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    Predefinito L'occultismo secondo Arthur Schopenhauer

    A. Schopenhauer

    Memorie sulle scienze occulte

    Edizioni Studio Tesi, 1992



    Immagine tratta dal sito http://bluenred.files.wordpress.com/


    Memoria sulle scienze occulte - Google Libri
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-06-13 alle 02:12
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

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    Predefinito Re: L'occultismo secondo Arthur Schopenhauer

    È possibile per Schopenhauer vedere gli spiriti: la Volontà non è distrutta dalla morte

    di Francesco Lamendola


    Francoforte, Tomba di Schopenhauer
    Immagine tratta dal sito Wikimedia Upload

    Esistono gli spiriti, comunemente detti fantasmi o apparizioni? E, se sì, di quale genere è la loro natura: oggettiva o soggettiva; vale a dire, esterna e indipendente dalla mente di chi li percepisce, oppure interna ad essa?

    Nell’Ottocento era questo un tema molto dibattuto in Europa e negli Stati Uniti, specialmente dopo la nascita delle varie forme di spiritismo, pratiche volte a stabilire delle forme di comunicazione diretta fra i viventi e i defunti; ed era dibattuto non soltanto fra le classi popolari, ma anche nei salotti culturali e, ad un certo punto, perfino nelle accademie scientifiche.

    Gli unici che sembravano totalmente indifferenti a quel dibattito erano i filosofi di professione, i quali, dall’alto delle loro cattedre universitarie, non si curavano di simili problemi, vuoi che non li stimassero degni di una presa di posizione da parte loro, vuoi che dessero per scontato, visto l’indirizzo prevalentemente razionalista assunto della speculazione filosofica dopo Cartesio e, in particolare, da Kant a Hegel, l’assoluta insostenibilità di ogni ipotesi a favore.

    Una voce fuori dal coro, in polemica con la corrente dominante, fu quella di Arthur Schopenhauer, il quale, nei «Parerga e Paralipomena» - una raccolta di scritti minori pubblicati, in due volumi, nel 1851 - inserì un ampio saggio dedicato appunto a tale argomento, sviluppando e articolando un tentativo di risposta che lasciava la porta socchiusa rispetto alla possibilità che le visioni degli spiriti fossero eventi reali e non semplicemente il frutto di suggestione da parte di menti sovreccitate o malate, oppure, peggio ancora, di pura e semplice frode intenzionale da parte di astuti imbroglioni e mistificatori.

    Schopenhauer aveva esposto il nucleo della propria concezione filosofica più di trenta anni prima, con la sua opera fondamentale «Il mondo come volontà e come rappresentazione», apparso nel 1819: le sue riflessioni ed ipotesi riguardo al fenomeno delle apparizioni di spiriti sono la logica estensione delle premesse contenute in quell’opera.

    Schopenhauer distingue il mondo così come ci appare, ossia il fenomeno, ed il mondo come è in se stesso, che Kant aveva chiamato il noumeno. Il mondo fenomenico, per lui, è determinato dalle nostre forme a priori di tempo, spazio, causa ed effetto; il mondo noumenico è, nella sua essenza, inconoscibile; tuttavia, per analogia con l’intima essenza dello spirito umano (e questa, forse, è la vera debolezza fondamentale del pensiero schopenhaueriano), è possibile arguire che esso, nella sua intima essenza, non sia null’altro che Volontà.

    Non si tratta, peraltro, di una volontà individuale e intenzionale, ma di una volontà cieca ed inconscia, che si manifesta nelle forme più svariate, dal magnetismo terrestre alla crescita delle piante, all’istinto degli animali: non volontà di questa o quella determinata cosa, ma, puramente e semplicemente, della volontà di vivere, originaria e incoercibile.

    L’unica differenza fra la volontà degli altri enti e quella dell’uomo è che, in quest’ultimo, essa diviene cosciente di se medesima: l’uomo sa di voler vivere e sa che ogni sua lotta, ogni suo sforzo, ogni suo sacrificio, sono diretti alla conservazione e all’espansione della propria vita; anche se tale coscienza si è verificata per accidente e, dunque, non in base a una qualche finalità esterna al mondo della natura: la concezione di Schopnehauer, in questo senso, è ancora materialista e meccanicista, figlia in parte dell’atomismo democriteo ed epicureo, in parte del sensismo settecentesco, ma non ancora del darwinismo, che “esploderà” nella cultura europea solo più tardi («L’origine delle specie per selezione naturale» verrà pubblicata solo alla fine del 1859).

