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Discussione: Dagoberto Bellucci

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Recensione Libraria: “CAVALCARE LA TIGRE” di Julius Evola

    9 ago





    “CAVALCARE LA TIGRE” di JULIUS EVOLA
    - di Dagoberto Husayn Bellucci
    “..una soluzione è senz’altro da scartare: quella di chi volesse appoggiarsi a quanto sopravvive del mondo borghese, difenderlo e servirsene come base contro le correnti più spinte della dissoluzione e del sovvertimento.”

    (Julius Evola – Cavalcare la Tigre)
    “Lo “stile” che deve guadagnar risalto è quello di chi si tiene sulle posizioni di fedeltà a se stesso e ad un’idea, in una raccolta intensità, in una repulsione per ogni compromesso, in un impegno totale che si deve manifestare non solo nella lotta politica ma anche in ogni espressione dell’esistenza…(…) E oggi, in fondo, le condizioni sono migliori, perchè non esistono equivoci e basta guardare d’intorno , dalla piazza fino al Parlamento, perchè le vocazioni siano messe alla prova e si abbia, netta, la misura di ciò che noi non dobbiamo essere. Di fronte ad un mondo di poltiglia il cui principio è: “Chi te lo fa fare”, oppure: “Prima viene lo stomaco, la pelle (la malapartiana “pelle”!) e poi la morale” o ancora: “Questi non son tempi in cui ci si possa permettere il lusso di avere un carattere”, o infine: “Ho famiglia”, si sappia opporre un chiaro e fermo: “Noi , non possiamo fare altrimenti , questa è la nostra vita, questo il nostro essere”.”

    (Julius Evola – Orientamenti)





    Testo fondamentale e ricognizione d’analisi essenziale per chi, partendo dai valori della Tradizione (“ammesso anche che qualcuno sappia ancora riconoscerli e assumerli” – come sottolinea fin dalle prime pagine l’autore), intendesse comprendere e rielaborare un preciso percorso esistenzial-politico nella sgangherata contemporaneità post-nichilista ricollegandosi ad una welthanshaung , visione del mondo e base di ‘vita’, organica e ordinata da “ispirazioni” e “ideali” metapolitici e metastorici.

    “Cavalcare la tigre” sarà anche il principale trattato di riferimento di un’intera generazione del “neo-fascismo”, quella che non aveva fato in tempo a perdere la guerra e contemporaneamente non era capace di rassegnarsi a vivere una pace imposta manu militari dai “liberatori” a stelle e strisce anelando ad un ruolo di primo piano nel periodo della cosiddetta guerra fredda e finendo – più o meno coscientemente – a far da supporto alle strategie dell’anti-comunismo e della “difesa dell’Occidente” tanto ‘care’ ai centri studi strategici statunitensi e all’Impero a stelle e strisce alias Grande Satana ‘yankee’.

    Ma il testo in questione rappresenterà – al di là dei motivi ‘contingenti’ per il quale venne scritto agli inizi degli anni sessanta – soprattutto la prima operazione teoretica, la prima formulazione ideologica chiara e propositiva, di un’esposizione orientativa dei valori e degli ideali dell’uomo differenziato, di colui per il quale la società contemporanea moderna rappresenta esclusivamente un nemico da abbattere, un sistema da sovvertire, una scala di valori discendenti da disintegrare e un insieme disarticolato di esistenze da rettificare partendo dall’insindacabile dicotomia di schmittiana memoria secondo la quale il mondo si divide in due fronti contrapposti ove risulta necessaria la preliminare identificazione dell’Amico – Sodale, Camerata, Fratello – e del Nemico quale obiettivo da colpire mortalmente, elemento alieno da sradicare, avversario per eccelenza da distruggere verso il quale non deve esistere pietà, comprensione, compromesso alcuno.

    Un “catechismo” per rivoluzionari di segno ‘contrario’ alla , di lì a breve, esplosione ribellistico-giovanilistica e di moda dell’ondata contestataria sessantottina di “matrice” anarcoide-marxisteggiante fuoriuscita dalle elaborazione dei crani ebraici della Scuola di Francoforte e dalle infatuazioni più o meno ‘esotiche’ per il Vietnam e la Cuba di Castro spaziando dai nuovi miti “guerriglieri” guevaristi, senderisti, terzomondisti di ogni latitudine e longitudine che – sia detto per ‘inciso’ – andrebbero ‘recuperati’ solo ed esclusivamente in funzione di una linea strategica di opposizione globale al pensiero unico neo-liberista , uniformato, omologato e ‘dettato’ dalle risultanze oggettive di una standardizzazione verso il basso delle identità e delle coscienze cloroformizzate dalle ‘persuasioni’ occulte e palesi della società moderna.

