Emilio Carelli: « Il giornalismo senza faccia a faccia? Svilito, mortificato»
Martedì 19 Aprile 2011 03:00
Il giornalismo senza faccia a faccia? «Svilito e mortificato», preda di porti sicuri che ai telespettatori non interessano. Così Emilio Carelli, direttore di Sky Tg24 illustra la campagna che proprio la rete all news sta lanciando per allietare il dibattito politico di più confronti a viso aperto, magari con un leader contro l’altro, così come accade in moltissimi altri paesi del mondo. Ma non in Italia.
Campagna Sky per i faccia a faccia: come mai l’Italia è così clamorosamente in ritardo?
Fino ad oggi i faccia a faccia sono stati fatti in rare occasioni. E il candidato premier che era in vantaggio, ha evitato di farlo.
Penso all’esperienza delle elezioni 2006 quando si realizzò l’ultimo faccia a faccia, o al 2008 quando Berlusconi, che era in vantaggio, si rifiutò. In questo senso siamo in ritardo: non riusciamo a fare ciò che in altri paesi europei e del mondo è routine.
Paura, timori di esporsi o scarsa cultura politica?
Forse il timore di perdere il vantaggio che si ha. Mentre in molte altre democrazie occidentali il faccia a faccia è diventato un diritto consolidato degli elettori, quasi un costume, o uno strumento di valutazione rispetto a ciò che successivamente sceglieranno nelle urne, in Italia tutto ciò è ancora molto aleatorio. Perché si può fare, ma non si può fare: non esiste una consuetudine. Questo è l’obiettivo per il quale noi lottiamo. Vorremmo semplicemente che diventasse una sana abitudine democratica, da attuarsi in occasione di ogni campagna elettorale.
È così difficile darsi delle regole, chiare e precise?
Non è difficile, anzi. Il problema è che in Italia viviamo una situazione particolare, quella del conflitto di interessi del premier che, comunque, di fatto controlla direttamente o indirettamente diverse catene televisive. Quindi sicuramente il faccia a faccia dovrebbe avere delle regole, che però non sono quelle della par condicio. Ma che assistano i due partecipanti, garantiscano tempi e un equilibrio evidente da parte della conduzione e del moderatore. E che non siano tanto rigide da mortificare l’aspetto giornalistico. Il faccia a faccia, a mio parere, è forte se si basa su concetti giornalistici, altrimenti perde il suo appeal. Francamente quello che abbiamo visto nel 2006 aveva delle regole e delle dinamiche così rigide e severe, che hanno un po’ svilito il tutto. Bisognerebbe permettere ai giornalisti di fare il proprio mestiere: equilibrato e senza fare sconti né all’uno né all’altro.
Videomessaggi, poche domande e allergie al pluralismo: dove sta andando questa professione?
Credo che ci possa essere una volta l’esigenza di un videomessaggio, ma se esso diventasse l’unica modalità di visibilità televisiva circa la comunicazione dell’uomo politico, sarebbe un passo indietro. Intendendo sottrarsi a domande anche scomode. Però fa parte del compito del politico rispondere a domande non gradite. Non ricordo, ultimamente, un’ampia intervista effettuata in televisione ad un presidente del consiglio: di solito ci sono apparizioni o comparizioni, o interventi telefonici. Ma un’intervista vera dinanzi ad un giornalista o ad un panel di giornalisti che però pongono domande anche irriverenti, non lo ricordo proprio. E farebbe bene a tutti, alla democrazia, alla politica ed ai telespettatori.
Da osservatore, come valuta il livello raggiunto nel dibattito politico, trasformato di fatto in un ring permanente?
I toni aspri e violenti della politica di questi ultimi mesi non aiutano, nemmeno a comprendere il ragionamento fatto fino ad ora. Tutto ciò che sta accadendo, è anche il risultato del mancato ritorno della politica nell’alveo delle idee e dei pensieri, delle soluzioni di problemi. Invece sono tutte argomentazioni di cui non si discute più, concentrandosi solo sugli attacchi personali, su questioni a senso unico come la giustizia.
A chi giova questo caos?
A nessuno, perché alla fine la gente è sempre più arrabbiata. Il cittadino è intelligente e valuta che in questi mesi nessuno sta affrontando i suoi problemi. Che la politica è auto referenziata e si occupa solo dei propri problemi.
Francesco De Palo