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  1. #181
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    La fantascienza di H. G. Wells tra utopie della mente e incubi a occhi aperti

    di Luca Fumagalli



    Le letteratura di Herbert George Wells (1866-1946) è uno specchio della Gran Bretagna del primo Novecento, un periodo in cui la cieca fiducia nel progresso che aveva caratterizzato il secolo precedente iniziava ad essere messa seriamente in discussione da un numero crescente di intellettuali.

    Due cose ossessionarono lo scrittore inglese per tutta la vita: la legge dell’entropia enunciata da Thomson – che oscurò per sempre la visione di un’umanità che avanza lungo un sentiero indefinito ma in continua ascesa – e le teorie sull’evoluzione di T. H. Huxley. Questi aveva infatti mostrato come cambiamenti anche limitati implicassero necessariamente perdita e dolore, e come la sopravvivenza dei più adatti non significasse per forza la sopravvivenza dei migliori. Veniva così messa in discussione l’interpretazione ottimistica della selezione naturale, anche se Huxley offriva qualche elemento di conforto sostenendo l’esistenza di uno sforzo umano potenzialmente costruttivo. Non è azzardato affermare che questi assunti divennero fondamentali nella filosofia di Wells, che nelle sue opere alternò sempre visioni luminose a momenti di profondo pessimismo.

    Già in uno dei suoi primi lavori, The Man of the Year Million (1893), fuse ironicamente utopia e antiutopia, descrivendo un futuro nel quale la forma umana è ridotta a un cervello senza corpo. Di proposito l’immagine non è affatto attraente dal punto di vista estetico, eppure si fa largo un’inquietante domanda: perché no? Cosa c’è di male nel liberarsi di corpi problematici per la serenità del puro regno della mente?

    In un articolo semi-serio dell’anno seguente, The Extinction of Man, Wells dipinse una prospettiva ancor più minacciosa: come da titolo, l’uomo scompare dalla faccia della terra, sostituito da improbabili animali di dimensioni spaventose.



    Lo scrittore inglese utilizzò efficacemente tutti questi temi nei sui primi scientific-romances, generalmente caratterizzati da un incalzante senso apocalittico del disastro e della fine, in cui l’umanità è punita per la propria arroganza e per l’autocompiacimento. Fortunatamente una tenue traccia di attesa speranzosa non scompare mai, nemmeno nei romanzi più foschi.

    Il protagonista de La macchina del tempo (1895) è un curioso scienziato che, grazie alla sua invenzione, è in grado di viaggiare nel tempo. Fermatosi nell’anno 802.701, trova una civiltà degenerata: ci sono gli aristocratici Eloi del mondo superiore, che conducono una vita agiata e decadente, e i Morlock del mondo inferiore, gli abbruttiti discendenti del proletariato industriale. La mitica Età dell’oro è raggiunta e la natura è sottomessa ma, nonostante ciò, la completa realizzazione umana è del tutto assente. Anzi, lo scenario si fa ancora più allarmante quando il viaggiatore scopre che i Morlock si vendicano sugli Eloi predandoli come cannibali. Decide così di fare un balzo in avanti nel tempo di altri tre milioni di anni per assistere sgomento alla morte del pianeta, con lo spegnersi del sole e la discesa delle tenebre verso l’involuzione nel nulla. Solo l’ottimismo dell’amico narratore stempera, almeno in parte, l’epilogo angosciante: «So che lui aveva un’idea sconsolata del progresso del genere umano, e nel crescente edificio della civiltà vedeva solo un ammasso scriteriato destinato inevitabilmente a crollare e distruggere i propri artefici. Se è così, non ci rimane che vivere come se così non fosse».

    Già prima de Il risveglio del dormiente (1899), una variante in salsa totalitaria de La macchina del tempo, in L’isola del dottor Moreau, l’agghiacciante fiaba evoluzionistica del 1896, Wells si era scagliato contro la cieca fiducia nei confronti del progresso e della scienza, considerate alla stregua di divinità (in seguito lo scrittore definì la sua storia «un grottesco teologico»).

    Il dottor Moreau, un malvagio chirurgo, usa le sue abilità nella vivisezione per creare esseri antropomorfi assemblando pezzi di animali. La narrazione, che verte sulle responsabilità dello scienziato di fronte al bivio tra esigenze di ricerca e morale, rivela in Moreau l’ “umanista” moderno, paragonabile a Prometeo o a Frankenstein, così disgustato da qualsiasi forma di dipendenza che si immagina (illudendosi) artefice di se stesso; è un inguaribile egocentrico, un folle che gioca pericolosamente a fare Dio. Moreau vuole cambiare l’ordine naturale delle cose, ma finisce per soccombere a quel lato oscuro che credeva di aver estirpato nelle sue creature a colpi di operazioni chirurgiche e iniezioni. Il pessimismo di Wells raggiunge qui il suo apice nel descrivere l’inevitabile trionfo del lato animale su quello umano.



    Sulla medesima scia si situa L’uomo invisibile (1897), la storia di uno scienziato brillante ma perverso, Griffin, che la scoperta del segreto dell’invisibilità porta gradualmente alla ricerca paranoica del potere. Al culmine della carriera, il protagonista, un novello Faust, istituisce il suo regno dispotico sull’Inghilterra meridionale, finendo ammazzato nell’epilogo da una folla terrorizzata e irata.

    Il racconto Storia dei giorni futuri (1899) narra invece la vicenda di due giovani innamorati in un futuro stravolto dall’urbanizzazione e dal progresso incontrollato della scienza. Wells trasporta nel XXII secolo le problematiche della Londra vittoriana, prefigurandone gli aspetti più inquietanti. La disparità sociale si è accentuata e milioni di persone sono costrette ad abitare nei sovraffollati grattacieli di poche megalopoli, attraversate da trafficate vie aeree; la zona rurale giace in uno stato di abbandono; poche compagnie governano l’economia mondiale e l’ipnosi è diventata il miglior strumento di controllo sulle menti umane. Da questo scenario ributtante i due protagonisti cercano invano di fuggire, ingannandosi di poter ricreare il fascino perduto di una vita agreste e semplice, fatta di piccole cose.

    Il pericolo rappresentato dall’intelligenza disincarnata riecheggia come tema centrale sia ne La guerra dei mondi (1898) che ne I Primi uomini sulla luna (1901). Si tratta ancora di storie apocalittiche, antiutopiche: nel primo romanzo i Marziani invadono la Terra con violenza terrificante per imperscrutabili propositi, mentre nel secondo viene descritta la civiltà-formicaio dei Seleniti con la sua grottesca gerarchia. I Marziani e i Seleniti sono versioni appena modificate di quell’uomo futuro, ridotto a mera razionalità, che Wells aveva abbozzato nei precedenti lavori.