    Guevara, Lumumba, Malcom X, Ho Chi Min, Pol Pot ci ‘interessano’ da sempre quali esempi di combattenti per la libertà anti-mondialisti e rappresentanti di un’alternativa socialista al monotematico imperialismo democratico fermo restando che , da Europei in Europa e per l’Europa, gli esempi non mancano solo volendone ricercare nella storia continentale precedente al secondo conflitto mondiale …nel quadro globale geopolitico e strategico ‘indotto’ dai processi di omologazione planetaria all’american way of life e dalle seduzioni della società consumistica di massa e del neo-capitalismo imperialista risulteranno conformi e ‘logici’ i riferimenti a “terzi” che – in aree distinte da quella europea oramai sotto occupazione militare da sessantaquattro anni e appendice coloniale del “grande impero occidentale” del Capitale e delle Multinazionali – hanno ‘sfidato’ e talvolta ‘vinto’ il comune nemico a stelle e strisce…parafrasando Ernesto ‘Che’ Guevara occorre come non mai la costituzione di una Quadricontinentale dei popoli diseredati e oppressi del pianeta contro l’alleanza tricontinentale degli affamatori del mondo (Stati Uniti, Europa, Giappone) , contro il dominio delle lobbie’s della finanza multinazionale senza volto e senza ideali, contro l’anorressia mentale inoculata come un virus cancerogeno nel corpo in decomposizione delle generazioni allo sbando del Vecchio Continente.

    “Cavalcare la tigre” sarà anche il breviario degli ultimi cercatori del mondo della Tradizione, degli eversori , dei lucidi fanatici cultori dell’eversione del mondo, del sistema, dell’insieme dei valori della società borghese che – in ultima (… o ‘prima’…) istanza – sono i non-valori di una società che non appartiene a chi si identifica in una Civiltà, in una Storia, in una Razza. E’ un’abbeccediario per una ripartenza strategica, per una rottura radicale con tutti gli assiomi e le dichiarazioni di ‘intenti’ del democraticismo e della visione arida della società moderna propria dei borghesi, tentativo , forse epocale, per un’ultima ‘rettitudine’ delle coscienze e della società europea, per fornire elementi e basi di (ri)partenza ai Rivoluzionari “conservatori” , per indicarne percorsi di lotta, consegnando strumenti di ‘analisi’ e una dottrina da tramutare in prassi politica ed esistenziale, ricreando i presupposti per la necessaria assunzione di una ‘divisa militante’ di combattimento che – dal piano delle idee a quello dell’azione – dovrà preludere ad una rivoluzione/evoluzione del mondo in senso di riscoperta del e riconnessione, collegamento, al piano metafisico in funzione della disintegrazione del sistema borghese moderno alias Mondialismo ossia “la manifestazione ideologico-politica ‘costruita’ secondo moduli di adeguamento tattico e di coordinamento strategico , della controiniziazione o “Controchiesa”, ovvero della forma espressiva che ‘accoglie’ le influenza infrarazionali della Sovversione, le quali hanno trovato nella razza ebraica il principale (ma non l’esclusivo) supporto umano di propagazione storica.”(1)

    Un libro dunque per tutti e per nessuno, per una generazione che a capofitto si butterà nella lotta politica cercando di ritagliarsi degli spazi di agibilità e di militanza, cavalcata solitaria e spesso inutile “per il niente che si poteva e per il nulla che si voleva fare” come ricorderà il soldato-politico Vincenzo Vinciguerra nelle sue ‘memorie’ che più di un quadro storico , diremmo una vera e propria retrospettiva d’autore, ha delineato nei suoi libri – essenziali – per comprendere un’atmosfera , un periodo , un passato che ha visto la “meglio gioventù” dilaniata da contrasti interni, faide, arrivismi spesso miserevoli, tradita dai suoi vertici , derisa dalla società , colpita dai suoi nemici e da un sistema che – nella prassi degli opposti estremismi e nella strategia della tensione – andrà a delineare la propria volontà di auto-rappresentazione e il proprio ruolo di autorità.

