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Discussione: Letture

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    Post Libri:La guerra dell'ambiente


    Jacopo Giliberto, giornalista e scrittore, è in libreria con un nuovo saggio
    "La guerra dell'ambiente"

    "La guerra dell'ambiente", di Jacopo Giliberto (Laterza, 12 euro) è un libro fondamentale per chi non s'accontenta dei bla-bla ecologici di piazza e di quelli propinati dai tuttologi che infarciscono i talk show televisivi. "Chi, come, perché" è il sottotitolo: il libro spiega tutto, riporta alla memoria le catastrofi ambientali degli ultimi decenni, le analizza nel loro svolgimento e nelle cause che le determinarono. Racconta i summit internazionali e i loro retroscena, le strategie delle grandi multinazionali, i programmi delle organizzazioni non governative. Lo fa con un linguaggio ineccepibile da un punto di vista tecnico-scientifico, e tuttavia comprensibile anche al più profano dei lettori. Un libro che si fa leggere, nei suoi episodi, come un romanzo anche se, purtroppo, di romanzesco non ha nulla. Perché l'autore non è né un tecnico né uno scienziato: è semplicemente un giornalista del più importante giornale economico, "Il Sole 24 Ore", dove da molti anni gli è affidato, appunto, il settore energia-industria-ecologia-ambiente. Vinse, in un recente passato, un premio Enea e due premi Federchimica. Né un tecnico né uno scienziato, dunque, ma soltanto uno che indaga per capire e quindi scrive perché anche i lettori capiscano: divulgazione d'alta classe, come è sempre il miglior giornalismo. Seveso, Bhopal, Marghera, le ciminiere che intossicano l'aria e modificano il clima, le petroliere che affondano e inquinano i mari e le coste, l'emergenza rifiuti che minaccia di trasformare il pianeta in un enorme immondezzaio, il problema degli scarti tossici che nessuno vuol seppellire nel proprio territorio... Con incoscienza l'uomo ha moltiplicato la sua capacità di consumare e di distruggere - è scritto nel risvolto di copertina - . C'è chi accusa l'industria, chi contesta la corsa al profitto. Eppure, se l'ecologia e l'economia sono state a lungo nemiche, se lo sviluppo economico escludeva la difesa dell'ambiente e la difesa dell'ambiente frenava la ricchezza economica, oggi dobbiamo arrivare a un compromesso ragionevole per entrambi. Perché è in discussione il futuro della Terra e l'esistenza stessa dell'uomo. Questa la conclusione. Di compromissorio, tuttavia, il libro non ha né il tono né il linguaggio. Denuncia i fatti (o le malefatte) senza mezzi termini, lontanissimo da ogni ipocrisia ma altrettanto lontano da ogni tentazione di enfatizzazione drammatica. Cronaca pura, nitida, limpida. Come quando racconta il disastro di Bhopal, decine di migliaia di morti, mezzo milione di feriti; e il presidente della multinazionale, Warren Anderson, arriva in India per constatare i danni, è arrestato, ma se la cava in poche ore pagando una cauzione ridicola di 25.000 rupie. O come quando parla del rischio che fra cinquant'anni i veneziani, a causa dell'acqua alta, debbano uscire di casa con gli stivali di gomma un giorno su tre. O come quando descrive i nuovi inceneritori che coi loro sistemi di filtraggio e di abbattimento dei fumi non producono più diossina di quanta ne produce (lo sapevate?) una grigliata collettiva di salsicce e braciole a un festival di partito. Altrettanto "cronistiche" sono le descrizioni dei grandi disastri. Esemplare quella che rievoca in un crescendo drammatico di frasi spezzate ciò che accadde a Cernobyl la notte fra il 25 e il 26 aprile 1986. Jacopo Giliberto, in qualità di inviato è stato in Russia, in Cina, in America, in Africa: i luoghi e i fatti che racconta, li ha ri-vissuti di persona e sa farli ri-vivere al lettore. Dalle sue minuziose cronache da Johannesburg al Summit della Terra svoltosi nel 2002 fa emergere le tre domande-base che sono state il leit-motiv dell'incontro internazionale: 1 - Come dare energia ai paesi in crescita tumultuosa senza inquinare tutto il mondo? 2 - Come ridurre l'effetto della povertà e della fame? 3 - Come dare acqua potabile ai paesi poveri? Estrema concisione che scopre il nòcciolo del problema. Ma sa anche dare una coloritura aneddotica che, di tanto in tanto, fa sorridere il lettore sottraendolo per un attimo alla serietà della materia trattata. Come quando cita una canzoncina "contestatrice" del polo industriale di Marghera alle porte di Venezia: "Marghera sensa fabriche sarìa più sana, 'na giungla de panoce, pomodori e marijuana", sarebbe più sana, una giungla di pannocchie, cantavano qualche anno fa i Pitura Freska ("Marghera reggae").

    Alessandro Rossi

  2. #2
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    Post Libri:Un mondo diverso è necessario

    Crisi energetica e mito del progresso. "Un mondo diverso è necessario", l'ultimo libro di Carla Ravaioli Opzione zero La possibilità di una crescita illimitata si rivela una cattiva profezia. Alcune riflessioni sullo sviluppo insostenibile.


    Mano a mano che la tecnologia si fa più raffinata cresce la nostra dipendenza da essa e la nostra assuefazione alle macchine e ai sistemi intelligenti. Il grande black-out che ha colpito l'Italia ha rafforzato la sensazione che senza una tecnologia raffinata non possiamo più vivere. Ma siamo davvero liberi di scegliere? L'homo technologicus non è "uomo-più-tecnologia", ma una nuova unità evolutiva e antropologica. Non sarebbe saggio (anche se fosse possibile) tornare indietro - diceva Bateson -, poiché ciò comporterebbe la perdita della saggezza che ci avrebbe spinti a questo ritorno e non farebbe che rimettere in moto daccapo tutto il processo. Andando semplicemente avanti, però, possiamo anche imboccare un vicolo cieco del processo evolutivo, come quel tale che segava il ramo cui era seduto. D'altra parte la nostra economia non ci consente neppure l'opzione della crescita zero; i consumi energetici, insieme al Pil, non possono che aumentare e, con essi, la nostra dipendenza dalle leggi del mercato, dei consumi, dallo sperpero di risorse del pianeta. Nessuno, naturalmente, vuole tornare indietro, ma una civiltà elevata dovrebbe limitare le proprie interazioni con l'ambiente. Dovrebbe consumare risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i mutamenti necessari. Per il resto il metabolismo della civiltà deve dipendere dall'energia che l'astronave Terra riceve dal Sole.
    Quanto accaduto recentemente: variazioni climatiche insopportabili, black-out energetici, aumento delle specie a rischio di estinzione, fanno tornare d'attualità i temi del libro di Carla Ravaioli, Un mondo diverso è necessario (Editori Riuniti) che mette a nudo le contraddizioni economiche, sociali e perfino epistemologiche di un sistema planetario che si sviluppa in modo ortogonale ai processi naturali.
    Chi ha detto - dice Carla Ravaioli - che un'economia che non cresce è un'economia malata? Sembrerebbe una domanda impertinente, polemica e fuori luogo, ma, in fondo, è come l'esclamazione del bambino che vede il re che è nudo. Si perché questa stessa cosa è stata sollevata recentemente anche da altri autorevoli economisti; per esempio Walden Bello e Paolo Sylos Labini (Se la sinistra ha il coraggio dell'utopia, L'Unità dell'8 settembre 2003). Questa strana idea della crescita zero pare, infatti, che non sia nuova e che abbia, al contrario, antenati illustri come Adam Smith e John Stuart Mill. La crescita dell'economia era considerata da questi rivoluzionari signori necessaria per ridurre la miseria ma, da un certo momento in poi, essa avrebbe potuto e dovuto rallentare fino a fermarsi. Insomma Carla Ravaioli va dritta al problema e in questo senso non risparmia critiche a una sinistra che sembra non riuscire a pensare fuori dal paradigma della crescita e dell'aumento del Pil, della linearità dello sviluppo e dell'ineluttabilità del progresso. Eppure sono oggi oggettivamente osservabili e riscontrabili i sintomi di patologie ecologiche preoccupanti. Crescono gli effetti negativi, i feedback dell'ambiente e, dunque, secondo una spirale perversa, crescono anche i costi sociali necessari per tentare di "riparare" (inutilmente) i danni prodotti. Un modello diverso, dunque, non è solo possibile o auspicabile, ma, per Carla Ravaioli, esso si impone come necessario.
    Il libro non si limita ad una riflessione sui guasti ambientali prodotti da una crescita insensata; il mondo diverso implica necessariamente fare i conti e farsi carico della sofferenza e del dolore degli altri. Carla Ravaioli si guarda infatti attentamente intorno alla ricerca non dico di una soluzione alternativa, ma di un segnale, di un riferimento: incrocia, questo sguardo, economisti come: Adam Smith, Stuart Mill, Keynes, Sylos Labini Giorgio Fuà, Claudio Napoleoni tutti loro più o meno tenacemente convinti che il Pil non è proprio per niente un indicatore di benessere e che la crescita non è affatto necessaria. Nonostante questi pensieri ancorché autorevoli, ma sparigliati e inascoltati, le cose continuano ad andare come sono sempre andate: il benessere è divenuto crescita dei consumi ed il consumo è diventato sinonimo di benessere e, quindi, il consumo è diventato etica. Ma perché non stupirci di questo? Perché non stupirci osservando i giovani che non sanno più trascorrere qualche minuto della loro vita senza i telefoni cellulari? Perché non stupirci del fatto che "abbiamo ucciso le mezze stagioni" (Marcello di Cini su il manifesto del 18 settembre), o della crescita continua della produzione di automobili delle quali ormai potremmo fare volentieri a meno per gran parte della giornata?
    Insomma se un messaggio è forte e chiaro nel libro della Ravaioli, esso è proprio questo: almeno continuiamo a stupirci di questo mondo insensato perché abituarci ad esso è l cosa più terribile che ci può accadere perché lo stupore e l'io non ci sto è una delle armi più potenti contro l'assuefazione, la manipolazione, la rinuncia a cambiare.
    Ma la Ravaioli è studiosa che ha alle spalle una tradizione lunga di impegno politico e sa di non potersi sottrarre al "dovere" di fornire alcune risposte. Forse basterebbe, per cominciare, dice verso la fine del suo libro, dire ciò che non siamo, ciò che noi sinistre non possiamo essere e ciò che non vogliamo.
    Il primo valore da rifiutare dovrebbe essere il dominio incontrastato del fondamentalismo della ragione economica; il secondo è la quantità come misura di tutto il positivo; il terzo è il denaro come religione; il quarto è quella bestialità secondo la quale il tempo è denaro. Quinto valore da rifiutare è il mito dell'inesauribilità della natura; sesto valore da abiurare è quella tenacissima fede nel progresso della quale già Leopardi diffidava con ironia, ma che pervade l'intera nostra cultura e che le sinistre hanno abbracciato nel modo più acritico. Il ricettario elencato sembra banale, proprio come l'uovo di Colombo (chi non ci ha già pensato?): a Galilei che asseriva che la verità non può essere nemica della scienza, il matematico di corte rispondeva dicendo: "La Verità, la Verità ...chissà dove ci può portare". L'appello della Ravaioli individua come interlocutore quello storico lungo la tradizione del movimento operaio; si rivolge al mondo politico istituzionale che "non vede, non sente, non capisce o non vuole capire" che il mondo diverso non solo è possibile, ma necessario: "sembrano sogni - conclude la Ravaioli - e forse lo sono. Io resto però convinta che, come diceva Napoleoni, "posti a livello minore, i problemi non hanno risposta"". Già.