    Negli anni successivi lo scrittore inglese approfondì le figure di Platone e di Thomas More, e con rinnovato spirito di fiducia pubblicò, nel 1905, Un’utopia moderna, in cui è descritto un ideale Stato Mondiale dove socialismo e scienza viaggiano a braccetto, organizzando al meglio anche la vita matrimoniale e i processi di riproduzione. Il cammino del libro, intrapreso all’insegna della ragione, si conclude comunque con un irrazionale atto di fede, tra dubbi e speranze. Un’utopia moderna non mancò di scatenare un nugolo di polemiche e in molti accusarono Wells di aver dato forma a uno stato servile più che a uno stato auspicabile. In realtà il volume si preoccupa solamente di mostrare un mondo in cui è stata eliminata la sofferenza fisica e quella mentale, e in cui alle persone è consentito svilupparsi fino alla pienezza del loro statuto umano, in anima e corpo (questione riproposta in The Shape of Things to Come, del 1933).



    La fantascienza di Wells è dunque un tentativo di colonizzare razionalmente l’ignoto, di esorcizzare il buio tenendo alta la torcia della mente, per poi ripiombare, di fronte alle inquietanti prospettive che essa illumina, in un senso di impotente cecità. Di conseguenza, secondo lo scrittore, non rimane altro da fare se non convivere con il mostro in gestazione e cercare, per quanto possibile, di migliorarlo, una lezione che sarà ripresa e sviluppata nel Novecento da svariati autori tra cui Aldous Huxley, William Golding e Anthony Burgess.



    Fonte: https://www.radiospada.org/2020/05/i...oXMIdNAMpTfpbU
    Ultima modifica di Luca; 30-08-20 alle 16:23

  2. #182
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    Contro l’usurocrazia e per una rinnovata sovranità: “La Questione monetaria” di Pietro Ferrari



    di Piergiorgio Seveso

    Con usura nessuno ha una solida casa
    di pietra squadrata e liscia
    per istoriarne la facciata,
    con usura
    non v’è chiesa con affreschi di paradiso
    arpe e liuti
    e l’Annunciazione dell’Angelo
    con le aureole sbalzate,
    con usura
    nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
    non si dipinge per tenersi arte
    in casa ma per vendere e vendere
    presto e con profitto, peccato contro natura,
    il tuo pane sarà staccio vieto
    arido come carta,
    senza segala né farina di grano duro,
    usura appesantisce il tratto,
    falsa i confini, con usura
    nessuno trova residenza amena.
    Si priva lo scalpellino della pietra,
    il tessitore del telaio
    CON USURA
    la lana non giunge al mercato
    e le pecore non rendono
    peggio della peste è l’usura, spunta
    l’ago in mano alle fanciulle
    e confonde chi fila. Pietro Lombardo
    non si fe’ con usura
    Duccio non si fe’ con usura
    nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
    nè fu “La Calunnia” dipinta con usura. […]

    Ezra Pound (Cantos, XLV)

    Quando il 24 settembre 2008 tenni all’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano una conferenza su “Ezra Pound tra magistero politico e poesia”, introdotto da Luca Fumagalli, commentai per il pubblico dei presenti questa poesia poundiana che era talmente ricca di carica evocativa, dato anche il contesto in cui era stata scritta, da sopraffare sia lo storico che l’esegeta.

    Spesso però queste declamazioni poundiane riempiono la bocca di politici, di Masanielli da prefisso telefonico, di Cola di Rienzo in sedicesimo e d’occasione oppure sono motivo di puri esercizi retorici per esteti estenuati dalla vita e in cerca di un qualche fumoso e nitrente cavallo di battaglia su cui salire a fatica per affrontare i lunghi pomeriggi dell’estate mediterranea. Quasi sempre non si tratta di un approccio serio e quindi, a maggior ragione, si parla a vanvera.

    A chi volesse invece approfondire seriamente il tema della questione monetaria, della progressiva ed inesorabile privatizzazione della moneta, diventata da mezzo a totem quasi magico per affamare e sfrutturae l’uomo e tutto il valore ch’egli produce, Radio Spada ha offerto nel 2014 questo saggio di Pietro Ferrari, introdotto da una prefazione molto chiara e lineare di Antonella Rustico.

    Pietro Ferrari, un continuatore originale del pensiero di Giacinto Auriti, uno studioso che non “iura” mai “in verba magistri”, spazia nel tempo e nella geografia, dalla fondazione della Banca d’Inghilterra a Bretton Woods, dall’Euro al Fiscal Compact, dal Trattato di Lisbona al famigerato e molto citato MES, il tutto in modo molto godibile e raffinato, senza ciarpame tribunizio o deviazioni partitizzanti.

    Siccome poi queste recensioni passano talvolta inosservate, specie in questi ronzanti pomeriggi di tarda pandemia, vorrei spendere due parole che vorrei si imprimessero bene nella memoria dei nostri lettori e che riguardano l’autore di questo saggio.

    Pietro Ferrari rappresenta, a modesto ma motivato avviso di chi scrive, anche plasticamente, un vero modello di intellettuale cattolico integrale per gli scrittori di lingua italiana in questo primo (devastante) scorcio del ventunesimo secolo.

    Ha spaziato in vent’anni di vita letteraria dai saggi politici al racconto breve, dal romanzo distopico alla trattatistica apologetica (penso all’ottimo Non possumus), dalla storia alle rassegne d’attualità. Poligrafo senza ignoranza, uomo di parte senza faziosità e partigianerie, uomo di Fede senza settarismi e catatonie di ritorno, padre di famiglia senza familismi, cattolico integrale senza afasie da tinello domestico, abruzzese di tempra: sono lieto che Radio Spada ne abbia valorizzato l’opera e l’abbia fatta conoscere ad un pubblico più vasto e variegato.

    Buona lettura!

  3. #183
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    “Non lasciarmi”: la drammatica vastità del desiderio in un romanzo del premio Nobel Kazuo Ishiguro



    di Luca Fumagalli

    Kazuo Ishiguro, a dispetto del nome nipponico, è un autore inglesissimo. Non solo e non tanto perché ha vissuto in Inghilterra la maggior parte della vita, quanto perché la sua fama è legata indissolubilmente al romanzo Quel che resta del giorno, un distillato di storia, ambientazione e spirito britannico. La recente assegnazione del premio Nobel testimonia un altro aspetto caratteristico della letteratura di Ishiguro, cioè la sua capacità di evadere i confini nazionali per parlare una lingua universale, quella della vita e della morte, dei sentimenti e delle passioni. I protagonisti dei suoi lavori hanno il respiro dell’umano: costretti ai margini dell’esistenza, vagano nel vuoto alla ricerca di risposte.

    Sono così anche a Kathy, Tommy e Ruth, i personaggi principali di Non lasciarmi (2005). Al centro del romanzo – da cui è stato tratto l’omonimo film del 2010 – è posta la relazione affettiva tra i tre, unica arma contro un mondo feroce, distopico, dove la scienza ha compiuto grandi passi in avanti giungendo alla clonazione degli esseri umani.

    Il poco che il lettore sa è frutto della diretta testimonianza di Kathy H. (priva di un vero cognome, come tutti gli altri cloni), che racconta la storia in prima persona, con un lungo flashback. Chi legge cresce con lei, ne segue le vicende dell’infanzia fino ai trentuno anni, quando sta per finire il suo incarico di assistente. Le parti che compongono il romanzo, d’altronde, corrispondono proprio ai tre momenti decisivi nella crescita di ogni essere umano: l’infanzia, l’adolescenza e la piena maturità.

