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  1. #1
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    Question Le "memorie" scritte di Juanne Maria Angioy

    Salve !

    Ne "Le ragioni dell'indipendentismo" ( Le Ragioni Dell'indipendentismo N° 0 : A. Simon - Mossa - Revue - Achat et vente de revues neuves et d'occasion sur PriceMinister )di quel bolscevicheggiante ma fottutamente GENUINO INDIPENDENTISTA che fu il Professore A.S. Mossa , pagina 123 , ultimo capoverso , scrive testuale :

    Gio. Maria Angioy aveva per primo , con estrema chiarezza -e cio' gli deriva dalla sua grande cultura storica ed economica definito in alcune sue memorie la reale sostanza della NAZIONE SARDA ...
    Juanne Maria Angioy ha lasciato qualcosa di scritto ? se si dove é possibile rintracciare qualcosa ?

    Il 6 dicembre 1796 Juanne Maria Angioy ando' a Torino per esporre le ragioni della rivoluzione sarda. Al giudice Luigi Cappa viene affidato l'incarico di istituire il processo. Dopo il trasferimento a Casale , Juanne Maria Angioy cominicia a scrivere la tesi pro-rivoluzionaria che successivamente verrà inviata al giudice Cappa .

    (Brevissimo riassunto che ho fatto basandomi su "Parabola di una rivoluzione. Giovanni Maria Angioy tra Sardegna e Piemonte" , a cura di: Alberico Lo Faso / prefazione: Aldo Accardo / saggio introduttivo: Luciano Carta . 354 € )
    Parabola di una rivoluzione. Giovanni Maria Angioy tra Sardegna e Piemonte - - Libro - IBS - Aìsara - Saggi

    A.S. Mossa si riferisce alle carte dell' Angioy scritte per il processo ?

    Qualcuno ne sa qualcosa di più ?

  2. #2
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    Predefinito Re: Le "memorie" scritte di Juanne Maria Angioy

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  3. #3
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    Predefinito Re: Le "memorie" scritte di Juanne Maria Angioy

    Niente ma sarei interessato anche io a saperne qualcosa.
    Dannato Barone Rosso.

  4. #4
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    Predefinito Re: Le "memorie" scritte di Juanne Maria Angioy

    Citazione Originariamente Scritto da morfeo Visualizza Messaggio
    Niente ma sarei interessato anche io a saperne qualcosa.
    Si anche io!

  5. #5
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    Predefinito Re: Le "memorie" scritte di Juanne Maria Angioy


    Giovanni Maria Angioy: Un irrisolto rebus della storiografia sarda

    Rovistando tra i miei libri ho trovato questo articolo scritto da Carlino Sole sull’”Almanacco di Cagliari” del 1983 su Giò Maria Angioy. Nonostante l’età l’articolo è molto interessante perchè analizza in maniera puntuale e obbiettiva un episodio fondamentale della storia moderna sarda che è stato mitizzato dalla storiografia successiva.

    A mio parere questo articolo può darci degli spunti interessanti di riflessione anche sulla condizione della Sardegna di oggi.







    Calcolatore o profondamente ingenuo? La mancanza di scritti politici apre la porta alle più svariate interpretazioni della sua azione. Attualmente si tende a presentarlo come un precursore della moderna autonomia della Sardegna; ma un’analisi più meditata induce a vedere in lui un uomo che, sulla scia delle nuove idee diffuse dalla rivoluzione francese, ritenne giunta l’ora di spazzar via il regime feudale quale maggiore ostacolo all’affermarsi nell’isola del liberalismo borghese.