    Enzo Scandurra
    Il Manifesto 18 Ottobre 2003

  3. #3
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    Post Libri:Il Tao della Fisica


    Il Tao della Fisica di Fritjof Capra

    “Il grande contributo scientifico alla fisica teorica venuto dal Giappone dopo l’ultima guerra può essere un indice dell’esistenza di un certo rapporto fra le idee filosofiche presenti nella tradizione dell’Estremo Oriente e la sostanza filosofica della teoria dei quanti.” W. Heisenberg, Fisica e Filosofia, Il Saggiatore, Milano, 1961 (ma la stesura è del 1958).

    “I concetti generali sul pensiero umano… messi in evidenza dalle scoperte della fisica atomica, non sono nel numero delle cose completamente nuove, che non si conoscono affatto e di cui non si è mai sentito parlare. Hanno una loro storia anche nella nostra cultura, e un posto più importante e centrale nel pensiero buddista e indù. Ciò che troveremo sarà un’esemplificazione, una conferma, una versione più raffinata della saggezza antica”. J. R. Oppenheimer, Scienza e pensiero comune, Boringhieri, Torino, 1965 (ma la stesura è del 1954).

    “Per trovare qualcosa che corrisponda alla lezione offertaci dalla teoria atomica [dobbiamo rivolgerci] a quel tipo di problemi epistemologici che già pensatori come Buddha e Lao-Tzu hanno affrontato nel tentativo di armonizzare la nostra posizione di spettatori e attori a un tempo del grande dramma dell’esistenza” N.Bohr, Teoria dell’atomo e conoscenza umana, Boringhieri, Torino, 1961 (ma la stesura è del 1958).

    Le date sono importanti quanto l’autorevolezza degli scienziati chiamati in causa.
    E’ singolare come le frontiere, attraversate dalla scienza contemporanea oltre mezzo secolo fa, restino invisibili – inconcepibili – nascoste dietro un lontano orizzonte per la vulgata giornalistica e mediatica dei nostri giorni e spesso (drammaticamente troppo spesso) per gli stessi addetti ai lavori. Tale stato di cose giustifica il superamento dell’abituale ritrosia verso i classici alla quale si attiene il vostro bibliotecario, evitando – con rare eccezioni confinate nell’ambito della letteratura – di proporveli.
    Continuare a vivere in un universo politico e sociale che si comporta come se la scienza e la ricerca fossero matrici subordinate della tecnologia (con particolare e interessata ottusità nel campo della biologia) diventa spesso insopportabile. Abbiamo una velocità di espansione della conoscenza che ci induce a guardare agli autori citati quasi fossero monumenti storici, ma ci ostiniamo a ignorarlo come comunità civile… affetti da una stravagante schizofrenia che ci fa sentire da un lato loro posteri e dall’altro, nel nostro agire dibattere decidere, loro antenati… confinati come siamo in un eterno tardo Ottocento, intrappolati in un positivismo senza uscite. L’industria declina e noi danziamo sul ritmo scandito dal tornio e dalla pressa, il ritmo sotteso alla cultura della rivoluzione industriale… nelle fucine fuligginose non balugina più il lampo del progresso, la scintilla dell’avvenire, anzi si addensa la cappa soffocante del declino, eppure continuiamo a ballare stregati dal pifferaio del nesso causale… matematiche inquiete spostano con precisione le nostre sonde da un pianeta all’altro e ci confermano l’incertezza esaltante che si dipana in ogni catena predittiva, ma noi – idolatri di uno scientismo totemico - non vogliamo saperlo… torniamo, come bambini spaventati, alle favole sulle leggi meccaniche e assolute di nonna scienza come preferiamo immaginarla e come non è mai esistita.
    L’invito a riprendere in mano il classico testo di Capra, per certi aspetti sicuramente datato, è dunque un’esortazione a ri-prendersi cura di sé, a ri-scoprire il piacere dello spazio aperto e il gusto dell’imprevisto. Ancora Heisenberg, come Capra lo ha riportato in apertura, per spiegarmi meglio:
    “E’ probabilmente vero in linea di massima che nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso ai punti di interferenza tra due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in tempi diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse realmente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine a un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguirne nuovi e interessanti sviluppi.”
    Con quale impegno il nostro autore si sia applicato sui punti di interferenza lo si comprende scorrendo il semplice elenco dei destinatari della dedica iniziale del volume:
    Ali Akbar Khan
    Carlos Castaneda
    Geoffrey Chew
    John Coltrane
    Werner Heisenberg
    Krishnamurti
    Liu Hsiu Ch’i
    Phiroz Mehta
    Jerry Shesko
    Bobby Smith
    Maria Teuffenbach
    Alan Watts

    Per chi non avesse idea dell’oggetto di cui si occupa IL TAO DELLA FISICA lascio la parola a Capra stesso, fisico americano di origine austriaca (non c’è solo Schwarzenegger, che poi mi è simpatico), validissimo ricercatore sperimentale nel campo delle alte energie, oltre che studioso di teoria della scienza celebre per le sue pubblicazioni di carattere teorico.
    “Lo scopo di questo libro è di esplorare… il rapporto tra i concetti della fisica moderna e le idee fondamentali delle tradizioni filosofiche e religiose dell’Estremo Oriente. Vedremo come le due teorie basilari della fisica del ventesimo secolo – la meccanica quantistica e la teoria della relatività – ci obblighino entrambe a considerare il mondo in un modo molto simile a quello degli Indù, dei Buddisti e dei Taoisti, e come tale somiglianza risulti più marcata quando si osservano i recenti tentativi di unificare queste due teorie al fine di descrivere i fenomeni del mondo submicroscopico, cioè le proprietà e le interazioni delle particelle subatomiche dalle quali è costituita tutta la materia. Qui le corrispondenze tra la fisica moderna e il misticismo orientale si fanno addirittura sorprendenti: incontreremo spesso affermazioni per le quali è quasi impossibile stabilire se siano state formulate da fisici o da mistici orientali.