    “Cavalcare la tigre” dunque…per ripartire dai ‘fondamentali’, dall’abc ideologica, da un origine che non ha niente di originario perchè semplicemente rappresenta la continuazione ideale di Verità metapolitiche. Appunto come scriverà Evola un trattato per “un particolare tipo umano”, uomo differenziato, anarca, asceta del nulla e cercatore di un tutto organico denominato Tradizione…partendo dalla quale risulta “estremamente improbabile che si possa provocare una qualche modificazione di rilievo nello stato attuale generale delle cose” soprattuto “nell’area occidentale europea” dove “sussistono consuetudini , istituti, forme del costume del mondo di ieri, cioè del mondo borghese”.

    E nell’analisi che l’autore traccia della parabola discendente delle società borghesi e materiali del Vecchio Continente è lucidamente individuato come “sono le basi della civiltà e dela società borghese a subire questa crisi, ad essere colpite dalla dissoluzione. Non è il mondo che noi abbiamo chiamato Tradizione” perchè “socialmente, politicamente e culturalmente , sta sfasciandosi il sistema che aveva preso forma a partire dalla rivoluzione del Terzo Stato e dalla prima rivoluzione industriale..”.

    Evola destina il suo scritto invece ad altri Uomini, individui superiori, di ‘razza’, di una razza in via d’estinzione, non anacoreti nè santi nè mistici di un passato che non avrà futuro ma individui consapevoli, che abbiano le idee chiare, che siano capaci di comprendere il moto dissolutivo circostante, il vuoto nichilista opprimente le moderne società consumistiche, che sapranno quantomeno lasciare ‘Testimonianza’ per chi – dopo di loro – verrà a riscattare quest’epoca di infamia e meschinità perchè – parafrasando Adriano Romualdi – c’é da considerare che quest’epoca di uomini piccoli ( con le loro piccole pretese, i loro piccoli desideri materiali, le loro piccole , vili e inutili vite dettate dai meccanismi demoniaci del denaro e dell’orario di lavoro, delle faccende domestiche e di quelle sociali, del loro essere indipendentemente da ciò che furono avi e predecessori, insensibili a richiami ancestrali, a tamburi di guerre lontane, a echi di battaglie e di eroismi ) come segno dei tempi appartiene al Kali-Yuga , all’età oscura, ma – pur nella sua logicità e natura – risulta tanto più disgusta e vile propriamente perchè per esistere, per accertarsi della propria esistenza, deve sputare infamie e bestemmie d’ogni sorta su Eroi, Miti e Riti di un passato che disconosce, villipendia, nasconde e quotidianamente rinnega solo ed esclusivamente per poter affermare la propria presenza piccola e insignificante.

    “Il tipo umano che quì abbiamo in vista non ha nulla a che fare col mondo borghese. Egli deve considerare tutto ciò che è borghese come qualcosa di recente e di antitradizionale.” invitando quest’Individuo a “recidere ogni legame con tutto ciò che, a più o meno breve scadenza, è destinato a finire.”.







    La soluzione proposta da Evola è semplice: occorre vivere il proprio tempo con l’animo e la fierezza di chi conosce l’Immortalità dell’anima , la grandezza della stirpe, i valori autentici della Nazione (intesa nel senso di Imperiuum , Autorità, Stato non nella sua espressione ottocentesca di ricettacolo dell’insieme delle classi sociali e della smaniosa, moderna, affermazione dei diritti ‘civili’ di cittadini-servi di un moderno leviatano, totalitario, onnicomprensivo e insieme privo di qualsivoglia connessione con dinamiche, valori, ideali metafisici) asserendo che “si potrà considerare ciò che nell’attuale fase – fase, in ultima analisi, di transizione – può venir scelto, separato dal resto e assunto come forma libera di un comportamento che, esteriormente, non sia “anacronistico”, che sappia anzi misurarsi con quanto nel campo del pensiero e del modo di vivere contemporaneo vi è di più spinto, ma restando al’interno, determinato e comandato da uno spirito completamente diverso.”

