Soprattutto il libro di Carnier è interessante."Una ricostruzione precisa e accurata del fallito tentativo nazista che avrebbe dovuto portare alla costruzione, nel Veneto orientale, di una nuova regione del Grande Reich germanico."
Soprattutto il libro di Carnier è interessante."Una ricostruzione precisa e accurata del fallito tentativo nazista che avrebbe dovuto portare alla costruzione, nel Veneto orientale, di una nuova regione del Grande Reich germanico."
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
di G.Ciola
La conflittualità fra le diverse etnie incomincia
in Europa nel XIX secolo, con la nascita del Nazionalismo,
mostro procreato dagli artefici illuministi
della Rivoluzione Francese ed “esportato”
nei territori occupati dalle armate napoleoniche;
in Italia i governi giacobini dal 1796 al 1801,
creano quel sentimento che, secondo Wolfgang
Goethe, porta dall’umanità alla bestialità, attraverso
la nazionalità.
Non è che prima del Giacobinismo non esistesse
l’idea di patria: Monaldo Leopardi, fiero oppositore
della corrente di pensiero venuta dalla Francia,
così la definiva: “La patria è precisamente
quella terra nella quale siamo nati, e in cui viviamo
insieme agli altri cittadini, avendo comuni
con essi il suolo, le mura, le istituzioni, le leggi,
le pubbliche proprietà e una moltitudine di interessi
e rapporti.”
In quest’ottica ben può parlarsi di patria veneta,
lombarda, tirolese o bavarese: piccole patrie
immerse in contenitori più grandi, Italia, Austria
e Germania, oggi, e domani, auspichiamo, in uno
ancora più grande: l’Europa.
Già allora, nelle sue numerose opere politiche,
il Leopardi intravedeva i pericoli di un centralismo
ottuso e soffocatore delle culture originarie
e del decentramento amministrativo, della massificazione
livellatrice, del sorgere dello statalismo
negatore dell’autonomia e della dignità dei
popoli minoritari, auspicando la trasformazione
dello Stato accentrato, quello giacobino, oggi più
che mai superato e impotente, in uno Stato Federale
pluralistico, costituito dall’unione delle
regioni autonome culturalmente ed amministrativamente,
entro i limiti di una Costituzione comune
aggiornata ai problemi dell’oggi e non ai
miti fasulli dello Stato nazionale unitario, ormai
superato dalla storia.
L’espressione “Pufferstaat” nacque in Germania
ed Austria nella seconda metà del XIX secolo,
per indicare un piccolo stato con funzioni di ammortizzatore
(Stossdämpfer), creato apposta per
smorzare gli urti inevitabili tra nazioni diverse e
quindi potenzialmente ostili.
Sarebbe interessante annotare le diverse, opposte
opinioni espresse dagli sciovinisti nostrani
(ce ne sono tanti) nei confronti del problema sudtirolese
e di quello istriano-dalmato: per il primo
si avvalora la giusta causa di una guerra vinta
nel 1918, ma si tace di quella perduta nel 1945,
che ci ha privati dei territori istriani e dalmati;
per questi ultimi si auspicava, giustamente, l’autodeterminazione
che è stata, ingiustamente,
negata ai sudtirolesi.
Per carità di patria sorvoliamo su tutte le amenità
ed i luoghi comuni contro i diritti della minoranza
tedesca, da parte di coloro che non hanno
mai vissuto nel Sudtirolo ed ai quali neghiamo
l’autorità di pontificare in merito, né sul diffuso
malanimo antislavo che pure ha delle profonde
ragioni, da ricercare negli anni luttuosi del
Fascismo e del dopoguerra; parleremo invece di
una bella utopia che costituirebbe il primo tentativo
di sostituire la barriera dei “sacri confini”
con un ponte di fraternità teso verso il mondo
germanico a Nord e lo slavo ad Est: due “Pufferstaaten”
appunto, che metterebbero fine alla
frammentazione violenta di due entità etno-storiche
ben definite: l’euroregione del Tirolo e quella
Giuliano-istriano-dalmata.