    La nascita della scienza moderna fu preceduta e accompagnata da uno sviluppo del pensiero filosofico che portò a una formulazione estrema del dualismo spirito – materia. Questa formulazione comparve nel Seicento con la filosofia di René Descartes, il quale fondò la propria concezione della natura su una fondamentale separazione tra due realtà distinte e indipendenti, quella della mente (res cogitans) e quella della materia (res extensa). La separazione ‘cartesiana’ permise agli scienziati di considerare la materia come inerte e completamente distinta da se stessi e di raffigurarsi il mondo materiale come una moltitudine di oggetti differenti riuniti insieme in un’immensa macchina. Una siffatta concezione meccanicistica del mondo fu sostenuta da Isaac Newton, che su questa base costruì la sua scienza della meccanica e la pose a fondamento della fisica classica. Dalla seconda metà del Seicento alla fine dell’Ottocento il modello meccanicistico newtoniano dell’universo dominò tutto il pensiero scientifico… le leggi fondamentali della natura ricercate dagli scienziati vennero considerate le leggi divine, invariabili ed eterne, alle quali il mondo era soggetto.

    La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del mondo hanno… portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma hanno avuto molte conseguenze nocive per la nostra civiltà. E’ affascinante osservare come la scienza del ventesimo secolo, nata dalla separazione introdotta da Cartesio e dalla concezione meccanicistica del mondo, e che anzi poté svilupparsi solo sulla base di una concezione del genere, superi oggi questa frammentazione e ritorni nuovamente all’idea di unità espressa nelle prime filosofie greche e orientali.
    Per la concezione del mondo organicistica, ‘ecologica’, delle filosofie orientali, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi sono interconnessi, collegati fra loro, e sono soltanto differenti aspetti o manifestazioni della stessa realtà ultima. La nostra tendenza a dividere il mondo percepito in cose singole e distinte e a sentire noi stessi come unità separate in questo mondo è considerata un’illusione che deriva dalla propensione della nostra mente a misurare e a classificare.
    Per la maggior parte di noi è molto difficile tenere costantemente presenti i limiti e la relatività della conoscenza concettuale. Poiché la nostra rappresentazione della realtà è molto più facile da afferrare che non la realtà stessa, noi tendiamo a confondere le due cose e a prendere i nostri concetti e i nostri simboli come fossero la realtà. Uno dei principali scopi del misticismo orientale è quello di liberarci da questa confusione.
    In Occidente, lo studioso di semantica Alfred Korzybski, puntualizzò esattamente la stessa questione con la sua sintetica formula ‘la mappa non è il territorio’.”

    Maurizio Pieroni
    mau51pi@yahoo.it
    www.ecquologia.it
    04/01/2004

  4. #4
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    Post Libri: Il bivio genetico


    Ambiente e salute

    Negli ultimi decenni lo scenario tipologico delle malattie è significativamente cambiato nelle diverse aree del mondo e così nei paesi più ricchi e industrializzati una migliore igiene, una maggiore disponibilità di cibo e migliori condizioni generali di vita (abitazioni, ambiente sociale, ecc.) hanno portato a una diminuzione delle malattie infettive. In compenso però si sono sviluppate nuove patologie legate alle nuove condizioni di vita. Ritmi e ambienti di lavoro, stress, inquinamento ambientale, alimentazione eccessiva, per citare solo alcuni esempi, hanno favorito le patologie ad andamento cronico-degenerativo come le malattie cardiocircolatorie, le disfunzioni metaboliche, i tumori ecc. Molte di queste patologie determinano, col tempo, un'usura degli organi, fino alla perdita di funzionalità, che porta alla morte.
    Rispetto a queste alterazioni e alle cause che le determinano sono possibili differenti approcci, a seconda del tipo di funzione che si attribuisce alla medicina. Sebbene l'uomo sano e l'uomo malato corrispondano a due facce della stessa medaglia, fin dall'antichità la comunità dei medici si è divisa in fedeli di Igea (da Igea deriva il termine "igiene", settore della medicina che si occupa soprattutto di difesa della salute e quindi di prevenzione delle malattie), per i quali la salute è un bene da mantenere e un obiettivo da garantire attraverso una corretta conduzione della propria vita; e seguaci di Asclepio, che ritengono dovere del medico ripristinare la salute attraverso la cura delle malattie sopraggiunte.
    In una corretta visione moderna della medicina, le due facce – quella di Igea e quella di Asclepio – non dovrebbero essere separate, o peggio contrapposte, e le autorità sanitarie dovrebbero, attraverso un'adeguata prevenzione, fare ogni sforzo per evitare che gli individui vadano incontro alle malattie e, d'altra parte, garantire le migliori terapie quando comunque le malattie si manifestano. In quest'ottica è bene ricordare che la salute, per l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), è una condizione di benessere fisico, mentale e sociale e non tanto l'assenza di malattia. Del resto, come abbiamo visto, le malattie si manifestano non solo perché si viene a contatto con un agente patogeno (virus, batterio, sostanza chimica, agente fisico ecc.), ma anche perché le nostre normali e naturali difese, per ragioni genetiche, fisiologiche, psicologiche, spesso contingenti, non sono in quel momento e in quel luogo in grado di impedire l'attacco degli agenti patogeni: difese che sono tanto più efficaci quanto maggiore è il nostro benessere fisico, mentale e sociale.
    Le malattie cronico-degenerative, proprio perché correlate a fattori ambientali, possono prestarsi a interventi di natura preventiva (migliorare l'ambiente di vita per mantenere la salute); tuttavia, poiché nella società industrializzata anche la malattia diventa fonte di profitti attraverso gli interventi terapeutici (medicinali, operazioni chirurgiche, protesi ecc.), si è arrivati alla cosiddetta medicalizzazione della salute, che offrendosi come soluzione tecnica a ogni problema esclude interventi preventivi e impedisce al cittadino di capire, accettare e fronteggiare in modo autonomo la propria condizione di malato. Tutto ciò ha portato, nella pratica medica, a sostituire l'uomo malato con la malattia, a degradare il paziente a caso clinico e spesso a considerare la parte anatomica malata disgiunta dalla complessità dell'individuo malato. In altre parole, come affermava François Dagognet nel 1957, c'è il rischio di «considerare la malattia e ignorare il malato, considerare l'organo e dimenticare l'organismo, guarire l'uno e alterare l'altro; ossia sostituire a una terapia della patologia una patologia della terapia». In una visione meccanicistica della salute umana, in cui prevale l'organo sull'organismo, si è affermata l'ipotesi di affrontare le malattie a carattere degenerativo ricorrendo alla logica dei "pezzi di ricambio" per sostituire la parte malata, senza valutare adeguatamente le ripercussioni che il nuovo organo potrà avere sull'intero individuo.
    Questa è la conseguenza di una sempre maggiore specializzazione e tecnicizzazione della medicina moderna, che porta alla spersonalizzazione sia del malato che del medico.
    Si arriva così a ipotizzare e studiare malattie indipendentemente dal malato, che possono essere curate con terapie standardizzate, valide per un modello di uomo medio, che nella realtà non esiste. Inoltre, come osservava Franca Ongaro Basaglia (Salute/Malattia, 1982), «l'individuazione della malattia crea l'illusione che la morte non esista o che, affidandola al medico, possa essere rinviata indefinitamente… Alla fine di una serie di rinvii, capita anche di morire, ma non si tratta più dell'incontro dell'uomo con la morte e con la propria "finitudine", ma di un'operazione tecnica mal riuscita che lascia sul letto un cadavere: l'esperienza della morte diventata il limite della medicina di fronte alla malattia». La tecnomedicina, che ignora il malato, arriva a considerare vecchiaia e morte come malattie da guarire con nuove medicine tecnologiche e rifiuta la realtà biologica dell'ineluttabilità della morte per ogni organismo vivente. In tal modo, però, si rischia di togliere il rispetto per la dignità umana dell'anziano e del malato terminale.
    Nell'ottica di un sistema sanitario efficiente, in una società sostenibile la priorità dell'intervento deve essere rivolta alla prevenzione delle cause di malattia, agendo sulle alterazioni dell'ambiente di vita e potenziando le difese dell'organismo. Tuttavia ciò non impedirà totalmente il sorgere delle malattie, che comunque dovranno essere curate, agendo soprattutto sulle cause, senza provocare nuove alterazioni nella salute del paziente e, soprattutto, senza considerare solo la malattia e ignorando il malato. In questo caso, infatti, ci troveremo di fronte al rischio di trasformare un soggetto vivente malato in un oggetto di studio, a sua volta facilmente trasformabile in un oggetto morto. Inoltre, tra le terapie disponibili vanno sempre privilegiate quelle meno invasive e che meglio rispettano la natura umana del paziente.
    Alla luce di queste considerazioni, possono le moderne biotecnologie offrire nuovi strumenti per la prevenzione e la cura delle malattie, utili e accettabili nella prospettiva di una società sostenibile?


