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Jack's Return Home
La Lega fa benone a esultare: è la sola con Di Pietro che può legittimamente farlo. Finita la festa, deve però ragionare sul voto europeo che ha forti valenze politiche.
Rispetto allo scorso anno la Lega è aumentata di 103mila voti: ne ha persi 57mila nel Nord-Ovest, ne ha guadagnati 3mila nel Nord-Est, 108mila al Centro e 49mila nel Sud e nelle Isole. I numeri si spiegano con l’aumento dell’astensionismo e con la presentazione delle liste anche fuori dalla Padania, ma meritano alcune considerazioni specifiche. L’espansione al Sud resta una pia illusione: i voti rastrellati lungo la penisola sono briciole fisiologiche. È la terza volta che la Lega ci prova e dovrebbe finalmente “rassegnarsi” ad accettare il suo ruolo regionalista che è in realtà la sua vera forza. Essa potrebbe in Padania diventare una grande Svp, il partito di rappresentanza territoriale. Le condizioni ci sono tutte, lo sfruttamento fiscale, la deprivazione culturale, i sentimenti identitari, l’invasione foresta, le difficoltà economiche, la scarsa presentabilità di molti partiti nazionali, l’insicurezza e la corruzione. Eppure ci sono resistenze che la Lega fatica a scavalcare per oggettiva difficoltà ma anche – questo è il vero nocciolo della questione – per proprie colpe e difetti. Non riesce a “fidelizzare” il proprio elettorato: basterebbe che tutti i padani che l’hanno votata almeno una volta lo facessero nuovamente e le sue percentuali sarebbero bulgare in tre o quattro regioni. Invece i “delusi” difficilmente tornano indietro e gli ex leghisti costituiscono una bella fetta dell’astensionismo padano. Non riesce a essere “il partito” territoriale perchè lascia le istanze identitarie in secondo piano: è una rinuncia che si palesa anche nel suo linguaggio che si è “italianizzato”. Non fa cultura, da tempo ha rinunciato al ruolo di “nation building” che è invece primario in tutti i grandi movimenti autonomisti e indipendentisti: non bastano Miss Padania e una squadra di calcio a risvegliare i sopiti afflati patriottici di un popolo di tranquilli sgobbatori. Nella lotta al disastro dell’immigrazione dovrebbe sottolineare con più energia il danno sociale e culturale che le nostre comunità patiscono. Non ha mai chiarito l’ambigua convivenza fra ruoli di lotta e di governo. Non ha creato una classe dirigente omogenea e coesa: ha un esercito di amministratori locali bravissimi ma ognuno di essi deve autonomamente basarsi sulla propria onestà, capacità e iniziativa. Ha uomini di grande valore come Maroni e Zaia (i veri fautori del suo attuale consenso) ma anche una coorte di personaggi ricicciati in tutte le salse che sopravvivono grazie alla benevolenza del capo e al suo terrore di allevarsi concorrenti. Si proclama autonomista e sorregge iniziative che di federalista hanno solo il nome, si dice migliana ma di migliano non c’è traccia nel suo operato.
Eppure la Lega continua a essere la migliore speranza di cambiamento e di libertà, di federalismo e democrazia. Se solo tornasse a scompaginare gli steccati delle vecchie contrapposizioni ideologiche e tornasse territorialista e ambientalista, se riprendesse a essere il partito di tutti gli autonomisti padani e a fare cultura identitaria, se cominciasse liberamente a dialogare con la società civile, insomma se – lo si ripeterà fino alla noia - la Lega tornasse a fare la Lega, beh allora ogni sorpasso sarebbe possibile, anche quello su tutti gli altri messi assieme. Perché invece un’energia potenzialmente dirompente è costretta al piccolo cabotaggio?
Gilberto Oneto
Pubblicato in data odierna da 'Libero'
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