenso intorno al 25%. Se i sondaggi attuali fossero confermati, il partito avrebbe la prima vera chances di entrare in maniera diretta al governo, dato che sembra poter riuscire a costruire una maggioranza insieme ai conservatori di Erna Solberg, la quale è disponibile a costruire un governo con partecipazione diretta dei progressisti.

    OLANDA: Sembrava che la destra populista in Olanda fosse morta con Pim Fortuyn. Niente di più sbagliato. Morto Fortuyn è spuntato Geert Wilders la cui formazione, il Partito della Libertà (PVV) è divenuta il terzo partito del paese col 15,5% dopo le ultime elezioni ed il suo appoggio è fondamentale per la tenuta del governo di Mark Rutte. Se si tornasse al voto il PVV aumenterebbe ulteriormente sia i consensi che i seggi.

    POLONIA: La formazione dei gemelli Kaczynsky sembra in fase calante. Rimane comunque il secondo partito del paese ed un modello per le formazioni identitarie del continente. Vedremo alle prossime elezioni parlamentari se “Legge e Giustizia” riuscirà ad aumentare, o perlomeno a confermare, il risultato del 2007.

    REGNO UNITO: Il sistema elettorale uninominale a turno unico, ha finora impedito allo UKIP e al BNP di entrare alla Camera dei Comuni. Se passasse il referendum che impone il “sistema australiano” nel Regno Unito però il consenso di queste due formazioni potrebbe aumentare. Il sistema proposto dal referendum non è un proporzionale, che aiuterebbe moltissimo le due formazioni euro-scettiche, ma comunque contribuirebbe a far salire le quotazioni dei due partiti, almeno nel voto di “prima preferenza”.

    ROMANIA: Sembrava, dopo il tracollo alle elezioni legislative del 2008, che Grande Romania fosse destinata a sparire. Il buon risultato delle europee, in cui la formazione nazionalista romena ha ottenuto il 9% dei consensi, ha riportato in alto il partito di Corneliu Tudor. Probabile che il prossimo anno faccia ritorno nel parlamento nazionale.

    SERBIA: In Serbia il nazionalismo non è mai tramontato, anzi, continua a rafforzarsi. Alle ultime presidenziali il leader del Partito Radicale, Tomislav Nikolic, ha sfiorato la vittoria perdendo al ballottaggio contro il moderato Tadic per una manciata di voti (un misero 2,3%). Alle parlamentari successive i radicali hanno confermato il ruolo di secondo partito del paese.

    SLOVACCHIA: Il Partito Nazionale Slovacco di Jan Slota è balzato all’onore delle cronache dopo che il Partito Social-Democratico slovacco decise di includerlo in una coalizione di governo nel 2006. I Social-Democratici slovacchi rischiarano per questo l’espulsione dal PSE. Le elezioni del 2010 hanno sancito la sconfitta sia dei nazionalisti del SNS che dei social-democratici. Entrambe hanno perso voti e seggi e la bizzarra coalizione tra estrema destra e centro-sinistra è stata sostituita da una coalizione conservatrice guidata dalla democristiana Iveta Radicova. Il fatto che l’SNS abbia partecipato ad un esecutivo di centro-sinistra, seppur poi bocciato dagli elettori, è un precedente importante che fa capire come spesso queste formazioni possano essere post-ideologiche

    SLOVENIA: In Slovenia il Partito Nazionale Sloveno è dall’indipendenza un attore stabile del parlamento. L’affermazione del suo leader, Jelincic, alle ultime presidenziali (19%) , non è stata confermata alle legislative dove il partito, pur rimanendo in parlamento, ha ottenuto un risultato al di sotto delle aspettative (5%). Comunque attore ormai consolidato del panorama sloveno.

    SVEZIA: La notizia dell’entrata nel Riksdag dei “Democratici” scosse un po’ tutti lo scorso anno. Una formazione anti-immigrati che s’afferma nell’ex tempio della socialdemocrazia. Una bestemmia per le vestali del politically correct. La formazione di Akesson ha raggiunto il 6% dei voti nel 2010 superando la soglia di sbarramento.In realtà non è la prima volta che accade un fenomeno del genere in quel di Stoccolma, ma ora è comunque il prosieguo di un trend che si sta consolidando in Europa, e in particolar modo nell’Europa settentrionale. Per il momento il governo conservatore non vuole collaborare con Akesson, ma diamo tempo al tempo

    SVIZZERA: Nel 2007 l’UDC-SVP confermava il primato nazionale ottenuto nel 2003. Sembra dai sondaggi che il primato della formazione di Blocher rimarrà intatto nel 2011, nonostante la scissione del “Partito Borghese”. Attualmente l’UDC-SVP, celebre all’estero per la battaglia contro i minareti, detiene 2 seggi nel governo federale, oltre che la maggioranza relativa in parlamento. L’UDC-SVP è alleato della Lega Ticinese, recente vincitrice delle elezioni cantonali in quel di Lugano.

