Qualcuno informi Bersani che Casini e Fini non sono "terzo polo" nemmeno nella loro città natale, cioè Bologna.ostridicolo:

Si ripropone quanto dicevo da tempo: se avessimo fatto un'asse dell'intransigenza con IdV e Sel, a quest'ora la situazione sarebbe diversa; ancora una volta, invece, anche grazie alla linea idiota di Grillo, i vari D'Alema riaprono le danze.
E così l'Italia non cambia mai :giagia:

Il vento e l’inciucio | Domenico Valter Rizzo | Il Fatto Quotidiano

Avevamo sperato che non accadesse, ma puntualmente, com’era purtroppo prevedibile, è avvenuto. Massimo D’Alema non è riuscito a resistere.

Come era già accaduto, quando Berlusconi è in profonda difficoltà, può contare, con assoluta sicurezza, sul soccorso che arriva da Massimo D’Alema. La raffinata proposta è un’idea assolutamente “nuova”: un governissimo. Uno stratagemma geniale per consentire a Berlusconi di recuperare. Insomma tutto pur di non votare adesso e scongiurare il pericolo delle primarie che potrebbero riservare sorprese amare per la nomenclatura del Nazareno. Allora meglio rimettere in sella Berlusconi, magari perdere, ma restare saldamente al comando della nave dal quale si possono ricavare reddite di posizione, che sono sempre meglio di vedere magari un Vendola trionfare alle primarie e magari – da candidato premier – ascendere a Palazzo Chigi.

Già, Vendola. Sulle colonne del Corriere il segretario Bersani ha espresso un forte richiamo alla necessità di convergenze con i centristi (nonostante siano usciti piuttosto maluccio dalle Amministrative) e ha tenuto a precisare, agganciando al volo a un assist di Aldo Cazzullo, che gli ricorda come il leader di Sel nel ’98 votò contro Prodi, che Vendola dovrà dimostrare di essere un alleato “affidabile”. Naturalmente nè Cazzullo e neppure Bersani si ricordano che a mandare a fondo Prodi nell’ultima esperienza di Governo non furono i trinariciuti comunisti, bensì gli affidabili moderati di Mastella.

La vocazione inciucista sembra essere dominante. In suo nome si può sacrificare tutto, soprattutto il “vento nuovo” che campeggia sui manifesti del Pd dopo i ballottaggi, ma che sembra esser diventato esso stesso il vero incubo dei dirigenti del Pd. Un vento che potrebbe far saltare gerarchie, equilibri, carriere garantite. Che potrebbe ridare la parola alla gente e ridurre al silenzio le oligarchie. Si tratta di una spinta che non è facile volgarizzare come protestataria o massimalista, che appare invece caratterizzata da una nuova visione politica che si potrebbe sintetizzare, usando una sorta di ossimoro, nel termine: Riformismo Radicale. Un riformismo cioè capace di aggregare non astratti soggetti “moderati”, ma il ceto medio dell’Italia di oggi, che potrebbe ridare rappresentanza ai lavoratori delle fabbriche, ignorati dalla politica. Un Riformismo Radicale che esca dai bunker delle sedi di partito e punti ad essere rappresentanza politica dei giovani, sui quali le famiglie hanno investito e che non hanno la possibilità di avere una progettualità né di lavoro e neppure di vita personale, e ancora della piccola borghesia professionale, dei certi impiegatizi e intellettuali, che hanno perso il benessere e la sicurezza sociale, dei piccoli e medi imprenditori, degli artigiani strangolati dalla crisi, delle finte partite Iva che lavorano come dipendenti senza diritti e senza sicurezze. Sono questi i moderati? O sono gli uomini di Marchionne e della Marcegaglia, o i Casini e i Buttiglione? Sono questi in realtà gli italiani che hanno risposto nel momento in cui la loro domanda di rappresentanza si è concretizzata, si è incarnata in uomini credibili, in progetti chiari, in schieramenti che non mettevano insieme tutto e il contrario di tutto. Hanno risposto da Milano a Napoli, da Bologna a Cagliari, da Sud a Nord, nel momento in cui la loro domanda ha incontrato l’offerta. Questo è successo alle amministrative. Questa è la lezione che i vertici del Pd stanno cercando disperatamente di non capire.