    Parlare oggi di Giovanni Maria Angioy (Zuanne Maria Anjoi) e della Sardegna dei suoi tempi potrebbe sembrare inutile o ripetitivo, dopo tutto ciò che è stato scritto da autori che si chiamano Giuseppe Manno, Francesco Sulis, Sebastiano Pala, Antonio Boi, Dionigi Scano, e da una lunga serie di studiosi di minor calibro. Eppure l’argomento costituisce sempre fonte d’interesse per il grosso pubblico che, per naturale tendenza, vorrebbe trovare nelle risultanze della più accreditata storiografia una conferma dell’immagine di un personaggio così importante conservatoci dalla tradizione popolare. Comunque, l’illustrazione, sia pure divulgativa, di questa singolare figura risulta facile o difficile, secondo come si prospetta la questione che gli storici sogliono appunto denominare “questione angioiana”. Facile, se ci si restringe agli essenziali dati biografici, peraltro abbastanza noti, e al racconto dell’avvenimento principale e risolutivo della sua vita, la sfortunata impresa del 1796, quando, inviato dal vicerè in missione pacificatrice nel Logudoro allora in aperta ribellione contro le prepotenze e le esorbitanze dei feudatari, finì per mettersi alla testa dei vassalli in armi e tentò di marciare su Cagliari per ottenere dal governo viceregio il riconoscimento dell’abolizione del sistema baronale da lui attuata nel Capo di Sopra; difficile, se per comprendere meglio le ragioni profonde del suo operato si cerca di scavare nella psicologia chiusa e un po’ ambigua del personaggio: un personaggio che agli storici è sempre apparso e ancora appare piuttosto enigmatico e quasi impenetrabile nei suoi intendimenti, soprattutto perché di lui mancano scritti significativi su cui si possa esercitare l’analisi critica per ricostruire con fondata certezza la genesi e lo sviluppo della sua ideologia politica.

    La difficoltà è peraltro accresciuta dal fatto che sulla figura di Angioy, quale realisticamente si può ricostruire in termini di corretta metodologia storiografica, prevale la figura emblematica e un po’ mitizzata di un Angioy “eroe regionale”, sostenitore dei diritti del popolo e vendicatore degli oppressi, secondo un certo filone politico letterario (o continuatore della “costante resistenziale sarda” per dirla alla Lilliu).

    Che la figura e l’opera di Giovanni Maria Angioy vada oggi “rivisitata” anche in prospettiva autonomistica è un’esigenza pienamente legittima e giustificata (a condizione, però, che non si ricorra ad artificiose ed interessate forzature), se è vero, com’è vero, che da lui prende le mosse, idealmente, il movimento di opinione, diventato poi movimento politico, che ha portato alla odierna autonomia e che si snoda nel tempo attraverso il pensiero e l’opera dei vari Musio, Siotto Pintor, Tuveri, Asproni, Deffenu, Lussu, ecc.

    Ma su tutte prevale l’esigenza che Angioy vada collocato entro la cornice del suo tempo, che è quella della rivoluzione francese.

    Il cosidetto “decennio rivoluzionario sardo”, che va dal 1789 al 1799, vide effettivamente Angioy un protagonista. Gli avvenimenti di quegli anni costituiscono la chiave di volta, quasi la cerniera, del passaggio del vecchio regime al nuovo, dell’antica secolare autonomia sancita dagli ordinamenti catalano-aragonesi e spagnoli poi, e riconosciuta dai re sabaudi, alla moderna autonomia: quella che, passando nella sua fase preparatoria attraverso il filtro del risorgimento col nome di “questione sarda”, verrà definitivamente realizzata con lo statuto speciale del 1948.

    Non a caso tutti gli scrittori e i personaggi politici che nel passato sostennero il principio autonomistico si sono sempre rifatti a Giovanni Maria Angioy come primo assertore della rigenerazione morale e materiale del popolo sardo, in quanto per primo affermò e sostenne che, per l’affrancamento dell’isola, occorresse la rimozione anche violenta di quelle barriere, e soprattutto del sistema feudale, che ne avevano sempre impedito il “rifiorimento”. Dobbiamo dunque dedurne che Angioy fu una sorta di precursore o di “profeta” che, a differenza di altri intellettuali sardi, seppe anticipare quali potevano essere i modi ed i mezzi per far recuperare ai Sardi la libertà, in tempi in cui la libertà da privilegio di pochi stava per diventare, con la rivoluzione francese, conquista di popolo?

    In realtà più che precursore o “profeta” Angioy fu un uomo del suo tempo: ebbe, si, delle acute e singolari intuizioni, ma mostrò anche le incertezze e le contraddizioni proprie di chi opera in momenti di rapide e profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali. Se per poco si scorrano i principali dati biografici dell’illustre personaggio, troviamo presenti nella sua attività i tre fondamentali momenti della svolta storica di fine ‘700: il momento illuministico come fase preparatoria, il momento costituzionalistico come fase di transizione dall’antico al nuovo, e il momento rivoluzionario come distruzione violenta dell’assolutismo per creare sulle sue rovine le fondamenta del liberalismo borghese.





