Berlicche
Berlicche
Una lama nella notte
Il mio coltello è ancora sporco di sangue.
Sì, ho mirato per uccidere. Non capivo più niente. Ci si spintonava,
e i bastardi erano armati, e quello ha detto qualcosa, non ricordo
neanche cosa, e allora ho tirato fuori il coltello e ho colpito.
Se non era svelto lo aprivo in due.
La ferita era comunque brutta, sanguinava come un porco.
Credo che per poco non ci abbiano ammazzati tutti, erano molti più di noi
e insomma, noi eravamo anche vecchi e ragazzini e gente per bene,
che un coltello non l'ha avuto mai, mica tutti mezzi delinquenti come me.
Io il ferro lo so usare, con il mio lavoro, e mi era già capitato di tirarlo fuori.
Prima.
E pensare che quel Giuda è anche più svelto di me. Ma oh, guardate,
l'avrei sgozzato se fossi riuscito a prenderlo.
Alla fine siamo scappati.
Mi fanno male i polmoni per la corsa. Ho la mano appicicosa per il sangue.
Non ci capisco più niente. Non ci capisco più niente.
Volevo dargli il tempo per fuggire. Gliel'ho anche urlato, scappa,
è te che vogliono. Con quello che l'ho visto fare, avrebbe potuto
sbatterli tutti giù con una parola.
Invece si è messo in mezzo.
L'orecchio penzolava, quello sanguinava, e lui l'ha guarito.
E poi l'hanno preso.
E io sono scappato, tutti siamo scappati.
Il mio coltello è ancora sporco di sangue. Io, sono ancora sporco di sangue.
Non so adesso cosa succederà. Sono solo un pescatore che per un attimo
ha creduto di essere qualcosa di più. Un pescatore ignorante e rissoso,
duro come la pietra, a cui qualcuno ha messo un nome troppo pesante.
Dove andrò? Chi mi salverà, adesso? Chi salverà tutti noi?
L'albero
E' lontano ma lo vedo bene, l'albero. Sono ore che lo guardo,
da quando è fiorito.
Il caldo di questa settimana ha asciugato tutte le pozzanghere, ma
ora il cielo è di nuovo cupo, livido, come un mantello sospeso sulla città.
Frange di tempesta si abbassano quasi a toccare le colline, e la gente
cammina guardando in alto.
Cammina parlando piano, sussurrando, trovandosi in capannelli
agli angoli dei viottoli, e di tanto in tanto sbirciando l'albero.
Io me ne sto nascosto. Ho un livido sulla spalla che mi fa male,
ma quello che fa più male non si vede. Sul tetto ci siamo io e Filippo,
dietro il muretto che dà sul vicolo. Non so gli altri.
Credo che sotto l'albero ci sia Giovanni, sono quasi sicuro che è lui.
Adesso non c'è quasi più nessuno lassù sulla collina, e il vento ha pulito l'aria.
Si vede bene, si vedrebbe bene se non fosse per la distanza.
Ma mi sento i suoi occhi addosso. E' impossibile, ma li sento. Mi bruciano.
Vorrei anch'io andare sotto l'albero, ma non ho il coraggio.
Non ho il coraggio, non ho la forza, o l'intelligenza.
O forse semplicemente non ho l'amore, non ho abbastanza amore.
Dovrebbe essere lui, come aveva fatto, a venire da me, a prendermi per mano.
Ma la sua mano è inchiodata sull'albero.
Sono stato un illuso. Mi sono giocato la vita per un'illusione,
che ora sta morendo.
Eppure a ripensarci è stato tutto vero.
E non riesco a spiegarmi, non riesco a capire come sia stato possibile.
Perchè se non posso credere a quello che ho visto e sentito,
a cosa posso credere? Dove posso andare?
Dovrei fare come Giuda, che si è ammazzato?
Perchè, che senso avrebbe se no la vita?
Posso continuare a vivere come se non fosse accaduto niente?
Devo vivere il resto dell'esistenza come una menzogna?
Da lontano guardo l'albero, e non riesco ad andare più vicino.
Anche se non ho più una vita da perdere.
Crux fidelis, inter omnes arbor una nobilis:
nulla silva talem profert,
fronde, flore, germine.
Dulce lignum, dulces clavos, dulce pondus sustinet.
O Croce fedele, il più nobile fra tutti gli alberi:
nessun bosco ne produce uno simile
per fiore, fronda, frutto.
Dolce legno, che con dolci chiodi sostieni il dolce peso.
I fiori della primavera
Lei finisce di parlare, ed io e Giovanni ci guardiamo.
Gli altri hanno facce pallide, più pallide ancora dell'altro ieri.
Nessuno si muove per lunghi attimi.
Scattiamo nello stesso istante, senza parlare, scontrandoci
per passare dall'uscio, fregandocene se ci vedono.
Ormai è giorno fatto, e le strade sono affollate di gente venuta per la festa.
Corriamo sull'acciottolato sdrucciolo, ancora umido, rischiando di spaccarci
l'osso del collo, urtando i passanti che ci urlano dietro insulti.
Corriamo fino alla porta, in mezzo agli asini indifferenti, ai cammelli ignari,
ai mercanti incuriositi, alle donne che fanno la spesa, ai bambini vocianti
che ci inseguono per un tratto ridendo.
Rallentiamo, passiamo in mezzo alle guardie che non ci degnano
di un'occhiata, siamo fuori dalla città.
Giovanni si torce le mani, io sono sudato, ansimo, le gambe mi fanno male.
Non parliamo, non osiamo, non osiamo sperare, non osiamo credere.
A metà della salita mi fermo, non ho più fiato.
Giovanni si volta, mi aspetta, ma io gli faccio cenno di andare pure.
Quando riparto lui ha già imboccato il viottolo.
Il silenzio, alle tombe, è irreale. Non c'è nessuno.
Giovanni è in piedi, davanti all'apertura. Immobile, mi attende.
La pietra è di lato, macchiata dal rosso dei sigilli.
Nell'aria c'è il profumo dei fiori della primavera.
La tomba è buia, mi chino, entro.
Una lama di luce illumina il sudario ancora legato,
macchiato di sangue marrone, afflosciato, vuoto.
"Giovanni," farfuglio.
Lui entra.
Vede.
E, anche lui, crede.
Non scorderò mai il profumo di quei fiori.
Grazia
La Grazia, non l'avevo mai capita.
Questa cosa misteriosa, senza cui non puoi salvarti.
Me la visualizzavo come una sorta di scarica elettrica,
o il raggio di luce che illumina i Blues Brothers nell'omonimo film.
Quanto sbagliavo.
La Grazia è qualcosa di assolutamente concreto.
La Grazia è la possibilità che ti viene data ogni giorno di ricominciare.
Gratuitamente, appunto, senza che tu te la meriti.
Può giungere in qualunque modo.
La parola di una persona che conosci, o non conosci affatto.
Un sorriso. Un albero nella nebbia. Un libro.
Il rumore del mare, una morte, tua figlia, il vento.
Ma soprattutto quelli che magari non conosci, ma che hanno a cuore la tua vita.
La Grazia è un avvenimento imprevisto che ti smuove e che ti muove,
e che hai solo da accettare per quello che è, senza mettere di mezzo
quello che pensi dovrebbe essere.