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    Predefinito Conservatorismo e Sinistra

    Visto che mi stanno passando davanti agli occhi una quantità notevole di articoli scritti da gente di sinistra o comunque su giornali della sinistra caratterizzati da spirito conservatore e nostalgico, mentre a destra ci si spende in ardite composizioni futuriste, ho deciso di catalogare in un thread tutti questi articoli.

    Sembra che in Italia non sia necessario dirsi di destra o sostenere politicamente la destra per essere conservatori. Parrebbe anzi l'opposto. Fascismo, neofascismo, liberismo e berlusconismo hanno sempre avuto quale autentico bersaglio il conservatorismo, il quale contrariamente alla sua volontà è finito con lo scivolare un po' a sinistra. Da Scalfaro ad Eco, da Moretti a Michele Serra, il suo tratto più caratteristico è l'antiberlusconismo.

  2. #2
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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    Voglia di passato

    di Franca Rame

    Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2011


    Da anni tutto ciò che mi passa per le mani, lo conservo. Iniziai da piccola. A cinque anni?… Bho.

    Avete in mente le arance? Una volta le comperavi avvolte in carta velina, dipinta con disegni magnifici. Le scartavo con delicatezza… le lisciavo con le mani… e una… e due… e dieci… e… Le tenevo gelosamente, erano le prime cose “mie” della mia vita. Non ne buttavo nemmeno una. Ogni tanto me le rimiravo. La grande felicità l’ho avuta quando ho mostrato il mio tesoro alla cara amica Luisa Caccivio. Sbalordita era! S’è messa a collezionarle pure lei… Ci scambiavamo le doppie, come fossero preziosi francobolli. Ora le vendono nude e crude le arance, in sacchetti di rete rossa… orrendi.

    Quando ho espresso a mamma il desiderio di avere un piccolo spazio tutto per me, ha sussurrato: “Ma che strana bimba!” Poi è arrivato il permesso di usare il terzo cassetto del comò. Spazioso. Sparsi qua e là ramoscelli di lavanda. Che profumino celestiale. Mio. Tutto mio! Roba da ricchi. Mi sentivo importantissima. Sprizzavo felicità da tutti i pori. Ci ho messo le carte delle arance… Non avevo altro di mio.

    Poi sono venuta in possesso di una scatoletta rossa, ornata da ghirigori dorati, con dentro un bigliettino con i nomi degli sposi. Confetti finiti. Assolutamente affascinante! L’ho vista appoggiata sulla credenza. La curai per alcuni giorni. Mi addormentavo pensando a lei e la prima cosa che facevo svegliandomi era correre a controllare che nessuno l’avesse presa. Non è di nessuno, mi dicevo… potrò prenderla? Sì, la prendo… Se qualcuno la reclama la restituirò. Per adesso è mia. Non ero certissima di essere nel giusto…

    Dove riporrò il mio tesoro? No, il mio cassetto non era un posto sicuro… chiunque in famiglia avrebbe potuto aprirlo. Mi aggiravo per la casa alla ricerca di un rifugio piombato. Aperto l’armadio delle scarpe mi scivolò dalla bocca una risatina di festa. Brillava tra le altre una scatola celeste. Sollevo appena il coperchio e scopro che è vuota. E’ il giorno della fortuna! Sono piena di cose belle: le carte delle arance, una scatola da scarpe celeste e una scatolina grande come la mia mano, rossa. La scatola da scarpe, aveva scritto in grande n° 41. Ci penso un po’ poi ci disegno sopra fiori in quantità. Un gioiello. Mi sembrava bellissima, festosa.

    Come un capobanda di prima qualità mi aggiro con lo sguardo a perlustrare il nostro minuscolo appartamento per scoprire il più sicuro nascondiglio per il mio malloppo azzurro. Il posto più “coperto”, per ora è sotto il mio lettino. E’ chiaro che quello fu l’inizio della ricerca assatanata di scatolette, scatoline… di tutti i tipi… rettangolari, quadrate, tonde. Maniacale.

    In poco tempo la scatola celeste si riempì. Che ci avevo messo dentro? Scatola rossa: 6 piselli verde pallido ormai rinsecchiti, 7 fagioli borlotti riposti in un sacchettino di tulle dei confetti, una scatolina bianca con rosa con altro bigliettino di nozze, una scatolina scozzese con stuzzicadenti sminuzzati, (ero pazza!) scatola verdina con due ovetti pasquali, e così via, pennini, gomme, mozziconi di matite, un tondetto di vetro con le “lacrime della Madonna”. Dicevo le preghiere alla sera prima di dormire inginocchiata davanti al mio vasetto santo. Ricordo che a scuola durante i compiti in classe o interrogazioni me lo tenevo sempre appresso. Avevo anche un bottiglino con su scritto “rosolio della mamma”. Qualche volta ero tentata di ciucciarmelo. Ma aveva una colore strano… verdino… non ero certissima che l’avesse fatto la mia mamma… non era per niente rassicurante.

    Mi dicevo: “Sono piena di cose belle, le più belle della mia vita. Straboccano.”
    Contentaaaaaa!
    Peccato crescere.
    Cerco di fermarle con le mani, non voglio perderne nemmeno una. Ci sto mettendo tutta la mia forza… sono certa che se non mi opponessi con questa resistenza forsennata, in un attimo se ne fuggirebbero da me… Ferme qui!
    Tortelli di zucca, e la crema fritta… e le chiacchiere con sopra lo zucchero velo, e i dolci e caldi occhi della mamma. Le sue carezze.
    Sto cercando di ricordare gli odori, i sapori… il seme della vita. Ho voglia di passato
    Mi sciolgo.
    Ma che mi succede?…
    Mi sto sollevando da terra. Non tanto, ma almeno trenta centimetri sì… che bellezza!
    Sbatto le braccia per darmi impeto, impulso, ma non mi sposto di 1 millimetro.
    Fa niente, è già tanto così.
    Come sono felice!
    Grazie famiglia, per tanta felicità.
    Un bacio.

    Voglia di passato | Franca Rame | Il Fatto Quotidiano
    Ultima modifica di Florian; 05-05-11 alle 18:20

  3. #3
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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    Il Manifesto

    Voi, un argine culturale alla deriva berlusconiana

    Il Manifesto, 28 aprile 2011


    Raccontami come è cominciata, già il 28 aprile del 1971, la tua collaborazione al manifesto.