    Tratto da: Il bivio genetico (Salute e biotecnologia tra ricerca e mercato)
    di Gianni Tamino
    Capitolo 3

    © Copyright Edizioni Ambiente 2000

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    Post Libri: Le merci e i valori




    Quando leggo i libri di Giorgio Nebbia ho in testa la sua voce, che in
    modi comprensibili e convincenti dipana il filo di ragionamenti che sono
    stati e sono fondamentali per tutti noi. Mi è accaduto così anche per questo suo ultimo lavoro Le merci e i valori, per una critica ecologica del capitalismo, edito da Jaca Book (11 euro), in collaborazione con la Fondazione Micheletti, nell’ambito del progetto editoriale Alce Nero.
    Sin dall’introduzione, “Non date retta”, gli occhi scorrono su affermazioni
    for ti che risuonano anche nella mia testa. Ciò che conta, ricorda Giorgio,
    non sono i soldi ma la materia e l’energia. Non è vero che noi “consumia-
    mo”; è vero invece che nel consumo ogni cosa materiale si trasforma. Le
    leggi dell’economia non possono prescindere da questo dato, secondo cui
    la materia rimane stabile, e solo una par te di essa entra nel ciclo economi-
    co della sua utilizzazione. Da una parte ci saranno dunque gli scar ti, e dal-
    l’altra par te non si potranno mai ricreare le condizioni di par tenza della materia stessa. Sono leggi “dure” e non a caso il pri-
    mo capitolo del libro si intitola “La violenza delle merci”. Lo scambio di mate-
    ria avviene continuamente e freneticamente in natura, dalla fotosintesi alla
    catena alimentare. E’ uno scambio intrinsecamente duro perché c’è chi
    mangia e chi è mangiato. Qui non ci sono scarti. L’animale Homo inseri-
    sce in questo processo dei connotati violenti con l’introduzione della pro-
    prietà e la trasformazione della natura in merce. Su questa violenza si soffer-
    ma Giorgio, ripercorrendone l’evoluzione. La violenza degli scambi com-
    merciali e dei mercanti, comprese le frodi. L’appropriazione violenta della
    natura e il suo sfruttamento, con la gestione imperialista delle merci dal-
    l’antica Roma al grande impero del Nord del mondo di oggi. La violenza del-
    l’attuale società paleotecnica, quella del capitalismo moderno, con i padro-
    ni dei mezzi di produzioni, gli operai, i consumi indotti. Su questo Nebbia introduce il primo richiamo a Mar x, che è sempre pre- sente nella sua elaborazione, e nelle forme più vive: ”Ogni uomo si ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno per costringerlo ad un nuovo sacrifico, per ridurlo ad una nuova dipendenza, per spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato,
    ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e
    delle reciproche spoliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo,
    ha tanto più bisogno di denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la
    potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della
    produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui
    aumenta la potenza del denaro” (dal terzo dei Manoscritti economico-filo-
    sofici del 1844). Ecco dunque le merci sbagliate, oscene (come le armi); la violenza delle merci contro la natura. E la necessità di ripensare le merci per r i p e n s a r e i l m o n d o i n u n a n u o v a s o c i e t à , q u e l l a n e o t e c n i c a . U n a società che non può che essere pianificata e socialista, quella che Mumford chiamava il comunismo di base, unica alternativa al caos, antitetica al comunismo “realizzato”, burocratico e assolutista.

    IL CONCETTO
    DI LIMITE
    Queste impor tanti considerazioni sono sviluppate nel corso dei 5 capito-
    li successivi, dove si affronta la relazione tra i cicli della vita e quelli eco-
    nomici nelle loro contraddizioni di fondo, a par tire dal fatto che la vita ha
    come fine riprodurre se stessa senza sprechi e l’economia invece spreca e
    distrugge. Anche qui Nebbia ritorna a Mar x, quello della
    Critica al programma di Gotha: “La natura è la fonte dei
    valori d’uso” (e in questi consiste la ricchezza ef fettiva). Nel suo excursus,
    l’autore ripercor re temi trattati da Stuar t Mill, Leontief e Georgescu Roegen; passa dal rappor to tra il Pil (prodotto interno lordo) e la materia-energia, arrivando al concetto di limite e alla ridefinizione del concetto di valore. Nel pensiero di Nebbia il concetto di limite è centrale, come un vero e proprio spar tiacque per un’alternativa reale. La ricostruzione (nel terzo capitolo) degli avvenimenti dell’ultimo trentennio del ‘900 è di grande efficacia nella sua sinteticità, proprio perché letta alla luce della questione del limite: irrompe con il Club di Roma, potrebbe legarsi alla contestazione generale del ’68-69; ma è attaccata dai poteri economici for ti, dagli economisti, dai cattolici e dalle sinistre anche nuove.
    Soprattutto, nel mondo tripolare di quegli anni, sia l’Occidente sia i paesi
    socialisti sia gli stessi paesi terzi fanno prevalere l’idea della crescita come
    soluzione dei problemi sociali. Una delle eredità più tristi di tutto questo è che
    anche dopo la Guerra Fredda la presenza delle armi distruttive è tutt’altro
    che ridimensionata, legata com’è alla cultura della crescita.
    Questo esito finale sconfortante niente toglie a quanto si è mosso prima e dopo il ’68 in termini di nuove lotte ecologiste. Il capitolo quarto ripercorre dall’interno di una militanza pluridecennale questa storia affascinante. Sono le lotte contro le armi atomiche degli anni ’50 e poi quelle contro la speculazione edilizia ed urbana che incrociano più direttamente quello che
    sarà il movimento di contestazione generale; è la Berkley californiana che promuo-ve la giornata della terra del 1970.
    L’anticolonialismo e il terzomondismo alimentano anch’essi la riflessio-
    ni sulla questione delle risorse. In Ita lia è Adriano Olivetti che traduce i libri
    sull’urbanistica di Mumford; Italia Nostra nasce nel 1955; in fabbrica si
    producono le prime lotte per la nocività; l’inquinamento dell’aria e dell’ac-
    qua producono i primi moti di tipo ambientalista. La connessione possi-
    bile però non si realizza, se non in piccola par te: prevale la paura per l’occu-
    pazione e il lavoro, agita volutamente dai poteri economici dominanti. Man
    mano, scema la carica antagonistica dell’ambientalismo stesso.

    NUOVI RIFERIMENTI
    Di carica antagonista invece c’è bisogno. Ancora di più, c’è bisogno di
    una nuova etica dello sviluppo, come titola il quinto capitolo del libro. Un’e-
    tica che abbia la percezione che siamo come una navicella nello spazio. Natu-
    ralmente per Nebbia l’etica è qualcosa che poggia strutturalmente sui sogget-
    ti e su una istanza di liberazione, di rivoluzione. Il punto è che non ci sono
    soluzioni tecniche ai problemi; anzi la tecnica, in questo quadro di relazioni,
    può rendere tutto più grave. Per questo occorre una nuova idea della tecnica
    stessa, relazionata ai soggetti e alle loro effettive potenzialità. E occorrono
    nuovi riferimenti per le scelte economiche e sociali che spazzino via i luo-
    ghi comuni imposti della competizione e del profitto.
    La questione del Sud del mondo è la prima in assoluto, e con essa quella di
    un nuovo rappor to tra il lavoro e le sue finalità. Ma a monte c’è la questione
    d e l l a p o p o l a z i o n e c o m e d i c e v a Malthus, questione che Nebbia riattra- versa con una lettura sociale: i numeri che fanno la popolazione mondiale devono essere letti nelle loro condizioni profondamente diverse di vita dei singoli e delle popolazioni, e il tema demografico va affrontato in una prospettiva generale di liberazione. Come sarà il duemilaventicinque, si chiede Giorgio Nebbia alla fine? Abbiamo avuto maltusiani e cor nucopiani; ora occorre rifare i calcoli ma sempre secondo una chiave di lettura socialmente connotata. Ci sarà cibo, acqua, energia, spazio per tutti? Nebbia prova a computare biomasse e abitanti, ciclo dell’acqua e effetto serra, inserendo sempre la variabile del cambiamento e della complessità. Cibo significa modelli agricoli, alimentari, relazioni città-campagna. A c q u a s i g n i f i c a p i a n i d i b a c i n o e gestione del territorio. Energia signi- fica modelli produttivi e di consumo. L e s c e l t e n e o t e c n i c h e p o g g i a n onecessariamente su un’altra idea di società. Su quello che chiamiamo, appunto, un altro mondo possibile. Anche per questo penso che questo libro, come tutto l’insegnamento di Giorgio Nebbia, sia di fondamentale impor tanza per quel movimento così nuovo, ma anche così “antico”, che lotta contro la globalizzazione capitalistica.