    Lo sviluppo lineare della narrazione è spesso turbato da digressioni e approfondimenti, da fughe in avanti e ripensamenti. All’inizio la prosa è confusa, i vari ricordi sono connessi solo tenuamente, evocando nello stile le nebbie del miglior Proust. Anche se Kathy, rivolgendosi direttamente al lettore, stabilisce sin da subito con lui un rapporto di empatia e descrive gli accadimenti con un buon grado di obiettività, la vicenda centrale emerge lentamente, così come i protagonisti spiccano sulla massa dei personaggi solo dopo un certo numero di pagine.

    Non lasciarmi si apre sull’infanzia di Kathy e dei suoi due amici. I tre vivono in un collegio prestigioso, Hailsham, immerso nella campagna inglese. Non hanno genitori, ma non sono neppure orfani, e crescono insieme ai compagni, accuditi da un gruppo di tutori che si occupano della loro educazione. Apparentemente nulla di strano, se non che gli insegnanti hanno talvolta reazioni eccessive quando gli alunni pongono semplici domande sul loro futuro. Persino Madame, tra le responsabili del collegio, si comporta con i bambini in modo sospetto, è infastidita dalla loro presenza e, quando può, li evita.



    In ogni caso Hailsham è un posto tranquillo; Kathy, Tommy e Ruth vi passano giornate spensierate, e le mura che isolano la struttura, facendola assomigliare a una prigione, non impensieriscono più di tanto i fanciulli, che percepiscono la natura come qualcosa di alieno e inquietante. Alcune allusioni testuali – la ricorrenza di immagini acquatiche e gli echi biblici – contribuiscono a scalfire nel lettore la patina di incrollabile ottimismo, ma i protagonisti sono felici e hanno tutto ciò che desiderano. Ruth è la leader del gruppo, e anche se Tommy si fa spesso prendere da crisi di rabbia che attirano su di lui lo scherno dei compagni, in generale non accade mai nulla di preoccupante.

    Il comportamento di Tommy è dettato dal fatto che ad Hailsham la creatività è reputata una qualità fondamentale, ma lui non dimostra alcuna attitudine per l’arte. I docenti organizzano durante l’anno fiere ed eventi per promuovere le opere degli studenti, questi ultimi autorizzati a barattarle tra loro (inquietante la sottesa analogia con i ragazzi, i cui organi saranno un giorno scambiati e utilizzati per trapianti). Periodicamente Madame seleziona i lavori migliori da esporre nella sua personale Galleria; per tutti è un grande onore poter far parte di una collezione reputata preziosa ma di cui, in verità, si sa poco. Qualcuno dubita persino della sua esistenza.

    Raggiunti i sedici anni, i ragazzi non possono fare a meno di porre nuove domande ai tutori a proposito del loro destino. Miss Lucy, la più lucida dei sorveglianti, in seguito allontanata dalla scuola, è l’unica che ha il coraggio di parlare chiaro: «Siete stati portati in questo mondo con uno scopo preciso, e il vostro futuro, il futuro di ognuno di voi, è già stato deciso». La vita del donatore, inesorabile, già programmata sin dal concepimento, non lascia via di scampo. Il fatto poi che le lezioni d’educazione sessuale siano associate alle discussioni sull’espianto di organi, rende tutto grigio, saturo di morte. Gli studenti sembrano accettare la cosa stoicamente – gli inganni e le mezze verità hanno almeno il vantaggio di lasciare quiete la coscienze – e un riferimento fugace a My Fair Lady accenna alla scabrosa rigidità sociale della distopia di Ishiguro, ben peggiore di quella dell’Inghilterra primonovecentesca.

    Con la fine dell’adolescenza inizia la stagione degli amori. Ruth e Tommy si fidanzano e a Kathy, che vuole bene a entrambi, spetta il compito di custodire la coppia – non così ben assortita – e intervenire quando vi è aria di rottura.

    Intanto i ragazzi vengono traferiti ai Cottages, i resti di una vecchia fattoria. A metà strada tra Hailsham e il mondo reale, i Cottages costituiscono il passo successivo nell’educazione dei cloni: non ci sono più guardiani, ad eccezione di un vecchio custode, e gli studenti devono badare a loro stessi, dandosi da fare e cooperando nelle mansioni quotidiane. Possono leggere o guardare liberamente la televisione. Il periodo di permanenza complessivo è di due anni, durante i quali si dovranno frequentare dei corsi esterni sui compiti e i doveri degli assistenti.

    Il rapporto tra Ruth e Kathy prosegue tra alti e bassi, più che altro a causa della fastidiosa tendenza della prima a imitare i comportamenti dell’amica e dei più grandi. La crisi, come prevedibile, è dietro l’angolo e inizia a consumarsi durante una gita di gruppo nel Norfolk, quando Ruth è impegnata nella ricerca del proprio “possibile” (la persona comune che ha fatto da modello a un clone, simile nell’aspetto a quest’ultimo). Le teorie legate ai “possibili” che circolano ai Cottages, però, sono diverse e fumose, non più credibili di quella fantasia che vuole che se due cloni riescono a dimostrare a Madame di essere veramente innamorati, possono ottenere un rinvio delle donazioni.



    Mentre Tommy trova l’ispirazione per disegnare curiosi animaletti di sua invenzione, convinto che siano l’unico modo che Madame abbia per valutare la genuinità dei suoi sentimenti d’amore, Ruth, che coltiva grandi sogni per il futuro e che ancora ingenuamente crede di poter vivere una vita propria, magari facendo carriera in un ufficio, spera di poter trovare nel suo “possibile” una sorta di conferma, di percepire qualcosa di ciò che è lei veramente, di instaurare un legame con un mondo che la attrae ma che, al contempo, le è alieno. La delusione è cocente e la reazione scontata: «Lo sappiamo tutti. I nostri modelli sono i rifiuti del genere umano. Reietti, prostitute, alcolizzati, vagabondi. Carcerati, forse, basta che non siano psicopatici. È da lì che veniamo».

    Quando la relazione tra Ruth e Tommy finisce, e quando Kathy si rende conto di non avere più un vero rapporto con l’amica, i tre si separano. È Kathy a fare il primo passo e chiede di poter iniziare in anticipo l’addestramento per diventare assistente.

    La terza e ultima parte del romanzo esordisce con un balzo temporale in avanti di anni. Seppur ogni tanto si senta sola, alla narratrice il lavoro di assistente non dispiace. Non è certamente un compito facile quello di affiancare i donatori di organi fino alla morte, il naturale esaurimento del loro ciclo, ma Kathy è gentile e sa essere d’aiuto e conforto. Per questo motivo il suo incarico sta durando più di quanto inizialmente previsto.

    Per caso viene a sapere che la prima donazione di Ruth non è andata molto bene e così si offre di diventare la sua assistente, speranzosa pure di poter ravvivare la loro vecchia amicizia. Del resto negli ultimi tempi molte cose sono cambiate, compreso Halsham, che ha chiuso i battenti.

