Carige, la carta truccata
Lega e M5S si giocano l'asso della nazionalizzazione della banca genovese. Ma stanno vendendo agli italiani una patacca clamorosa e pericolosa
DI MASSIMO GIANNINI
Dunque, anche Di Maio e Salvini potranno dire “abbiamo una banca”. Come fece Fassino al telefono con Consorte, ai tempi dell’operazione Bnl-Unipol. I gemelli diversi del governo gialloverde hanno finalmente gettato la maschera, mostrando il vero volto del sovranismo alla vaccinara applicato al credito. Carige se la compra lo Stato. Con i soldi dei contribuenti.
Dobbiamo essere grati ai due vicepremier, che fanno chiarezza dopo due giorni di bombe fumogene via Facebook e di bolle mediatiche da talk show. Lunedì, in un Cdm convocato nottetempo come una riunione carbonara, hanno varato il decreto per la disastrata Cassa di Genova (dote di 4 miliardi, tra garanzia statale sulle emissioni obbligazionarie e “ricapitalizzazione precauzionale”). Martedì hanno provato a negare l’evidenza: «Il Pd salvava i banchieri, noi salviamo i risparmiatori!», hanno urlato. Falso: nell’infinita via crucis del credito tricolore nessuno salva nessuno (nonostante i 60 miliardi di denaro pubblico già spesi), ma tutti provano solo a salvarsi la faccia. «Non spenderemo un euro degli italiani!», hanno giurato. Falso anche questo. Ieri, infatti, hanno confessato: Carige, con 9 miliardi di depositi a rischio e 2,8 miliardi di crediti incagliati, la vogliono accollare al Tesoro.
Eccola, la Dottrina Bancaria pentaleghista: il Gosplan 4.0. Un altro fuoco fatuo, acceso nella notte della ragion politica, per confondere le idee degli elettori fedeli al culto del “governo del cambiamento”. È vero che la rete di protezione sulla banca genovese in crisi non ha effetti sui risparmiatori paragonabili a quelli del decreto Renzi su Etruria-Marche-Chieti-Ferrara messe “in risoluzione”. È vero che il conflitto di interessi di Alpa e Conte su Carige (tutto da dimostrare) non è paragonabile a quello di Maria Elena Boschi e del babbo su Etruria (ampiamente dimostrato). Ma il decreto salva-Carige del governo Conte resta comunque un perfetto copia-incolla del decreto salva-Mps del governo Gentiloni. L’errore dei pentaleghisti non è aver varato quello di oggi, opportuno e tempestivo. È aver contestato quello di allora, necessario anche se tardivo.
In politica, quasi sempre, chi tocca le banche muore. E l’affare Carige, per il Salvi-Maio, è il primo vero stress test sulla tenuta della maggioranza (forse più della vergognosa crociata xenofoba combattuta sulla pelle dei migranti, gestita come arma di distrazione di massa). E proprio per ridurne i danni collaterali, adesso, Lega e M5S si giocano l’asso della nazionalizzazione. Ma è una carta truccata.
C’è un trucco ideologico: come dimostrano la mangiatoia delle partecipazioni statali e il “sacco” di Siena e Genova, non esiste privato buono e pubblico cattivo. I dissesti delle banche non sono colpa solo dei manager ladri che le hanno depredate, ma anche dei politici spregiudicati che le hanno usate come serbatoio di voti e clientele. C’è un trucco giuridico: lo Stato Padrone è vietato dalle norme comunitarie. Proprio per evitare che il conto dei fallimenti del capitalismo straccione lo paghi il solito Pantalone. E la stessa “ricapitalizzazione precauzionale” di Carige dovrà essere autorizzata dalla Ue. C’è un trucco pratico: la Borsa. La Cassa è quotata e ha un socio di maggioranza, i Malacalza, al 27%: li espropriamo? Non solo. Dopo l’ingresso in Mps il Tesoro ha accumulato in due anni una minusvalenza potenziale di 3,8 miliardi: siamo sicuri che con Carige vada meglio?
I gialloverdi stanno vendendo agli italiani una patacca clamorosa e pericolosa. «Il popolo sovrano si riappropria delle banche!», tuona il subcomandante Di Maio (su probabile consiglio di Di Battista, fresco di Grand Tour sudamericano). Un grido di battaglia che può funzionare nel Venezuela di Maduro. Non nell’Europa delle pur fragili democrazie liberali