Per la prima ci sono già dei progetti bene articolati,
proposti da forze politiche e culturali di
lingua tedesca ed italiana: anche nel Trentino, il
vecchio “Welschtirol” o Tirolo italiano, ci sono
delle élites che propugnano il “progetto pantirolese”,
da Kufstein ad Ala, che ridia al Tirolo gli
antichi confini storici, ora stravolti; basta guardare
una carta geografica del 1914 ed una del
1919: con l’assegnazione al regno d’Italia di quella
parte del Tirolo che va dal Brennero alla chiusa
di Verona, il Nord-Tirol con Innsbruck risultò
tagliato fuori dall’Ost-Tirol e dalla città di Lienz,
suo capoluogo, a causa della perdita della Val
Pusteria, unica via d’accesso: vero smembramento
di una piccola patria, erede di una tradizione unica
nell’Europa, la cui caratteristica più saliente è
stato l’amore per la libertà, difesa sempre a caro
prezzo. Ricostruire l’unità del Tirolo, pur senza
intaccare la sovranità italiana sulle province di
Trento e Bolzano, né quella di Vienna sui suoi
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
più antichi possessi, è possibile, è attuabile, non
senza l’orgoglio di aver contribuito a dare un
esempio di civile convivenza in un mondo dilaniato
da odii e guerre crudeli, di costruire un diaframma
di fratellanza e cooperazione tra il Nord
e il Sud dell’Europa, di dar vita ad una regione
ove tre gruppi etnici: l’italiano, il tedesco ed il
ladino collaborano in armonia, con arricchimento
spirituale materiale reciproco; sarebbe il primo
esempio di abolizione dei confini, quali si intendevano
al tempo dell’oscurantismo giacobino:
una regione cuscinetto con le frontiere più aperte
d’Europa ai popoli mediterranei ed a quelli
germanici.
Ai nostri confini orientali il nazionalismo italiano,
contrapposto a quello slavo, reso ancor più
virulento dall’ondata di panslavismo che si è irradiata
dalla “madre Russia”, raggiungendo il suo
parossismo tra Serbi e Croati, ha prodotto tanto
odio da generare, negli anni dell’ultima guerra
mondiale, degli episodi di tale crudeltà da fare
impallidire quelli del più oscuro medioevo.
Nel ’45, a guerra finita, migliaia di prigionieri
di guerra, colpevoli solo di aver militato dall’altra
parte, furono massacrati nel modo più barbaro;
non solo di militari si trattò, ma anche di civili
di ogni età e sesso, colpevoli di essere stati “fascisti”
o semplicemente “italiani”. Dall’Istria e
dalla Dalmazia, la maggior parte della popolazione
di lingua italiana preferì abbandonare i suoi
beni e trasferirsi nella penisola, ove lentamente e
con altra sofferenza, si integrò.
Dopo la proclamazione di indipendenza della
Slovenia, Croazia e Bosnia, si è sviluppata una
guerra totale, con efferatezze che hanno superato
quelle dell’ultimo conflitto. Si è visto in questa
occasione quanto anche i micronazionalismi
possano essere virulenti; è difficile stabilire il limite
di un attaccamento innato per la propria
etnia, di una difesa ad oltranza della propria identità,
cose sacrosante, ma che non debbono consentire
di cedere alla tentazione di imporre una
presunta superiorità agli altri, né di vessare altre
minoranze.
Croati e Serbi, dopo essersi scagliati gli uni
contro gli altri, si sono alfine accordati solo per
sterminare, senza pietà, altri fratelli di religione
musulmana: un vero genocidio.
È sperabile che tanto sangue versato possa far
riflettere alla fine questi popoli e farli capire che
solo la tolleranza verso le minoranze etniche e
religiose potrà costituire una speranza per il futuro.