    Se, almeno inizialmente, la situazione per Kathy è tutt’altro che semplice, le cose migliorano in occasione di una gita al centro di Kingsfield, dove risiede Tommy, anche lui donatore. I tre si ritrovano di nuovo insieme. Riemergono gli antichi legami e si viene a scoprire che gli ex fidanzati sono diventati presto donatori perché, per ragioni diverse, odiavano fare gli assistenti.

    Alla seconda donazione, stremata, Ruth muore. Prima di spirare confessa a Kathy la sua gelosia e di aver fatto di tutto per tenerla separata da Tommy. Per scusarsi, fornisce loro un foglietto di carta con l’indirizzo di Madame e invita entrambi a lottare per un futuro migliore: forse la storia del vero amore è autentica e Madame potrebbe fare qualcosa per allungare le loro esistenze.

    I mesi passano. Kathy è diventata assistente di Tommy e tra i due è iniziata una tenera relazione. Il giovane deve essere sottoposto a breve alla quarta donazione e il rischio di non sopravvivere è altissimo: solo a questo punto Kathy si mette d’impegno per rintracciare Madame.



    Come tipico del genere distopico, i capitoli finali del libro costituiscono una rivelazione che getta nuova luce sull’intera trama. Madame accoglie Kathy e Tommy in casa sua. Con lei vi è anche Miss Emily, una delle insegnanti di Heilsham. Questa, ormai anziana e in sedie a rotelle, narra ai due ragazzi l’amara verità: le teorie a proposito del vero amore e del rinvio sono tutte sciocchezze. Loro sono stati semplici pedine di un gioco più grande. Heilsham, da sempre considerata una perla d’eccellenza, era un progetto peculiare, finalizzato a dimostrare che i cloni sono esseri umani come tutti gli altri, dotati di un’anima (cosa non ancora universalmente accettata; infatti gli altri cloni del paese sono allevati in condizioni deplorevoli, reputati oggetti indistinti utili soltanto per rifornire la scienza medica). Per questo motivo a Heilsham l’arte aveva così grande importanza, e la Galleria raccoglieva le loro opere per provare pubblicamente che anch’essi possedevano ingegno e sensibilità.

    A seguito di alcuni incidenti, le autorità hanno deciso di chiudere il collegio: ormai in Inghilterra non esiste più niente di simile e la gente ha preferito tornare a trattare i cloni come carne da macello e godere degli organi che questi offrono senza farsi troppe domande.

    Il lirismo tragico di questa parte del romanzo è ciò che più avvicina Non lasciarmi alle molte narrazioni distopiche a sfondo scientifico, connesse in varia misura al mito, già di Huxley, della manipolazione, della biopolitica e dell’utopia catastrofica. Vengono alla mente titoli di ampio respiro come il capolavoro di C. S. Lewis Quell’orribile forza (1945), Giustizia facciale di L. P. Hartley (1960) e La possibilità di un’isola di Houellebecq (2005). Ma più che scrivere di tecnologia, la distopia, come nel libro di Ishiguro, si occupa dell’uso che di essa viene fatto dagli uomini, sovente nei panni dei persecutori. Le “magnifiche sorti e progressive” lodate nella Nuova Atlantide di Bacone si tramutano in un Moloch tecnocratico che divora ogni residuo d’umanità.

    Il grido che Tommy lancia nella notte è l’eco del trionfo della distopia. L’abbraccio di Kathy, che cerca di calmarlo, non può lenire la disperazione seguita alla scoperta della verità; quella vita così brulicante, fatta di inquietudini, di affetti e di aspirazioni, è solo una bolla di sapone, un inganno perpetrato da sfruttatori malvagi e disinteressati. A mancare è una speranza concreta di significato e di felicità. Forse è un bene che Ruth non abbia mai scoperto nulla di tutto questo. Per lei sarebbe stata una tragedia insopportabile.

    Poco dopo Tommy muore a seguito dell’ultima donazione e a Kathy non resta che viaggiare nel Norfolk, quel luogo in cui da piccoli credevano venissero portati gli oggetti smarriti. I rifiuti e la plastica che sventola intrappolata in un reticolato le ricordano il doloroso destino dei cloni. Per loro non c’è spazio nel più vasto mondo: «Aspettai un poco, poi tornai verso l’auto e mi allontanai, ovunque fossi diretta».


  4. #184
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali



    L’opera del Card. G. Hergenröther (1824-1890) Storia universale della Chiesa è un monumento di raro valore, giunto in Italia col contributo determinante di Mons. G. B. Kirsch (Professore all’Università di Friburgo) e del traduttore, Padre E. Rosa SJ. Le Edizioni Radio Spada iniziano con questo volume La Chiesa nascente. Persecuzione e trionfo (e con, in appendice, l’Introduzione alla storia ecclesiatica) la sua nuova pubblicazione, in edizione rinnovata.

    Lo stesso San Pio X, omaggiato di una copia, volle onorarla con un Breve Pontificio (1904) per ringraziare del dono ricevuto e per mostrare quanto apprezzasse il lavoro del celebre cardinale, di Mons. Kirsch e di Padre Rosa.

    Si tratta di un libro da leggere e, ancor più, da consultare per il suo carattere approfondito e per il suo ampio respiro formativo, oltre che per la sua impressionante attualità.

    Nell’Introduzione si dichiara che dallo storico si vuole l’esposizione, oggettivamente fedele e in tutto spassionata, dei fatti da lui sinceramente esaminati. E così effettivamente è stata la ricerca dell’Autore, che lumeggia senza timori, ma con gran rigore, i primi secoli di vita cristiana. E, gran bontà dei cavalieri antiqui, in un’epoca in cui ancora lo strampalato archeologismo non minacciava la serenità della Chiesa, il Nostro si poteva trattenere a discorrere di temi oggi presi in ostaggio dalle bande neomoderniste. Non è un caso che, sempre nell’Introduzione, si aggiunga:

    La Chiesa, simile a granello di senapa, cresce in albero gigantesco; e quasi celeste fermento mette in lievito tutta la massa (Matth. XIII, 18 segg., 31 segg.). Ella, ancorché nata da tenui principi, è ora la più sublime e la più splendida istituzione che al mondo si dia; ella segue ogni dì più a svolgersi e dilatarsi tra le incessanti lotte esterne, e infine da militante si trasformerà in trionfante.

    Non stupisce che l’Hergenröther, uomo di studi finissimi, sia stato chiamato a Roma nel novembre del 1867 da Pio IX per partecipare ai lavori preparatori del Concilio Vaticano I: nel febbraio del 1868 fu aggiunto come Consultore alla Commissione de disciplina ecclesiastica. Autore di innumerevoli opere, nel 1879 ricevette la berretta cardinalizia da Leone XIII e la nomina a Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano. Ancora negli ultimi anni della sua vita, si occupò del pontificato di Leone X e, non senza difficoltà, curò l’edizione dei Regesta Leonis X. Pont. Maximi (Friburgo in Brisgovia, 1884).

    Consegniamo questo lavoro ad appassionati e studiosi, così come a semplici lettori desiderosi di formazione, augurando a tutti di trarne profitto.

