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    Wink Arturo Reghini e il concordato

    Arturo Reghini e il Concordato
    Post n°6 pubblicato il 28 Marzo 2009 da associazione.ignis

    “I cristiani sono gli ebrei più intelligenti, che hanno capito come fare per conquistare il mondo” (Disraeli)

    Negli scritti dedicati ai rapporti dell’Italia col Vaticano (Antonio Gramsci, Il Vaticano e l’Italia, Roma, 1986) Gramsci prevede il suicidio del cristianesimo. “Il cattolicesimo democratico – egli scrive – fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida” (L”Ordine Nuovo”, numero I, dicembre 1919).
    Questa previsione di Gramsci, alla luce di come andarono le cose, potrebbe essere messa a confronto con la posizione politica degli imperialisti pagani a lui contemporanei, immaginando un movimento pagano che avrebbe potuto ottenere consistenti risultati politici se avesse collaborato con l’elemento popolare. Con ciò non avrebbe fatto altro che ristabilire un’antica consuetudine cara ad una parte del ceto aristocratico romano (Giulio Cesare) che si alleava con la plebe per governare stabilmente l’Impero. Considerando Gramsci (filosofo della prassi) la testa pensante del movimento popolare in Italia e Reghini (filosofo pitagorico) la punta avanzata del movimento pagano, quali erano le possibilità di accordo e in che modo i due movimenti avrebbero potuto collaborare per ottenere una sconfitta politica del clericalismo. Gramsci e Reghini, pur partendo e difendendo posizioni filosofiche diverse, avevano in comune l’idea che il nodo politico italiano fosse costituito dalla presenza del Vaticano e del Papa a Roma; Gramsci pensava che la partecipazione dei partiti democratici al governo avrebbe potuto in qualche modo contribuire alla soluzione del problema, mentre Reghini nel 1924 nell’articolo “Imperialismo Pagano” esortava gli italiani a “costituire un partito imperialista laico, pagano, ghibellino che si inspiri unicamente alla tradizione italica di Virgilio, di Dante, di Campanella, di Mazzini.”
    Il modo in cui la questione fu risolta dal Fascismo con la firma dei Patti Lateranensi era quello meno auspicato sia dal movimento popolare che dai pagani. A una possibile strategia di intesa tra l’elite pagana e la sinistra rivoluzionaria aveva creduto Nino Daniele che dalla sua posizione di aristocratico, capo legionario e giornalista politico aveva favorito un incontro tra D’Annunzio e Gramsci, incontro che per una serie di circostanze sfortunate non avvenne. (Nino Daniele, Fiume Bifronte, Ignis, 2009, Home ). Il fatto stesso che Gramsci avesse accettato l’idea di parlare con D’Annunzio si spiega non solo con il pragmatismo gramsciano, ma con la possibilità che il filosofo sardo abbia creduto in una rivoluzione popolare con la partecipazione di alcune elite non compromesse con lo stato borghese.

    Un rapido esame di alcune opinioni di Reghini sui rapporti Stato-Chiesa messe a confronto con gli scritti di Gramsci ci fa vedere l’involuzione conservatrice e clericale del fascismo, il quale restituiva alla Chiesa un’Italia che il Risorgimento le aveva tolto con le armi e ci fa capire altresì come e perché, se da un lato l’elemento popolare si organizzava in partito per merito non solo dei socialisti e dei cattolici, ma anche dei sindacalisti e dei legionari, l’elite pagana non riusciva a fare altrettanto: di ciò si lamentava Reghini quando replicava a Guénon sulla questione dell’elite intellectuelle.

    Naturalmente Gramsci non sente il bisogno di mettere in relazione la presenza del Papa a Roma con la caduta dell’impero romano e la fine del paganesimo; da buon pragmatico Gramsci si sofferma sull’ “aspetto nazionale della funzione storica dell’Italia come sede del papato” e paragona la Chiesa a Shylock, l’usuraio ebreo del “Mercante di Venezia" Scrive: “Nella filosofia cosa conta oggi la Chiesa? In quale Stato il tomismo è filosofia prevalente tra gli intellettuali? E socialmente, dove la Chiesa dirige e padroneggia con la sua autorità le attività sociali?” . Questi interrogativi che seguono una serie di affermazioni sull’indebolimento “politico e morale” della Chiesa anticipano l’ovvia risposta e cioè che il Concordato non solo non era necessario, in quanto la Chiesa non aveva più l’autorità politica e morale per esigerlo, ma che rappresentava “la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente riconosce la superiorità”.

    Per ottenere l’appoggio delle masse cattoliche di cui Mussolini diceva di aver bisogno per consolidare il suo potere, il fascismo avrebbe dovuto percorrere la strada tracciata alle origini, avrebbe dovuto appoggiarsi agli intellettuali anticlericali e far leva sulle organizzazioni sindacali e di base, organizzazioni invise alla gerarchia vaticana e alle forze politiche reazionarie (banche, monarchia, nobiltà neo-guelfa): perciò il Regime“distrusse ogni opposizione alla Chiesa che abbia la capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini” (pag.73).