    Stampa dell’assedio francese a Cagliari — Disegno d’epoca dell’assedio francese


    Ocorre intanto ricordare in brevissima sintesi che Angioy nacque nel 1751 a Bono, nel Goceano, da famiglia insignita del cavalierato, compì i suoi studi a Sassari dove si laureò in utroque jure, si trasferì a Cagliari per esercitarvi la pratica forense, ma preferì l’insegnamento del diritto civile nell’università cagliaritana. Entrò poi nella magistratura, percorrendo una carriera tanto rapida quanto valide erano le sue capacità ed effettivi i suoi meriti, fino a giungere ai vertici della reale udienza, il supremo organo giurisdizionale ed anche politico del regno. Nel frattempo aveva sposato una ricca ereditiera, Anna Belgrano, figlia di un facoltoso negoziante cagliaritano.

    La conseguita agiatezza gli consentì di applicarsi ad intraprese varie nel campo agricolo, industriale e commerciale, secondo una visione dei problemi economici assolutamente nuova per una Sardegna culturalmente e socialmente arretrata e in larga misura ancorata ai vecchi sistemi ereditati dagli Spagnioli. La sua eminente posizione di magistrato e la sua collocazione politica nell’area autonomistica e progressista della dirigenza cagliaritana lo coinvolsero direttamente negli avvenimenti che dal 1793 al 1796 turbarono la capitale e l’intera Sardegna come lontano contraccolpo delle vicende rivoluzionarie francesi.

    Quando nel 1795-96 si sviluppò nel Logudoro la rivolta antifeudale, egli fu inviato in quel distretto con gli ampi poteri di Alternos (o di secondo vicerè) per ricostruirvi l’ordine e la legalità; ma accortosi che a Cagliari si tramava la sua rovina, sposò la causa dei rivoltosi, e con la famosa marcia sulla capitale, miseramente fallita a metà strada, finì per mettersi fuori legge. Fuggì nella penisola e, dopo inutili peregrinazioni alla ricerca della protezione del generale Bonaparte, allora vittorioso nell’Italia settentrionale, riparò definitivamente in Francia. Nell’esilio cercò dapprima di organizzare con altri fuoriusciti una descente militare nell’isola per instaurarvi rivoluzionariamente la repubblica; poi, visti fallire i suoi tentativi, si adattò all’inerzia, fimo alla morte che avvenne a Parigi nel 1808.

    Angioy fu dunque per formazione mentale e culturale un illuminista, per quel che può valere il termine riferito a una Sardegna oltremodo arretrata sul piano culturale, come si è detto, con un sistema scolastico ancora fermo ai vecchi schemi cinquecenteschi e secenteschi dei Gesuiti e degli Scolopi, priva di collegamenti con i centri più attivi della cultura italiana ed europea, profondamente imbevuta di spagnolismo, priva di giornali e con una circolazione libraria ridottissima.

    Non si può escludere che Angioy fosse uno dei pochi intellettuali sardi che conoscesse la famosa Enciclopedia del Diderot-D’Alembert; ed è anzi probabile che sulle nozioni apprese da quell’opera fondamentale della cultura illuministica francese, tentasse gli esperimenti agricolo-industriali prima accennati: segno di un vivo interesse per il progresso tecnico e di un’intelligente visione dei modi e dei mezzi per rinnovare in termini moderni l’economia della Sardegna.

    Pochi sanno, per esempio, che nei primissimo anni della rivoluzione francese, dal 1789 al 1792, quando degli avvenimenti d’oltr’Alpe nell’isola, allora immersa in una sorta di letargo, non si erano ancora fatti sentire i contraccolpi, angioy dedicava le ore libere dagli impegni del suo alto ufficio alla coltivazione sperimentale del cotone, una pianta esotica pressoché sconosciuta in Sardegna, ma largamente coltivata in varie zone del meridione d’Italia, ottenendo risultati così sorprendenti da interessare le autorità governative e da sbalordire coloro che ebbero modo di constatarli.