    “La formula: “Portarsi non là dove ci si difende , ma là dove si attacca” , che qualcuno ha proposto – afferma Evola – , potrà anzi venire adottata dal gruppo (…noi affermiamo anche, soprattutto, dal ‘singolo’ individuo…poichè un ‘gruppo’ , qualsiasi ‘gruppo’, è già qualcosa di omologante e standardizzato…ndr) degli uomini differenziati, epigoni della Tradizione, su cui verte il discorso. Potrebbe , cioè, esser perfino opportuno contribuire a che quel che già vacilla ed appartiene al mondo di ieri cada, anzichè cercare di puntellarlo e di prolungargli artificialmente l’esistenza.” …senza ‘se’ e senza ‘ma’ è ciò che continueremo a ‘trasmettere’ e auspicare al di là dei pippeggiamenti vetero-nostalgistici e alle rimpatriate ‘bucolico-alcoolizzate’ dei “kameraden” (…’vostri’…) tutti saluti romani e camicie nere, “giovinezze” e “boia chi molla” al vento…

    Ma lo stesso Evola ‘avverte’ anche che quest’agire differenziato, questo ventilare e auspicare la disintegrazione totale del Sistema , potrà avere anche conseguenze ‘inattese’ perchè – portandosi oltre la linea, al di là del meridiano zero di jungeriana memoria – “il rischio di un simile comportamento è evidentissimo: non è detto chi avrà l’ultima parola. Ma non vi è nulla , nell’epoca attuale, che non sia rischioso” quindi ‘carpe diem’ , cogliendo l’attimo, occorre ‘rischiare’.

    La discesa della società moderna nel baratro della dissoluzione , nel caos della contemporaneità post-nichilistica, è secondo l’autore un male necessario che i pochi ‘asceti del Nulla’ dovranno affrontare assumendo una divisa esteriore ‘idonea’ ma mantenendo salde interiormente le ‘coordinate’ tradizionali dell’Uomo di Razza, immergendosi nella nuda atmosfera da crepuscolo degli Dei del bailamme generalizzato per condurre una controffensiva radicale dall’interno senza sosta e senza tregua. Non ‘finzione’ , non compromessi elettoralistici, non assunzione di modelli comportamentali ‘estranei’ ma vivere pericolosamente il proprio tempo nella certezza , nella garanzia, di appartenere ad un’altro mondo, ad un’altra razza , distante, lontana, per ‘stile’ , per ‘classe’ , per ‘sangue’…

    “La crisi del mondo moderno potrebbe eventualmente rappresentare – sottolinea Evola -, hegelianamente, una “negazione della negazione”, epperò significare , per un lato, un fenomeno a suo modo positivo.” perchè è proprio dell’epoca oscura il rimescolamento di tutti i valori, di tutte le cose, la ridistribuzione delle ‘carte’ che – come in un ‘poker’ mortale , sorta di roulette russa terminale per l’umanità in decomposizione – rappresenterebbero anche una ‘occasione’ , un’opportunità per le forze tradizionali, non per contrastare – inutile ‘utopia’ – ma per accelerare i processi di dissoluzione cosmici.

    “…al Kali-Yuga è proprio appunto un clima di dissoluzione, il passaggio allo stato libero e caotico di forze individuali e collettive, materiali, psichiche e spirituali che in precedenza erano state in vario modo vincolate da una legge dall’alto (… un “Kathekon” ci ha ‘costretto’ dentro una prigione di rimorsi e paure…potrebbero ‘urlare’ i rappresentanti più ‘lucidi’ del Quinto Stato…i fieri difensori dei reietti di qualsiasi ‘colore’ e di ogni latitudine…le comari del mondialismo sinistroide terzomondista d’accatto e internazionalista d’animo…le anime belle del “peace&love” o chiunque affermi l’espansione di una società di sub-umani alla deriva delle proprie pulsioni materiali…ndr) e da influenze d’ordine superiore. Di questa situazione i testi tantrici dettero una immagine suggestiva dicendo che in essa è “completamente desta” una divinità femminile – Kalì – la quale simboleggia la forza elementare e primigenia del mondo e della vita, ma che nei suoi aspetti “inferi” si presenta anche come una dea del sesso e dei suoi riti orgiastici. In precedenza “dormiente” – cioè latente in questi suoi aspetti – essa nell’età oscura sarebbe del tutto desta e agente.”

    E dunque anzichè tentare un “salviamo il salvabile” inutile e controproducente occorrerà “cavalcare la tigre” , cercando di domare la bestia fuoriuscita dalla gabbia, domandone istinti e utilizzandoli a proprio interesse , per i propri obiettivi perchè – è lo stesso Evola a ricordarlo – “quando un ciclo di civiltà volge verso la fine, è difficile poter giungere a qualcosa resistendo, contrastando direttamente le forze in moto. La corrente è troppo forte, si sarebbe travolti. L’essenziale è di non lasciarsi impressionare dall’onnipotenza e dal trionfo apparente delle forze dell’epoca.” perchè comunque “chiuso un ciclo, un altro comincia, e il punto in cui un dato processo raggiunge la sua fase estrema è anche in quello in cui esso si capovolge nella direzione opposta.”.