    La mia prima risposta è molto banale: è venuto Pintor a casa mia e me l’ha chiesto e poiché era tanto simpatico gli ho detto di sì. Ma c’era un’altra ragione. C’era una situazione tipica di una certa sinistra di allora, anche di quella di antiche origini cattoliche come la mia, che non riusciva a identificarsi col Partito comunista italiano. Specie noi della cosiddetta neoavanguardia del Gruppo 63, se eravamo certamente orientati a sinistra, stavamo per così dire sulle scatole alla cultura ufficiale del Pci, ancora guttusiana, pratoliniana, con la sua idea di intellettuale organico che non era compatibile, tanto per fare un esempio, con gli eretici come Vittorini, diffidente verso tante nuove tendenze culturali emergenti, quasi sempre bollate come trucchi insidiosi del neocapitalismo. Una volta il buon Mario Spinella mi chiese di scrivere un lungo articolo su Rinascita per indicare quali erano i problemi che una cultura di sinistra doveva affrontare. Io scrissi di sociologia delle comunicazioni di massa e dello strutturalismo: fui coperto di feci dall’intellighentia del Pci. Mi viene da citare l’attacco dell’allora marxista Massimo Pini, poi finito in An, e un personaggio francese che scrisse «ma cosa diavolo racconta questo Umberto Eco: da un punto di vista marxista lo strutturalismo è inaccettabile». Questo signore si chiamava Althusser e due anni dopo avrebbe tentato il suo celebre connubio tra marxismo e strutturalismo. C’era un clima molto difficile per chi volesse essere di sinistra, senza stare con il Pci. All’epoca l’unica alternativa possibile era con il giro di Lelio Basso e con il manifesto: l’unico modo di essere di sinistra senza venire irreggimentati nel Pci, anche se non era più quello togliattiano che accusava di decadentismo Visconti perché aveva girato Senso ma che tuttavia erano ancora accolte con diffidenza. Tanto per fare un esempio, nel 1962 Vittorini pubblicava il Menabò numero 5, quello dedicato a industria e letteratura, ma proponendo un nuovo modo di intendere l’espressione «letteratura e industria», focalizzando l’attenzione critica non sul tema industriale ma sulle nuove tendenze stilistiche in un mondo dominato dalla tecnologia. Era un coraggioso passaggio dal neorealismo (dove valevano i contenuti più che lo stile) a una ricerca sullo stile dei tempi nuovi, ed ecco che dopo un mio lungo saggio Sul modo di formare comeimpegno sulla realtà apparivano prove narrative molto ‘sperimentali’ di Edoardo Sanguineti, Nanni Filippini e Furio Colombo. Perciò accettai la proposta di Pintor; ma poiché avevo uncontratto per la terza pagina del Corriere della sera non potevo mettere la stessa firma su duequotidiani e scelsi di firmare Dedalus.

    Dedalus, una firma di grande prestigio, nel segno di Joyce.

    Mi sono divertito come un pazzo a scrivere i pezzi di Dedalus. Ricordo che un po’ di anni dopo Fanfani mi incontrò, agitando la mano e facendo, garbatamente, finta di volermi picchiare. La ragione? Qualche tempo prima sul manifesto avevo scritto: «L’onorevole Fanfani, passeggiando nervosamente sotto il letto…». Altra polemica con Montanelli quando, attaccando la Cederna, aveva scritto che «annusa l’afrore degli anarchici sotto le ascelle». Scrissi: «una volta i polemisti portavano la penna all’altezza del cuore; tu, Indro, sei sceso molto più in basso». Poi Montanelli mi mandò un suo libro con la dedica: «In memoria di un colpo basso ». Era un uomo di spirito.

    Ma in questi quarant’anni ci sono stati grossi cambiamenti. Quali?

    Sono stati totali. Il crollo del muro di Berlino, la fine delle ideologie e, di seguito, la fine dei partiti e anche la crisi del manifesto che non ha più nessuno con cui confrontarsi alla sua sinistra.

    Vuoi dire che quando facevamo polemica con il Pci avevamo un ascolto e adesso che il Pci non c’è più chi ci sente?

    Il cambiamento è stato enorme. Alla fine della seconda guerra mondiale i partiti governavano. In Italia la Dc, il Pci e gli altri ancora. Con la crisi delle ideologie i partiti si sono dissolti in Italia come in Francia, ma paesi come la Francia, appunto, si sono salvati perché lì c’è uno stato, mentre in Italia lo stato è debolissimo. E quindi in Italia siamo senza governo, nelle mani di una anarchia o di minoranze paracriminali, non perché uccidono gente per strada, ma perché sono fuori da ogni legalità.Ma, tornando indietro, ricordo che un’altra ragione della mia collaborazione al manifesto stava nella polemica contro i gruppuscoli, che erano per l’astensionismo. Per quante simpatie si potessero avere con il cosiddetto movimento, la rinuncia al voto era inaccettabile. Ricordo chemi chiesero di dirigere Lotta continua: cercavano qualcuno che avesse in tasca la tessera dell’ordine dei giornalisti, disposto ad andare in galera. Risposi di no, perché collaboravo con il manifesto, e non potevo tenere il piede in due staffe. Il manifesto era ovviamente legato al clima del movimento, ma apparteneva pur sempre a una sinistra parlamentare. Certo il manifesto sembra aver perduto la sua funzione storica, come il Pci e tutti i gruppi di sinistra. Direi che non siete più un partito ma resistete ancora in questo generale tracollo come una coscienza culturale.

    Io lo vorrei ancora.

    Bisogna pensarci, nell’attuale carenza di proposte positive, nell’assenza della sinistra: tutto è possibile e tutto è più difficile. Discutevo ieri della bizzarra proposta del colpo di stato di Asor Rosa. Il problema non è cacciare Berlusconi con un colpo di stato, contro il 75 per cento degli italiani, al quale in fondo le cose vanno bene così.

    Il 75%, esageri proprio.

    Non dico quelli che votano direttamente Pdl, ma quella maggioranza naturalmente berlusconiana che non vuole pagare le tasse, ha voglia di andare a 150 chilometri all’ora sulle autostrade, vuole evitare carabinieri e giudici, trova giustissimo che uno se può se la spassi con Ruby, trova naturale che un deputato vada dove meglio gli conviene. Questa è lamoralità dominante. Berlusconi è un abile e geniale piazzista, che ha capito la sostanza e gli umori dell’attuale mercato politico.

    Mi torna in mente il famoso errore di Benedetto Croce, secondo il quale Mussolini era caduto dal cielo e non partorito da noi italiani.

    Berlusconi è stato partorito dall’Italia di oggi e ha capito la natura profonda del nostro popolo che non si è mai identificato con lo Stato, che si è sempre massacrato nello scontro tra città e città. Non a caso abbiamo tra i nostri pensatori un Guicciardini. Quindi anche se domani facessi un colpo di stato (che in ogni caso è sempre una cosa cattiva – non ho mai visto colpi di stato «buoni») non cambieresti gli umori del paese. Per cambiarli ci vorrebbe un’azione più profonda, di persuasione ed educazione, e di vere proposte alternative. Ed ecco che tornerebbe buona, se ci fosse, la politica. Però mi pare che la presa di posizione polemica di Asor Rosa nasca dal sentimento (e dalla frustrazione) che il colpo di stato strisciante è già in atto (ma dalla parte opposta) con l’umiliazione del parlamento, la sua riduzione a un manipolo di yes-men, la delegittimazione della magistratura e quindi la distruzione dell’equilibrio dei poteri, l’occupazione progressiva di tutti i centri della comunicazione. Scrivevo negli anni Sessanta che ormai per fare un colpo di stato non era necessario muovere i carri armati: bastava occupare le televisioni. Lo si sapeva già negli anni Sessanta.

    E la differenza tra apocalittici e integrati? Ti ricordi?

    È una distinzione molto vecchia, del 1964, superata. Allora c’era una netta divisione tra i critici del sistema delle comunicazioni di massa(pensa a Adorno) e quelli che si identificavano con il nuovo sistema della comunicazione. Questa divisione si è enormemente modificata, pensa alla Pop art, un’arte d’avanguardia che si abbevera alla comunicazione di massa.

