Ripensando la destra


In quest'epoca di cambiamenti dettati dal tramonto di Silvio Berlusconi, e della seconda Repubblica con lui, è necessario anche per la comunità della destra entrare in una fase nuova, che ci consenta di prepararci ad un passaggio che sarà fisiologicamente più simile ad uno tsunami causato da un terremoto, che non a una nuvola primaverile spinta dal primo zefiro. La prima domanda che dobbiamo farci è che cosa sia un politico. Noi, a differenza della sinistra, non abbiamo all'interno della nostra ideologia il seme della corruzione relativistica, per cui abbiamo il dovere di spingerci verso una tensione che all'infinito ci porti a definizioni vere a prescindere dal tempo del luogo in cui vengono formulate. Ecco, dunque, che per "politico" noi dobbiamo trovare una definizione che contenga quel quid che esista non soltanto sul piano dei fatti della realtà, del pragmatismo e del qui e ora, ma che abbia una sua realtà anche sul piano metafisico. A mio avviso la definizione migliore è "colui che serve la comunità che l'ha scelto per guidarla, mettendosi a disposizione della generazione presente e di tutte le generazioni future". Rispetto alla visione imperante oggi, del politico come rappresentante non solo di questa o quella località ma addirittura di questo o quel gruppo, sottogruppo, clan o altra definizione settaristica, la visione che dovremmo avere noi deve per forza essere più ampia, perché se è vero che i confini spaziali della nostra attività possono essere anche angusti, tanto da farci soffrire di claustrofobia, le nostre azioni si riverberano nel tempo, tanto da condizionare chi verrà dopo di noi.
Quindi il primo obbligo di un politico è quello di non sacrificare mai l'interesse di una generazione per quello di un'altra, perché questo sacrificio esula dal nostro compito, che non è di vivere il tempo presente a scapito del tempo futuro, ma creare un ponte e in questa prospettiva sincronica non c'è concesso fare favoritismi, perché la generazione di domani non è più grande o più piccola, non è più vicina o più remota, di quella che ci ha scelti oggi. Ovviamente sappiamo che non è facile perché la generazione di oggi è quella che ha in mano la possibilità di sceglierci o respingerci nel ruolo di suoi rappresentanti. Ha, in sostanza, il potere di vita e di morte per quanto riguarda la nostra sopravvivenza politica, eppure il politico deve resistere alla tirannia del presente, soprattutto oggi. Soprattutto adesso, nel momento in cui le masse hanno davanti agli occhi solo il buio pesante di quella depressione esistenziale che la caduta di valori e di ideologie ha causato nel nostro popolo. Qui, quindi, il politico si fa portatore di una fiaccola, una fiaccola che deve servire a dissipare queste tenebre, che però non vanno immaginate come forze passive di semplice attrito, sono reattive e cercheranno di togliere la luce perché non sopportano che qualcuno sfidi la loro cecità al futuro, mostrando vie nuove e luminose. Quindi se noi immaginiamo in questi termini la figura del militante impegnato nelle istituzioni rompiamo già alcuni dei più grandi tabù che hanno contraddistinto la seconda Repubblica e ritorniamo ad essere, e a volere che i nostri rappresentanti siano, simboli. Il simbolo nell'antichità era un medaglione spezzato a metà, che serviva a riconoscere il parente che per mille e una ragioni si allontanava da casa, magari in giovane età, o per riconoscere il figlio che doveva essere lasciato. Era, insomma, la metà di un tutto. E' proprio questo che deve essere il politico: un meccanismo di quell'ingranaggio, una tessera di quel mosaico che congiunge il presente al futuro. Il politico di destra, però, non può contentarsi di essere solo questo, perché per noi non esistono nè presente nè futuro che non siano debitori di tutto ciò che li contraddistingue da un grande passato. Un passato che, però, per noi non ha mai cessato di essere presente. Nel dolore, talvolta nella vergogna, ma sempre nella fibra profonda che compone il nostro essere. Quindi nel servire tutte le generazioni presenti e future, i politici di destra devono sempre rendere omaggio alla grande generazione che li ha preceduti e che ha fondato quella comunità militante di cui anch'essi oggi fanno parte. Una comunità che li ha generati politicamente, ma che non impedisce loro di cercare nuove strade nel mondo dell'oggi e del domani, ma si richiede loro il coraggio di non dimenticare mai quale sia la casa da cui sono usciti per fare questa ricerca. un politico di destra nella terza repubblica sarà colui che, senza imbarazzo o falsi pudori, saprà dire sempre orgogliosamente "sono cambiato, ma non ho tradito".




Ripensando la destra