    L’uomo differenziato dovrà dunque agire senza guardare all’approvazione o disapprovazione altrui, senza desiderare alcunchè di quanto possa bramare su di un qualsiasi piano della materia, ma dovrà cavalcare solitario la Grande Frode rappresentata dai tempi ultimi del ciclo in conclusione, il tempo dell’oscuramento dei valori, l’epoca delle negazioni supreme, la sconsacrazione della vita, l’annullamento degli ideali, la cruda nuda materialità contemporanea. E dovrà farlo sicuro di sè e della propria divisa interiore, al di là di obiettivi da raggiungere, risultati da conseguire, vittorie temporali e momentanee da strappare a questo o quel nemico perchè non sono le ‘imprese’ che fanno grandi gli Uomini nell’epoca del Kali Yuga – dove il “segno” ascendente di un percorso può tramutarsi , per gli ‘sciocchi’ e i ‘disattenti’ di ogni risma, in un itinerario discendente; dove il bene può trasformarsi per ‘magia’ in qualcosa di malvagio, dove l’amore diviene odio e si carica di significati negativi – ma ciò che produsse tali azioni, quali valori mossero e spinsero gli uomini che le misero in atto, da ‘chi’ , da quali ‘forze’ (trascendenti o discendenti, superiori o inferiori, celesti o telluriche, sacre o profane) furono ‘indirizzate’ e quali le dinamiche, le cause e gli effetti che ne furono prologo, sviluppo e limite.

    “…alla linea dell’accennato comportamento per l’epoca attuale devesi dare un carattere autonomo e un valore individuale immanente. Vogliamo dire che non deve avervi una parte di rilievo l’attrazione esercitata da prospettive positive a più o meno breve scadenza.” ovvero agire senza guardare ai “frutti” perchè comunque ‘vada’ ciò che verrà fatto in luogo di non aver fatto avrà infinitesimalmente un valore superiore e ciò indipendentemente dal risultato che – quando non ‘conforme’ – non inficia nè toglie validità all’azione compiuta.

    Al di là del tempo , dello spazio, delle cose degli uomini rimane l’azione che fece osare. Perchè se è vero , come rileva Evola, che “il grande avvenimento , oscuramente presentito, che “Dio è morto” , è il principio del crollo di tutti i valori.” perchè è a cominciare da questa asserzione e constatazione che “la morale, privata della sua sanzione, “è incapace di reggersi” , cadono l’interpretazione e la giustificazione precedentemente date ad ogni norma o valore.” è altrettanto reale che – al di là della miscredenza diventata realtà quotidiana – la desacralizzazione delle società occidentali sono il prodotto di dinamiche di annichilimento e imbarbarimento storiche, processi dissolutivi in espansione, che hanno caratteristiche proprie e influenze tipiche che procedono dal mondo della contro-iniziazione, della Sovversione.

    Non possiamo che ripeterci affermando con Gesù Cristo, il Messia, che “la verità renderà liberi”: occorre ricercarla, la ‘cerca’ dell’Impossibile, e viverla interiormente per fuoriuscire dai meccanismi diabolici della massificazione moderna e dalle seduzioni/tentazioni della ‘libido’ contemporanea…il resto sono ‘ciance’ inutili perchè – parafrasando Friedrich Nietzsche – “da quando ho imparato a camminare mi piace correre” …anche a ‘Noi’ ‘piace’ correre, a capofitto, a perdifiato, fino all’ultimo respiro (…titolo di un capolavoro di quel maestro del cinema d’oltralpe che risponde al nome di Jean Luc Godard con un giovanissimo e straordinario Jean Paul Belmondo ed un’altrettanto deliziosa e sensuale Jean Seberg…’preferiamo’ l’originale del 1960 al ‘remake’ – peraltro ‘valido’ – interpretato vent’anni dopo da Richard Gere – fenomenale in “Mr Jones” – e Valerie Kaprinsky ‘stra-tosfericamente’ sexy nei panni ‘rosei’ della fuggitiva pentita…. perchè , si, quella pistola è da ‘raccogliere’ , ‘sempre’ …).
    Au Revoir (… “alla” Lattanzio…)





