Luigi Copertino
dicembre 2004 - articolo tratto da Alfa & Omega n°1/2004, Edizioni Il Segno -
In God we trust: l’infatuazione americana della destra cattolica italiana ed europea.
Sulla banconota americana da un dollaro compare la scritta: in God we trust (in Dio noi crediamo). Ma, dal momento che tale scritta si accompagna ad una complessa simbologia esoterica mutuata dal culto gnostico e luciferino praticato dagli adepti nelle logge massoniche (3), è doveroso per un cattolico chiedersi a quale “dio” rivolge il suo culto la “religione civile e patriottica” che è fondamento dello “spirito americano”. Una domanda, questa, che molti esponenti della destra cattolica non vogliono assolutamente farsi, per non disturbare lo Zio Sam impegnato a fronteggiare l’islamismo. Costoro, infatti, preferiscono indulgere nella superficiale lettura del percorso storico, che dalla Cristianità ha portato all’Occidente globale, alla stregua di un processo sostanzialmente unitario, al di là delle fratture intervenute nei secoli passati. Una lettura propria, non da ora, dei cattolici liberali, ai quali si sono accodati, da ultimo, i cattolici tradizionalisti infatuati dall’equivoco pensiero dei cattolici neocon come Michael Novak (già teologo progressista) e paleocon Russel Kirk (che crede di individuare nella Cristianità medievale le radici dell’“ordine americano”). Destinata, per questo suo cieco e fideistico filo-americanismo, al ruolo dell’utile idiota del potere finanziario transnazionale e multinazionale, certa destra cattolica non coglie, sorvolando ecumenicamente sulla frattura protestante intervenuta all’origine della modernità, il significato storico ed escatologico dell’inquietante passaggio dall’Universalismo cristiano-romano medievale alla globalizzazione dell’Occidente americanocentrico, il cui umanitarismo, “cristomimetico” e pertanto “anticristico”, oggi va sempre più sfaldandosi nel nichilismo post-moderno, che è il suo esito ultimo ed inevitabile. Un passaggio storico che, come si è detto, è stato reso possibile dalla svolta epocale, tra il XVI ed il XVII secolo, di parte della Cristianità verso l’Occidente protestante. Questo percorso storico, prima di approdare all’egemonia americana impostasi nel secolo scorso, conobbe una fase intermedia nell’“Europa cristiana” dei secoli XVII-XIX, che fu l’epoca delle chiese nazionali, luterana, anglicana, gallicana, e degli Stati nazionali, nella forma delle monarchie assolute e successivamente delle repubbliche giacobine e liberali. Europa cristiana che andò organizzandosi, a partire dalla Pace di Westfalia (1648) nel sistema gius-internazionale dello jus pubblicum europaeum, ossia del diritto interstatuale cristiano eurocentrico. Certo laicato cattolico di destra - da “Alleanza Cattolica” a “Comunione e Liberazione”, dalla “Tradizione Famiglia Proprietà” al “Centro Culturale Lepanto”, dai cattolici padani alla Borghezio a certe frange del tradizionalismo legittimista che confondono il federalismo transnazionale e reticolare con l’ impossibile restaurazione dei corpi intermedi dell’antica Cristianità - è sempre più assurdamente convinto che gli Usa, con l’avamposto mediorientale di Israele, siano il nuovo impero romano, che la Chiesa dovrebbe battezzare come suo “braccio secolare”. Gli Stati Uniti sarebbero, in tale prospettiva, il nuovo Cesare provvidenzialmente suscitato da Dio per il trionfo del Cristianesimo nel mondo. Ora, per Divina Rivelazione (Mt. 24, 11-12), sappiamo che la vicenda storica del Cristianesimo è destinata a vedere, con il passare dei secoli, il dilagare del mistero di iniquità ed il raffreddamento dell’amore di molti. La predetta convinzione sul ruolo provvidenziale degli Usa, nutrita dai cattolici convertiti all’ideologia neoconservatrice, è il riproporsi, a destra, della lettura sulle sorti radiosa della Fede cristiana nel mondo moderno, che è stata tipica del progressismo della Nuova Teologia negli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo e che riuscì talmente ad influenzare le gerarchie al punto da far denunciare da un Papa, in apertura di un Concilio Ecumenico, i cosiddetti “profeti di sventura”(4) . Allucinati dal pericolo islamista, che pure esiste, i cattolici neocon, incapaci di fidare più in Dio che negli uomini, non vogliono riconoscere nell’egemonia mondiale