    La Pop art? Spiegati meglio.

    La Pop art ha usato i fumetti, e non per criticarli (come sarebbe accaduto agli apocalittici del decennio precedente). Quindi, ha fatto provocazione d’élite basandosi su materiali una volta considerati bassi. Oppure pensa ai Beatles che – come ha poi intuito Cathy Berberian – potevano essere ricantati come se fossero la musica di Purcell che in qualche modo li aveva ispirati. Musica di intrattenimento,ma coltissima. Pensa a Benigni: fa parte della cultura di massa o della cultura d’élite? Non hai risposta: riesce a fare passare Dante davanti a ventimila persone e cammina come un clown. Ai tempi di apocalittici e integrati non sarebbe potuto accadere. Pensa anche al romanzo poliziesco che ancora negli anni Cinquanta era roba da vendere nelle edicole, leggere e buttare, e oggi Camilleri fa romanzi accessibili alle grandi masse, ma mediante una forte sperimentazione linguistica.

    Visto che ci siamo: confini tra cultura altra e cultura bassa?

    Le differenze sono infinite e difficili da identificare. È quasi come in politica: potrebbe essere un gioco di società trovare personaggi di destra all’interno del Pd e di sinistra (ma è impossibile trovarne) all’interno del Pdl.

    Quelli di sinistra è proprio difficile trovarli.

    Sì, perché anche la nozione di sinistra si è disfatta. Qualcuno, non ricordo chi, ha scritto che la sinistra ufficiale sta facendo l’unica politica conservatrice possibile: difesa della Costituzione, difesa della magistratura, e così via. Difesa anche dei carabinieri, pensa tu se ce lo avessero detto al tempo del Piano Solo.

    Ma dall’altra parte c’è di peggio.

    Certo: c’è l’attacco alle istituzioni e dunque è naturale che a sinistra si diventi conservatori. I tempi cambiano, vuoi mica che ancora oggi esista la differenza tra cavouriani e mazziniani? La polizia di Scelba manganellava i lavoratori e quella di oggi cerca di salvare i neri dai naufragi.

    Gli apocalittici cosa sono diventati?

    Gli apocalittici, pian piano, son diventati meno rigidi nel loro rifiuto. Pensa solo a come è andata con il fumetto, che era una delle cose più popolari, diretto a persone di cultura bassa. Poi, proprio noi intellettuali lo abbiamo riscoperto e ne abbiamo fatto un mito. Erano le letture della nostra infanzia, ma anche l’unico modo nel quale abbiamo potuto capire qualcosa dell’America. Ormai il fumetto è diventato una forma di cultura alta, perfino difficile da leggere. Certo i bambini leggono ancora Topolino che resta, più o meno, come una volta. Ma tutte le nuove forme… il fumetto cartonato che si vende nelle librerie, certe volte faccio fatica a leggerlo tanto è raffinato. Quindi quelli che una volta erano i mezzi di massa, contro cui si scagliavano gli apocalittici, oggi possono essere interpretati solo da gente che ha letto Joyce.

    Carta stampata e Internet.

    Un duello aperto. Sono stufo di sentirmi rivolgere questa domanda. Due anni fa ho pubblicato un libro con Jean-Claude Carrière, Non sperate di sbarazzarvi dei libri. Ovviamente sono un utente di Internet, ho ben otto computer nelle varie case dove capito,ma difendo i diritti e il futuro del libro per una ragione semplicissima: abbiamo la prova scientifica che un libro può durare 550 anni. Prendi un incunabolo, lo apri, sembra stampato ieri e ti permette persino la previsione che forse, se lo lasci in un ambiente poco umido, può durare altri 500-1000 anni.
    Non abbiamo nessuna prova scientifica che un dischetto, una chiavetta possano durare più di dieci anni, non tanto perché si possono smagnetizzare,ma perché nel frattempo sarà cambiato il tipo di computer. I computer di oggi non leggono più i dischetti di quindici anni fa. Certo, per me è una grande comodità viaggiare con una chiavetta che contiene tutta la mia biblioteca, però l’unica garanzia del fatto che l’informazione si conservi sta ancora nel libro cartaceo. Detto questo, Internet è una cosa utilissima, pensa a cosa sta cambiando nell’Africa del nord: senza Internet non sarebbe successo niente.

    Il manifesto attraversa una nuova crisi. Tu, dicevi, perché ha perduto la sponda del Pci. Ma non è più solo per questo.

    Innanzitutto c’è una generale crisi politica. Poi sono in crisi tutti i quotidiani. I giovani non comprano più i quotidiani, preferiscono leggere il giornale gratuito che si prende alla stazione. È un fenomeno generale: se è in crisi anche il Corriere della Sera, che può pagare centinaia di inviati speciali in tutto il mondo, come può non essere in crisi il manifesto? Se è vero che i giovani sono più attenti ai contenuti culturali, l’unica possibilità del manifesto è quella di settimanalizzarsi, non nel senso di diventare settimanale ma in quello di fare continuamente azione di approfondimento. Ha poco senso che il manifesto esca oggi dicendo quel che è accaduto ieri, perché lo ha già detto la televisione. Insomma, ripeto: un quotidiano di approfondimento. A modo suo Il Foglio lo è. Quindi il manifesto dovrebbe essere sempre più un quotidiano di commento, di proposte. È l’unica possibilità di sopravvivenza. Ripeto una mia vecchia polemica: il quotidiano di 64 pagine non mi dà più nessuna notizia perché non faccio in tempo a leggerlo. Nel 1990 mi trovavo nelle isole Fiji dove usciva – lo davano gratis negli hotel – il Fiji Journal, che aveva otto pagine di cui sei di pubblicità, due di notizie locali e una pagina di brevissime notizie. Con quella pagina il Fiji Journal mi ha tenuto perfettamente informato su quanto accadeva in Italia e nel mondo. Allora, o tu diventi il Fiji, quattro pagine al giorno a 20 centesimi, oppure fai 10-12 pagine di approfondimenti, discussioni critiche, polemiche. Non ce la fai a emulare il Corriere della Sera o Repubblica dando più notizie di loro, piuttosto fai una critica dei loro articoli.

    Torneresti a collaborare al Manifesto?

    Non riesco più a tener testa a tutte le cose che devo fare e da quando sono andato in pensione lavoro tre volte tanto. Comunque, lasciami passare l’estate.

    Voi, un argine culturale alla deriva berlusconiana | Libertà e Giustizia
    Ultima modifica di Florian; 05-05-11 alle 18:18

  4. #4
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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    Questi articoli e quelli che verranno andrebbero oltre che letti commentati.

    Ovviamente non è il caso di parlare di una sinistra propriamente conservatrice, non è questo il punto. La sinistra intende in primo luogo conservare ciò che crede di aver contribuito a creare, ma al di là di questo, che è naturale, nel confronto col presente sceglie l'Italia di ieri, magari non tutta intera ma buona parte di essa. Persino il suo ricordo della destra dei Longanesi e dei Montanelli è rispettoso.