    Roberto MUsacchio

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    Post Libri:Il mondo sotto brevetto

    Imprese pirata all'arrembaggio della vita.

    Il copyright, i brevetti e i marchi aziendali sono strumenti indispensabili
    per garantire la crescita economica, anche se riguardano la biodiversità e
    il Genoma umano. Lo affermano gli apologeti della globalizzazione.
    Lo contesta la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva nel volume «Il mondo sotto brevetto»


    Alcuni anni fa una trasmissione televisiva italiana da prima serata ebbe un
    particolare successo mettendo sotto i riflettori inventori di marchingegni
    spesso futili. Ne usciva fuori un quadro di travet frustrati che la sera, in
    qualche scantinato, si gettavano con passione su circuiti stampati, tubi,
    bielle e cuscinetti a sfera per mettere a punto prototipi che avrebbero
    alleviato le fatiche del vivere di noi poveri mortali, incuranti della
    fatica delle loro compagne e mogli intente nel preparare la cena o a mandare
    avanti la carretta. Così l'Italia si scoprì essere, oltre che terra di
    poeti, santi e navigatori, anche nazione di inventori. La trasmissione
    faceva sua l'aura del solitario artigiano o dello scienziato autodidatta che
    dedica il proprio tempo libero alla produzione di quel manufatto a cui tutti
    avevano pensato, ma che tutti avevano ritenuto impossibile da realizzare.
    Insomma, un'idea romantica della ricerca scientifica e delle sue
    applicazioni tecnologiche. Senza scomodare nessun classico, per rendersi
    conto che la realtà è ben diversa basta leggere le pagine che la fisica e
    militante ambientalista Vandana Shiva ha scritto per denunciare le strategie
    delle multinazionali farmaceutiche o agro-alimentari (la distinzione tra i
    due settori è tanto labile da confermare il sospetto che in relatà siano la
    stessa cosa) nel mettere sotto brevetto la bio-diversità, cioè quei saperi
    antichi, usanze e costumi dei popoli indigeni che costituiscono la terra di
    conquista per imprese famose come la Monsanto o meno note come la W.R.
    Grace.

    Il volume si intitola Il mondo sotto brevetto (Feltrinelli, pp. 140, € 9) ed
    ha le caratteristiche del saggio propedeutico a un tema tanto sfuggente,
    quanto determinante nel comprendere l'attuale capitalismo. Si tratta della
    proprietà intellettuale e di una delle forme specifiche che assume, i
    brevetti.

    Vandana Shiva è nota per il suo impegno a fianco dei contadini indiani.
    Fisica di formazione ha anche conseguito una specializzazione in economia
    come recita il suo biglietto da visita, ma forse più importante è stato il
    suo ruolo all'interno di quella rete costituita da piccoli agricoltori e
    contadini che, in India, da tempo «resiste» alle strategie delle grosse
    corporation che hanno cercato, e cercano tutt'ora, di spossessarli della
    loro autonomia per renderli parte integrante di una rete produttiva da loro
    controllata ed eterodiretta. Un libro, quindi, che non dice niente di
    innovativo, né di teoricamente arguto. Più semplicemente, e quindi con
    indubbia efficacia, esamina un tema, quello della proprietà intellettuale,
    evidenziando il fatto che la scienza, la tecnologia e la legislazione in
    difesa della proprietà intellettuale sono fenomeni centrali nello sviluppo
    capitalistico, contribuendo a determinare le «geometrie dell'imperialismo».
    O, se si preferisce, i rapporti tra centro e periferia dell'economia
    mondiale, come ci ricorda la controversia legale tra lo Stato del Sudafrica
    e alcune multinazionali farmaceutiche dopo che Pretoria aveva deciso di
    ignorare i brevetti per produrre e vendere a prezzi «popolari» farmaci
    anti-Aids.

    Le teste d'uovo della globalizzazione difendono la proprietà intellettuale
    perché: a) garantisce la crescita economica; b) copyright e brevetti sono
    indispensabili perché il pagamento delle royalties consente gli investimenti
    nella ricerca; c) la legislazione a tutela della proprietà intellettuale
    rende infine possibile il trasferimento di tecnologia dal Nord al Sud del
    mondo. Tre argomenti supportati dalle stime fatte da alcuni organismi
    internazionali (dalla World intellectual property organization all'Onu)
    sulla quota di scambi commerciali (il 50 per cento nel 1994) che riguardano
    brevetti, marchi di fabbrica, copyright, design industriale, disegni di
    circuiti stampati, le forme cioè assunte dalla proprietà intellettuale nella
    legislazione internazionale e nell'attività produttiva. Per quanto riguarda
    la competizione economica, i brevetti hanno consentito ad alcune imprese di
    stabilire un monopolio in un dato settore, cedendo in un secondo momento, e
    dietro il pagamento di roylaties, la possibilità ad altri di sfruttare
    «l'invenzione». Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il grido di
    allarme lanciato dall'ex-presidente Bill Clinton e da Tony Blair sulla
    necessità di rendere pubblici i risultati della ricerca scientifica sul
    Genoma umano pena la paralisi del progetto di ricerca, la dice lunga sul
    ruolo propulsivo dei diritti delle proprietà intellettuale negli
    investimenti in «Ricerca e sviluppo». In altri termini, il copyright e i
    brevetti imbrigliano l'innovazione tecnico-scientifica. Questo, in sintesi,
    è ciò che sostiene Vandana Shiva ne Il mondo sotto brevetto.

    Un libro dunque che fa il punto della situazione sul ruolo della proprietà
    intellettuale nello sviluppo capitalistico, ma che registra anche le novità,
    i punti di rottura, l'insorgenza politica della messa sotto brevetto della
    biodiversità. Per Vandana Shiva, il punto di svolta è la decisione della
    Corte Suprema degli Stati uniti di considerare il vivente alla stessa
    stregua di un'invezione. Era accaduto che i ricercatori della DuPont avevano
    trapiantato a un topo alcuni geni umani e di pollo in modo da causare il
    cancro. Il piccolo roditore è diventato famoso per il nomigliolo di
    oncotopo, ma quel che è rilevante è che il 12 aprile 1988 la massima
    istituzione giuridica statunitense abbia deciso che i risultati di quella
    ricerca fossero di competenza dello Us Patent Office, l'ufficio dei
    brevetti. La strada per la brevettabilità del vivente era stata dunque
    aperta. Per la fisica e militante ambientalista indiana, la vicenda
    dell'oncotopo, assieme alla controversia legale tra la General Electric e il
    Patent and Trademark Office americano sulla brevettabilità o meno di un
    batterio, sono da considerare non solo il punto di partenza della
    brevettabilità del vivente, ma anche della «biopirateria» delle grandi
    multinazionali nei confronti dei saperi, delle usanze della biodiversità che
    costituiscono la ricchezza di molti popoli indigeni nel sud del mondo.