    UNGHERIA: Alle elezioni del 2010 il partito Jobbik è entrato nel parlamento magiaro con un altisonante 17% dei consensi, ed ha ottenuto 47 scranni. Pochi meno del malconcio Partito Socialista magiaro fermo al 19% e a 59 seggi. I conservatori di FIDESZ del premier Viktor Orban per ora governano da soli. Se però alle prossime elezioni i conservatori magiari non avessero più la maggioranza assoluta, a chi potrebbero rivolgersi per un aiuto?

    Questo è il quadro generale dell’ascesa dei populismi di destra in Europa. Pochi paesi sembrano esser rimasti immuni da questa nuova fiammata di nazionalismo. Tra i pochi sembrano esserci: Spagna, Portogallo, Estonia, Islanda e Irlanda. Anche da queste parti però, il sorgere di formazioni di questo genere è tutt’altro che impossibile. Io qui ho fatto il classico “calderone”, nel senso che ho accomunato nello stesso filone formazioni diversissime tra di loro, che hanno qualche punto in comune, ma anche molte divergenze. Diciamo che la divergenza principale sta tra i populismi conservatori dell’Ovest e quelli dell’Est. I populismi conservatori dell’Ovest nascono, prima ancora che dall’ostilità all’UE, dai fenomeni migratori di massa che han colpito l’Europa Occidentale nelle ultime decadi. Fenomeni che han portato situazioni di degrado intollerabili e che hanno innescato guerre tra poveri senza esclusione di colpi a cui i tradizionali movimenti conservatori, liberali e socialisti han risposto con indifferenza e una canea politically correct ormai piuttosto stantia e fastidiosa. Proprio perché i fenomeni migratori han colpito le fasce più deboli della società europee, non è raro vedere questi movimenti svettare in quelli che erano i tradizionali elettori dei partiti di sinistra. A Vienna la FPO alle ultime comunali faceva strage nei quartieri popolari. In Francia ed Italia la Lega ed il Front National hanno sostituito le sinistre come partito di riferimento degli operai. I manovali di Manchester, un tempo laburisti, erano col BNP a gridare “british job for british workers”. In Svezia gli scaricatori di porto han preferito Jimmie Akesson alla social-democratica Mona Sahlin. In Danimarca i disoccupati e i minatori metton la croce sul simbolo del Folkpartei. I populismi dell’Europa Occidentale spesso però evitano simboli troppo “espliciti” che richiamino direttamente al nazionalismo e ai fascismi. Rigettano inoltre l’anti-semitismo e si definiscono filo-israeliani piuttosto che filo-palestinesi. Spesso sono abbastanza scettici nei confronti degli USA, ma non apertamente ostili. In Europa dell’est invece, oltre che dalle storiche tensioni fra le etnie che compongono quella porzione d’Europa, i populismi trovano la loro forza proprio da Bruxelles e dall’Unione Europea. I popoli dell’est difatti vedono in Bruxelles un nuova Mosca e nell’UE una nuova URSS (e non hanno torto NDA). Forse formalmente più democratica dell’URSS, ma in sostanza ugualmente oppressiva, all’est l’UE è estremamente impopolare. Inoltre i populismi dell’Est spesso non si vergognano a riproporre simboli come croci celtiche et similia e, contrariamente a quelli dell’ovest, sono abbastanza esplicitamente anti-semiti ed anti-israeliani e apertamente ostili agli USA. Ritengo che questi movimenti non fermeranno la propria avanzata. Forse avranno qualche battuta d’arresto, ma abbiamo visto che le idee di Haider e Fortuyn sono sopravvissute alle morti dei loro leader e sono ora state ereditate da altri (Strache e Wilders), mentre in Francia il passo indietro di Le Pen senior ha addirittura rilanciato il movimento che si prepara al definitivo sdoganamento. Certo, queste formazioni sono molto legate ai loro leader carismatici, ma il senso di insicurezza provocato dalla globalizzazione selvaggia, dall’immigrazione senza freni e da un’Europa che è solo un dinosauro burocratico, privo di anima e assente nei campi in cui realmente servirebbe come la difesa dei confini (vedi i pasticci sulla Tunisia di questi giorni) sono tutti problemi che rimangono sul tavolo. Possono sparare a Fortuyn, Haider può fare un incidente d’auto, l’aereo di Kaczynsky può cadere dal cielo, ma i problemi che le loro formazioni pongono sul tavolo restano e il primo che arriva a denunciarli ottiene eguale consenso. Gli elettori, delusi da conservatori e progressisti, vedono sempre di più questi movimenti come una sorta di “terza via” alquanto appettibile e continueranno a rivolgersi a queste formazioni fintanto che la politica sarà sempre più sorda alle esigenze di sicurezza, tutela dell’identità e della tradizione e preservazione della sovranità nazionale.
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