    ERS




    Le Edizioni Radio Spada hanno voluto ripubblicare il testo aggiungendo al titolo non più l’espressione originaria “Fatti storici“, ma “Esempi e sintesi di fatti storici” proprio per ribadire che non siamo di fronte a una trattazione organica ma ad un agile volumetto (122 pagine, formato cabinet) ricco di spunti interessanti, raccolti dal grande santo piemontese. O almeno così si pensa dato che è stato originariamente pubblicato in ambito salesiano senza indicare esplicitamente l’Autore. Lo stile sembra quello di don Bosco e il libro viene abitualmente inserito tra i suoi.

    Sono 30 i capitoletti, preceduti dalla Nota editoriale “Credere al Papato“, che questa volta è affidata al presidente dell’Associazione Edizioni Radio Spada, Piergiorgio Seveso.

  5. #185
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    Fascismi di Pietro Ferrari: anticonformismo assoluto, passione e disincanto

    “Fate presto a fucilarmi perché mi fa schifo solo vedervi”

    Colonnello Francesco Colombo, comandante della Legione Autonoma di Polizia Ettore Muti

    davanti al plotone d’esecuzione partigiano (28 aprile 1945)



    Nuova recensione a cura di Piergiorgio Seveso

    Abbiamo dedicato un’attenzione particolare al fascismo e ai fascismi su Radio Spada sin dalla sua fondazione, conducendo un’analisi che avesse come testata d’angolo il magistero della Chiesa e in special la sua manifestazione più sublime e più alta, ovvero quella del magistero pontificio.

    Un’attenzione spesso nettamente critica, specie da un punto di vista dottrinale come in “Oportet Illum regnare”, ma sempre vivificata da un forte realismo storico e politico.

    Oltre ai rapporti spesso inconfessabili tra fascismi e sionismo analizzati da Andrea Giacobazzi, non è mancata una forte analisi dei fascismi europei nel corso delle nostre ormai pluridecennali attività culturali: all’interno dell’Università cattolica del Sacro Cuore ho tenuto conferenze sullo slovacco monsignor Tiso (4 dicembre 2007), su Corneliu Zelea Codreanu (8 ottobre 2008) , su Ferenc Szalasy (9 marzo 2009), sul revisionismo storico novecentesco (Faurisson, Rassinier, Zundel, Jurgen Graf), su Robert Brasillach (9 dicembre 2009) sui revisionismo storico e social networls (3-17 novembre 2010), su Veit Harlan e la sua cinematografia (5 gennaio 2010), su Alessandro Pavolini letterato (30 maggio 2012) mentre Luca Fumagalli ha tenuto conferenze appassionate su “Bagatelle per un massacro” di Celine (12 ottobre 2009) e su Militia di Leon Degrelle (26 aprile 2011).

    Insieme abbiamo messo in scena i “Fratelli nemici” di Robert Brasillach, dialogo tragico in un solo atto, il 9 febbraio 2012.

    Tutte queste conferenze sono state, a prova di smentita, dei veri e propri hapax, degli unicum all’interno del mondo accademico di lingua italiana

    Luca Fumagalli ed io abbiamo poi tenuto una conferenza dal titolo “Notte d’estate con Leon Degrelle” a Como il 26 luglio 2012 e due su Codreanu scrittore e politico (il 20 settembre 2012 ed il 29 novembre 2012), sempre nella città lariana.

    Come cattolici (integrali) non ci siamo quindi mai sottratti da un confronto serrato e a tratti avviluppante con una delle ideologie più multiformi, vivaci e spesso davvero temibili all’interno della forgia politica del “Novecento”.

    Nemmeno Pietro Ferrari si sottrae a questo cimento in questo libro, dotto ma non pedante, agile e a tratti scanzonato (come la prefazione molto attenta di Andrea Giacobazzi) che, con capitoli agili e brevi, si presta ad una facile lettura.

    Che cosa suscita ancora oggi curiosità nel fascismo storico italiano? Il fatto probabilmente di essere stato caratterizzato da tali e tante contraddizioni ed antitesi, spesso “superate” dallo slancio volontaristico e da una costante prassi eroica o da machiavellismo politico, che ancor oggi è conteso tra tradizionalisti di cappa, spada e corona o da vere o molto presunte “aristocrazie dello spirito” e dall’altra da socialisti nazionali (o nazional socialisti) scarmigliati e pasionari, sindacalisti e nemici del Capitale.

    Mentre sul versante “religioso” invece è combattuto tra tardo hegeliani, mazziniani fuori tempo massimo, marinettiani e dannunziani d’occasione e da qualche antica (e fors’anche) venerata vestale del clerico-fascismo nostrano anni Settanta, da giovani volenterosi e anche da polverosi ingiacchettati, usciti probabilmente dal cast di “Vogliamo i colonnelli”.

    In mezzo a queste contese Pietro Ferrari si tuffa con l’occhio disincantato ed amico di chi ha trascorso la giovinezza sotto il “bianco sole dei vinti” ma anche con la consapevolezza che di fronte allo sconcertante ed eterogeneo guazzabuglio ideologico del fascismo, il pensiero sociale cattolico o cattolicoide (nelle sue applicazioni pratiche novecentesche) ha saputo opporre storicamente al massimo balbettii democristiani, allucinazioni maritainiane o tentativi di creare una “società civile” parallela, sfociati e naufragati più in un affarismo di consorteria e in un collateralismo del malaffare che nelle alte e nobili aspirazioni dell’Opera dei Congressi.

    Oggi poi parlare di fascismo risulta quasi impossibile, data l’estensione concettuale smisurata e puramente irrazionalistica che il termine ha assunto nel dibattito politico e nelle gazzette ormai telematiche.

    Meglio quindi dedicarsi, come fa Pietro Ferrari, a descriverne le complesse tessiture dell’arazzo storico antico e moderno, in attesa che si trovi chi seriamente riprenda in mano il filo perduto o spezzato della Storia.

    Con un’attenzione particolare alla Repubblica sociale italiana cui Pietro Ferrari ha dedicato un capitolo, ben lontano dalla normalizzazione e sterilizzazione missina del fenomeno, concludo questa mia recensione, ricordando lo stralcio di una prosa dell’impiccato Giuseppe Solaro che piacerebbe al nostro autore.

    [Siamo] Ribelli contro un mondo vecchio di egoisti, di privilegiati, di conservatori, di capitalisti oppressori, di falliti sistemi, di superate ideologie, di dottrine ingannatrici, dei falsi e dei bugiardi. Ribelli insomma contro il mondo dell’ingiustizia. Ribelli in nome di una santa causa, di una società giusta e ordinata, di rispetto del lavoro, di dignità nazionale, di amore alla Patria, al nucleo famigliare, alle onorevoli ed egregie cose intraprese nella vita. Ribelli di fede. Ribelli che non misurano gli ostacoli, che non si soffermano sulle prospettive. È la fede che trasfonde nei nostri cuori la certezza della vittoria, accesa come una fiaccola ardente, anche nel buio della sfortuna. Certezza materiata di armi che vibrano, di cervelli che demoliscono nel genio inventivo la superiorità avversaria, di slancio, di sicurezza baldanzosa ai limiti del possibile, di riprese entusiasmanti, di eroismi travolgenti. Certezza che crea la carta buona, l’ultima carta, quella del trionfo. (Giuseppe Solaro in “la Riscossa”, settimanale di Torino, 12 ottobre 1944)


  6. #186
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    l “conflitto di civiltà”, tra passato e presente, secondo don Curzio Nitoglia

    di Luca Fumagalli




    Se l’ubriacatura neoconservatrice seguita all’11 settembre 2001 sembra essersi dileguata in uno strano silenzio collettivo, il tema del “conflitto di civiltà” continua a ritornare ciclicamente, soprattutto in relazione all’emergenza emigrazione e al sempre precario scenario mediorientale.

