Il golpe cileno dell'11 settembre 1973 fu un evento fondamentale della storia del Cile e della Guerra Fredda.
In seguito alle elezioni presidenziali cilene del 1970, il socialista Salvador Allende (con il 36,3%), dopo aver di poco prevalso sul conservatore (ed ex presidente) Jorge Alessandri Rodríguez (35,8%), e sul il cristiano-democratico Radomiro Tomic (27,9%), divenne il nuovo presidente della repubblica cilena. Spinto dall'ala radicale della sua coalizione, Allende iniziò a mettere in pratica diverse misure volte all'instaurazione di una società socialista sul modello cubano che però prostrarono presto il paese e provocarono un'inflazione galoppante e un crollo della produzione. Questo portò diversi settori della società cilena ad opporsi alla sua presidenza, così come gli Stati Uniti, che esercitarono una pressione diplomatica ed economica sul governo e favorirono gli scioperi e una situazione di instabilità. L'11 settembre 1973 le forze armate cilene, dopo che la Camera dei Deputati si era appellata al loro intervento, rovesciarono Allende che morì durante il colpo di Stato. Una giunta guidata dal generale Augusto Pinochet prese il potere. Il regime militare, caratterizzato da una forte repressione nei confronti delle opposizioni di sinistra e da una apertura al libero mercato, durò fino al 1990, quando il generale lasciò il potere dopo aver perso il referendum che avrebbe dovuto conferirgli un nuovo mandato di otto anni ma conservò, fino al 1998, il comando delle forze armate. Gli ultimi anni videro Pinochet imputato di diverse accuse, tra le quali quella per crimini contro l'umanità, frode e corruzione ma la morte sopraggiunta nel 2006 gli evitò di affrontare un processo vero e proprio.