La speranza di una primavera iraniana è durata poco, quanto durano i sogni. E la vittoria di Mah*moud Ahmadinejad, malgrado la delusione e l’inedi*ta protesta antibrogli dei giovani di Teheran, promet*te ora di modificare in profondità l’infuocato panora*ma mediorientale. Per cominciare è opportuno, ora che conosciamo il nome del vincitore, identificare quel*lo del vero perdente. Che non si chiama Hossein Mousavi, bensì Barack Obama. Il presi*dente statunitense, con una scelta a nostro avviso giusta do*po il troppo tempo perso dal*l’incomunicabilità bushiana, ha offerto a Teheran un dialo*go senza precondizioni finaliz*zato al superamento della que*stione nucleare. Il messaggio è stato indirizzato al presidente in carica Ahmadinejad e alla «guida suprema» Khamenei. Ma è evidente che la Casa Bian*ca, pur facendo attenzione a non interferire nella vicenda elettorale iraniana, sperava che dalle urne uscisse un segno di discontinuità.
Sperava di avere per contro*parte una persona diversa da Ahmadinejad, magari dura, ma*gari anch’essa favorevole al pro*getto nucleare, ma non mac*chiata dalla negazione dell’Olo*causto e dalle minacce all’esi*stenza dello Stato di Israele. Una persona con la quale fosse più agevole, anche e soprattut*to sul fronte interno america*no, avviare il negoziato appena messo in cantiere. Ora questa speranza è svanita, e se anche Ahmadinejad fosse colto da un improvviso soprassalto di mo*derazione (il che non è probabi*le) il confronto politico con lui appare destinato ad avere vita difficilissima. Così, reale o truccato che sia, il verdetto elettorale iraniano ha le potenzialità necessarie per mettere in crisi il più ambi*zioso e il più coraggioso dei progetti espressi dalla nuova politica estera di Washington.
Perdenti sono anche, in pie*no contrasto con la soddisfazio*ne di Hamas e di Hezbollah, gli Stati arabi sunniti. Dall’Egitto all’Arabia Saudita costoro non hanno mai nascosto i loro timo*ri verso la crescente potenza e influenza dell’Iran sciita, e nel*la loro ottica un cambio della guardia a Teheran sarebbe sta*to, se non una polizza di assicu*razione, almeno un forte moti*vo di sollievo. Con Ahmadi*nejad confermato, invece, le pa*ure sono destinate a crescere soprattutto nella cruciale area del Golfo. E non si può esclude*re che esse si traducano in una catastrofica quanto incontrolla*bile proliferazione nucleare.
Poi c’è Israele. Comprensibil*mente preoccupato dalle impli*cazioni minacciose del respon*so di Teheran, ma non sconfit*to. Tutt’altro. Gerusalemme ha sempre considerato il dialogo con Teheran una pericolosa opera*zione di facciata. Non ha mai creduto che un progetto nazio*nale strategico come quello nu*cleare potesse dipendere dalla personalità del presidente ira*niano. Non ha mai pensato che si tratti di un programma civile e pacifico, come sostiene an*che Ahmadinejad. Ha invece sempre insistito sul fatto che la minaccia iraniana, intollerabi*le per Israele, riguarda il mon*do intero. Ha messo in conto una certa tensione con il gran*de alleato americano pur di af*fermare che la questione irania*na viene prima di quella palesti*nese e che Teheran va fermata per tempo, con ogni mezzo ne*cessario.
Ebbene, la conferma di Mah*moud Ahmadinejad sembra fat*ta su misura per rafforzare le ar*gomentazioni israeliane pro*prio mentre indebolisce quelle di Obama. Anche nell’ipotesi futuribile ma non irrealistica di un ricorso alla forza contro le centrali iraniane, Israele potrà contare sulla complicità ogget*tiva che più gli serve: quella di Ahmadinejad e della sua conti*nuamente ribadita strategia della tensione. Quali seguiti avrà in Iran la protesta senza paura delle po*polazioni urbane meno disere*date? Cosa resterà della stagio*ne polemica e dunque liberta*ria che la società iraniana ha co*nosciuto durante la campagna elettorale? Fino a che punto l’uomo forte Alì Khamenei vor*rà tener a freno Ahmadinejad o imporgli una linea diversa? So*no, questi, interrogativi ai qua*li da domani bisognerà cercare risposta. Quel che sappiamo sin da oggi è che le urne irania*ne, invece di avvicinare una prospettiva di pace, l’hanno al*lontanata.
Franco Venturini
In Iran il vero sconfitto è Obama - Corriere della Sera