    Tutto ciò accade mentre a destra si è operato un taglio netto con il passato, che non interessa più nessuno. L'uomo di destra che legge i giornali berlusconiani, ma anche quello finiano, si interessa principalmente dell'oggi e non nutre complessi d'inferiorità verso i propri padri, di cui riconosce anzi i vari limiti. E' il più delle volte un libertario che combatte "tutti i conservatorismi". Nessuna nostalgia del "vecchio ordine", non ama le regole e il suo orizzonte è prettamente individualistico. Non disprezza nè il popolo nè la massa, quanto le élites.

    A tal proposito, ecco la risposta ad Eco, proveniente dal Giornale:


    Eco sempre più snob: 75% del popolo col Cav
    Che schifo che fa questa Italia berlusconiana...


    di Francesco Maria Del Vigo


    Il semiologo guru della sinistra si scatena in un'intervista al Manifesto: "Sette italiani su dieci sono naturalmente berlusconiani, non vogliono pagare le tasse e vogliono andare a 150 all'ora in autostrada". Alla faccia dei luoghi comuni. Poi propone una soluzione inquietante: "Bisognerebbe educarli"

    "Il popolo non ha il pane? Dategli le brioches". Lo spirito è proprio quello, quello dell'Ancien Regime, dei nobili imparruccati e incipriati, dell'aristocratico che cammina in mezzo alle plebi schivandone il contatto. Plebi che, va da sé, sono assolutamente pidielline, orribilmente berlusconiane e pure terribilmente italiane, ohibò la massa. Torna a tuonare il semiologo-intellettuale-tuttologo Umberto Eco e lo fa dalle colonne del Manifesto interrogato da Valentino Parlato. Un rendez-vous tra due vecchie glorie dell'intellighentia comunista. Tra i due amici (Eco iniziò a collaborare col quotidiano comunista nell'aprile del 1971) è tutto un piangersi addosso e commiserarsi: eh caro mio come era bello il Manifesto di una volta (quello degli anni di piombo, per intenderci), che belle le barricate, quanto ci divertivamo a far la fronda-chic a quei bonaccioni del Pci (quelli che avevano difficoltà a denunciare le purghe sovietiche per ri-intenderci). Le parole chiave sono sempre le stesse: decadenza dei costumi, argine al berlusconismo, anarchia, deriva, attacco alla Costituzione e poi - fresco di conio -, l'asorrosiano colpo di stato. "In Italia siamo senza governo, nelle mani di un'anarchia - sale in cattedra il re dei semiologi -, nelle mani di un'anarchia o di minoranze paracriminali". Poi "paracriminali" pare esagerato anche a lui e spiega con fare didascalico: "Non perché uccidano gente per la strada ma perché sono fuori da ogni legalità". Ineffabile.

    Poi torna subito all'attacco: "Il problema non è cacciare Berlusconi con un colpo di stato, contro il 75 per cento degli italiani al quale in fondo le cose vanno bene così". Parlato trasecola e vacilla: il 75 per cento degli italiani è berlusconiano? Sì Eco, con un ottimismo da far invidia allo stesso Cavaliere, attribuisce a Berlusconi l'apprezzamento di tre quarti degli italiani e ribadisce il concetto: "Non dico quelli che votano direttamente Pdl, ma quella maggioranza naturalmente berlusconiana che non vuole le tasse, ha voglia di andare a 150 chilometri all'ora sulle autostrade, vuole evitare carabinieri e giudici, trova giustissimo che uno se la spassi con Ruby, trova naturale che un deputato vada dove meglio gli conviene". Insomma il nemico non è più Silvio Berlusconi da Arcore o il suo elettore, il nemico è l'italiano medio. Che per definizione - secondo le logiche di Eco -, è manigoldo, puttaniere, infido, dedito alla truffa e spericolato. E - tra l'atro - è "naturalmente" così, quindi supponiamo che sia una questione di nascita... Sette italiani su dieci sono della canaglie, praticamente si salvano solo Parlato, Asor Rosa e qualche altro intellettuale gauchiste. Ma Eco è uno scienziato della società e, come tale, a ogni quesito riesce sempre a trovare una soluzione. Quatanticinque milioni di italiani sono dei balordi col vizio del berlusconismo? Ci vuole la pedagogia (ovviamente di sinistra): gli italiani sono dei bambini e quindi bisogna educarli. "Per cambiarli ci vorrebbe un'azione profonda, di persuasione ed educazione". Poi, sul finire dell'intervista-riflessione, asserragliato nella sua Bastiglia-Manifesto, dopo aver difeso magistrati, giudici, morale e Costituzione dall'attacco delle plebi furenti si confessa col compagno Parlato: "Ormai a sinistra si diventa conservatori". Il dubbio ci era venuto...

    http://www.ilgiornale.it/interni/eco...e=0-comments=1
    Ultima modifica di Florian; 05-05-11 alle 18:13

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    Non più Longanesi e Montanelli, ma Emilio Fede e Belpietro

    L’ AMACA

    di Michele Serra

    Repubblica, 24 ottobre 2010

    Ma perché la destra regala alla sinistra Roberto Saviano, che di sinistra non è? Se lo chiedono in parecchi, in questi giorni. Provo a rispondere. La destra italiana, imbarcandosi nell’ avventura berlusconiana, ha scardinato se stessa. Ha perduto la bussola del proprio ruolo storico e culturale: legge e ordine, senso dello Stato, senso del dovere, nazionalismo. Ha emarginato i suoi intellettuali e giornalisti migliori (uno per tutti, Indro Montanelli) lasciando che fossero rimpiazzati da esecutori incolti, e spesso servili, del dettato berlusconiano, anche quando questo dettato (vedi il disprezzo delle leggi) confliggeva clamorosamente con il pensiero conservatore. Ha regalato i propri giornali al pensiero debolissimo (urlato, ma debolissimo) della piccola borghesia livorosa, xenofoba, culturalmente complessata e dunque spregiatrice della cultura. Ha accettato la folle alleanza con un partito antiitaliano e secessionista. Non la destra, ma il berlusconismo che l’ ha divorata è incapace di riconoscere in Saviano un punto di riferimento o comunque un interlocutore civile di alto livello. La destra italiana oggi non è Longanesi e Montanelli, è Emilio Fede e Belpietro. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.


    Non più Longanesi e Montanelli, ma Emilio Fede e Belpietro
    Ultima modifica di Florian; 05-05-11 alle 18:31

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    Brunetta, “élites di merda” e popolarità senza prestigio

    21/9/09


    «A partire dal fascismo, l’odio per le élite (vedi il complotto demo-pluto-giudo-massonico) è un classico del populismo autoritario. Ricchi malvagi, gelosi dei loro privilegi, tramano nell’ombra per contrastare l’avvento luminoso di una nuova era». Così Michele Serra su “Repubblica” il 20 settembre, commentando l’uscita del ministro Renato Brunetta che, a Cortina, se l’è presa con le “élite di merda che vivono di rendita”. «Gli archivi di “Libero” e del “Giornale”, quando gli storici vorranno occuparsene sono da questo punto di vista una illuminante e annosa collezione di tutto o quasi il malanimo che la piccola borghesia di destra, elettrice dei Brunetta e lettrice dei Feltri, nutre per le cosiddette élite».
    Da Agnelli a De Benedetti, dalla borghesia azionista a intellettuali altezzosi, professori snob, urbanisti e persino cineasti, «secondo una classificazione biliosa e scriteriata» che, per Serra, discende «dall’immagine sociale, vera o presunta, dei bersagli via via individuati», essi sarebbero «in blocco, e un tanto al chilo», la spina dorsale «di una sinistra debosciata, scroccona e classista». Se Brunetta, piuttosto che comportarsi da «iracondo» e «demagogo», parlasse ragionevolmente per conto del popolo italiano, sostiene Serra, «saprebbe che il nostro Paese, nell’ultimo paio di secoli, ha molto patito non già a causa delle élite, ma della loro gracilità, o mancanza».

