Per gli Usa la caduta di Assad arginerà le mire di Teheran
di Mario Platero NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Con l'assedio sempre più aggressivo del regime siriano, l'amministrazione Obama è giunta all'appuntamento strategico più importante e complesso nella marcia per assecondare le rivendicazioni democratiche del popolo arabo. Per Washington la Siria è la tappa intermedia, una delle ragioni per cui si è intervenuti in Libia e si è tenuta la barra dritta in Egitto, Tunisia e Yemen. Una possibile caduta del regime di Assad infatti, non avrà solo ripercussioni interne a Damasco, ma cambierà l'intero assetto di un fronte, quello siriano/iraniano, ostile all'Occidente.
La conseguenza più diretta di una caduta di Assad e della nascita di governo democratico? La chiusura della porta d'accesso dell'Iran al Libano e al Mediterraneo e, quel che più conta, a Hezbollah e Hamas. Il paradosso è che questo avverrebbe quando Hezbollah è più forte. Ma anche quando il gruppo estremista islamico si accorge che governare a Beirut è più difficile di quel che potesse pensare la sua leadership. Tagliare il cordone ombelicale di Hezbollah e Hamas con l'Iran avrebbe dunque un impatto diretto sullo scacchiere mediorentale, sul dialogo fra Israele e palestinesi, sul ridimensionamento possibile del potere di Hamas a Gaza. Ma c'è anche il messaggio soft: se la protesta siriana avrà successo, galvanizzerà la protesta iraniana che «esploderà fra qui e i prossimi sei mesi al massimo». Secondo un consigliere molto vicino a Obama, profondo conoscitore della regione, il contesto degli eventi di queste settimane è più ampio: per la Siria la partita non sarà necessariamente facile, a differenza dell'Egitto le forze armate siriane sono divise almeno in tre fazioni. Una caduta del regime, che fa da collante, potrebbe scatenare una guerra civile e non incoraggiare necessariamente un cambiamento di uomini e di mentalità.
Ma la scelta americana resta quella di tenere la linea del rigore. L'altra sera Obama ha detto: «Gli Stati Uniti continueranno a difendere le aspirazioni democratiche e i diritti universali cui tutti gli esseri umnai hanno diritto, in Siria e in tutto il mondo». Una spinta per gli insorti siriani (ma anche per quelli iraniani) verrà da una rapida conclusione dell'impasse libico. L'esercito libico non è quello iracheno e la partita potrebbe davvero chiudersi in pochi giorni con la cattura o l'esecuzione di Gheddafi. Il presidente dovrebbe decidere sapendo che il rischio sarà quello di dimissioni del segretario al Pentagono Bob Gates.
La lezione libica tuttavia ha avuto anche un impatto negativo. Gheddafi in un accordo con l'Occidente aveva rinunciato a cercare di dotarsi di armi nucleari. Il suo assedio dimostra ai realisti nel mondo islamico che se avesse avuto armi nucleari forse non si sarebbe trovato in stato di assedio da parte delle truppe alleate. Tra le conseguenze c'è che il Pakistan sta accelerando il rafforzamento del suo arsenale nucleare. È già la quinta potenza nucleare, entro breve potrà diventare la quarta scalzando la Francia (le altre sono nell'ordine Stati Uniti Russia e Cina). L'Iran sta freneticamente accelerando i suoi progetti per armi atomiche e l'Arabia Saudita ha cominciato a perseguire progetti analoghi con altrettanta rapidità. Una ragione in più per auspicare che la regione araba si apra: meglio la democrazia che restare ostaggio di dittatori o peggio, di estremisti islamici.
Per gli Usa la caduta di Assad arginerà le mire di Teheran - Il Sole 24 ORE