  7. #7
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Conservatore nei valori ed euroscettico. Ecco la carta d'identità del vincitore delle elezioni finlandesi

    di Guido De Franceschi

    Conservatore nei valori ed - I Veri Finlandesi, infatti, propongono - Il Sole 24 ORE

    Da ieri sera il faccione gioviale di Timo Soini, il leader del partito Perussuomalaiset ("Veri Finlandesi"), si allarga in un sorriso. Rispettando i sondaggi più ottimisti della vigilia del voto, i Veri Finlandesi sono arrivati terzi nelle elezioni politiche. Avendo ottenuto il 19 per cento e 39 seggi su 200, il partito di Soini ha conquistato soltanto 1.700 voti in meno dei Socialdemocratici (19,1 per cento, 42 seggi) e 39.000 voti in meno dei vincitori della Coalizione nazionale di centrodestra (20,4 per cento, 44 seggi). Invece il Partito di Centro, che era arrivato primo nel 2007, ha subito una severa emorragia, fermandosi al 15,8 per cento e a 35 seggi (ne aveva 51). Suppergiù stabili l'Alleanza di Sinistra (8,1 per cento, 13 seggi), i Verdi (7,2 per cento, 10 seggi), il Partito del Popolo Svedese (4,3 per cento, 9 seggi) e i Cristiano-Democratici (4 per cento, 6 seggi).

    Il risultato della destra populista dei Veri Finlandesi premia una lunga camminata politica, che negli ultimi anni ha cambiato passo ed è diventata una corsa: nel 1999 si accontentarono dell'1 per cento (e di un seggio), nel 2003 ritoccarono il loro risultato (1,6 per cento e 3 seggi), nel 2007 iniziarono a contare qualcosa (4,1 per cento e 5 seggi) e nelle elezioni europee del 2009 fecero per la prima volta paura all'establishment politico finlandese (9,8 per cento). In quest'ultima occasione, il leader euroscettico Soini si accaparrò uno dei 13 seggi di Strasburgo destinati alla Finlandia e si rivelò il candidato con più preferenze in assoluto.

    In realtà, pur nati nel 1995, e quindi piuttosto giovani, i Veri Finlandesi non sono sorti dal nulla, ma hanno raccolto l'eredità del Partito Rurale Finlandese in cui lo stesso Soini ha militato fin da adolescente e da cui provengono non soltanto i fondatori dei Veri Finlandesi ma anche molte delle loro idee e del loro affetto nostalgico per una Finlandia contadina e appartata, scomparsa da decenni.

    Il Partito Rurale, guidato con abilità da Veikko Vennamo e poi più goffamente da suo figlio Pekka, attraversò tutta la seconda metà del Novecento, sperimentando talvolta risultati elettorali a doppia cifra e assaggiando anche qualche incarico di Governo. L'origine dell'aggiornato racconto politico di Soini va ricercata proprio nella storia del Partito Rurale e nel suo populismo d'epoca, che era diretto soprattutto a quei piccoli contadini che, a partire dal dopoguerra, sono man mano stati costretti all'inurbamento, ma hanno continuato a sentirsi come i depositari della finnicità più genuina.

    Il programma politico dei Veri Finlandesi misacela un approccio all'economia piuttosto di sinistra, in cui c'è largo spazio per il mantenimento del welfare state, e una difesa conservatrice dei valori tradizionali. La posizione sull'immigrazione è di chiusura, ma si tratta più che altro di un tema in potenza, visto che di stranieri in Finlandia ce ne sono pochi, o comunque non abbastanza perché essi diventino centrali nel dibattito politico ed elettorale. Il perno propagandistico attorno a cui Soini e i suoi hanno efficacemente fatto volteggiare la propria campagna elettorale è quello dell'euroscetticismo. I Veri Finlandesi oppongono un "no" assoluto a ogni ipotesi di utilizzare ancora quattrini finlandesi nel bail-out atteso in Portogallo, che dovrebbe seguire quelli accordati all'Irlanda e alla Grecia.