    Serra ricorda come «la grande borghesia conservatrice» sia stata «spazzata via» (vedi l’affaire Montanelli e la morte di Ambrosoli) «dalla piccola borghesia reazionaria e malaffarista che – dice – ha schiantato il senso dei diritti e il senso dei doveri, e oggi regge il timone del Paese», facendo rimpiangere ministri come Bruno Visentini e proponendo personaggi come Brunetta e Bondi, «altro fazioso vaniloquente».

    Destra e sinistra, aggiunge Michele Serra, in tutto questo sono un criterio poco utile. Meglio rispolverare le vecchie categorie dell’analisi marxista. Il poco che rimane della borghesia antifascista (certamente un’élite) e della classe dirigente repubblicana e costituzionale (un’altra élite) secondo Serra è «l’ultimo argine culturale, etico e storico che si frappone al trionfo incontrastato dei Brunetta, del loro adorato leader e della piccola borghesia reazionaria che li vota in massa».

    «Il loro capo, da solo – aggiunge Serra – ha più potere dei fantasmatici “poteri forti” messi assieme», nonché «più denaro, più media, più altoparlanti e più balconi, più giornali, più giornalisti, più servitù e più tutto». Ma, effettivamente, nonostante questo potere fortissimo, «Berlusconi non è élite, non è classe dirigente, non è statista (gli statisti uniscono i popoli, non li spaccano a metà come una mela)». Per Serra, Berlusconi «è potere senza rispetto, ricchezza senza status, popolarità senza prestigio».

    «Brunetta, che è animoso e sincero – aggiunge Serra – avverte nel profondo questa inadeguatezza. Ma piuttosto che investirne, con la dovuta umiltà, se stesso e il suo capo, si aggrappa al popolo e indica nelle “élite di merda” il Nemico da combattere». Come parecchi ex socialisti, aggiunge Serra, in questo Brunetta «è il berlusconiano perfetto: pur di non dubitare di se stesso, attribuisce ogni problema alla malvagità del Nemico. Urgerebbe un analista, se anche gli psicanalisti non fossero, come è ovvio, una élite di merda».

    Brunetta, “élites di merda” e popolarità senza prestigio | LIBRE

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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    CARTEGGIO

    Michele Serra scrive, Indro Montanelli risponde. Anticipiamo il dibattito che apparira' su "Micromega" di ottobre

    LA DESTRA CHE NON C'E'

    L' ex direttore di "Cuore" domanda perche' in Italia non sia mai esistito un grande Partito Borghese Il direttore della "Voce" replica denunciando le colpe del capitalismo e del socialismo. Ma entrambi pensano che il governo Berlusconi segni una sconfitta non solo della sinistra ma anche dei veri conservatori

    Un "carteggio" fra Michele Serra e Indro Montanelli apparira' sul numero di ottobre della rivista "Micromega", che sara' presentato il 13 ottobre alla Casa della cultura di Milano con una tavola rotonda organizzata dalla stessa "Micromega" in collaborazione col Piccolo Teatro della citta' di Milano. Al dibattito parteciperanno, oltre a Montanelli e Serra, Paolo Flores d' Arcais e Franco Cardini. Il "carteggio" viene proposto con il titolo "Dialogo sulla destra che non c' e' " e con questo sommario esplicativo: "La resistibile ascesa di Berlusconi a Palazzo Chigi segna la sconfitta non solo della sinistra ma anche di una destra seria e rigorosa". La lettera a Montanelli dell' ex direttore di "Cuore", datata 11 agosto 1994, e' intitolata "Battuti dal nemico comune", mentre la risposta del direttore della Voce, datata 23 agosto, s' intitola "Costretti a inventarci tutto". Pubblichiamo ampi stralci dei due scritti.


    Ci ha battuto l' avversario comune

    "Cosa direbbe Prezzolini scoprendo che la Destra e' stata riportata al potere dalla propaganda di presentatori e vallette da telequiz?"