    Ora la Volontà, secondo il filosofo di Danzica, è, per sua stessa natura, perennemente insoddisfatta: infatti, se trovasse una qualche forma di appagamento, cesserebbe di essere tale, poiché cesserebbe di volere e, di conseguenza, cesserebbe anche di esistere.

    La Volontà, dunque, vuole, vuole eternamente, vuole contro tutto e contro tutti, ciecamente, convulsamente, voracemente: e il risultato del suo eterno protendersi verso qualcosa che non giungerà mai a placarla e a soddisfarla, è, inevitabilmente, il dolore: tutto, nella vita, è dolore, perché tutto è frutto di una volontà cieca e terribile, insaziabile e inestinguibile; non esiste gioia alcuna in senso positivo, poiché ciò che chiamiamo gioia è soltanto una cessazione temporanea e illusoria del dolore.

    Le forme in cui, poi, gli esseri umani possano liberarsi dalla stretta del dolore - con la triplice risposta dell’arte, che distoglie la volontà mediante la contemplazione del bello; della compassione, che la distoglie mediante la sollecitudine per l’altro; e dell’ascetismo, fatto di radicale cessazione della volontà - è cosa che, in questa sede, poco importa; è sufficiente dire che, per Schopenhauer, l’unica alternativa al dolore è la distruzione o, almeno, la sospensione della volontà di vivere, ciò che avvicina la sua filosofia a taluni aspetti dell’induismo e del buddismo.

    Il suicidio non è, come si potrebbe pensare, una alternativa efficace, perché la Volontà, per Schopenhauer, è la Cosa in sé, dunque eterna e insopprimibile; di conseguenza, togliersi la vita non elimina il dolore, perché non elimina la Volontà: soppressa la dimensione della vita terrena, la Volontà tornerà a manifestarsi in altre forme fenomeniche e, insieme ad essa, suo naturale compagno e suo prodotto inseparabile, il dolore.

    Ed eccoci arrivati al punto.

    Che cos’è uno spirito, se non la parte indistruttibile dell’essere umano, la parte che la morte non ha il potere di annientare, perché niente e nessuno potrebbero annientare, nella sua essenza, la Volontà medesima?

    A quanto pare, Schopenhauer non prende in considerazione spiriti d’altra natura: per esempio, creature spirituali che siano sempre state tali e non residui dell’esistenza terrena di coloro che un tempo furono uomini e donne. Angeli e demoni non rientrano nella sua indagine, il che - bisogna pur dirlo - limita parecchio il campo della sua indagine; e lo limita arbitrariamente, perché egli non si dà la pena di giustificare una simile riduzione.

    A dire il vero, tutta l’argomentazione del pensatore tedesco muove da una prospettiva sostanzialmente materialista: egli parla di “organo del sonno”, gangli del cervello e, in generale, sfoggia un vocabolario da studioso di fisiologia più che da filosofo; più che gli spiriti in sé, ciò che sembra interessarlo è la visione degli spiriti - ancora una volta, kantianamente, più il fenomeno, la cosa come appare, piuttosto che la Cosa in sé.

    Bisogna poi dire che, in quegli anni, l’opinione pubblica tedesca era enormemente interessata ai fenomeni, che oggi diremmo paranormali, relativi alla cosiddetta “veggente di Prévorst”, la mistica Friederike Hauffe, studiata da un medico di nome Justinus Kerner (cfr. il nostro articolo: «Leggere con lo stomaco, vedere gli spiriti: il caso della veggente di Prevorst», apparso sul sito di Edicolaweb e, poi, su quello di Arianna Editrice, in data 07/07/2008); e che ciò aveva aperto il dibattito sulle possibilità misteriose della mente umana, anche fra le persone colte.