    Reghini dopo il 1929 fu ridotto al silenzio e cessò la sua attività di scrittore. Il suo pensiero su un eventuale Concordato risale quindi agli anni delle trattative. Ne “L’universalità romana e quella cattolica” Reghini conclude la sua lunga analisi sugli storici contrasti tra l’Italia e la Chiesa scrivendo: “La chiesa cattolica, se veramente ha fede nella propria superiorità, può imporsi con le proprie forze spirituali, senza ricorrere ad espedienti ed ai puntelli dello Stato”.

    Oggi il Concordato non ha più il prestigio di allora. I tempi sono cambiati, l’autorità morale della Chiesa si sgretola ogni giorno più a mano a mano che emergono casi di corruzione e i privilegi di cui godevano i cattolici dentro lo Stato per il solo fatto di professare quella religione sono finiti. Resta il nodo “politico” della presenza a Roma del Papa e di un clero che si crede tuttora in diritto di mettere il becco in tutte le questioni che interessano la libertà di coscienza e i diritti civili dell’uomo in generale e degli italiani in particolare.

    Dal momento però che nessuna costituzione politica moderna autorizza l’essere umano a sentirsi superiore a un altro per il solo fatto di essere cristiano, ebreo o musulmano, è matura l’ora che lo Stato dichiari decaduti i Concordati sottoscritti con qualsiasi religione e che restituisca all’Urbe il suo antico carattere di caput mundi rispettosa di tutti i culti, in quanto madre del culto più antico e più sacro, quello che si praticava in terra italica prima ancora della venuta di Abramo, di Cristo e di Maometto.

    Nota aggiuntiva

    Poichè l’articolo ha destato tra i lettori una certa curiosità e forse qualche perplessità vogliamo aggiungere qualcosa.

    Pochi hanno riflettuto sull’appello agli italiani lanciato nel 1924 da Arturo Reghini per “costituire un partito imperialista laico, pagano, ghibellino che si inspiri unicamente alla tradizione italica di Virgilio, di Dante, di Campanella, di Mazzini.” e sul reale significato di quell’ appello da alcuni, ingiustamente, ritenuto utopico e irrealizzabile.

    Quei furbacchioni dei gesuiti però furono i più lesti a capire la direzione del vento e infatti sposarono la causa nazionalista per neutralizzare e annacquare con il guelfismo e il clericalismo l’ambizione imperialista del fascismo.

    L’appello di Reghini di allora è sempre valido: oggi più di ieri. E Reghini non ne faceva una questione istituzionale. Monarchia o repubblica, cambia ben poco se a Roma accanto al Re o accanto a un Presidente continua a governare il papa. Roma antica ebbe monarchia, repubblica e impero e governava il mondo. Reghini era un imperialista. Se la mettiamo sotto il profilo dantesco possiamo definirlo monarchico, se sotto quello mazzianiano, è un repubblicano.

    Sotto l’aspetto sociale Reghini era un ammiratore di Pareto, credeva nella elite e nella giustizia sociale, figlia naturale e legittima della giustizia politica.

    Veniamo al presente. La crisi economica, Berlusconi, Fini, Veltroni e compagnia cantante sono il passato. O si comincia a pensare in termini futuristi oppure tra due, dieci, cento anni continueremo a piangerci addosso sui relitti del passato e chiuderemo la nostra mente a qualunque impulso innovatore e rinascimentale. La chiesa e le potenze straniere continueranno a governare, inamovibili; il che tradotto in lingua volgare significa solo una cosa: il clero ed il serpente economico, la cui testa è a Londra, continueranno a dominarci.

    Flauto di Pan - storia e attualità

  2. #2
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Thumbs up Riferimento: Arturo Reghini e il concordato

    Non credo di esagerare quando penso che ogni articolo di Reghini meriterebbe il Rilievo. hefico:

    Valete Optime In Pax Deorum!
    Atlantideo

  3. #3
    Baron Samedi
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    Predefinito Riferimento: Arturo Reghini e il concordato

    Citazione Originariamente Scritto da Arthur Machen Visualizza Messaggio
    L’appello di Reghini di allora è sempre valido: oggi più di ieri. E Reghini non ne faceva una questione istituzionale. Monarchia o repubblica, cambia ben poco se a Roma accanto al Re o accanto a un Presidente continua a governare il papa. Roma antica ebbe monarchia, repubblica e impero e governava il mondo. Reghini era un imperialista. Se la mettiamo sotto il profilo dantesco possiamo definirlo monarchico, se sotto quello mazzianiano, è un repubblicano.
    [/url]
    Senza cadere nell'equivoco evoliano di un sostegno senza se e senza ma a qualsiasi residuo di monarchia o presunta nobiltà (persino Borghese criticò Evola sotto questo aspetto).

  4. #4
    Ritorno a Strapaese
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    Predefinito Riferimento: Arturo Reghini e il concordato

    Il Concordato è la vera grande cazzata del Fascismo.
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Arturo Reghini e il concordato

    Citazione Originariamente Scritto da ulver81 Visualizza Messaggio
    Senza cadere nell'equivoco evoliano di un sostegno senza se e senza ma a qualsiasi residuo di monarchia o presunta nobiltà (persino Borghese criticò Evola sotto questo aspetto).
    Sicuramente,sopratutto in tempi come questi in cui la "nobilitas" è un puro aggeggio verbale.

 

 

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