    Folte soppraciglia biondicce, guance ultrafloride da buon commensale, una testa massiccia che si avvita su un collo taurino, un sorriso bonario che ha qualcosa in comune con quello di Shrek e un corpaccione oversize, Timo Soini sa conquistare le folle. Chi conosce l'idioma finnico assicura che il capo dei Veri Finlandesi ha un'oratoria in cui le cose difficili sembrano semplici e che nei suoi discorsi il gergo politico si diluisce in una lingua quotidiana, fatta di frasette brevi, più inclini all'ironia che alla sovrabbondanza di subordinate bizantine.

    Soini sarà senz'altro un vero finlandese, nazionalista e legato alle radici patrie, ma non lo è calcisticamente: della sua divisa di ordinanza fa parte la sciarpa del Millwall, un club calcistico londinese che gioca nella Championship, la serie B inglese, e che riceve un tifo idolatrico da parte del politico finnico. Forse il Millwall esercita il suo fascino su Soini per essere una squadra delle periferie londinesi, non troppo dissimili dalle periferie di Espoo, nell'hinterland di Helsinki, in cui lui stesso vive orgogliosamente da sempre. Cosa che fornisce combustibile alla sua allure da uomo qualunque e gli garantisce un certo successo anche nell'elettorato di sinistra, specie nel voto locale; uno studio dettagliato dell'Ufficio di Statistica finlandese ha rilevato come nelle elezioni municipali del 2008 i Veri Finlandesi abbiano rosicchiato voti soprattutto alla sinistra moderata del Partito socialdemocratico e a quella radicale dell'Alleanza di sinistra.

    Forse invece il Millwall piace a Soini per il fatto di essere una scelta minoritaria, così come minoritaria è, nel suo paese, la fede cattolica che ha deciso di abbracciare dopo l'incontro con una suora irlandese e che è praticata, nella Finlandia luterana, da meno di una persona su cento. Eppure sono proprio le minoranze a temere di più l'ascesa dei Veri Finlandesi, in primo luogo quella di lingua svedese (circa il 5 per cento della popolazione complessiva), che è concentrata nelle regioni sudoccidentali ed è provvista di un partito politico di raccolta, il Partito del Popolo Svedese, che fin dal 1972 ha partecipato a tutti gli esecutivi di Helsinki, di ogni colore politico.

    I Veri Finlandesi, infatti, propongono di scardinare il bilinguismo esistente nel paese e di eliminare l'obbligatorietà dello studio dello svedese nelle scuole. A questo proposito, anche il ministro degli Esteri di Stoccolma, il conservatore Carl Bildt, si è detto preoccupato del risultato elettorale raggiunto dal partito di Timo Soini nel paese vicino e il settimanale svedese The Local, nei giorni scorsi, ha addirittura pubblicato un allarmato report sulle minacce che in Finlandia si stanno addensando sulla tutela della lingua svedese.

    Componente di una minoranza, ma temuto da altre minoranze, Soini vive anche la contraddizione di un amore più volte proclamato per l'Irlanda, in cui ha trovato la fede cattolica, e la sua opposizione ai salvataggi all'interno dell'Unione europea, di cui proprio l'Irlanda è uno dei beneficiari. E sarà comunque proprio l'irritazione dei cittadini finlandesi verso i bail-out, che cresce e ha premiato il partito di Soini, a creare grattacapi a Bruxelles (ironia vuole che Olli Rehn, il commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, sia anche lui finlandese). Infatti, quale che sia il Governo che nascerà a Helsinki dopo una difficile negoziazione, quasi di sicuro esso ospiterà o i Veri Finlandesi o i Socialdemocratici, che sull'Europa hanno assunto una posizione non molto dissimile da quella di Soini e che in Parlamento hanno già votato contro i bail-out per la Grecia e l'Irlanda.