    Scrive dunque Schopenhauer nel «Saggio sulla visione degli spiriti», che fa parte dei «Parerga e Paralipomena» (traduzione di Francesca Ricci, Newton, Roma, 1993, pp. 82-85):

    «Noi sappiamo […] dalla mia filosofia che questa cosa in sé, quindi anche l’essenza interna dell’uomo, è la sua volontà, e tutto l’organismo di chiunque comunque egli si rappresenti empiricamente, altro non è se non l’oggettivazione della stessa, o più precisamente l’immagine che questa volontà ha assunto nel suo cervello. La volontà come cosa in sé si trova però al di fuori del “principium individuationis” (spazio e tempo), attraverso il quale gi individui sono separati; per la volontà quindi non esistono i limiti insorti in virtù di tale principio. Si spiega quindi, nella misura in cui la nostra perspicacia può essere sufficiente quando calpestiamo questo terreno, la possibilità del’azione immediata e reciproca degli individui, indipendentemente dalla loro vicinanza o lontananza nello spazio, che si realizza di fatto nelle nove categorie sopra enumerate di visioni in stato di veglia mediate dall’organo onirico, e più spesso durante il sonno; allo stesso modo si spiega, a partire da questa comunicazione immediata fondata nell’essenza in sé delle cose, la possibilità del sogno vero, della coscienza dell’ambiente circostante, nel sonnambulismo e infine quella della chiaroveggenza. Mentre la volontà dell’uno, impedita dai limiti dell’individuazione, agisce su quella dell’altro immediatamente e “in distans”, così facendo essa ha agito proprio sul suo organismo, che infatti soltanto la sua volontà oggettivata spazialmente. […]

    Se per esempio un moribondo agisce con forte struggimento altre intenzioni di volontà su una persona lontana, la sua figura, se l’azione è molto energica, si presenterà nel cervello dell’altro, tanto da apparirgli come un corpo reale. Evidentemente però una tale azione occorrente attraverso l’interno dell’organismo influenzerà più facilmente il cervello di un altro se questo dorme che non durante la veglia; nel primo caso infatti le fibre cerebrali saranno immobili, nel secondo si muoveranno invece in una direzione opposta rispetto a quella che devono prendere adesso. Di conseguenza un’azione più debole del genere in questione può manifestarsi nel sonno, suscitando sogni, mentre durante la veglia susciterà idee, sensazioni e inquietudine, ma tutto sempre conformemente alla sua origine e recandone il sigillo: così può causare ad esempio un istinto inspiegabile ma irresistibile e magari ricacciare indietro davanti alla soglia di casa, per il desiderio di non vederlo, colui che vuol venire e che era stato espressamente invitato (“experto crede Roberto” [“credi a Roberto, che l’ha sperimentato lui stesso! Da Virg., “Eneide”, XI, 283 e altrove)]. Su questa azione, alla cui base c’è l’identità della cosa in sé in tutte le sue manifestazioni fenomeniche, è fondato il fato, da tutti riconosciuto, che visioni, seconda vista e visione degli spiriti sono contagiose, la qual cosa produce un effetto il cui risultato è simile a quello che un oggetto fisico esercita contemporaneamente sui sensi di diverse persone in seguito al quale più persone vedono contemporaneamente la stessa cosa, che si costituisce quindi come del tutto oggettiva. Sulla medesima azione diretta si fonda anche la trasmissione immediata dei pensieri tanto spesso notata, così certa che io consiglio a colui che custodisca un importante e pericoloso segreto di non parlare mai della questione con colui che non deve venirne a conoscenza; mentre lo fa, infatti, deve tenere inevitabilmente presenti tutti gli aspetti della cosa e questo può accendere all’improvviso una luce nell’altro, perché c’è una comunicazione dalla quale non proteggono né il silenzio né la menzogna. Goethe racconta (nelle osservazioni a margine del “Divano Occidentale Orientale”, paragrafo “Blumenwechsel”) che due coppie di innamorati, durante una gita di piacere, si ponevano reciprocamente delle sciarade: “Prestissimo non so ciascuna sciarada fu indovinata nel momento stesso in cui era pronunciata, ma un’immediata divinazione permise loro di riconoscere e pronunciare persino la parola cui l’altro pensava e intorno alla quale intendeva costruire l’enigma”. La mia bella ostessa di Milano, molti ani fa, mi domandò, durante una conversazione molto animata che avemmo a cena, quali fossero i tre numeri che aveva giocato come terno al lotto. Senza riflettere, le indicai esattamente il primo e il secondo, ma poi, stupito dal suo giubilo, come svegliato e quindi e riflettendo, sbagliai il terzo. Il grado più alto di questo genere di azione si riscontra notoriamente nelle sonnambule molto chiaroveggenti, che descrivono a chi le interroga con precisione ed esattezza, la sua patria lontana, la sua stessa abitazione o altri paesi lontani. La cosa in sé è la medesima in tutte le cose, e lo stato di chiaroveggenza mette chi vi si trova in grado di pensare col mio cervello invece che col suo, profondamente addormentato.