    Ma affinché il mondo venga messo sotto brevetto c'è bisogno di una decisione
    politica che lo permetta. Decisione politica presa, ricorda Vandana Shiva,
    nell'Uruguay Round e nel vertice mondiale sullo sviluppo di Rio de Janeiro
    nel 1992 e ratificata da tutti gli organismi sovranazionali, dal Fondo
    monetario alla Banca mondiale al Wto. Il grimaldello per forzare le
    legislazioni nazionali al fine di uniformarle è rappresentato, tanto per
    cambiare, dai Trips (trade related aspect of intellectual property rights),
    cioè dagli accordi relativi ai diritti sulla proprietà intellettuale
    definiti dall'Organizzazione del commercio mondiale. E tuttavia, in un
    movimento sincopato tra il presente e il passato, l'autrice introduce degli
    intermezzi per spiegare come opera la brevettabilità del vivente. Per quanto
    riguarda l'agricoltura accade che le sementi siano brevettate e manipolate
    geneticamente in maniera tale che risultino sterili i frutti. I contadini
    sono quindi costretti a ricomprare le sementi dalle stesse multinazionali.
    Se poi vengono brevettati varietà di riso indiano o alcune piante con
    proprietà medicinali, siamo di fronte, secondo quanto scrive Vandana Shiva,
    a veri e propri atti di biopirateria. Ín altri termini, non si spossessano i
    piccoli agricoltori solo con i brevetti sulle sementi, ma anche
    appropriandosi del sapere e dell'esperienza tramandate nei secoli. Ed accade
    che dopo quel «furto» c'è chi propone la «bioprospezione», cioè il pagamento
    di un risarcimento una tantum sulla rapina perpetuata nei loro confronti.

    Il linguaggio di Vandana Shiva è a volte apodittico, ma questo nulla toglie
    al valore delle sue conclusioni politiche. Ad esempio, quando sostiene che
    la «bioprospezione, di fatto, porta alla 'recinzione' del patrimonio
    biologico e intellettuale collettivo, perché trasforma la biodiversità e il
    patrimonio intellettuale delle comunità indigene in merce protetta dai
    diritti di proprietà intellettuale» non trapela nessun atteggiamento
    antiscientifico, come spesso le viene addebbitato, ma semmai un invito agli
    scienziati a tutelare la biodiversità assieme agli «spossessati» (i popoli
    indigeni). Se una critica si può fare a Il mondo sotto brevetto riguarda il
    fatto che ciò che accade nel Sud non è molto diverso da ciò che accade nel
    Nord del mondo. Così è accaduto, senza necessariamente citare la realtà nota
    della produzione di software, che le università americane stanno mettendo
    sotto copyright corsi di apprendimento a distanza o che vogliano brevettare
    innovative procedure finanziarie. Oppure che il Wto inviti gli stati membri
    dell'organizzazione a privatizzare le istituzioni culturali e ad estendere
    il regime della proprietà intellettuale a quelle conoscenze che sono state
    considerate da sempre di pubblico dominio.

    In altri termini, la proprietà intellettuale è cosa troppo concreta per
    lasciarla nelle mani dei giuristi. Il copyright, i brevetti, i marchi
    aziendali sono infatti gli strumenti attraverso i quali sono definite le
    feroci gerarchie sociali dell'economia mondiale tanto al Nord che nel Sud
    del pianeta. Ed è quindi giusto che questa materia venga nuovamente presa
    nelle mani di chi è espropriato del suo sapere, sia che si tratti di un
    contadino indiano che di un programmatore della Silicon Valley, di uno
    studente bolognese che di un ricercatore del Massachusetts Institute of
    Technology a Boston.

    Benedetto Vecchi
    Il Manifesto
    02-11-2002

  7. #7
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    Post Libri:Natura e cultura occidentale.Tra mondo antico ed età moderna



    Natura e cultura occidentale. Tra mondo antico ed età moderna
    pagg. XVIII+186,
    € 12.91 ISBN: 88-8372-093-8


    Il libro: Nel corso della storia, l’uomo occidentale ha progressivamente affermato il proprio dominio sulla natura. Tale percorso è stato sostenuto da una filosofia che ha concepito l’uomo come unico essere dotato di ragione e quindi come creatura privilegiata, qualitativamente superiore agli altri esseri viventi. Nella tradizione antropocentrica della cultura occidentale, l’intera creazione viene ad essere finalizzata al bene del genere umano, in una visione gerarchizzata del mondo che ha contribuito ad accentuare la distanza tra l’uomo e gli animali. A fianco di questa esaltazione dell’umanità, si è affermata la visione di una natura meccanizzata e materializzata, strumento e oggetto ideale di manipolazione: appiattita nell’uniformità del congegno meccanico, essa perde, al proprio interno, ogni differenziazione qualitativa e ogni caratterizzazione. Questa concezione, che ha indirizzato e diretto lo sviluppo della civiltà occidentale, non è stata tuttavia incontestata; pur vittoriosa nel corso della storia, essa ha infatti incontrato voci di critica e di dissenso. Il volume è dedicato a queste voci alternative. Fra le tante filosofie e possibilità, di cui è ricco il bagaglio della cultura occidentale, qui, grazie al contributo di vari studiosi, ne sono state segnalate alcune per un contributo autorevole alla riflessione critica.


    L'autore: Vilma Baricalla conduce da anni ricerche nel campo della Storia della Filosofia e della Filosofia Ambientale. Ha pubblicato i volumi: Leibniz e l’universo dei viventi (Edizioni ETS, 1995) e L’uomo, la bestia, i cieli (Edizioni ETS, 2000). Tra i saggi più significativi: Gli animali hanno un’anima? (1993); La natura, gli esseri viventi, il cosmo in una rilettura storico-filosofica (1998); L’attesa del creato. Riflessioni su alcuni capitoli del Genesi (1998). "L’opera è stata realizzata con il contributo di docenti e ricercatori nel campo della Storia della Filosofia, della Filosofia della Storia, della Filosofia del Diritto, dell’Etica Ambientale.

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    Post Libri: Foglie di fico, luci e ombre del movimento ambientalista italiano

    "...Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico, occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano".
    Norberto Bobbio,


    Il libro si apre con una lucida introduzione di Giorgio Nebbia, padre nobile dell'ambientalismo italiano e prosegue con un excursus storico dei movimenti ecologisti, curato da Edgar Meyer e Giorgio Grimaldi.
    Mosso dalla convinzione che "debba essere il verde a contaminare il grigio e non viceversa", l'autore, squarcia le quinte di un mondo che con l'ambientalismo e la difesa dell'ambiente ha poco o nulla a che fare, pur dichiarandosi in suo favore. Sono riportati a galla molti episodi che hanno diviso il movimento ambientalista, da una parte gli ecologisti coerenti e fedeli alle ragioni fondanti del proprio stesso esistere e dall'altra un pugno di ottimi professionisti del marketing e delle strategie politiche, che non disdegnano di utilizzare l'ambiente per folgoranti carriere o per ricche sponsorizzazioni. Agendo nel nome del "pragmatismo", del "non si può dire sempre no", del "dialogo spinto", alcuni ambientalisti si sono trasformati in uomini (e donne) di potere ed in capitani di industrie (quelli che una volta si chiamavano i "boiardi di Stato").
    A fare da scenografia a questa "guerriglia verde", che più di una volta ha squarciato l'unità del movimento, argomenti e problemi seri, scottanti e impegnativi che non hanno goduto, purtroppo, di un impegno unitario, radicale e deciso di tutto l'ambientalismo: caccia, pesca industriale, OGM, falsa scienza, chimica, energia, scorie nucleari, rifiuti, inquinamento etc.
    E' ora di aprire un dibattito franco, non velato dall'ipocrisia, sui modi dell'agire ecologista, alla ricerca degli strumenti più efficaci, ma anche con l'obiettivo di fare chiarezza sugli obiettivi del movimento, per non consentire alle "foglie di fico", impegnate oggi a fare il controcanto ad ogni iniziativa ecologista, di divenire le uniche bandiere dell'ambientalismo.
    Il libro di Stefano Apuzzo ha anche dei contributi a questo dibattito offerti, sotto forma di interviste, dai padri e dalle madri dell'ambientalismo italiano: da Fulco Pratesi a Grazia Francescato, da Carlo Ripa di Meana a Giorgio Celli, da Beppe Grillo a Rosa Filippini, da Carlo D'Inzillo a David Newman, da Alfonso Pecoraro Scanio ad Annamaria Procacci, da Daniel Cohn Bendit a Monica Frassoni.

    Per coerenza, il libro esce in libreria ad "Impatto Zero", ovvero compensando le emissioni di CO2 dovute alla sua pubblicazione con la riforestazione prevista dal Progetto "Impatto Zero" di Lifegate (www.lifegate.it).
    In appendice una vasta bibliografia ed una interessante "internetgrafia" verde guidata.





    L'Autore:Stefano Apuzzo nato a Napoli nel 1966, giornalista, diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera, consulente ambientale, esperto di rifiuti tecnologici, già parlamentare dei Verdi, fondatore dell'Associazione Gaia animali & ambiente Onlus, presidente di "Pro Africa", collaboratore degli Amici della Terra. Autore, tra l'altro, di: "Quattro sberle in padella, difendersi dall'inquinamento alimentare" (con S. Carnazzi)- "Animali a(r)mati", "Fido non si fida" (con E. Meyer) Stampa Alternativa, "Anche gli animali vanno in Paradiso" (con Monica D'Ambrosio), Edizioni Mediterranee "Zampe pulite", Costa&Nolan.