    18 aprile 2011
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    Europa sveglia! Non sono un bluff i voti all'ultradestra
    Giancarlo Loquenzi
    Il 30 maggio del 2005 con il “no” francese al referendum sulla Costituzione Europea, l’Unione rischiò di morire a causa della paura per “l’idraulico polacco”. Dopo quel fallimento arrivò anche il “no” olandese che costrinse le élite europee a rinunciare all’idea stessa di Costituzione. Ma persino il molto meno ambizioso Trattato di Lisbona, sottoposto al voto popolare in Irlanda nel 2008 fu sonoramente bocciato.
    Sono solo alcuni dei gravi incidenti di percorso che nell’ultimo quinquennio hanno visto la sopravvivenza dell’idea di Europa messa democraticamente in discussione dai suoi stessi cittadini. E ogni volta gli establishment europei e nazionali hanno trovato il modo di nascondere la questione sotto il tappeto, girare le spalle al giudizio degli elettori e rattoppare il tessuto comunitario per tenerlo insieme in un modo o nell’altro. All’epoca del referendum Irlandese il presidente Napolitano arrivò persino a minacciare Dublino di espulsione dall’Europa per il suo voto.
    Così oggi che l’Unione rischia di essere travolta dai manovali magrebini, dai contribuenti greci, dai banchieri irlandesi, dai proprietari immobiliari spagnoli, dai debitori portoghesi, rimane ben poco da rattoppare e l’Europa nel suo complesso appare un’arena dove tutti sono in guerra contro tutti.
    I segnali si sono addensati negli ultimi mesi e parlano da soli. Le divisioni intra-europee sull’intervento in Libia, lo scontro tra i governi italiano e francese sulla gestione degli immigrati nordafricani, il braccio di ferro tra la Germania e la Bce sui bailout dei debiti sovrani di Grecia e Portogallo, la nascita ormai quasi ufficiale di un “club europeo della tripla A” con i sei paesi senza macchie sul debito che si sono riuniti a gennaio a Bruxelles prima dell’incontro dell’Ecofin, la contrapposizione continua tra governi e banche sulla ripartizione delle perdite da titoli tossici, gli stress test e le nazionalizzazioni, le paure est-europee per l’espansionismo russo e le delusioni sud-europee per la mancanza di una politica mediterranea. E’ solo un rapido elenco delle fratture che attraversano la costruzione europea e ne minano la credibilità interna e internazionale.
    Non è strano dunque se i cittadini dei paesi membri trovino nelle elezioni locali e nazionali uno sfogo per la loro disaffezione, una rivincita per l’incapacità di incidere sui meccanismi comunitari e una condanna verso le élite nazionali paralizzate dai veti e dagli obblighi europei. Quello che i giornali del vecchio continente continuano da tempo ad etichettare – non con un certo disprezzo - come il montare delle destre nazionaliste, populiste o xenofobe altro non è che il grido di allarme di cittadini che sentono di aver perso il controllo sulle cose che li riguardano più da vicino.
    Il più recente caso finlandese, con l’incredibile affermazione del partito di Timo Soini, True Finns che nelle elezioni politiche ha quintuplicato i suoi voti arrivando al terzo posto, è la dimostrazione più eloquente di questo disagio. La Finlandia non è un paese tradizionalmente euroscettico, anzi, condividendo la più lunga frontiera con la Russia di ogni altro paese europeo, ha sempre visto l’adesione all’Unione come un fattore chiave della sua sicurezza nazionale. Il rifiuto di partecipare al finanziamento degli 81 miliardi di euro richiesti dal salvataggio del Portogallo è stato però l’elemento simbolico che ha sospinto il True Finn nelle urne. Una protesta duplice: contro l’indisciplina finanziaria dei paesi meridionali ma anche contro la pretesa tedesca di salvare quei paesi a spese di quelli più ricchi e previdenti.
    Il caso finlandese non è certo isolato in Europa. La stessa spinta anti-establishment, sia esso di destra o di sinistra, conservatore o progressista si vede in molti altri paesi europei. In Francia, dove il Fronte Nazionale di Marine Le Pen è data in vantaggio su Nicolas Sarkozy nei sondaggi per le presidenziali del 2012; in Ungheria dove nelle elezioni del 2010 il partito Jobbik ha preso un inatteso 17 per cento e 47 seggi in Parlemento; in Olanda e in Danimarca, Geert Wilders con il suo Freedom Party e Pia Kjærsgaard con il Partito Popolare danese sono entrati nelle compagini di governo a l’Aia e a Copenaghen; in Svezia, tempio della socialdemocrazia, i Democratici di Jimmie Akesson sono entrati in Parlamento con una piattaforma apertamente anti-immigrati. Ma si tratta di un fenomeno che non riguarda soli i paesi ricchi del nord: anche la Lega in Italia condivide caratteristiche comuni a questa tendenza.
    [Il fatto è che anche la Padania sarebbe appunto “un ricco paese del Nord”, se non fosse rovinata e zavorrata dal peso morto e parassitario della Terronia…]
    Se il livello di analisi nel dibattito pubblico europeo continuerà a interpretare simili fenomeni come una forma di involuzione populista e tendenzialmente poco democratica, senza coglierne al contrario il tentativo di una riconquista da parte degli elettori di spazi sempre più devoluti alle tecnocrazie sovranazionali di Bruxelles o di Francoforte, la salute complessiva dell’organismo comune europeo non potrà che peggiorare e dell’Unione non resterà che un sussiegoso strascico retorico.
    Europa sveglia! Non sono un bluff i voti all'ultradestra | l'Occidentale