    di Michele Serra


    Caro Montanelli, chi ti scrive e' un italiano di quarant' anni che ha trascorso la sua vita adulta (professionale, culturale e politica) all' interno di quella vasta fazione del paese genericamente chiamata sinistra. Una famigliona prolifica, invadente, orgogliosa . fino alle soglie, spesso oltrepassate, dell' intolleranza . della quale sono entrato a far parte all' apice delle sue fortune (gli anni Settanta) e al tempo stesso all' inizio della sua crisi. Vent' anni . gli ultimi vent' anni della storia del nostro paese . trascorsi in un' interminabile e forse interminata discussione sulla natura, la funzione, i limiti di questo gigante, insieme giovane e decrepito, che si era posto l' immodesto obiettivo di "cambiare l' uomo" e tanto faticava per cambiare se stesso, cercando di passare dalla morte delle certezze ideologiche alla nascita di un piu' ragionevole stare al mondo. (...) A questo punto, caro Montanelli, certo di esprimere uno stato d' animo personale, ma condiviso da molti miei compagni di avventura, chiedo che suoni, per la sinistra, la campanella della ricreazione. Ricreazione breve, ma meritata. Come si fa con certi alunni volonterosi anche se non brillanti, chiedo che alla sinistra venga concesso un "sei" di stima, di quelli che vanno accompagnati dal piu' classico dei giudizi: "Non rende molto, pero' si applica". Lo chiedo, soprattutto, per senso di equita' : c' e' un compagno di banco svogliato, assente, ultimamente piuttosto arrogante, che non e' stato quasi mai interrogato, che ha goduto di una sostanziale impunita' , al quale tutto sembra concesso e al quale niente viene mai richiesto, del quale vorrei parlarti. E' la destra italiana.(...) Ci ritroviamo, a ben vedere, senza destra. Non mi dirai che e' una destra, questa che ci governa: scioccamente ottimista, venditrice di promesse, miracoli, sogni, populista nella piu' grossolana e demagogica delle forme (il pane e i circensi della televisione commerciale), indifferente alle regole, diffidente verso gli intellettuali; e nei costumi privati, elevati a pubblico esempio, tutt' altro che sobria e anzi spendacciona, chiassosa, innamorata della quantita' . Temendo i miei pregiudizi, mi sono riletto Prezzolini (Il manifesto dei conservatori) e Longanesi (Un morto tra noi, In piedi e seduti) per essere certo di non giustapporre qualche mio fantasma privato alle poche e certe tracce di "destra" riscontrabili nel dopoguerra italiano. Ci ho trovato . direi . l' esatto contrario di cio' che sprizza dalla destra oggi al potere. Una diffidenza per la societa' di massa che sfiora, e spesso oltrepassa, le soglie dell' alterigia. Una complessiva ostilita' a tutto cio' che puzza di "sociale" (che in Prezzolini assume toni violentemente o classicamente reazionari, in Longanesi amare sfumature di anarchismo individualista) che in un uomo di sinistra come me suscita forte fastidio come ogni forma, diretta o indiretta, di classismo; ma suscita anche la preoccupante condivisione, a tratti, di certi umori e malumori connessi al trionfo della societa' di massa cosi' come la conosciamo noi contemporanei, cosi' prodiga di benessere e cosi' povera di cultura, trasudante calorie e quasi anoressica quanto a virtu' civili. Strano . mi sono detto; l' incubo dei borghesi per antonomasia di meta' Novecento (l' avvento di una societa' smemorata, priva di forma e stile, incolta e manipolabile per via "democratica") e' stato realizzato non dalla temutissima sinistra di piazza, ma dalla nuova destra dei consumi, della televisione, dei supermercati. Fa sorridere rileggere uno schemino di Giuseppe Prezzolini (cosa e' di destra, cosa e' di sinistra) nel quale attribuisce alla prima i libri, alla seconda "le canzonette e la radiolina". E cioe' alla destra la cultura, alla sinistra i media. Chissa' che direbbe oggi, Prezzolini, del diffuso disprezzo per il "culturame", delle polemiche sul catalogo Einaudi, delle accuse di aristocratico disprezzo "libresco" rivolte agli intellettuali di sinistra colpevoli di "non capire la televisione"; e chissa' cosa direbbe scoprendo che la destra e' stata riportata al potere proprio da un monopolio televisivo, e dalla propaganda super popolare di presentatori di telequiz e vallette. Mi sono chiesto, caro Montanelli: ma come puo' essere accaduto che la destra italiana, partita dall' idealizzazione longanesiana di un "borghese" sobrio, ironico, diffidente, tutto sommato depresso e dunque dannoso piu' a se stesso che agli altri, sia approdata a questo sgangherato ed esiziale regime di massa, entusiasta e iperattivo, fanaticamente consumatore, incolto, ignaro di ogni genere di ordine (ivi compreso il senso dello Stato) al di fuori dei propri appetiti? Che ci sia un nesso? Che esista un sottile filo logico che lega il Longanesi sprezzante ("la parola democrazia fa venire il vomito") del post fascismo al Berlusconi trionfante di oggi? Se questo nesso c' e' , e' un vuoto: la latitanza, forse l' assenza di una classe dirigente conservatrice . la mitica borghesia . che fosse in grado di esprimere una cultura di governo, di fare i conti con la democrazia. I due estremi (il sostanziale rifiuto della democrazia . con tutti i suoi squallori, ma anche con i suoi grandi e insostituibili meriti . da parte di Longanesi; e l' opinione che la democrazia si identifichi tout court con i propri comodi, vedi Berlusconi) non rivelano, in fondo, questo comune vuoto politico? Perche' in Italia non e' mai esistito (con l' eccezione di sparutissime e nobili minoranze) un vero e grande Partito Borghese? Caro Montanelli: chissa' se cio' che ti ho scritto ha un nesso certo con quanto sta avvenendo in Italia. (...) Sappiamo che le due grandi rivali hanno vissuto della mitizzazione di due classi sociali, anzi di due veri e propri Eroi della Storia . la borghesia e la classe operaia . entrambi battutti e ormai semicancellati dalla vorticosa dinamica della societa' di massa. Ma tra il borghese Longanesi e l' operaio comunista il secondo, almeno, prima di soccombere ha menato botte da orbi, e si e' almeno sforzato di assomigliare al virtuoso modello che gli era stato imposto. Se tu, in qualche modo, assomigli all' altro modello, quello borghese, spiegami, se puoi, come ha fatto Berlusconi a cancellare ogni traccia dei pregi e dei difetti di quella destra . la tua . tanto da costringerti, in eta' non piu' implume, a raccogliere le tue cose e andartene in cerca di nuove stanze. L' impressione che un comune avversario ci abbia battuto e' forte, e addirittura suffragata dalle bizzarre circostanze di questi ultimi mesi, che ti vedono costretto a respingere l' eccessivo calore con il quale i tuoi vecchi nemici di sinistra si rivolgono a te. Non volendo equivoci, spero ti sia chiaro che questa lunga lettera non e' una cartolina d' auguri, ma una richiesta di chiarimenti (...) Con amicizia.


