Per quale motivo Grecia, Irlanda e Portogallo devono cercare rifugio sotto l’ombrello di salvataggio dell’Unione europea, e perché la Spagna è un potenziale candidato?

Per molti la risposta è ovvia: i mercati internazionali non intendono più finanziare i PIGS. Ma questa è una mezza verità. Negli ultimi tre anni non sono stati solo i mercati a finanziare in maniera consistente questi paesi; se n’è occupata anche la Banca centrale europea. I cosiddetti conti Target, finora ignorati dai media, indicano che la Bce è stata di gran lunga più coinvolta nelle operazioni di salvataggio di quanto generalmente si pensi.

Il punto è che la Bce in questo momento non ne vuole più sapere e fa pressioni sui membri dell’eurozona affinché intervengano.

Normalmente il deficit delle partite correnti di un paese (disavanzo commerciale meno trasferimenti da altri paesi) è finanziato con il capitale privato estero. Nell’unione monetaria, invece, il credito della banca centrale potrebbe subentrare nel caso i flussi di capitale privato non fossero sufficienti. È esattamente quello che è accaduto nell’eurozona quando il mercato interbancario è crollato per la prima volta a metà del 2007.

Le banche centrali dei PIGS hanno iniziato a concedere moneta fresca di conio alle loro banche private, denaro che è stato poi impiegato per finanziare i deficit delle partite correnti. Tali fondi erano destinati ai paesi esportatori, dove circolavano come normali transazioni. Le banche centrali dei paesi esportatori hanno risposto riducendo le emissioni di nuovo denaro da concedere all’economia domestica. In pratica, i finanziamenti delle banche centrali destinati ai paesi esportatori, in primis alla Germania, sono stati dirottati ai PIGS.

La politica della Bce non è stata inflazionistica, dal momento che non è stato intaccato lo stock complessivo di denaro delle banche centrali nell’eurozona. Tuttavia, dal momento che i finanziamenti delle banche centrali a favore dei PIGS sono stati erogati a scapito di quelli rivolti ai paesi esportatori dell’eurozona, l’intervento ha previsto l’esportazione forzata di capitali da questi paesi ai PIGS.

La quantità di prestiti in sostituzione della Bce è indicata dal cosiddetto conto Target2, che misura il deficit o il surplus delle transazioni finanziarie di un paese con altri paesi. Dal momento che il conto include i pagamenti internazionali sia per il commercio di beni che di strumenti finanziari (claims), un deficit nel conto Target di un paese indica i debiti contratti con l’estero attraverso la Bce, mentre un surplus rappresenta i prestiti concessi all’estero attraverso la Bce.

Il saldo non è riportato sul bilancio della Bce, poiché in totale corrisponde a zero, ma compare sui rispettivi bilanci delle banche centrali nazionali come attività e passività verso l’Eurosistema. Fino alla metà del 2007, i conti Target si avvicinavano a zero, ma da quel momento in poi sono cresciuti di circa 100 miliardi di euro all’anno.

Gli strumenti finanziari Target della Bundesbank, ad esempio, sono saliti rapidamente passando da 5 miliardi di euro nel 2006 a 323 miliardi di euro a marzo 2011. L’equivalente di tali strumenti sono le passività dei PIGS, saliti a circa a 340 miliardi di euro alla fine dello scorso anno. Fatto interessante è che i deficit cumulativi delle partite correnti dei PIGS dal 2008 fino al 2010 sono stati pressappoco dello stesso ordine di grandezza – 365 miliardi di euro, ad essere precisi.

Se la Bce non fosse riuscita a finanziare tali deficit, i PIGS avrebbero avuto delle grosse difficoltà a cercare i soldi per pagare le proprie importazioni nette. Se ci fossero riusciti, gli elevati tassi di interesse li avrebbero costretti a stringere la cinghia, e i loro deficit delle partite correnti, che nel caso della Grecia e del Portogallo superavano il 10% del Pil, sarebbero diminuiti.

Non bisognerebbe criticare la Bce per aver sostenuto i conti correnti dei PIGS durante la crisi globale. Servivano misure non convenzionali per evitare il collasso delle loro economie. Ma deve essere chiaro che questa non è stata una politica monetaria sui generis; si è trattato di un salvataggio. Ora che l’economia mondiale si è in gran parte ripresa dalla crisi, è tempo di porre fine a questa politica – anche perché la Bce ha sparato tutte le sue cartucce.

Fino alla fine dello scorso anno, lo stock complessivo di denaro detenuto dalle banche centrali nell’eurozona ammontava a 1,07 trilioni di euro, e 380 miliardi di euro sono già stati assorbiti dal credito del Bce concesso ai PIGS. Continuare a finanziare il deficit delle partite correnti dei PIGS, pari all’incirca a 100 miliardi di euro l’anno, vorrebbe dire consumare l’intero stock di moneta nel giro di sei o sette anni.

Per uscire da questa politica, la Bce vuole che le redini del comando passino al fondo europeo anticrisi del Lussemburgo, altrimenti detto Efsf o Esm, e che alcuni paesi sostengano l’emissione di eurobond. Tutto ciò prolungherebbe solamente di altri due anni i finanziamenti comunitari per i deficit delle partite correnti dei PIGS, ora al quarto anno. Alla fine, o l’euro collasserà o in Europa prenderà piede un’unione dei trasferimenti, in cui i deficit delle partite correnti saranno finanziati con donazioni tra paesi.

Sarebbe meglio che l’Ue tenesse il fondo del Lussemburgo per le reali emergenze e che la Bce ordinasse alle banche centrali dei PIGS di richiedere garanzie maggiori per le operazioni di prestito. Limiti nazionali pressanti sui conti Target potrebbero dare il giusto incentivo per attenersi alle regole. Un limite di questo genere non eliminerebbe i deficit delle partite correnti, ma confinerebbe i disavanzi al flusso di capitali privati disposti a finanziarli.

Fissare un limite sui conti Target rappresenta una politica sostanzialmente più adeguata per tenere sotto controllo i deficit delle partite correnti rispetto alle politiche salariali contemplate dal nuovo Patto per l’Euro. Le politiche salariali vanno bene solo per le economie a pianificazione centrale.

Forse i PIGS dovrebbe riflettere sul comportamento dell’Italia. Pur dovendo pagare premi sugli interessi e incorrendo in un deficit delle partite correnti, Mario Draghi (in pole position per la presidenza della Bce il prossimo autunno) ha mantenuto sotto stretto controllo durante tutta la crisi i prestiti concessi dalla sua banca centrale. Per quanto possa essere stata dura, l’Italia non ha accumulato deficit Target. Ha optato per una casta astensione.

La segreta strategia di salvataggio - Il saldo non è riportato sul bilancio - Il Sole 24 ORE