    Ungheria: una Costituzione molto poco europea
    Ungheria. Il Parlamento di Budapest ha adottato una nuova costituzione "ultraconservatrice" che, secondo le opposizioni "riduce il potere alla Corte Costituzionale, sopprime l'indipendenza della magistratura e riduce i diritti sociali". Sempre secondo l'opposizione il testo rimette in discussione i principi di uguaglianza dei cittadini davanti a legge. Questo il preambolo del nuovo testo costituzionale: "Noi siamo fieri che il nostro Re, Santo Stefano, abbia fondato mille anni fa lo stato ungherese su basi solide", che procede consacrando il matrimonio come "Unione tra un uomo e una donna". Molte Organizzazioni non Governative condannano la forte ideologia del testo ed esprimono preoccupazione per la sorte dei non credenti, degli omosessuali e delle famiglie monoparentali. L'approvazione della nuova Costituzione è stata resa possibile dalla schiacciante vittoria del partito dell'Unione Civica Ungherese (Fidesz) che ha ottenuto 263 seggi sui 386 totali nelle elezioni dell'anno passato.
    Flash news - Ungheria: una Costituzione molto poco europea | Onli | L'informazione s-confinata

    Ungheria, entrata in vigore la nuova Costituzione
    Il parlamento di Budapest ha approvato, con 262 voti a favore, 44 contrari e una astensione, la nuova Costituzione del paese. Il testo ha un’impronta fortemente conservatrice e confessionalista. Nell’introduzione, insieme alla definizione dell’Ungheria quale “nazione etnica” degli ungheresi, è scritto che viene “onorata la sacra la corona di re Stefano che da più di mille anni rappresenta l’unità della nazione”: il cristianesimo e Dio sono esplicitamente indicati quali elementi su cui si fonda il paese. Il testo ribadisce inoltre che il matrimonio è solo quello tra un uomo e una donna e sostiene, in linea con la dottrina cattolica, che “la vita del feto va protetta fin dal suo concepimento”. Sono infine state imposte numerose limitazioni all’azione della Corte Costituzionale.
    Ungheria, entrata in vigore la nuova Costituzione - UAAR Ultimissime

    ORRORE, ORRORE. LA NUOVA COSTITUZIONE UNGHERESE PARLA DI DIO - di Paolo Deotto
    L’Europa è in pericolo. Già, forse non lo sapevate, e vi trastullavate tranquilli. Ma oscure trame si stanno intessendo per trasformare la libera (?) Europa in un angosciante carcere, dove i dissidenti verranno sottoposti a torture, dove la lotta per le libertà più preziose (aborto, eutanasia, omosessualità, sfascio della famiglia, diffusione della droga) verrà repressa da spietati aguzzini.
    Ebbene sì. È la stessa ANSA, la più importante agenzia di notizie, che ci comunica che in Ungheria è stata approvata proprio oggi, lunedì 18 aprile 2011, la nuova costituzione “ultraconservatrice”.
    Capito?
    Mica semplicemente “conservatrice”, che già sarebbe agghiacciante.
    No, “ultraconservatrice”.
    Non dubitiamo che le forze sane, laiche e democratiche, scenderanno al più presto in lotta. Però, per ora, sono annichilite dall’orrore, vetrificate dallo sdegno.
    Pensate un po’: la nuova Costituzione magiara contiene un preambolo in cui dichiara che “Dio e il cristianesimo sono gli elementi unificanti della nazione”.
    Ohibò.
    Poi ci sono altre cose terribili. Si arriva a dire che la vita del feto va protetta dal momento del concepimento, il che significa un futuro divieto d’aborto.
    Brivido.
    E poi si prevede il diritto di voto per gli ungheresi all’estero. Ciò causerà, stabiliscono non ben identificati “analisti”, attriti con Romania e Slovacchia, dove vivono forti minoranze ungheresi.
    Perché attriti? Boh!
    Forse gli ungheresi all’estero quando andranno a votare (presumibilmente nei loro consolati o ambasciate) si abbandoneranno ad azioni turpi e riprovevoli, o diranno parolacce, o sbeffeggeranno i passanti? Non si sa, ma se lo dicono gli analisti, vuol dire che hanno analizzato.
    E poi, altre norme che limitano il potere della magistratura, e altre che identificano la nazione politica con la nazione etnica, e così via.
    Vuoi mettere i grandi passi che ha fatto la civiltà in altri Paesi? Proprio ieri leggevamo che il Senato della California ha intenzione di approvare una legge che imporrà nelle scuole un nuovo insegnamento: il contributo di invertiti e invertite al progresso dello Stato. Proprio così, gli studenti della California dovranno imparare che il loro Stato senza invertiti/e sarebbe andato a rotoli.

