Qualcuno più addentrato di me nei sentieri dell'esoterismo potrebbe spiegarmi in parole povere cosa voglia dire Evola in questo testo con "agire per l'azione stessa"?
II. PURIFICAZIONE DELLA VOLONTÀ
L'impurità della volontà consiste nell'"eteronomia", cioè nel suo venire determinata da altro che da sè. Nella cultura occidentale, a causa della estraversione imperante, si è irradicato il convincimento che ogni azione debba avere una "ragione sufficiente", ossia che ci debba essere un motivo o una causa per il suo avvenire o non avvenire, per il suo avvenire così e non altrimenti, e si è giunti sino a pensare che le cose non vàdano in maniera diversa per lo stesso atto divino. È precisamente un tale modo di azione che viene detto impuro. Infatti in esso l'azione trae la propria iniziativa non da sè, ma da un motivo, ragione, impulso, oggetto attraverso appetito o avversione, ecc., in esso la volontà nel voluto non vuole solamente e nudamente sè stessa, ma altro, onde è propriamente da dirsi che essa è voluta da altro. Ciò è il sakâmakarma degli Orientali: azione secondo desiderio, azione che non è per sè stessa, ma per quanto ne procede. La purificazione qui si connette, invece, al convincimento che la "ragione sufficiente" di una affermazione PUÒ èssere l'affermazione stessa, epperò al concetto di un atto che sia fatto di sola, pura iniziativa creatrice. Anche di questo in un passo dell'Eckhart si può trovare la migliore espressione: "Da questo più profondo principio tu devi agire le tue òpere, senza un perchè. Io lo affermo decisamente: finchè òperi le tue òpere per il regno dei cieli, per Dio o la tua santità, epperò spinto da altro (von aussen her), fino allora tu non sarai realmente nel giusto... Se chiedi ad un vero uomo, ad un uomo che agisce dal suo profondo: 'Perchè òperi tu le tue opere?' egli ti risponderà giusto solamente se dirà: 'Non agisco, che per l'azione stessa'" (4).*
Qui è assai importante notare che l'esigenza della purificazione investe sia il "puro" che l'"impuro", sia il "buono" che il "cattivo", in una parola: non dei tèrmini particolari ma l'insieme delle coppie degli opposti. La purità di cui è quistione signífica piena autonomia, puro possesso di sè, e rispetto a ciò il legame al "buono", al "sacro", ecc., non è migliore di un qualsiasi altro legame: se quel che dagli uòmini viene chiamato buono o puro incatena la volontà, questa è da dirsi parimenti impura. Onde in tale òrdine ricòrrono espressioni, come lavarsi, denudarsi. Aphele panta: bisogna mondarsi di tutto - dell'"alto" come del "basso", dello "spirituale" come del "materiale" - bisogna ridurre la volontà alla sua nuda essenza, poggiante soltanto su sè stessa. Una volta giunti a ciò, tutto diviene egualmente puro, così come prima di ciò tutto è parimenti impuro. È che in un tale òrdine il "puro" non va detto delle cose in sè stesse, ma di un modo di viverle, misura del quale è l'autonomia, l'autarchia, onde nell'essere costretti a chiamare qualcosa impuro si esprime soltano il segno della propria impurità (5).*
Qui una particolarmente sottile disciplina è richiesta per il compimento dell'esigenza. Infatti, come garantire che ciò che si vuole proceda realmente dall'incondizionato e non da un oscuro, inafferrabile insieme di inclinazioni ed impressioni radicato nel subscosciente? La riposta è: approfondimento interiore, fare progressivamente affiorare nella luce della coscienza tutto ciò che prima ad essa si sottraeva. Anche fra noi, oggi, si comincia a lavorare su questa direzione con la psicoanàlisi. Di là da ciò, vi sono mètodi di controllo basati sul principio, che a seconda che l'azione sia conforme o no ad una inclinazione nascosta, s'ingènera piacere o contrarietà. Così non basta crèdere che l'alternativa ci sia indifferente, occorre mettere da parte la propria volontà e provare a lasciar decìdere al caso; per esempio al cadere in un verso o nell'altro di una moneta. Nel sentimento che ne risulta ed estendendo questa disciplina ad una materia che sempre più intimamente ci riguardi, si avrà un reale strumento segnalatore del progresso o regresso lungo la via della purificazione della volontà. In generale: occorre sapere rinunciare ad ogni cosa non appena si senta che ci diviene necessaria, non appena si scopra un desiderio o compiacimento per essa; occorre fare per principio non ciò che piace, ma ciò che costa, prèndere per principio sempre la linea di maggior resistenza e, con questo, rèndere sempre più forte e pura la volontà, sempre più enèrgico il possesso di sè. Disciplina dura, alla quale difficilmente ci si saprebbe adeguare quando non si riesca a sentire nel nudo volere in autarchia un motivo più forte ed un piacere più vasto e vivo di quanto ci pòssano offrire mai le cose in sè stesse. In ogni caso, essa conduce ad un punto assai difficile, il cui riflesso è appunto la difficoltà che la comune coscienza incontra nel concepire una azione, là dove non vi sia più un "perchè" a provocarla. Si prova come se tutto l'èssere interiore si fosse cristallizato, così che alcun gesto sia più possibile: è come una paràlisi, una afasia assoluta, che contrasta dolorosamente con il senso dell'interna possibilità. Quasi che si avesse qualcosa da dire e pertanto la bocca rimanesse muta ed inerte al comando. L'esperienza di un tale stato interiore dà il segno della purificazione e per essa l'individuo conosce quanto poco ciò che chiamava sua azione era veramente sua, quanto una reale iniziativa era assente della sua vita abituale, "superiore", e lui non un autore, ma un fantoccio, un medium sventolato da forze straniere. Sappia pertanto l'Io, di là da ciò, trovare un sopravanzo di forza, sappia egli malgrado tutto agire (6), allora egli si è conquistato il principio di una vita superiore, una potenza che sta di là dal suo essere fatto di dipendenza, di contingenza e di finitùdine. E la porta per quel più alto compimento, che è relativo alle restanti purificazioni, gli è dischiusa.*
http://www.juliusevola.it/documenti/...te.asp?cod=197