    Costretti a inventarci tutto

    di Indro Montanelli


    Caro Serra, circa tre o quattro mesi fa, come certamente hai visto, e' rinato Il Borghese. Volendo essere quello di Longanesi, e non quello dei suoi successori, coi quali non ebbi mai nulla a che fare, chiesero a me, ultimo superstite dei suoi fondatori, di raccontare come nacque. Nacque, come tutte le cose di Longanesi, da un estro di Longanesi, che un bel giorno convoco' Ansaldo, Henry Furst, Elena Canino e me (non mi pare che ci fossero altri) per comunicarci il suo progetto e tracciare, per cosi' dire, l' identikit del nostro futuro lettore. Ognuno lo descrisse a modo suo, che del resto si discostava poco da quello degli altri. E cosi' feci anch' io, portando a modello del "vero" borghese un mio nonno (...). Elaborammo per ore questo borghese esemplare rifinendolo in tutti i suoi particolari di regole, di gusti, di disgusti, di obblighi, di fobie, insomma di costume. Finche' Ansaldo, col suo ghigno di squalo e la sua cadenza genovese, c' interruppe: "Ma dov' e' in Italia un borghese che corrisponde a questi connotati?", "Non c' e' ", rispose Longanesi. "Siamo noi che dobbiamo inventarlo, come ha fatto or ora Montanelli con quel suo nonno che non e' mai esistito. E forse un diecimila lettori che vogliono diventare come lui, riusciamo a trovarli". Li trovammo. Ma non ne trovammo di piu' (...). Siccome m' inviti a raccontarti la mia fallimentare avventura di Destra, essa parte di qui: dal fatto che senza Weber non sarei mai riuscito a spiegarmi come la borghesia italiana, primogenita della classe in Occidente ed inventrice del primo capitalismo sia stata in pochi decenni cancellata da quelle protestanti del Nord Europa, e con un ritardo di almeno tre secoli su di esse sia rinata solo come un loro fac simile, e talmente insicura di se' e della propria forza politica e morale da andare sempre in cerca di un Mahdi, di un protettore, che si chiami Mussolini o Berlusconi. (...) Ora a te posso dire che seguito a battermi per una Destra fantomatica e "invertebrata" come Ortega y Gasset diceva di quella spagnola . nemmeno lontana parente di quella di oggi al potere, che e' soltanto un nazional populismo della peggiore derivazione peronista . semplicemente perche' la tua Sinistra non mi offriva alternativa. (...) Mi dirai certamente che il vostro socialismo non era QUELLO. Gia' . Nemmeno la mia Destra e' QUELLA. Ma allora bisogna cercar di capire come mai in Italia sia la Destra che la Sinistra non sono mai QUELLE. Io una spiegazione me la sono data, che forse ti fara' sorridere per il suo semplicismo e sommarieta' da Bignami. Ma te la propongo ugualmente. (...) Marx aveva, da buon ebreo (anche se antisemita per la pelle), la vocazione alla profezia. Ma non ne azzecco' mai una. Predisse che il SUO socialismo, quello SCIENTIFICO, avrebbe trionfato nei paesi in cui il capitalismo, seguendo la sua naturale e fatale parabola, avrebbe concentrato la ricchezza ed i mezzi per produrla in pochissime mani di satrapi galleggianti su una massa di diseredati, sempre piu' numerosi e sempre piu' diseredati, che alla fine li avrebbero sommersi per forza di gravita' .(...) Esattamente il contrario di quanto e' avvenuto. Il capitalismo, invece di concentrarsi in sempre meno mani, si diffuse assorbendo in misura sempre piu' larga un proletariato sempre meno diseredato fino a coinvolgerlo anche politicamente in regimi largamente influenzati da un riformismo socialdemocratico. (...) Ecco, all' ingrosso, il processo sviluppatosi nei paesi di capitalismo e di borghesia matura e cosciente (non c' e' l' uno senza l' altra) che non hanno lasciato spazio al socialismo scientifico di Marx. Il quale invece e' deflagrato, contro le previsioni del suo inventore, la' dove borghesia e capitalismo erano in condizioni di arretratezza. E mi sembra che a dimostrarlo in maniera solare sia la vicenda dell' Italia, dove capitalismo e socialismo sono nati non nello stesso periodo, ma nello stesso anno 1892. Fu infatti nel 1892 che venne fondata in Italia, da due ebrei tedeschi, Joel e Toeplitz, la prima banca d' affari, la Commerciale, disposta a concedere crediti a lungo termine alla nascente imprenditoria padana, che non decollava proprio per mancanza di capitali: fin allora le banche italiane non erano state che banchi di pegno dediti a finanziare soprattutto la speculazione edilizia (...) Ma proprio in quello stesso anno 1892 nasceva a Genova il Partito Socialista. Nasceva come secessione dai movimenti anarchici rivoluzionari, di cui si portava nel sangue i geni ed i germi. Ne' poteva essere diversamente dovendo contrapporsi ad un capitalismo a sua volta arretrato. Non so se questa coincidenza, secondo me decisiva, si trova rilevata in qualche trattato di sociologia. Ne leggo pochi perche' mi annoiano. Comunque e' scritta nell' anagrafe della Storia, e secondo me basta a spiegare l' anomalia italiana. Negli altri paesi occidentali il socialismo irruppe sulla scena quando il capitalismo aveva gia' svolto la sua funzione di produttore di ricchezza, e avvertiva esso stesso la necessita' di qualche regola al suo sviluppo. Trovandovi spazio, il socialismo entrava nel sistema senza bisogno della violenza pronosticata da Marx a quello SCIENTIFICO. E furono . e sono . le socialdemocrazie. Noi abbiamo avuto un cattivo capitalismo ed un cattivo socialismo perche' , essendo coetanei, l' uno ha ostacolato lo sviluppo dell' altro, lasciandoli entrambi ad uno stadio arretrato. Forse questa digressione ti sembrera' un po' saccente, e magari anche arbitraria. Per questo torno all' assunto della tua lettera che . se ho ben capito . mi sfida a dire cos' e' la nuova Destra, quella che abbiamo sotto gli occhi, ed in che rapporto mi trovo con essa. Mi pare di averlo gia' fatto. La nuova Destra non e' che una parodia . come gia' fu il fascismo, ma ancora piu' del fascismo . di quella vera, che in Italia non c' e' mai stata per mancanza di una vera borghesia. Contento, caro Serra? Ora starebbe a te dirmi cos' e' la nuova Sinistra. Ma non te lo chiedo per non metterti in imbarazzo. In quella vecchia, secondo me, di buono e vitale ci sono soltanto le eresie: ieri quella . per restare al caso italiano . di un Silone, oggi quella di Foa. Comunque, la mia convinzione di fondo e' che Destra e Sinistra sono speculari: se l' una e' fasulla, lo e' anche l' altra. Cio' che invece vorrei sapere da te, e' perche' mi hai scritto. Veniamo da sponde opposte e fra noi corrono due generazioni. E' una solidarieta' fra naufraghi che ci unisce? Vedi tu (...) Sono convinto che in "questa Italia che non ci piace" (nemmeno a te), chi vuole dare un senso alla sua vita, e' condannato ad inventarsi tutto. Non soltanto la Destra e la Sinistra. Ma l' Italia. Proprio perche' seguita a non piacerci. Buon viaggio, caro Serra.

    Serra Michele, Montanelli Indro


    Pagina 29
    (27 settembre 1994) - Corriere della Sera



    http://archiviostorico.corriere.it/1...92713374.shtml
    Ultima modifica di Florian; 05-05-11 alle 19:14

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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    "Cosa direbbe Prezzolini scoprendo che la Destra e' stata riportata al potere dalla propaganda di presentatori e vallette da telequiz?" chiedeva retoricamente Serra a Montanelli nel lontano 1994.

    E a diciassette anni di distanza da allora nessuno a destra ha cercato di mettere in discussione la rotta ricollegandosi alla tradizione di Longanesi, Prezzolini e Montanelli, che hanno rappresentato in Italia la destra culturale nei cinquant'anni durante i quali l'antifascismo militante impedì ad una destra politica di esistere.

    Mancando un pensiero corrente di destra, a ricordarci cos'era e cosa dovrebbe tuttora continuare ad essere una destra è la sinistra. Michele Serra - bontà sua - si è dedicato in più occasioni a questo compito. E' andato a spulciarsi lui i libri di Prezzolini (che Mondadori non riedità più - l'ultima edizione del Manifesto e dell'Intervista sono del 1994 e del 1995) e ha evidenziato tutto lo iato che separa il conservatorismo borghese elitista del filosofo dal rozzo populismo peronista berlusconian-bossiano.

    Inutile dire che la critica di Serra è puntualissima e di estrema attualità.

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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    La “Destra pura” di Michele Serra

    “Ho conosciuto la vera borghesia di Destra: alcuni amici di famiglia erano antifascisti per ragioni di stile, perché consideravano il fascismo un movimento plebeo e di Sinistra, rispetto ad una Destra della compostezza che faceva della misura una ragione di vita assoluta: “Rubare un centesimo è come rubare un miliardo” mi diceva sempre mio padre. Destra pura, insomma.

    “Ripensando alla mia storia personale, la prima cosa che mi viene in mente quando osservo l’Italia contemporanea è il ribaltamento totale di molte delle “cose di Destra” in mezzo alle quali ho trascorso l’infanzia. Se penso a quella Destra, che era legge, ordine, sobrietà, e penso all’Italia di Berlusconi, di quella Destra non trovo più le tracce. Non ne trovo i pregi ma paradossalmente neppure i difetti, come il perbenismo e il moralismo.