    Il maggior pregio del saggio Islam, metafisica medievale araba e filosofia moderna ebraica di don Curzio Nitoglia (Edizioni Radio Spada, 2014) è lo sguardo inedito che esso offre sulla questione, lontano dalle facili partigianerie e dagli slogan puerili di certa classe politica.

    Il libro si muove nella triplice direzione della storia, della politica e della filosofia/teologia per andare a sondare i rapporti nascosti e, in molti casi, inconfessabili tra neoconservatorismo, giudaismo e islam. Si scopre dunque un mondo molto lontano dalle contraffazioni abituali ad uso e consumo del qualunquismo catodico. Le sorprese, inutile dirlo, non si fanno attendere.

    Ad esempio l’Islam fondamentalista è una ‘orto-prassi’ legalistica e moralistica farisaica più che un’ortodossia teologica dogmatica, così come il pensiero sociale panarabo, lontano anni luce dal fanatismo, ha sempre cercato di amalgamare tutti i musulmani in un insieme di stati nazionali di ispirazione islamica, ma non religiosamente integralisti.

    La parte centrale del volume è invece dedicata alla filosofia islamica, alla riscoperta di Aristotele da parte di Avicenna e Averroè e all’implosione fideistica dell’Islam successivo. Giunto in Europa, il pensiero aristotelico è stato approfondito ed emendato da San Tommaso che superò il maestro fondando la propria teologia sul principio che Dio è l’Ente per essenza.

    Come da titolo, c’è anche spazio per approfondire il pensiero ebraico moderno: si parte dal Maimonide e dal suo nichilismo teologico per passare a Henschel, Jonas e Levinas, uomini che, secondo prospettive diverse, hanno pesantemente influenzato la filosofia occidentale e, in alcuni casi, la stessa teologia cattolica (si pensi, ad esempio, alla valorizzazione del dialogo come strumento conoscitivo-identitario in ambito interreligioso, applicazione concreta del pensiero di Buber e del strutturalismo).

    Islam, metafisica medievale araba e filosofia moderna ebraica è dunque un saggio provocatorio e illuminante, dotto ma al contempo facilmente consultabile, una lettura consigliata a tutti quelli che non si accontentano della banalità e delle mezze verità.

  7. #187
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    “Indagine su Sherlock Holmes”: Paolo Gulisano incontra Arthur Conan Doyle

    di Luca Fumagalli



    Potrebbe sembrare ingeneroso definire lo scrittore scozzese Arthur Conan Doyle un magnifico fallito, eppure Sherlock Holmes fu, in fondo, l’unica cosa che gli riuscì davvero bene in una vita di costanti delusioni e di occasioni mancate. Sul fronte della medicina i suoi successi, più che scarsi, furono praticamente nulli, mentre sul versante della letteratura – attività intrapresa inizialmente per colmare i vuoti temporali tra un raro paziente e l’altro – lui che sognava di diventare un autore classico, forse l’ultimo dei grandi vittoriani, si dovette invece accontentare di venir ricordato per i racconti che hanno come protagonista l’infallibile investigatore londinese. Doyle finì così per fondare, insieme all’americano Edgar Allan Poe, il genere “giallo”, destinato ad avere un’enorme fortuna e altri grandi maestri quali Agatha Christie e Georges Simenon.

    Sherlock Holmes è ormai un’icona, continuamente riproposto al cinema, alla televisione, al teatro e in una miriade di testi apocrifi scritti dai suoi più entusiasti ammiratori. Con il fido dottor Watson è protagonista di tre romanzi e quarantaquattro racconti ambientati tra il 1881 e il 1914, alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale. Pipa in bocca e cappello da caccia calcato in testa, Holmes è finito per assurgere a simbolo del razionalismo positivista, incarnazione del processo deduttivo, abile con il ragionamento e lo sguardo allenato a risolvere anche i casi più complicati, soprattutto quando la polizia brancola nel buio. Eroe positivo, nemico del crimine, che svela i delitti, che assicura alla giustizia i malfattori, non è tuttavia un personaggio perfetto – note sono le sue crisi depressive e il saltuario ricorso alle droghe – assumendo su di sé le fragilità e le debolezze della sua epoca.

    Tra i milioni di lettori e ammiratori di Sherlock Holmes, oltre a mons. Ronald Knox, vi fu pure G. K. Chesterton. Per qualcuno un suo celebre personaggio, Padre Brown, è una sorta di antitesi del protagonista dei racconti di Doyle. A contrapporre i due grandi investigatori, peraltro entrambi rigorosamente dilettanti, fu inizialmente Antonio Gramsci che provava simpatia per il sacerdote chestertoniano mentre liquidava un po’ troppo sbrigativamente Holmes come un eroe borghese, al servizio dei poteri forti britannici (non cogliendone, invece, la profonda, affascinante irregolarità). In verità, più che la contrapposizione, Chesterton cercò con Doyle – un ex cattolico diventato scettico, massone e spiritista – il dialogo, mostrando come la ragione funzioni meglio se rischiarata dalla grazia divina.

    Indagine su Sherlock Holmes (Ares, 2020), l’ultimo libro di Paolo Gulisano – medico e scrittore, autore di tre romanzi e di oltre trenta saggi – mette il lettore sulle tracce del più famoso investigatore della storia delle letteratura con attenzione e con dovizia di particolari. Il libro è una ricca messe di informazioni e aneddoti, tra l’altro scorrevolissimo, che in fondo si pone l’ambizioso obiettivo di dimostrare come il romanzo poliziesco non sia solo un genere minore, buono giusto per intrattenere, ma che abbia addirittura a che fare con il senso più profondo della condizione umana. Del resto che cos’è la vita se non il più affascinante dei misteri?

    Il libro: Paolo Gulisano, Indagine su Sherlock Holmes, Ares, Milano, 2020, pp. 232, Euro 14.

  8. #188
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    Citazione Originariamente Scritto da Luca Visualizza Messaggio
    Nota di RS: a distanza di un anno dalla composizione di questa postfazione, la rendo pubblica sul nostro sito come memento per tutti quelli che fossero interessati ad acquistare e soprattutto leggere il libro di Antonio Diano Cattolico in trincea. Fragmenta collecta. Il libro è reperibile qui presso il nostro ecommerce. Nella festa di Santa Margherita Maria Alacoque, buona lettura. (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)Nota di RS: a distanza di un anno dalla composizione di questa postfazione, la rendo pubblica sul nostro sito come memento per tutti quelli che fossero interessati ad acquistare e soprattutto leggere il libro di Antonio Diano Cattolico in trincea. Fragmenta collecta. Il libro è reperibile qui presso il nostro ecommerce. Nella festa di Santa Margherita Maria Alacoque, buona lettura. (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)



    Con la pubblicazione di questo agile ma autorevole libro dell’amico Antonio Diano, Radio Spada aggiunge un’importante luce alla costellazione di contributi del laicato cattolico integrale di lingua italiana usciti dai nostri torchi in questi anni.