    Egli dimostrò che da noi il cotone poteva essere vantaggiosamente coltivato con una resa quantitativa e qualitativa superiore a quella del più pregiato cotone di Sicilia, di Malta e dello stesso Egitto.

    Fece costruire a sue spese speciali macchinari per la sgranatura, cardatura e la filatura del prodotto grezzo, fece tessere il filato su telai casalinghi appositamente adattati, ottenendo un tessuto ruvido ma tanto resistente da servire egregiamente a confezionare delle ottime vele per le barche da pesca. Ulteriori esperimenti consentirono di ottenere anche tessuti di delicata tela cotonina.

    Occorre ricordare che allora in Sardegna non esisteva alcuna manifattura tessile neppure a livello artigianale, e nei villaggi funzionavano pochi e rudimentali telai casalinghi per la confezione dell’orbace, sicchè per le telerie come per tanti altri prodotti manifatturieri l’isola era del tutto tributaria all’estero.

    Gli esperimenti portati avanti a titolo di iniziativa privata da Giovanni Maria Angioy non erano la manifestazione di un semplice hobby, come sovente accade, ma la messa in atto di un calcolato ragionamento che sottintendeva un grosso programma imprenditoriale di tipo capitalistico. La Sardegna, questa in sintesi era la sua considerazione, non aveva né una flotta peschereccia adeguata alle sue possibilità, né una flotta mercantile rispondente alle necessità del commercio. Tale mancanza era dovuta principalmente agli alti costi delle attrezzature, e specialmente delle vele.

    Se si fosse riusciti ad estendere ai vastissimi terreni incolti del litorale la piantagione del cotone con un’appropriata propaganda presso i contadini, e se si fossero create delle fabbriche per la lavorazione in loco del prodotto grezzo fino ad arrivare alla confezione del prodotto finito, sarebbe stato possibile incrementare notevolmente l’attività peschereccia e creare i presupposti per la formazione di una marineria mercantile tutta sarda.

    Ci si può domandare perché tali e tanto lodevoli propositi non ebbero poi alcun seguito, tanto più che Angioy non aveva bisogno di sovvenzioni governative, essendo persona facoltosa ed imparentata con ricchi mercanti che potevano dargli i capitali necessari per avviare la singolare impresa.

    Per tutta risposta occorre ricordare che in Francia ardeva da qualche anno la grande rivoluzione, e che questa era in procinto di varcare i confini per dilagare in tutta l’Europa. Anche la Sardegna fu interessata al fenomeno rivoluzionario e. ai primi del 1793, fu fatta oggetto d’un tentativo d’invasione da parte della flotta francese comandata dal contrammiraglio Truguet.

    In quell’occasione tutta l’isola venne mobilitata per respingere gli assalitori. Nei preparativi si distinse fra gli altri, per zelo e disinteressata attività patriottica, anche il giudice Angioy il quale si adoperò perché da Bono, suo paese natale, e dal vicino Goceano accorressero a Cagliari e fossero mantenuti in gran parte a sue spese numerosi miliziani a cavallo. Questo fatto smentisce quanti tardivamente hanno affermato che Angioy, imbevuto di idee illuministiche e in cuor suo favorevole alla rivoluzione francese e al regime repubblicano, avesse assecondato fin d’allora segretamente la formazione a Cagliari di un organo rappresentativo di tutto il popolo sardo con l’assunzione, come di fatto già avveniva, di capacità legislativa e podestà di governo.

    In realtà, se si esaminano i documenti del tempo con animo scevro da preconcetti, nulla dimostra che Angioy, nella sua posizione eminente di alto magistrato e di capo di un partito che potremmo tutt’al più definire progressista ma non giacobino, avesse concepito disegni rivoluzionari intrattenendo segrete relazioni con emissari francesi o creando difficoltà al governo viceregio di cui, in un certo qual modo, faceva parte come membro della reale udienza. Anzi, quando in seguito al famoso moto popolare cagliaritano del 28 aprile 1794 tutti i piemontesi e lo stesso vicerè furono arrestati e cacciati fuori dall’isola, e il governo venne assunto ad interim dalla reale udienza, egli funse da elemento moderatore e d’ordine e frenò le intemperanze degli Stamenti in nome di un legittimismo che trovò conferma anche in altre gravi circostanze.