    “Sulla Destra di oggi ho una sola certezza: mio padre detestava Berlusconi perché gli pareva l’esatto opposto delle cose in cui credeva. Lui era per i doveri prima dei diritti. Berlusconi è il contrario, il successo ad ogni costo, il carrierismo, la labilità dei doveri, il potere dei soldi. E’, del resto, il conflitto che si ritrova nella rottura tra Berlusconi e Indro Montanelli, quel rifiuto montanelli ano dell’”esuberanza del quattrino” che mi ricorda i tabù etici ed estetici nella borghesia in cui sono vissuto: al primo posto c’era il divieto assoluto di ostentare la ricchezza.

    “Se Berlusconi e il suo entourage (…) denunciano che la Sinistra è triste perché non le piace la società tette&culi, automaticamente elevano Corona a simbolo della loro idea di società. Se la vecchia ipocrisia cattolica aveva messo le mutande di ferro a questo genere di atteggiamenti, il berlusconismo gliele ha tolte e ha detto a un pezzo di Paese: “Fregatevene e divertitevi”. (…) La Destra con Berlusconi è diventata una sorta di “liberismo”, sostenuto dall’idea che si è venuti al mondo per farsi i fatti propri, che lo Stato è un ingombro e i vincoli sociali sono un giogo, (per cui) questa Destra non è tabù e non ha tabù.”


    E per la Palombelli "la Sinistra ha una grandissima voglia di Destra”

    "...quelli che una volta erano i cavalli di battaglia (della Destra): la Patria, l’inno nazionale, la difesa ad oltranza delle Forze Armate, lo schieramento internazionale all’interno della Nato, l’ordine, la legalità, la certezza della pena, la durezza con l’immigrazione fino a tollerare veri e propri campi di detenzione, la rivendicazione dell’accumulazione capitalistica e delle differenze sociali… Temi che si possono ascoltare anche alle Feste dell’Unità” perché la Sinistra “ha riscoperto il dna d’ordine che è nella sua storia, e oggi sostiene con tranquillità che bisogna mettere i poliziotti ai semafori”. Al contrario Berlusconi”s’è circondato non di gente di Destra, ma di ex-democristiani e di ex-comunisti”.


    I brani riportati sono stati tratti dal volume di Eric Brunet, Il tabù della Destra. La Francia ha Sarkozy e l’Italia? a cura di Angelo Mellone, con interventi di Oliviero Diliberto, Barbara Palombelli, Michele Serra, Castelvecchi, 2007.

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    Predefinito Rif: Conservatorismo e Sinistra

    Il conservatorismo non abita più a destra

    di Giuseppe Gallo


    Nel secondo libro della Politica, Aristotele affronta una questione che oggi suonerebbe ingenua a molte orecchie di destra e di sinistra. In sostanza, si chiede il filosofo stagirita: «È dannoso o giovevole agli stati mutare le leggi tradizionali, quando ce ne siano altre migliori?» La risposta sembrerebbe scontata: certamente è giovevole. Tanto più che, come riconosce lo stesso autore, «tutti cercano non quel che è tradizionale, ma quel che è bene». Ma, subito dopo, Aristotele osserva che «per chi esamina la cosa da un altro punto di vista, il cambiamento sembra richiedere molta cautela».

    Perché? Perché «è male abituare gli uomini ad abrogare le leggi alla leggera». Perciò, «quando l’utile è minimo […], è chiaro che bisogna tollerare qualche sbaglio e dei legislatori e dei magistrati, perché l’utile apportato dal mutamento non pareggerà il danno recato dall’abitudine di disubbidire ai magistrati». Di più. «La legge non ha altra forma per farsi obbedire che il costume e questo non si realizza se non in un lungo lasso di tempo, sicché passare con leggerezza dalle leggi vigenti ad altre nuove leggi significa indebolire la forza della legge.»

    Su queste parole è opportuno tornare a riflettere senza pregiudizi, perché le leggi tradizionali di cui parla Aristotele sono quelle costitutive, che contraddistinguono l’organizzazione fondamentale di uno Stato e fanno sì che esso sia un tipo di Stato piuttosto che un altro. Sono proprio quelle leggi che dal 1994 in poi l’Italia ritiene che vadano improrogabilmente aggiornate: sono per esempio quelle che riguardano il sistema elettorale, la giustizia, i poteri del presidente del Consiglio e dell’esecutivo, la funzione e la composizione dei due rami del Parlamento, ecc.

    Naturalmente, ciascuno di questi ambiti andrebbe esaminato a sé (perché è certo, per esempio, che il bicameralismo perfetto è d’impaccio al buon funzionamento della politica in Italia o che la lunghezza estenuante dei processi è di danno ai cittadini che ne sono coinvolti). Ma qui ci poniamo un problema di carattere più ampio: diciamo così, di fenomenologia culturale. Insomma, tutti i segnali lasciano credere che per la nostra classe politica le riforme godano di un’attrattiva largamente superiore a quella del «tradizionalismo», cioè la conservazione dello stato vigente delle cose.
    È una novità. Per tutta la prima Repubblica (così come per tutto l’Ottocento), infatti, a risultare predominante era stato il punto di vista artistotelico, condiviso non solo dalla DC e dal ceto imprenditoriale, ma in gran misura pure dallo stesso PCI, sempre molto cauto di fronte alle riforme radicali che minacciavano di accrescere le tensioni sociali o istituzionali (una di queste riforme fu la legge 898 che introdusse nel nostro Paese l’istituto del divorzio, fortemente voluta non a caso non da un comunista, bensì da un socialista e da un liberale – Loris Fortuna e Antonio Baslini).

    In un sistema iperburocratizzato quale quello italiano, la difesa tradizionalistica della stabilità ha avuto, ovviamente, tanti effetti negativi, contribuendo ad allontanare dal nostro Paese quella rivoluzione liberale (vuoi nella forma violenta francese, vuoi in quella riformistica britannica) che non abbiamo mai avuto e di cui continuiamo ad aver bisogno. Ma, oggi, siamo passati da un difetto a quello opposto: una instabilità incancrenita alimentata dalla perpetua messa in discussione delle «leggi tradizionali», le regole del gioco che, da una parte ma anche dall’altra, si vuole cambiare appunto «alla leggera».

    L’effetto per l’armonia sociale è devastante. Perché a venire minato alle fondamenta è il «governo della legge», senza il quale non può esservi nessuna fiducia nella politica e nelle istituzioni. Governo della legge vuol dire che la legge è superiore allo stesso legislatore, che non può modificare l’assetto legislativo a suo piacimento ma solo nel rispetto delle regole stesse. Ma, appunto, è l’opposto dello spettacolo che danno i governi Berlusconi dal 1994 in poi, i quali sembrano fare di tutto per dare a credere che la legge, quando non si può semplicemente aggirare, può essere lecitamente modificata, a seconda delle necessità di un gruppo ristretto di persone.
    Perché il paradosso è che è proprio la parte dominante della destra ad aver voltato le spalle ai principi tradizionali del conservatorismo, facendo propri i proclami di un riformismo senza riforme (come si potrebbe dire parafrasando un vecchio e sempre attuale libro di Napoleone Colajanni): insomma, un riformismo senza i vantaggi del liberalismo, un’instabilità senza i vantaggi della rivoluzione.

    Fuori Margine: Il conservatorismo non abita più a destra

 

 
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  5. Ambientalismo,sinistra,conservatorismo,cattolici
    Di Bartolomeo (POL) nel forum Politica Nazionale
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