    Poiché d’altra parte è per noi certo che la volontà, se è la cosa in sé, non è distrutta e annientata dalla morte, non si può negare A PRIORI la possibilità che un defunto possa esercitare un’azione magica del genere ora descritto. Tuttavia questa possibilità non può essere compresa chiaramente e quindi afferrata positivamente perché, sebbene generalmente non impensabile, essa è subordinata a grandi difficoltà, che cercherò di indicare brevemente. Poiché dobbiamo immaginare che l’essenza interna dell’uomo sia rimasta incorrotta con la morte ed esista al di fuori dello spazio e del tempo, una sua influenza su noi viventi potrebbe verificarsi soltanto tramite molte mediazioni, che si troverebbero tutte dalla nostra parte; sarebbe quindi assai difficile stabilire quanto provenga davvero dal defunto. Infatti una azione di questo genere non dovrebbe soltanto penetrare nelle forme intuitive del soggetto percipiente, ma anche presentarsi come un qualcosa di spaziale, temporale e che agisca materialmente secondo le leggi della causalità; essa dovrebbe però anche entrare nel contesto de suo pensiero concettuale, perché altrimenti non saprebbe che cosa farsene; ma colui che appare non vuole essere semplicemente visto, ma anche in certo qual odo compreso nelle sue intenzioni e nelle azioni ad esse corrispondenti: dovrebbe quindi ancora adattarsi alle opinioni limitate e ai pregiudizi del soggetto. Ma ancora di più! Non soltanto in virtù di quanto ho esposto sino ad ora gli spiriti sono visti tramite l’organo onirico e conseguentemente a un’azione che raggiunge il cervello dall’interno, invece che dall’esterno come al solito, attraverso i sensi; ma anche J. Kerner, fermo sostenitore della realtà oggettiva degli spiriti, che appaiono dice la stessa cosa, affermando ripetutamente che “gli spiriti non si vedono con l’occhio del corpo ma con quello dello spirito”: Per quanto innescata da un’azione interna sull’organismo, nata dall’essenza in sé delle cose e quindi magica, che per mezzo del sistema dei gangli si impianta sino al cervello, l’apparizione di uno spirito è tuttavia afferrata allo stesso modo degli oggetti che agiscono su di noi dall’esterno, per mezzo di aria, luce, rumore, impatto e odore. A quali modifiche dovrebbe mai subire la presunta azione di un defunto nel corso di una tale traslazione, di un meta-schematismo [trasformazione] così totale! Come si può mai supporre che per tali vie traverse possa verificarsi davvero un dialogo con botta e risposta, cosa questa di cui spesso si sente parlare?»

    Come si vede, la sostanza del ragionamento di Schopenhauer - di cui abbiamo riportato solo alcuni passaggi chiave, sufficienti, però, a dare un’idea della sua prospettiva e del suo modo di argomentare - è abbastanza semplice.

    Se la Cosa in sé è la Volontà, allora essa non viene distrutta dalla morte: di qui la possibilità della visione degli spiriti di persone defunte, o morenti, da parte dei vivi.

    Quanto alla visione degli spiriti di persone vive, che si presenta a dei soggetti immersi nel sonno, oppure in stato ipnotico, o immersi nel sonnambulismo, oppure ancora in stato di perfetta veglia -, la spiegazione che egli dà non è di natura sostanzialmente diversa: la Volontà, in se stessa, si pone al di fuori dello spazio e del tempo; per cui un essere umano, a determinate condizioni, può apparire ad altri esseri umani, e questi lo possono percepire, “saltando” l’intermediazione dello spazio e del tempo, qualora una scintilla della sua volontà balzi oltre la soglia delle forme a priori in cui giace, ordinariamente, la vita terrena, sotto l’impulso di emozioni sentimenti particolarmente vivi e intensi.