    Hoc erat in votis sin dalla sua fondazione. Le case editrici come la nostra nascono non solo per fotografare editorialmente il “piccolo mondo antico” (lo si dica senza influssi fogazzariani) degli scrittori cattolici “tradizionalisti” delle nostre terre ma per suscitare entusiasmi, creare desideri, animare la volontà di questi scrittori a battere sentieri inesplorati e raccogliere idee disperse nei mille conversari quotidiani in nuovi volumi e in racconti nuovi, pronti ad essere letti da un pubblico di bibliovori sempre interessati.

    Questa impresa non è però rimasta confinata nei limiti (certo ampi ma pur sempre angusti) della nostra iniziativa editoriale. Ha creato, in qualche caso per virtuosa mimesi, in altri per un moto di reazione o di rincorsa competitiva, tante altre iniziative editoriali. Abbiamo ripescato vecchi manoscritti da polverosi cassetti, fatto riportare alla luce classici dimenticati, alcuni scrittori che non prendevano in mano la penna da anni sono tornati alle fatiche dello scrittoio, altri sono usciti dal silenzio del “pro manuscripto”, altri ancora si sono scoperti nuovi apologeti contro gli orrori contemporanei e diaristi della crisi della Chiesa.

    In mezzo a questo gran turbinio di ingegni e di passioni, a volte un po’ disordinate ma sempre interessanti, è stata mia grande gioia poter dar voce in questa casa editrice a scrittori cattolici integrali a tutto tondo come Pietro Ferrari, Piero Nicola, Luca Fumagalli, Carlo di Pietro, Araì Daniele e Raimondo Gatto. A questi si aggiunge oggi Antonio Diano con un libro scritto “col sangue e l’inchiostro” che affida a noi quasi una silloge, una summula delle sue tante battaglie.

    Ne siamo onorati e grati oltremisura. Chi ha avuto la pazienza di leggere queste pagine, scritte in uno stile erudito senza pedanteria, dotto senza affettazione, appassionato senza perdere il baricentro del buon senso, avrà potuto guardare il quadro a tinti vivissime del sedevacantismo odierno (modo attraverso il quale il cattolicesimo romano è costretto a presentarsi nella gran piazza delle opinioni e sulle tribune delle pubbliche dispute).

    Al netto di qualunque disputa e di qualunque inevitabile giustapposizione opinionistica, questa posizione mantiene integra la sua forte carica veritativa e (permettetemi) evocativa. Se infatti Papato romano e Chiesa cattolica, sono state murati vivi (rectius quasi morti) in un sepolcro ed un fetore di marcescenza si è diffuso in tutto l’orbe terraqueo, impestando uomini e cose, solo l’alto grido di un coraggioso e privo di sedevacantismo, a sommesso parere di questo postfatore, avranno la forza di far rotolare quella pietra gelida che oggi opprime le nostre vite e di farci rivedere il Dolce Cristo in terra.

    Questo Veni foras sarà sempre più nitido e acutissimo se saprà liberarsi dai mille cascami di una decadenza solipsistica, estenuata e cerebrale che tanto affanna anche il nostro mondo, spesso trasformato in un recinto di monadi rissose. Alla meschinità dei nostri tempi, questo libro si offre come un antidoto di chiarezza dottrinale, dirittura e sincerità, anche quando affronta questioni più direttamente temporali , anche quando non si sarà d’accordo con singoli aspetti del pensiero dell’autore.

    Sono certo, come scrissi ne I Sonagli della Sede vacante, postfazione all’ottimo Non possumus di Pietro Ferrari, che non una sola parola di quelle che abbiamo scritto in questi anni, su lavagne reali o virtuali, andrà perduta. A maggior ragione, quelle scritte in questo volume cui auguro le migliori fortune.

    Pubblicato all’Angelus

    Piergiorgio Seveso

  9. #189
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali



    Che vuol dire “Papa eretico”? È possibile deporre il Papa? Come conciliare l’infallibilità pontificia con l’attuale crisi nella Chiesa? Cosa deve pensare (e fare) un cattolico oggi? Domande impegnative a cui un sacerdote di nota preparazione e di chiara fama tenterà di dare risposte.

    Il libro «Deporre il Papa? – Riflessioni su Sede Romana e crisi nella Chiesa» di don Curzio Nitoglia* (con la prefazione del nostro presidente Piergiorgio Seveso) è il risultato di questo lavoro.

    Perché pubblicare ora questa opera? «A partire dal 2015 – dice l’Autore – con la promulgazione della Esortazione Amoris laetitia di Francesco – e soprattutto dopo l’idolatrica funzione con Pachamama nei giardini del Vaticano e la sua intronizzazione (autunno 2019) nella basilica di San Pietro si è scritto molto a riguardo degli errori e delle eresie materiali proferite a ripetizione da papa Bergoglio. Alcuni autori (storici, giuristi, canonisti, Vescovi e Cardinali) si son posti il problema se si potesse deporre il Papa caduto oggettivamente nell’eresia materiale. La maggior parte ha risposto negativamente, appellandosi all’assioma Prima Sedes a nemine judicatur. Solo pochi autori hanno proposto, con una certa insistenza, l’opzione di deporre papa Bergoglio per nominarne un altro al suo posto, ma con poco successo e seguito. Le Edizioni Radio Spada hanno raccolto in questo libro, riguardo questo problema pungente, alcuni articoli che scrissi già a partire dal 2015, dopo averli messi in buon ordine. Ci sono inoltre pagine inedite, che ho scritto appositamente per questo lavoro editoriale».

    E aggiunge: «Mi auguro che queste pagine, ordinate in un libro, possano aiutare il lettore a formarsi un’idea su ciò che i migliori teologi cattolici (il cui pensiero spero di aver esposto oggettivamente e fedelmente) dicono riguardo all’ipotesi del Papa eretico ed eventualmente da deporsi. Non presumo e non pretendo di avere un’autorità magisteriale che nessuno mi ha data. Quindi, ciò che ho scritto resta del tutto opinabile. Porgo, dunque, queste pagine all’attenzione del lettore, unicamente affinché possa studiare – con una certa facilità e senza dover far ricerche complicate e difficili – la dottrina esposta dai teologi: spero di esserci riuscito».

    Il libro, lo sappiamo, farà discutere molto. Confidiamo che alimenti un sano dibattito.

  10. #190
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    Intervista con Piergiorgio Seveso su «Deporre il Papa?»: “Il libro non è provocatorio, sono i tempi ad esserlo”



    RS: Andiamo subito al sodo: perché pubblicare oggi un libro dal titolo “Deporre il Papa?”, con in copertina nientemeno che il quadro di Jean-Paul Laurens sul Sinodo del Cadavere, ovvero uno dei momenti più inquietanti della storia ecclesiastica, quando il Pontefice Stefano VI fece riesumare il corpo del predecessore Formoso e (a torto) inscenò un blasfemo processo? Che c’entrano questi nostri anni del post-Concilio col “Secolo Oscuro” trascorso mille anni fa?