degli Stati Uniti d’America il volto di quel “padrone del mondo” così ben descritto da Robert Hugh Benson nel suo omonimo romanzo. Come è stato con ironia sottolineato, il pensiero e soprattutto le risorse finanziarie del neoconservatorismo americano, giungendo fino in Europa, sono riusciti laddove hanno fallito fior fiore di trattati teologici e filosofici: ossia nell’impresa di convertire, con estrema e sospetta rapidità, ampi settori del tradizionalismo cattolico, fino a ieri refrattari a tutto ciò che sapeva di moderno e di liberale e quindi di americano, all’idea che la nuova Cristianità sia l’Occidente egemonizzato dalla superpotenza statunitense e dalle lobby multinazionali e sostenuto dall’asse atlantico della Magna Europa, un asse che avrebbe nel continente europeo la sua Grecia votata alla bellezza e alla storia e negli States la sua Roma vigile sull’ordine e sulla pace del mondo(5) . E’, questa, la tesi di Robert Kagan, uno dei più perspicaci neoconservatori americani. Tesi, tuttavia, che dimenticando la frattura epocale del XVI secolo, non convince affatto e si rivela soltanto come un utile instrumentum regni dell’egemonia americana. Le tesi neoconservatrici sono riuscite a far breccia in ampi settori del tradizionalismo cattolico in quanto esso, pur esprimendo una innegabile coerenza sul piano teologico e religioso, si trova nell’impossibilità di proporre nel mondo (post)moderno un modello politico attuabile. Pertanto, in base al principio del “male minore” e senza chiedersi se trattasi effettivamente della scelta del male minore, il tradizionalismo cattolico, per poter avere uno spazio politico accessibile, è costretto ad appoggiarsi, facendosene subalterno e strumentale, alle forze liberal-conservatrici e ai poteri economici del capitalismo globale, ieri in funzione anticomunista e oggi, di fronte alla minaccia del fondamentalismo islamista(6), in funzione filo-occidentale. Atteggiamento speculare, questo, a quello del progressismo cattolico che tende, sempre in nome del presunto male minore, a liquefarsi nel solidarismo umanitario facendosi subalterno della sinistra ieri comunista ed oggi libertaria, ecologista e terzomondista. Del trinomio rivoluzionario la destra cattolica sposa la liberté, mentre la sinistra cattolica sposa l’égalité (7) . Entrambe accettano le categorie politiche proprie all’immanentismo ateo, nate dal dualismo antropologico post-cristiano. La rottura protestante dell’unità cattolica si è manifestata anche mediante il rifiuto della tradizione teologica patristica e scolastica. Tale rifiuto ha significato per il pensiero politico la perdita del presupposto di un’antropologia unitariamente complessa ed aperta verso l’Alto. Con tale perdita compare il dualismo antropologico che è il fondamento delle categorie politiche moderne. Mentre Francisco de Vitoria poteva affermare sulla base dell’antropologia cattolica che homo hominis homo, volendo con ciò dire che l’uomo vive la propria esistenza e dunque anche la propria politicità, essendo capace del bene come del male, il pensiero protestante-illuminista ha elaborato due speculari antropologie contrapponendo all’homo hominis lupus l’homo hominis deus. Queste contrapposte antropologie sono il presupposto dello schema “destra/sinistra” su cui sono fondate le categorie della politica moderna. Queste categorie, tuttavia, nascondono, dietro l’apparente dualismo, una comune origine filosofica. Entrambe originano, infatti, dall’immanentismo chiuso ad ogni trascendenza. Questa comune origine fa della “destra” e della “sinistra” le due polarità contrapposte e complementari del pensiero politico moderno. Polarità interdipendenti in questa loro comune origine immanentista e della quale la “destra” ha sviluppato l’antropologia negativa, sulla linea del pessimismo cosmico, e la “sinistra” l’antropologia positiva, sulla linea dell’ottimismo cosmico. La teologia cattolica del politico, invece, presuppone una cosmologia ontologicamente non negativa ed un’antropologia né disperatamente pessimista né ingenuamente ottimista. Nella prospettiva cattolica l’essere creaturale, nella sua dipendenza ontologica da Dio, esprime tutta la propria positività (in Gen. 1, 31, a conclusione della creazione, è detto: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.”), sicché l’uomo, rivestito