  9. #9
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    Post Libri:Qualcosa di nuovo sotto il sole

    John McNeill racconta i guasti ambientali del XX secolo



    L'uomo e la strategia dello squalo

    Bisogna mettere un'attenzione particolare nella lettura dell'ultimo libro di John R. McNeill Qualcosa di nuovo sotto il sole (Einaudi, 462 pagine, 30 euro). Un'attenzione sul punto di vista dell'autore (insegnante di storia alla Georgetown University, come recita la scarnissima biografia in quarta di copertina) da tenere sempre vigile. McNeill dichiara in premessa che il suo è un testo "antropocentrico": «Non considero i cambiamenti ecologici estranei all'intervento umano - scrive infatti - nè quelli che, quali ne siano le cause, hanno scarsa probabilità di ripercuotersi sulle faccende umane». Ed è certamente questa la cifra di un'assai documentata, ben scritta e persuasiva ricerca su quella che il sottotitolo definisce Storia dell'ambiente nel XX secolo. Ma quello che va tenuto sempre presente, nella lettura di questo testo scorrevole, ricco di note e di riferimenti bibliografici, è che John McNeill scrive non solo da un punto di vista antropocentrico, come appunto lui onestamente sottolinea e rivendica, ma soprattutto con lo sguardo dello studioso occidentale. Più ancora, dell'uomo medio americano.
    Ne viene fuori una narrazione di grande spessore, per la quantità e qualità di informazioni che contiene: sullo sviluppo demografico dell'ultimo secolo rispetto al restante tempo di vita e di presenza dell'uomo sulla terra; sullo sviluppo economico nel senso peculiare dello sviluppo del Nord e dell'Ovest del mondo; sul consumo energetico e l'accaparramento delle risorse da parte dei paesi sviluppati. Ma ne viene fuori anche un libro che, dopo una così doviziosa presentazione di dati e relazioni tra i diversi fenomeni, non riesce ad allargare lo sguardo al di là dell'orizzonte "occidentocentrico", per usare un bruttissimo neologismo che non rendere fino in fondo l'articolazione, il diverso peso e l'impatto delle posizioni degli Stati Uniti rispetto all'Europa o all'Asia, ad esempio nella sottovalutazione e nella non adesione al trattato di Kyoto sul consumo energetico e le emissioni inquinanti; trattato che, se accolto, metterebbe in discussione e finirebbe con il frenare proprio quel modello di sviluppo e di consumi che si è andato trasformando, a mano a mano, nella stessa weltanschauung di George Walker Bush: una visione del mondo piegata, anche da un punto di vista filosofico e teorico, alle necessità economiche e di concrescita senza limiti né limitazioni del capitalismo globale e del fondamentalismo liberista che è il suo "messia" nel mondo.

    Scrive ad esempio McNeill, in perfetta buonafede e senza l'ombra di indignazione: «Negli anni Settanta, l'esportazione di rifiuti pericolosi diventò un business internazionale. Il Messico interrava e conferiva in discarica i rifiuti statunitensi; i paesi del Sudest asiatico accoglievano quelli di provenienza giapponese; il Marocco e alcuni paesi dell'Africa occidentale accoglievano i rifiuti provenienti dall'Europa... Verso la fine degli anni Ottanta, il commercio internazionale di rifiuti tossici aveva un volume annuo di milioni di tonnellate. E lo spettacolo dei paesi ricchi che davano un po' di soldi a quelli poveri perché si prendessero in casa i loro veleni suscitò una certa resistenza politica».

    Nonostante ciò, si tratta - proprio per la "quantità fredda" di fattori presi in esame e l'ampio spettro di analisi storica - di un documento indispensabile a chi ha bisogno di capire le ragioni "concrete" dell'opposizione radicale del Movimento no global. Bene ha fatto l'economista Paul Kennedy - che ne ha scritto la prefazione - a parlare di strategie di adattamento dello squalo e del ratto: di quello che continua a divorare senza porsi il problema della distruzione del suo habitat, mettendo a repentaglio la stessa possibilità di sopravvivenza; e di quello che calibra invece le risorse diponibili ed elimina - anche praticando lo sterminio di massa - il sovrappiù di popolazione (dei ratti urbani, nell'esempio di Kennedy), per garantire appunto la sopravvivenza della sua specie.

    Un libro da segnalare, dunque, questo di McNeill, a chi abbia anche solo un barlume di consapevolezza del rischio ambientale e a chi abbia minimamente a cuore il destino di "nostra madre terra" e delle genti che immeritatamente la abitano e la sfruttano. La lettura è facilitata dal linguaggio discorsivo, chiaro e scorrevole, usato da uno studioso che con ciò si colloca nella sfera dell'alta divulgazione. Esemplare è, da questo punto di vista, il racconto dello "spianamento", nel corso dei cent'anni del Novecento, delle montagne della Nuova Caledonia per l'estrazione del nichel (minerale necessario, per la sua leggerezza e resistenza al calore, all'industria aeronautica e aerospaziale), fino a che: «Le ripercussioni ambientali e sociali sono state considerevoli. Per estrarre il nichel, l'attività mineraria ha spianato le montagne. I corsi d'acqua si sono riempiti di limo e detriti, rendendo impossibile la pesca e la navigazione. Inondazioni e smottamenti hanno arrecato gravi danni alle pianure, accumulando ghiaia sugli arativi e sradicando gli alberi di cocco. Il limo ha rovinato il patrimonio corallino di una delle più grandi lagune del mondo. Molti Canachi (i melanesiani della Nuova Caledonia) rimasero privi di mezzi di sostentamento, senza casa, senza terra».

    Che grandi sommovimenti e che pericoli, l'uomo predatore - l'uomo-squalo - ha prodotto attorno a sé. E che diversa e disastrosa prospettiva si stende oggi davanti ai nostri occhi, rispetto a quella osservata appena duemila anni fa (un nonnulla sui quattro milioni di anni della presenza umana sulla terra), con amorevole meraviglia e cosmico stupore, da Lucrezio, quando scrisse il De rerum natura. Impossibile tornare a Lucrezio: troppi guasti e troppo profondi ed estesi, troppo a lungo praticati e quotidianamente reiterati da ognuno di noi, dai nostri "consumi vistosi" e scriteriati, si sono sedimentati sulla pelle dell'intera umanità e spalmati su tutto il pianeta. Il fallimento di Johannesburg ha svelato, tra le altre cose, l'ossessione dell'Occidente che gli impedisce di frenare e correggere i guasti che produce.

    Retorica e inutile la predica su un mondo vergine. Illusoria e menzognera l'idea del ritorno al "buon selvaggio". Bisogna fare i conti con la realtà qui e ora, e da qui in avanti. Per questo non ci si può sottrarre alla domanda antica e ormai urgentissima: «Che fare?», anche se la risposta è difficile, a livello individuale; a meno di cominciare ad assumere il punto di vista del minatore cileno, del contadino cinese, dell'allevatore dello Zimbabwe, del migrante etiope: un esercizio ogni giorno che passa meno differibile. E difficile, ma non impossibile anche per un occidentale pigro e obeso, modificare il rapporto con i consumi, con il possesso e l'accaparramento delle merci, con lo spreco dell'acqua e dei rifiuti, con l'eccesso di riscaldamento domestico e di auto private. Ma è molto meno difficile e invece vividamente praticabile una strategia alternativa, di opposizione radicale al capitalismo globale, ai guasti e allo sfruttamento che continua a praticare a spese del pianeta, dell'ambiente, dell'agricoltura, del cibo, dell'acqua, delle risorse energetiche, del mondo del lavoro; come dimostrano i mille seminari di Firenze a cui hanno partecipato migliaia di ragazze e ragazzi di tutta Europa, con i loro taccuini di appunti, che non vogliono smettere di sognare e che non accettano di essere né apocalittici né integrati, né di rimanere intrappolati in un pensiero comunque subalterno e senza via d'uscita.