    In questa seconda fase della sua vita (quella che corrisponderebbe al momento costituzionalistico) Giovanni Maria Angioy si dimostra dunque pienamente in linea col regime legittimamente costituito. Tutt’al più (ma questa è un’ipotesi di lavoro che andrebbe approfondita e verificata) potremmo vedere in lui il fautore di una possibile riforma in senso costituzionale sia con l’abolizione del sistema feudale, sia con la trasformazione degli Stamenti da organismi rappresentativi delle tre classi privilegiate del clero, della nobiltà e della borghesia, in un unico movimento giacobino in vista di quei rivolgimenti che effettivamente turbavano la capitale nei tre anni successivi alla sconfitta delle armi francesi.

    Angioy fu anche accusato dai suoi detrattori di essere stato l’occulto ispiratore dei violenti sommovimenti che, nel luglio del 1795, insanguinarono Cagliari con l’eccidio delle due più alte autorità dopo il vicerè, e cioè il generale delle armi ( vale a dire il supremo comandante militare) marchese della Planargia e l’intendente generale Girolamo Pitzolo. Anche in questo caso mancano documenti o testimonianze probanti e Angioy resta ancora, a nostro avviso, il legittimista alieno da ogni tentativo di sovvertire l’ordine costituito.

    Si è detto prima che Giovanni Maria Angioy costituisce per gli storici un personaggio enigmatico, quasi indecifrabile. Si può anche aggiungere che è un personaggio estremamente problematico, considerati i giudizi variamente differenziati espressi su di lui dalla storiografia recente e passata e considerate e talvolta diametralmente opposte date alla sua azione politica.

    Un primo problema di non facile soluzione è quello relativo alla missione di Alternos affidatagli dal governo viceregio e dagli Stamenti per tentare di pacificare il Logudoro, sollevatosi in armi, come si è già rilevato, contro i feudatari e risoluto a rendersi indipendente da Cagliari in caso di mancata accettazione della richiesta di abolizione del sistema baronale.

    Ci si può domandare se Angioy ebbe tale incarico perché nella capitale egli era veramente ritenuto l’uomo giusto per dirittura morale, senso di giustizia e autorevolezza, capace di porre fine ad uno stato di anarchia non più sostenibile, oppure se gli amici di un tempo, distaccatisi via via da lui per formare un partito moderato, gli tesero un tranello in quanto, davanti a una situazione esplosiva e difficilmente governabile, o avrebbe fallito come pacificatore, perdendo ogni credito o avrebbe preso le parti dei rivoltosi, come di fatto avvenne, e si sarebbe compromesso agli occhi del governo come traditore e ribelle.

    E’ probabile che nell’accettare una missione altamente rischiosa molto influisse in lui l’ambizione. Ma è anche possibile che egli, in buona fede, credesse di potersi rendersi utile alla sua isola attuando, mercè gli ampi poteri che gli erano stati conferiti, quei provvedimenti di giustizia che tendevano ad esautorare i feudatari e ridare alle comunità e ai singoli il possesso della terra. Qui sta il vero e profondo significato della sua coraggiosa azione: l’aver intravvisto nell’abolizione del feudalesimo e nel riscatto del vastissimo demanio feudale ( oltre i due terzi dell’intero territorio dell’isola) il primo passo per la formazione di una consistente borghesia rurale sulle cui fortune si sarebbe poi sviluppata una borghesia imprenditoriale capace di rigenerare in senso moderno e in consonanza con i nuovi tempi la povera e arretrata economia sarda.

    L’esempio gli veniva dall’Inghilterra dove, con la trasformazione profonda della proprietà terriera e dell’economia rurale, si erano gettate le basi per la prima fase della rivoluzione industriale. Del resto, che altro aveva inteso fare Angioy sperimentando la coltivazione del cotone, la lavorazione in loco del prodotto e la sua commercializzazione, se non applicare il metodo della produzione a ciclo completo proprio del sistema paleoindustriale?