    PGS: Cara Radio Spada, vorrei fare una piccola precisazione. Questo non vuole essere un libro provocatorio, sono i tempi ad essere provocatori. Questo vuol essere un libro naturalissimo ed adatto per dei cattolici che si stanno interrogando sull’epoca drammatica, abissale e inedita che il cattolicesimo romano sta vivendo. Ammesso e assolutamente non concesso che il decimo secolo sia stato “oscuro”, va detto con grande schiettezza e franchezza guelfa che il vero secolo oscuro lo stiamo vivendo ora, a cavallo tra XX e XXI secolo, incomparabile per gravità ed estensione della crisi con quello di Stefano VI e Sergio III, dei Crescenzi e dei Tuscolani. Non pensino quindi i nostri lettori che li portiamo nel passato, quel passato è pallidissimo riverbero del nostro presente e del nostro futuro (nobody’s safe, nessuno è al sicuro). Volendo quindi entrare nel vivo, è ovvio che la situazione della Sede romana occupata da soggetti palesemente estranei e ostili al sensus fidei cattolico, alla teologia cattolica (e non parliamo di comportamenti, di gusti, di vite private, di private posizioni ma di MAGISTERO) interroghino il cattolico fedele con due domande capitalissime e tra loro inscindibilmente unite: cosa credere? E l’altra che è oggetto principale di questo libro: cosa fare?

    RS: Tu e don Curzio Nitoglia, in relazione alla crisi nella Chiesa, avete una posizione molto simile quanto all’analisi delle cause ma diversa quanto agli effetti. Insomma: entrambi vedete nel Concilio Vaticano II l’origine prossima dei problemi ma siete in disaccordo sul tema della vacanza della Sede. La tua è una prefazione critica? Su quali basi hai contributo all’uscita di questo volume?

    PSG: E’ evidente che don Nitoglia ed io su tantissimi argomenti possiamo essere d’accordo ma quando ci addentriamo nell’ecclesiologia, nell’analisi del cosa è avvenuto, divergiamo radicalmente. Lo abbiamo dimostrato entrambi e con passione nelle giornate radiospadiste, lo testimoniano i molti scritti critici del suo pensiero di cui ho disseminato e fatto disseminare la Rete negli anni passati. Rimane però un punto fondamentale per cui ho profondo rispetto per l’opera di don Nitoglia. Don Nitoglia non si accontenta delle elaborazioni altrui, dei “punti fermissimi”, delle fossilizzazioni polemiche, delle “messe cantate” dell’integristicamente e del tradizionalisticamente corretto, dei “catechismi fatti in casa”, dei “santuari inviolabili”. Don Nitoglia entra nella “stanza dei giocattoli” altrui, cambia le posizioni degli oggetti, li rovescia, spariglia le carte. Legge, indaga, studia, “volgarizza”, spiega, riapre quel che sembra chiuso, semina dove magari altri hanno coperto il terreno col catrame. Lo fa naturalmente da studioso ma anche da “uomo di parte”, con una sua visione che dal 2006 è andata approfondendosi e anche magari radicalizzandosi. Per questo ho scelto, pur ribadendo il mio punto di vista, di non fare una “controprefazione” critica, certo per rispetto che uno degli editori deve avere per un proprio autore, ma anche perchè spetta ad altri ben più dotti di me (che dotto non sono) rispondere contrapponendosi all’autore. Ho fortemente voluto questo libro che ha una posizione molto difforme dalla mia: Don Nitoglia, infatti, contrariamente a me, pensa che non sia possibile dichiarare la decadenza o deporre in alcun modo un “papa” palesemente eretico e fedicida come Bergoglio, ma l’ho voluto perchè credo che i cattolici “resistenti” di oggi debbano prepararsi, superate per sempre le ubriacature oppiacee delle “correzioni filiali”, ad affrontare il problema dell’autorità papale nella sua interezza. Senza dimenticare un fatto: alla deposizione “legale” dell’eletto, deve subentrare un momento giudiziario altrettanto necessario nei confronti del “deposto” perchè l’eresia non è solo un peccato ma è essenzialmente un delitto contro la Società suprema che è la Chiesa e contro la società tutta.

    RS: Questo libro desta attenzione e, inevitabilmente, creerà polemiche. Sei pronto? Se sì, come immaginiamo, ti aspetti qualcosa di specifico dal dibattito che ne scaturirà?

    PGS: Per natura le polemiche non mi turbano, mi disgustano le fellonie ma trovo che le polemiche siano invece salutari nel nostro mondo, abbastanza “sonnacchioso nella tempesta” in questo periodo. Lo capisco: sono tempi difficili quelli che stiamo vivendo, anche da un punto di vista meramente umano e naturale. Vuoi che sia diretto, Radio Spada? Auspicherei fervorosi e ponderati dibattiti sui siti tradizionalisti e sedevacantisti ma temo ci si limiterà in qualche caso al silenzio o a qualche anatema da sagrestia. Spero però di sbagliarmi. Come suole dire il mio amico Luca Fumagalli non azzecco mai una previsione.

    RS: Uno dei grandi problemi del presente si può riassumere così: “non basta vedere che c’è un problema, bisogna capire in cosa consiste il problema”. Detto in altri termini: non basta vedere che c’è una crisi nella Chiesa, bisogna capire quando parte, come si sviluppa e quali sono i veri protagonisti di questo processo. Ridurre tutto a Bergoglio è una facile (e falsa) scappatoia. Pensi che questo volume, con la tua prefazione, riuscirà a mettere un po’ di luce su questo aspetto fondamentale.

    PGS: Se devo dare un altro merito a questo libro (ben più che alla mia prefazione) è quello di ridicolizzare (con quel classico umorismo nitogliano che tutti bene conosciamo da decenni) una certa faciloneria antibergogliana, nata in ambienti accademici o para-accademici italiani, che si fissa sulla rimozione di Francesco come unico vero ostacolo alla restaurazione della Chiesa e del magistero ecclesiastico. Se gli organizzatori e patrocinatori delle “correzioni filiali” possono essere definiti i “lotofagi” del ventunesimo secolo, questi avventurieri delle deposizione “facile”di Bergoglio (per sostituirlo magari con figliastro di Wojtyla o di Ratzinger) ricordano più da vicino Giovanni Catalan Belmonte (magistralmente e crudelmente) interpretato da Alberto Sordi) che tra un passaggio al Jackie Bar e l’altro, andava allo “Scisma Lefebvre” in qualche salotto decadente (quello veramente decadente) dell’aristocrazia nera romana. Più che “gestire l’opposizione”, questo significa “parcheggiare l’opposizione”.

    RS: Se vuoi, marzullianamente, puoi farti una domanda e darti una risposta.

    PGS: Cara Radio Spada, non sono avvezzo alle “domande a piacere” (per quanto assai gradite in ambiente universitario). Auguro al libro le migliori fortune, grande diffusione, risposte critiche, confutazioni motivate e ringrazio l’Autore di aver scelto di pubblicarlo con noi.

 

 
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