Anche se pare folle sperare di smussare le punte
dell’acceso nazionalismo di Sloveni e Croati che
hanno tagliato in due l’Istria, ove anche la popolazione
slava tiene all’identità culturale istriana,
come hanno dimostrato le elezioni amministrative
del febbraio ’93, non bisogna stancarsi di proporre
la costituzione di una macro-regione cuscinetto,
nella quale l’etnia italiana possa pacificamente
convivere accanto a quella slava, nel reciproco
rispetto e collaborazione. Sarà dura, ma
non bisogna demordere, agendo soprattutto a livello
accademico, dato che l’intellighenzia slovena
e croata è l’unica a recepire l’istanza coraggiosa
e civile del superamento dello sciovinismo
dei rispettivi popoli; sarà dura anche da parte italiana
superare gli antichi rancori, ma l’esito ne
varrà la pena: con la rinascita di Trieste, città prostrata
per la mancanza di hinterland e per l’indisponibilità
da parte del governo di Roma di farne
il porto della Mitteleuropa, come fu nello scorso
secolo che vide l’apogeo del suo sviluppo civile
ed economico.
La prima grande guerra civile europea del XX
secolo aveva frantumato gli equilibri che l’impero
asburgico aveva saputo creare, smorzando, con
la sua efficienza amministrativa, i nascenti nazionalismi
dei suoi popoli. Ora, dopo la grande
crisi che si abbatterà fra le popolazioni della ex
Yugoslavia stremate da quest’ultima guerra civile,
saranno le motivazioni economiche a spingere
sloveni e croati verso la soluzione da noi auspicata
e chi, tra gli italiani, non ha dimenticato
le terre perdute nel ’45, capirà che l’unico modo
pacifico per rivificare e tutelare l’italianità dell’Istria,
col ritorno degli esuli, non potrà che essere
una rinuncia parziale di sovranità delle tre
nazioni confinanti ed un impegno comune a superare
le barriere dell’incomprensione e della diffidenza
etnica.
Oggi questa soluzione è irreale, lo sappiamo
bene, ma domani essa potrà imporsi da sola, per
pure ragioni di sopravvivenza; bisognerà solo creare
per tempo le basi etico-culturali di quell’élite
che, quando il tempo sarà maturo, sappia tracciare
il percorso per la graduale realizzazione di
tale fine, oltre i limiti meramente economici ed
utilitaristici: un vero progetto politico di integrazione
culturale della popolazione italiana, croata
e slovena, nella nuova macro-regione adriatica.
Solo allora il mondo slavo e quello italico potranno
comunicare proficuamente attraverso
questo filtro pacificatore.
Due belle utopie, si dirà, belle, ma irrealizzabili,
mentre questo pazzesco bailamme giuridico,
amministrativo e politico che stiamo vivendo co-
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
stituirebbe l’unica amara realtà alla quale dovremmo
inchinarci.
Invece la rifiutiamo categoricamente forti del
fatto che abbiamo intravisto un precedente incoraggiante:
la costituzione dell’Alpe Adria, atto
avvenuto evidentemente durante un momento di
distrazione dei nostri governanti, poiché altrimenti
nessuno si spiegherebbe, conoscendone i
limiti mentali, come sia stato possibile consentirne
l’attuazione.
La “Comunità di lavoro Alpe Adria”, nata a Venezia
il 20 Novembre 1978, raggruppava all’inizio
due regioni italiane: il Friuli-Venezia Giulia
ed il Veneto, tre Länder austriaci: Carinzia, Stiria
ed Austria superiore, due repubbliche socialiste:
la Slovenia e la Croazia; in seguito vi aderiscono
il Trentino-Sudtirolo e la Lombardia, lo Stato Libero
di Baviera, il Land Salisburghese ed alcune
contee ungheresi.
Vi si configura la ricostituzione di un’area mitteleuropea
quale era, con l’eccezione della Baviera,
il Reich del giovane imperatore Francesco
Giuseppe d’Asburgo.
Inizialmente Alpe Adria era nata per avere solo
un ruolo economico: nel settore delle comunicazioni,
trasporti, scambi energetici, agricoltura e
turismo; successivamente, nel giugno-luglio
1991, con la crisi scoppiata all’indomani dell’autodeterminazione
di Slovenia e Croazia, Alpe
Adria assume pure un suo ruolo politico, esprimendo
addirittura un incondizionato appoggio
alle due nuove repubbliche, scegliendo una condotta
divergente da quella del governo centrale e
in aperto dissenso dal suo ministro degli esteri,
dichiaratamente filoserbo.