    L’altro grave problema, anch’esso di difficile soluzione, è quello che riguarda la posizione politica di Giovanni Maria Angioy nel capeggiare la rivolta armata dei vassalli logudoresi e nel guidarli nella marcia dimostrativa a Cagliari. L’Alternos con quel migliaio di insorti malamente armati e peggio equipaggiati intendeva solamente far pressione sul vicerè e sugli Stamenti per ottenere il riconoscimento delle sue determinazioni relative all’abolizione del sistema feudale, oppure voleva deliberatamente fare un atto di aperta ribellione invocando, come minacciava di fare, l’intervento della Francia, allora vittoriosa nella guerra contro il Piemonte? In breve: fu un temerario, o un freddo calcolatore, o più semplicemente un ingenuo e un illuso?





    Orgosolo: Murales sulla rivolta angioiana — Foiso Fois: La rivolta angioiana


    E’ difficile rispondere a questi interrogativi, giacchè neppure in questo caso ci soccorre l’aiuto di prove documentarie: perciò ciascuno la pensi come meglio crede, in attesa che venga fuori, se mai verrà fuori, il documento chiave che valga a far sciogliere questo fondamentale rebus storiografico. Il sottoscritto, sulla base di ricerche d’archivio condotte a Torino ed in modo particolare a Parigi dove Angioy, come si è accennato, trascorse in esilio il resto della sua vita, crede di poter dire che l’ex Alternos, pur occhieggiando alla Francia rivoluzionaria, con i cui emissari aveva effettivamente intrattenuto negli ultimi tempi qualche relazione, intendesse contenere ancora entro l’ambito della legalità il movimento antifeudale: cioè, nella piena osservanza del legittimismo, egli considerava l’abolizione del feudalesimo come un fatto non contrastante col regime monarchico, anzi vantaggioso per la stessa monarchia e soprattutto necessario per risollevare il popolo sardo dalla sua secolare miseria.

    La tardiva professione di fede repubblicana, avvenuta solo dopo la fuga da Casale, dove era stato relegato in attesa delle determinazioni del re, fu dunque la logica conseguenza della sua sfortunata vicenda personale. Nel lungo esilio francese egli non poteva non accettare l’ideologia libertaria e repubblicana scaturita dalla rivoluzione dell’89. E appunto in nome della libertà politica per la Sardegna, ancora oppressa dal dispotismo, cercò di far accogliere dal direttorio e da Napoleone “primo console” un piano militare per liberare l’isola, proclamandovi la repubblica e metterla sotto la protezione della Francia. E con tutta probabilità vi sarebbe riuscito se il corpo d’esercito raccolto in Corsica nel 1800 non fosse stato distolto all’ultimo momento dalla spedizione in Sardegna, perché destinato a sedare un tentativo insurrezionale controrivoluzionario scoppiato nel frattempo nella stessa Corsica.

    Ma già prima di questo tentativo Angioy aveva ripetutamente indirizzato al governo francese, ai capi militari ad allo stesso Napoleone diversi memoriali sulla difficile situazione della Sardegna dove il governo viceregio ed i feudatari avevano scatenato la più feroce reazione contro le comunità ed i singoli individui che lo avevano assecondato nella sua azione rinnovatrice, sostenendo l’opportunità e l’utilità per la Francia di occupare militarmente l’isola e di instaurarvi un regime di vera libertà. In compenso la Francia si sarebbe avvantaggiata dei prodotti di cui la Sardegna abbondava: grano, bestiame, pellami, formaggio, metalli; e per di più, avrebbe conseguito una maggior sicurezza strategica nel Mediterraneo occidentale col controllo della base navale di La Maddalena (allora presidiata dalla flotta inglese) e degli approdi delle isole di San Pietro e Sant’Antioco, punti obbligati di riferimento nella navigazione tra Provenza e Nord Africa.

    Gli ultimi documenti dell’esilio di Angioy sono alcune lettere da lui inviate al ministro Talleyrand: esse costituiscono l’estremo tentativo dell’illustre esule e dei suoi compagni di sventura per indurre la Francia ad affrancare la Sardegna dal dispotismo monarchico e dalla servitù feudale.

    In esse è condensato, pateticamente, l’anelito verso la libertà di chi vede ormai dileguarsi il sogno del riscatto nazionale e invoca conforto per se e protezione per i compagni d’esilio.


    Carlino Sole




    Sassari, palazzo della provincia: Affresco dell’entrata di Giò-Maria Angioy in città. (Giuseppe Sciuti)
    Giovanni Maria Angioy: Un irrisolto rebus della storiografia sarda | Su Furriadroxu

  6. #6
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