    Gemma Contin
    Fonte: Liberazione 18.11.2002

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    Post Libri:L'inganno a tavola

    LA PREFAZIONE DI VANDANA SHIVA A "L'INGANNO A TAVOLA" di Jeffrey M.
    Smith, Nuovi Mondi Media
    http://www.ingannoatavola.it

    I giganti del biotech come Monsanto stanno usando l'ingegneria genetica
    per arrivare a controllare le nostre vite e i nostri sistemi alimentari,
    attraverso la menzogna e la paura. Non manipolano solo la vita, ma anche
    i fatti. Ed ecco finalmente in "L'inganno a tavola"
    (http://www.ingannoatavola.it) abbiamo le prove di come, negli ultimi
    anni, le colture e i cibi transgenici siano stati imposti al mondo con
    la forza. Abbiamo le prove di come la propaganda abbia preso il posto
    della scienza, di come si siano fatti sparire i rischi mettendo a tacere
    gli scienziati che lavoravano sui rischi.

    L'emergere di nuovi pericoli da nuove tecnologie richiede
    un'intensificazione della ricerca pubblica, per valutare i rischi e
    fornire conoscenze ai sistemi deputati al controllo della biosicurezza e
    della salute pubblica. Ma proprio quando la ricerca pubblica e' piu' che
    mai necessaria per proteggere la salute delle popolazioni, gli
    scienziati indipendenti che svolgono studi indipendenti diventano
    novelli Galileo. Vengono allontanati dalle loro ricerche e dagli
    istituti in cui lavorano, sotto la pressione degli interessi di gruppi
    ristretti disposti a introdurre a qualunque costo sul mercato alimenti
    pericolosi, e impegnati a creare un'atmosfera generale in cui
    l'ignoranza dei rischi viene presa per garanzia di sicurezza.

    Tyrene Hayes, uno scienziato dell'Universita' della California a
    Berkeley, nel suo laboratorio ha esposto giovani rane a dosi molto basse
    di atrazina, il diserbante piu' diffuso; i maschi si sono trasformati in
    ermafroditi, un risultato che fa pensare che l'atrazina possa essere un
    distruttore endocrino. Syngenta, la multinazionale che e' il principale
    produttore di atrazina, per prima cosa ha tentato di bloccare questo
    studio. Quando Hayes ha continuato con fondi propri, ha provato a
    offrirgli 2 milioni di dollari perché proseguisse le sue ricerche "in
    ambiente privato". Hayes ha declinato l'offerta e ha pubblicato il
    proprio lavoro negli Atti della National Academy of Sciences. Syngenta
    ha continuato ad attaccare quello studio e a fare di tutto perché non
    divenisse lo strumento di politiche utili alla protezione della salute
    pubblica e dell'ambiente.

    Arpard Pusztai era riconosciuto come la piu' grande autorita' mondiale
    nel campo delle lectine quando lavorava al Rowett Institute di Aberdeen,
    in Scozia. Pusztai fu incaricato dal governo britannico di condurre una
    ricerca per valutare gli effetti sulla salute prodotti dalle patate
    geneticamente modificate. Cio' che fece fu dare da mangiare le patate
    transgeniche ai ratti. Cio' che trovo' fu che i ratti manifestavano
    danni a molti tessuti e al sistema immunitario. Dopo che, con il
    consenso del suo istituto, ebbe reso pubblici i risultati della sua
    ricerca, Pusztai venne licenziato e una vasta campagna fu orchestrata
    per screditare il suo lavoro, campagna che vide tra i suoi protagonisti
    le piu' alte autorita' dello stato. La sua casa fu svaligiata, i suoi
    dati e gli appunti rubati. In seguito, i risultati delle sue ricerche
    furono pubblicati sulla rivista Lancet.

    In un altro istituto di fama mondiale, la Cornell University, John Losey
    ha studiato gli effetti che il mais Bt, ottenuto con l'ingegneria
    genetica, puo' avere su specie non-target. Ha alimentato larve della
    farfalla monarca con foglie di una comune erba di campo cosparse di
    polline del mais Bt. Moltissime delle larve che avevano mangiato le
    foglie col polline Bt sono morte, mentre le larve del gruppo di
    controllo nutrite con foglie spolverate di polline non geneticamente
    modificato sono sopravvissute tutte. Questo studio innocente ha
    scatenato la furia della Monsanto e della Novartis, che continuano a
    ripetere che le loro colture Bt, appositamente ingegnerizzate per
    uccidere parassiti come il "bollworm" del cotone e la piralide del mais,
    non hanno alcun effetto sulle specie non-target.

    Uno scienziato dell'Universita' della California a Berkeley, Ignacio
    Chapela, ha scoperto che il polline del mais geneticamente modificato ha
    inquinato le varieta' naturali che crescono in Messico, il centro
    mondiale della biodiversita' del mais; lo studio di Chapela e' apparso
    sulla rivista Nature nel novembre del 2001. Quel lavoro avrebbe dovuto
    suonare come un grosso campanello d'allarme sul fatto che l'inquinamento
    portato dalle piante transgeniche puo' contaminare la biodiversita' per
    sempre. E invece il Bivings Group, l'agenzia che cura le pubbliche
    relazioni per Monsanto, ha lanciato una poderosa campagna [utilizzando
    soprattutto Internet] attraverso esperti che si sono spacciati per
    scienziati usando nomi fittizi. Gli editori di Nature, non abituati a
    forme di pressione cosi' aggressive, hanno fatto qualcosa che non ha
    precedenti nei 133 anni di esistenza di questa rivista scientifica:
    hanno pubblicato una prudente lettera di parziale sconfessione del
    lavoro di Chapela. Le ripetute pressioni dei sostenitori del biotech
    hanno stroncato la carriera accademica di Chapela a Berkeley.

    La strategia di manipolazione dei risultati scientifici e dei sistemi di
    regolamentazione messa in atto dalle multinazionali pone serie minacce
    all'indipendenza della scienza e alla salute pubblica.

    Nel 2002 Monsanto e' riuscita a manipolare le autorita' indiane in modo
    da ottenere l'autorizzazione a seminare il proprio cotone GM. Questo
    cotone si e' rivelato un fallimento. Piu' di 12 ricerche indipendenti,
    compresi gli studi governativi, hanno dimostrato che, al posto delle 3
    tonnellate per ettaro promesse, il cotone GM ha reso soltanto 400 kg per
    ettaro. I coltivatori, anziché veder aumentare il proprio reddito di
    20000 rupie per ettaro, hanno perso 12800 rupie per ettaro.

    Questi studi sono stati ignorati. Ed invece Martin Qaim dell'universita'
    di Bonn e David Ziberman dell'Universita' della California a Berkeley,
    senza aver mai neppure visto i campi degli agricoltori indiani nella
    stagione di questi raccolti, hanno pubblicato su Science un articolo in
    cui dicono che l'esperienza del cotone Bt fatta dall'India e' stata
    positiva e che il rendimento e' aumentato dell'80%. Qaim e Ziberman
    hanno utilizzato dati forniti loro da Monsanto-Mahyco, non hanno mai
    condotto una propria valutazione indipendente. In Kenia la Monsanto si
    e' servita di Florence Wanbugo per proclamare i supposti miracoli
    dell'ingegneria genetica della patata dolce. Oggi la falsita' di questi
    pretesi successi e' un fatto provato. La scienza si sta riducendo a un
    cumulo di informazioni "delle multinazionali, dalle multinazionali, per
    le multinazionali". Senza liberta' e indipendenza non c'e' scienza, ci
    sono soltanto abili strategie di comunicazione e propaganda.

    Desidero esprimere la piu' profonda stima ai molti amici coraggiosi che
    hanno pagato di persona l'essersi battuti in difesa della sicurezza e
    della liberta' di noi tutti. Desidero ringraziare Jeffrey Smith per
    questo libro coraggioso.

    Sono molto lieta di presentare al pubblico italiano questo libro che,
    sono convinta, avra' un ruolo fondamentale nel favorire la transizione
    dai "semi dell'inganno" ai "semi della liberta'", liberta' per gli
    agricoltori, liberta' per i consumatori, liberta' per gli scienziati e
    liberta' per tutte le specie viventi.
    Vandana Shiva

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    Dal 16 aprile in libreria
    L'INGANNO A TAVOLA - Le bugie delle industrie e dei governi sulla
    sicurezza dei cibi geneticamente modificati
    di Jeffrey M. Smith, pagg. 224, euro 18,00, Nuovi Mondi Media

    Per maggiori informazioni (Scheda e indice - Biografia dell'autore -
    Rassegna stampa - Acquisto online - Approfondimenti: OGM, cosa sono? -
    Miti e verita' - "Contaminated": videointervista a Fritjof Capra e
    Vandana Shiva - Italia, come difendersi - Dossier Monsanto - Uno studio
    indipendente - Dossier Multinazionali Biotech):
    http://www.ingannoatavola.it

    ------------------------------------------------------------------------

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