    Oppure, per restare a casa nostra, si sono già accoppati sei milioni di italiani, che essendo ancora feti non potevano né urlare né, soprattutto, votare. E poi ci sono i matrimoni tra pervertiti, e ci sono le proposte per la legittimazione dell’incesto. Insomma, il progresso marcia. (con un dubbio: la radice è “marciare” o “marcire”?).
    E adesso arrivano questi pazzi ungheresi a parlare di Dio e a dire che la vita va difesa fin dal concepimento.
    Dove andremo a finire? Non vorranno questi quattro pellegrini fermare la trionfale marcia dell’Europa verso il fondo della fogna. I paladini della libertà vigilano, e lo impediranno. Potrebbero chiedere una consulenza ad Asor Rosa. È un tantino suonato, ma sa tutto sulle democrazie in pericolo e sui metodi per rimediare.
    Ah, dimenticavo. La nuova costituzione è stata approvata dal partito di centro destra, che detiene il potere e ha due terzi dei seggi in Parlamento. C’è da presumere che anche in Ungheria capiti che si vada in Parlamento se si è eletti, per cui la nuova Costituzione è stata votata dai rappresentanti del popolo.
    Già, però è ultraconservatrice. Quindi, bisogna attivare la vigilanza democratica. Anzi, come direbbe Peppone, “attivizzare”.
    Al proposito l’ANSA ci fornisce anche, non senza un fremito di preoccupazione, la mappa dei partiti di destra che stanno mettendosi in luce in Europa. Volete vederla?
    Mappa partiti estrema destra in Europa - Economia - ANSA.it
    Si sa mai che questi ultraconservatori si imbaldanziscano, e vadano a parlare di Dio anche altrove. Sarebbe inaccettabile.
    Comunque, tanti auguri al popolo e al governo ungherese. E ai governanti magiari ci permettiamo di dare solo un consiglio: viste le scelte politiche ben precise che hanno fatto, e visto ciò che accadde in Polonia, per i loro spostamenti evitino scrupolosamente l’aereo, perché se precipita ci si fa molto male, si può anche morire. Non si sa mai, quando si votano costituzioni “ultraconservatrici” bisogna stare attenti.
    ORRORE, ORRORE. LA NUOVA COSTITUZIONE UNGHERESE PARLA DI DIO - di Paolo Deotto












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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    UNGHERIA: una lezione di verità
    CR n.1189 del 30/4/2011
    Il Parlamento ungherese ha votato a stragrande maggioranza (262 favorevoli contro 44 contrari più una sessantina che hanno abbandonato l’aula al momento del voto) una nuova Carta costituzionale che prevede:
    1) il Cristianesimo come religione base del popolo ungherese (completa rimane peraltro la libertà religiosa);
    2) la protezione della vita sin dal concepimento (sebbene esista una legge comunista mai abrogata che consente e regola l’aborto);
    3) la promozione della famiglia, rappresentata dall’unione in matrimonio fra un uomo e una donna;
    4) la proibizione delle pratiche eugenetiche;
    5) limitazioni ai poteri della Corte Costituzionale, specie in materia finanziaria;
    6) doveri dei genitori verso i figli ma anche doveri dei figli verso i genitori anziani;
    7) limitazione costituzionale all’indebitamento dello Stato non oltre il 50% del Pil e l’obbligo di una maggioranza dei due terzi per l’introduzione di nuove tasse;
    8) invocazione della responsabilità di fronte a Dio dei parlamentari che approvano la Costituzione;
    9) formalizzazione costituzionale dello stemma nazionale centrato sulla Santa Corona e su Santo Stefano, simboli dell’eredità storica cristiana dell’Ungheria;
    10) la “nazione su base etnica”, pur nella piena difesa dei diritti delle minoranze presenti nel Paese.