di Grazia all’atto della sua creazione, è creato in una originaria bontà e perfezione, riverbero dell’Amore di Dio, ma viene ben presto segnato dalla ferita del peccato originale, ossia dalla fallace pretesa di auto-consistenza, che lo rende bisognoso di Redenzione. La deriva neoconservatrice conduce pertanto la destra cattolica (e la cosa, se può considerarsi come un esito ovvio per il liberalismo cattolico, è invece perlomeno inquietante se non catastrofico per il tradizionalismo cattolico) a ricoprire, nel gioco apparentemente duale dello schema moderno “destra/sinistra”, una posizione di fiancheggiamento del liberismo globale e transnazionale ad egemonia americana. Posizione, questa, speculare e complementare a quella cui è costretto il progressismo cattolico nell’alleanza con la sinistra post-comunista ed anarco-libertaria con la quale esso finisce per condividere, in un generico solidarismo umanitario, il pacifismo no-global che, a dispetto del nome in apparenza anti-global, cela in effetti il sogno di una globalizzazione di segno terzomondista secondo la prospettiva politicamente corretta, e del tutto occidentale, della sinistra euro-americana. Non è, infatti, un caso che, in Europa, sia la destra neoconservatrice sia la sinistra post-comunista siano filoamericane, collegandosi, idealmente, la prima al mondo repubblicano-conservatore e la seconda a quello democratico-liberal statunitense. La sottovalutazione delle radici protestanti dell’ordine americano espone l’infatuata destra cattolica europea all’accettazione sostanziale dell’antropologia negativa, della sociologia contrattualista e del decisionismo “imperiale” che caratterizzano l’ideologia neocon statunitense, filiazione diretta della linea Lutero-Calvino-Hobbes-Schmitt che è la linea del pessimismo cosmico-antropologico. Linea speculare a quella, dell’ottimismo cosmico-antropologico, Kant-Rousseau-Marx-Popper della quale è erede la sinistra liberal. Non è un caso se, a proposito delle divergenze europee sulla guerra preventiva americana, i neocon statunitensi abbiano visto in tali divergenze l’espressione di uno scontro in atto tra i seguaci di Hobbes e quelli di Kant, naturalmente prendendo posizione tra i primi. E’ in queste due linee, che nascono certamente in Europa, lungo i secoli del processo di scristianizzazione del vecchio continente, ma come variabili contrapposte e complementari dell’immanentismo ateo del pensiero politico moderno, e non nella patristica, nell’agostinismo o nella scolastica, che l’ordine americano, sia nella declinazione conservatrice che in quella liberal, ha le sue vere radici. Nell’ambito della filosofia giuridica e sociale, l’errore sostanziale dei conservatori che si pretendono “cattolici”, come Russel Kirk e Michael Novak, sta nel non sottolineare la differenza essenziale esistente tra il gius-naturalismo della tradizione teologico-giuridica del Cattolicesimo ed il gius-contrattualismo, o gius-razionalismo, protestante ed illuminista. Né la distinzione che le intelligenze più accorte dei cattolici (neo)conservatori, come Marco Respinti, divulgatore in Italia delle tesi di Russel Kirk, fanno tra conservatorismo “a cielo chiuso”, dunque a-religioso, e conservatorismo “a cielo aperto”, cattolicamente approcciabile in quanto religioso, impedisce la deviazione in senso contrattualista e liberal-borghese del gius-naturalismo. La mancata demarcazione tra gius-naturalismo e gius-contrattualismo tradisce la convinzione di una presunta continuità storica che non rende conto del processo di immanentizzazione avviatosi con lo scisma luterano-calvinista-anglicano, e del quale l’ordine globale americano, compiuto totalitarismo della dissoluzione, è l’esito politico ultimo. Questo errore si riflette nel tentativo di intellettuali catto-destri, come Marco Respinti, Gianni Baget Bozzo e Antonio Socci (8) , di distinguere tra la Rivoluzione Americana, di presunta matrice cristiana perché rispettosa del “diritto naturale”, e la Rivoluzione Francese anticristiana nel suo giacobinismo totalitario e liberticida. Tesi, questa, già avanzata a suo tempo dal latifondista controrivoluzionario anglicano Edmund Burke che ha tentato di distinguere tra la Rivoluzione Inglese, fatta in nome delle “libertà naturali” dell’individuo, e la Rivoluzione Francese illiberale (9) .