Questa politica estera regionale favorevole ai
due stati secessionisti non ha mancato di influenzare
le mosse successive di Austria e Germania:
il riconoscimento delle due repubbliche, nonché
di rafforzare la determinazione di sloveni e croati
a stringere legami sempre più forti con l’area
mitteleuropea e di accentuare lo strappo da Belgrado.
Tutto questo ha determinato la reazione della
Sinistra: il ministro De Michelis, di matrice giacobina,
è stato fino in fondo, un ostinato difensore
dell’integrità nazionale yugoslava, fingendo di
ignorare che, sotto la formale vernice federativa,
la dittatura comunista celava il centralismo oppressivo
dell’Unione Sovietica; più eloquente e
dimostrativa dell’impostazione statalista, nemica
di ogni vera autonomia, specialmente in casa
degli Stati a socialismo reale, come viene ancora
considerata la “Grande Serbia”, è stata la rabbiosa
reazione la quale Antonio Sema ha minacciosamente
tuonato contro Alpe Adria, a conclusione
del suo saggio su “Limes” 1/94 (“Estate 1991:
gli amici italiani di Lubiana”): “In ogni caso, sarebbe
forse consigliabile rivedere seriamente
competenze e pretese delle regioni nel settore
della politica estera, per evitare di trasformare con
troppa facilità segmenti regionali dell’apparato
politico e amministrativo italiano in efficienti basi
di manovra a disposizione di interessi esterni,
come è accaduto al Nord-Est italiano nel corso
del 1991.”
Una migliore difesa dello Stato centralista non
l’avrebbero potuta fare nemmeno i nazionalisti
di Gianfranco Fini; a noi non resta altro che identificare
il nemico principale dell’idea autonomista
e federalista ed additarlo a tutti coloro che la
pensano come noi.
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"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
Domanda complessa. Se si dovesse far rientrare la "Padania" n altre nazionalità, allora direi che il profondo nord-ovest (Val d'Aosta-Piemonte-Liguria) sarebbe stato assmilato splendidamente nella Francia di Napoleone (che di fatto procedette ad un'annessione). Probabilmente un'assimilazione superiore che non quella avvenuto in seno all'Italia.
Il Lombardo-veneto poteva , viceversa, rientrare nell'area mittel-europea (in questo caso germanica).
Per quanto possa interessare io non sono affatto convinto che la Padania sia da annoverare tra i territori germanici quanto piuttosto quelli mitteleuropei e tra questi, benonteso, a pieno titolo.
Viceversa, ricordo che se il III^ Reich avesse avuto la possibilità di portare a compimento il suo disegno per il nuovo assetto mondiale, tutti i territori al di sotto della linea gotica avrebbero costituito una sorta di federazione con il nord Africa, il che oltretutto obbedirebbe alla logica dell'accorpamento per gruppi etnici omogenei.
STOP IMMIGRATION - START REPATRIATION
- Standing Up For Great Lombardy -
Sicuramente i territori alpino-padani sono etnicamente e culturalmente più vicini alla area mitteleuropea che non a quella germanica.
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
Ok, sono d'accordo con voi, però bisognerebbe anche specificare cosa significhi area mittel-europea (concetto che idealmente condivido), perchè mi sa che DuxLupus e gente come lui avrà da ridire su questo......come al solito. Quindi diamogli subito una bella risposta preventiva.
Dell'area mitteleuropea fanno parte:
-le Comunità Alpino-Padane;
-il Tirolo;
-l'Austria;
-parte dell'Ungheria;
-la Slovenia e buona parte della Croazia:
-la Svizzera;
-la Baviera
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
Der Wehrwolf
Alcuni etnologi e storici inseriscono anche buon aparte della Germania nella MittelEuropa
"Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".
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