    Si sono già scatenate le proteste delle associazioni abortiste, omosessualiste, femministe, e di Amnesty International. L’Unione Europea è già intervenuta e la campagna massmediatica della calunnia organizzata è partita.
    Eppure, per tutti i secoli passati, per ogni Stato di quella che fu l’Europa cristiana, dall’alto Medioevo fino alla Rivoluzione Francese e per molti Paesi fino al XX secolo, il Cristianesimo fu la religione unica delle singole popolazioni. Ciò vuol dire che in Ungheria si è semplicemente detta la verità e ribadita una realtà di fatto, misconosciuta dalle menzogne del relativismo imperante.
    Che una delle componenti essenziali per l’esistenza di una nazione sia il ceppo etnico comune, è una verità tanto basilare da essere banale. Ciò che fa una nazione non è l’ideologia politica dominante (concezione utopista della nazione, sulle orme di Mazzini), bensì l’eredita comune di etnia, di lingua, di religione, di cultura, di tradizioni. Naturalmente, occorre vigilare che da questi elementari principi non si precipiti in pericolose derive razziste, ma, come noto, l’abuso non toglie l’uso.
    Riguardo poi la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, ebbene, questa è veramente una grande vittoria.
    E che dire della diminuzione del potere della magistratura in materia finanziaria e dello stesso potere esecutivo e legislativo in materia di tassazione? Non è anche tutto ciò un modo concreto di diminuire lo strapotere statalista e di aiutare le famiglie e un’economia più ordinata e meno soggetta ai poteri forti internazionali?
    E per finire, la condanna dell’eugenetica, l’invito alla solidarietà fra le generazioni (punto che sembra secondario, ma invece va a intaccare uno dei cardini della dissoluzione sessantottesca, quello del “conflitto generazionale”), l’invocazione dei politici alla responsabilità agli occhi di Dio dei loro atti e delle loro leggi, il richiamo all’identità cattolica della grande Ungheria del passato.
    Da oggi gli ungheresi sono politicamente “eretici”. Ma essere “eretici” al politicamente corretto significa opporsi al relativismo dominante l’Europa odierna dei burocrati e della grande finanza laicista. Significa iniziare, almeno iniziare, a riscoprire le radici cristiane dell’Europa millenaria e reale. Significa insomma aderire alla verità.


  10. #10
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    Predefinito Rif: Elezioni in Finlandia: vittoria per l'amico Timo Soini

    I nostri fratelli di sangue e di spirito finlandesi vogliono delle solide garanzie da parte dei greci, fratelli di sangue e di spirito dei terroni…

    Finlandia chiede alla Grecia il Partenone a garanzia dei prestiti
    Il Paese scandinavo è inflessibile sulla necessità che Atene dia in pegno anche beni immobiliari
    21 lug. (TMNews) - La Finlandia è inflessibile: niente nuovi aiuti alla Grecia se Atene non fornirà adeguate garanzie in pegno. E dato che la Grecia ha già approntato un piano di privatizzazioni che coinvolge buona parte delle sue infrastrutture e società di forniture si servizi locali, in definitiva quello che le resterebbe da offrire sarebbero soprattutto monumenti, acropoli, musei o il Partenone. A ribadire la questione era stato ieri il premier finlandese Jyrki Katainen, alla vigilia del vertice straordinario dell'area euro sui nuovi aiuti alla Grecia. "La Finlandia - aveva detto, secondo quanto riporta Dow Jones - considera irrinunciabile la questione dei collaterali", riferendosi appunto alle garanzie sui prestiti concessi. Il Paese scandinavo aveva inoltre puntualizzato che come garanzie avrebbe potuto accettare beni immobiliari posseduti dallo Stato greco o partecipazioni azionarie in società di gestione immobiliare create dalla Grecia. Queste rigidità in parte sembrano legate alle recenti elezioni nel Paese, nelle quali il fronte dei contrari ai programmi di salvataggio in ambito Europeo si è molto rafforzato. Peraltro secondo un sondaggio pubblicati dal quotidiano Helsingin Sanomat, una schiacciante maggioranza di finlandesi, l'86 per cento chiederebbe al governo di tenere una linea intransigente sulla questione.
    Finlandia chiede alla Grecia il Partenone a garanzia dei prestiti - - Virgilio Notizie

 

 

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