La nostra proposta di legge sulla cittadinanza è in linea con l’Europa
Di Potito Salatto
Mi trovo a condividere pienamente la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’amico e collega Fabio Granata, che mira a riconoscere la cittadinanza italiana ai giovani immigrati di seconda generazione. E a sostegno di tale provvedimento ritengo utile riportare alcuni dati forniti dal MIPEX (Migrant Integration Policy Index) che meglio inquadrano e chiariscono il fenomeno.
Secondo le leggi in vigore nei vari Paesi Europei, la cittadinanza di seconda generazione si basa su due criteri giuridici: ius soli e ius sanguinis. Secondo il primo criterio, il diritto al riconoscimento della cittadinanza è fortemente legato al territorio dello Stato di chi vi è nato e cresciuto. Al contrario il secondo, che è il criterio attualmente adottato in Italia e in diversi Paesi Europei, intende la cittadinanza come un fattore ereditario che, quindi, si trasmette dai genitori ai figli.
L’America, per esempio, che adotta il criterio dello ius soli, è il Paese più multietnico al mondo. Mentre lo ius sanguinis, così diffuso nel Vecchio Continente, non impedisce a ogni Stato di legiferare in modo diverso. E infatti, se si esclude l’Irlanda dove già vige lo ius soli, la Grecia, il Belgio, la Spagna, la Francia, la Germania e l’Inghilterra risultano molto più avanti rispetto alla nostra legislazione. Non a caso l’Italia, secondo il Mipex, occupa solo il quattordicesimo posto tra i 31 Paesi dove esiste il diritto di voto per gli stranieri, doppia cittadinanza e ius soli.
Volendo comparare il dato tricolore con quello delle altre nazioni europee, risulta inoltre che nel 2008 sono state registrate 135.117 mila acquisizioni di cittadinanza francese a fronte delle 40.902 nostrane. Di più: il 42% tra quanti sono nati nel Bel Paese, non riesce a diventare italiano anche quando compie i 18 anni. Tutto ciò in presenza di una popolazione con cittadinanza straniera residente in Italia che è passata dai 3,9 milioni nel 2009 ai 4,2 milioni nel 2010. E le cittadinanze concesse? Sono scese dalle 23.874 del 2009 alle 23.796 dell’anno successivo. C’è dell’altro: in questo quadro i rifiuti alle istanze di concessione sono quasi raddoppiate, registrando una variazione pari al + 90,12%.
Insomma, nascere e vivere in Italia, parlarne un dialetto, condividere in pieno usi e costumi, sentirsi naturalmente italiano, non garantisce ai figli di stranieri nati nel Paese l’acquisizione di cittadinanza. E questo non è giusto né democratico per una nazione che ha una presenza lavorativa straniera fortunatamente elevata. Ecco perché FLI saprà fare la propria parte per una inversione di tendenza che possa riportare l’Italia al passo con i tempi nel contesto internazionale.