    Allo steso modo, è possibile comunicare pensieri, informazioni, perfino creare una perfetta sintonia di pensieri tra due soggetti, senza che essi si scambino un sola parola, specialmente se si tratta di individui legati da profondi vincoli affettivi: l’azione a distanza, quindi, è possibile da una mente all’altra, ammissione notevole nel cotesto di una cultura, quella europea oltre la metà del XIX secolo, che si stava lasciando alle spalle il Romanticismo e andava verso il credo positivista, naturalmente scettico verso qualunque realtà non osservabile e sperimentabile.

    Ma si tratta realmente di spiriti che esistono in sé e per sé, oppure, appunto, di semplici visioni che si manifestano all’interno della mente del soggetto percipiente; insomma, di fenomeni simili alla telepatia e alla chiaroveggenza?

    Schopenhauer non sembra disposto a credere che si tratti di spiriti esistenti in senso oggettivo, o, per dir meglio, non crede che la mente dei viventi possa cogliere visioni oggettive dal mondo della Cosa in sé: troppe intermediazioni sarebbero necessarie, sia dalla parte del mondo sensibile, quello dei vivi, sia dalla parte di quello in cui si trova il defunto, ovvero una dimensione della quale poco o nulla ci è dato di sapere.

    È inverosimile, comunque, che un autentico dialogo possa stabilirsi tra il soggetto percipiente e lo spirito di un defunto, proprio perché, per renderlo possibile, dovrebbero concorrere troppe di tali intermediazioni: se non si può escludere che un spirito appaia e cerchi di significare un pensiero o un sentimento, non si può spingersi oltre e immaginare che i due piani di realtà siano in grado di intavolare un dialogo con domande e risposte, come invece pretenderebbero i sostenitori delle varie forme di spiritismo.

    Pur restando possibilista, Schopenhauer è piuttosto prudente: egli ammette la possibilità teorica, ma non si esprime in modo definitivo circa la realtà concreta del fenomeno, almeno per quanto riguarda le apparizioni dei defunti (op. cit., p.87):

    «Ad ogni modo un’apparizione di spiriti non è, in primo luogo e direttamente, nient’altro se non una visione nel cervello del visionario: che possa provocarla dal’esterno un moribondo, è attestato da frequenti esperienze, che possa farlo un vivente è parimenti attestato a fonti attendibili, in moltissimi casi: resta aperta la questione se possa farlo un defunto.»

    È un peccato che la riflessione di Schopenhauer si sia fermata qui. Infatti, giunto a questo punto, egli avrebbe potuto chiedersi quale sia la natura delle apparizioni che si manifestano nel corso delle sedute spiritiche, che allora cominciavamo ad andare così di moda: se non si tratta di ciò che esse dicono di essere, cioè anime disincarnate di defunti, chi o che cosa potrebbero essere, e perché si darebbero la pena di ingannare i loro interlocutori viventi?

    Ma è logico che il filosofo tedesco non abbia esplorato questa possibilità, date le sue premesse: se gli unici spiriti di cui mostra di volersi occupare sono quelli degli esseri umani, vivi (con la telepatia) o defunti (con le apparizioni “post mortem”), non rimane spazio per ammettere una ulteriore possibilità: che vi siano, appunto, degli spiriti disincarnati fin dal principio, e non già tali per una temporanea separazione dal corpo o per un distacco operato dalla morte; degli spiriti, la cui realtà dovrebbe essere accostata per mezzo di altri strumenti conoscitivi, che non quelli della pura e semplice indagine empirica; riconoscendo, per ciò stesso, i limiti della ragione umana, che, come parte del fenomeno, ignora così tante cose del Noumeno.

    Come aveva già detto Shakespeare, nell’«Amleto»: «Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa sognare tutta la tua filosofia»…

    È possibile per Schopenhauer vedere gli spiriti: la Volontà non è distrutta dalla morte, Francesco Lamendola - http://www.ariannaeditrice.it/
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