    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    da Nabathiyeh (Libano Meridionale)
    Note -
    1 – Maurizio Lattanzio – articolo “Il Mondialismo” – “Orion” nr 15 del Dicembre 1985 e ripubblicato da “Avanguardia”; Scrive Maurizio Lattanzio nel citato articolo: “Il termine “mondialismo” si riferisce ad una concezione politico-culturale di cui si fanno portatori e diffusori potenti gruppi tecnocratico-plutocratici occulti o , quanto meno ‘defilati’ , non esposti alle luci dei ‘riflettori’ – cioè dei mass-media sapientemente manovrati – che ‘illuminano la grande ribalta politica internazionale. (…) La manifesta aspirazione a fare dell’ordine dei valori di cui si è portatori il centro di gravità di un processo di unificazione mondiale, è stata sempre caratteristica costante di ogni forma tradizionale, di ogni religione e, più ampiamente, di ogni movimento di Idee ispirato ai valori della tradizione. E’ la ‘ordinato ad unum’ , l’universalità – cioè il progetto di integrazione dei popoli nel quadro di un ordine gerarchico a contenuto etico – spirituale, modellato sui valori dell’Essere e culminante nella dimensione metafisica o Unità Principale (chi ‘sa’ mi intende…). Ciò avviene all’interno di differenziate e organiche forme tradizionali conformi alle vocazioni spirituali e alle conformazioni etiche delle diverse comunità umane. Il mondialismo, invece, è la ‘scimmia’ dell’universalità; è la contraffazione anti-tradizionale delle idealità universali che hanno omogeneamente permeato le costruzioni politiche ed hanno ispirato le vicende storiche delle Civiltà tradizionali. L’universalità è un sistema di gerarchie ontologiche che configurano un ordine piramidale ‘ascendente’ lungo un asse ‘cosmico’ verticale, mentre il mondialismo , al contrario, è la materializzazione e la decomposizione internazionalistica in senso ‘orizzontale’ dell’idea-forma universalitica. E’ la ‘reductio ad unum’ , un processo dissolutivo ‘discendente’, il cui tratto distintivo è il riduzionismo, cioè la degradazione dell’umanità ad una poltiglia indifferenziata , secondo i perversi ritmi scanditi da condizionanti ed alienanti dinamiche massificatorie.” …’basti’ e ‘avanzi’ questo ‘tracciato’ lattanziano delineante i coefficienti di identificazione della tesi interpretativa idonea a conferire e dare un senso compiuto dei dati relativi all’analisi politica del fenomeno mondialismo. Quando ‘scrive’ Maurizio Lattanzio ci ‘spostiamo’ , rispettosamente, di ‘lato’… il Signore del Vortice, il Principe del Nulla, il Grande Guascone di Popoli risulta insindacabilmente l’inarrivabile Maestro di Vita, Lotta e Politica e l’unica ‘penna a sonagli’ , mortalmente devastante i piani ontologici e le esistenze vuote del post-modernismo, dell’intera galassia di eterni fuorigioco e inutili comparse del Neofascismo storico…


    Recensione Libraria: “CAVALCARE LA TIGRE” di Julius Evola


    Articolo pubblicato dal sito internet Arianna Editrice in data 14 Aprile 2009.
    LIBERTAD - JUSTICIA - DIGNIDAD
    PATRIA - SOCIALISMO - REVOLUCIÓN

    http://adversariometapolitico.wordpress.com/

  2. #12
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    IL LIBANO ALLE NAZIONI UNITE: UNA POLITICA ANTAGONISTA ALL’IMPERIALISMO

    9 ago

    IL LIBANO ALLE NAZIONI UNITE: UNA POLITICA ANTAGONISTA ALL’IMPERIALISMO

    - di Dagoberto Bellucci

    La politica internazionale richiede a qualunque soggetto statale di affrontare i diversi problemi in ordine alle proprie priorità nazionali, ai propri interessi economico-commerciali, in base alle alleanze regionali che persegue quindi necessariamente seguendo quelle che sono le relazioni bilaterali da un lato e le tensioni presenti nella propria zona d’influenza.

    Esistono nazioni quindi che, giocoforza, vuoi per il loro oggettivo ‘peso specifico’ sullo scacchiere geopolitico vuoi per la propria condizione di subalternità rispetto ad altre sono costrette a considerare tra le proprie priorità questioni interne che si vanno a riflettere sulla scena internazionale.

    Il Libano da decenni ha una politica estera che si conforma a quelle che sono le tensioni reali o latenti del Vicino Oriente, con il proprio territorio spesso utilizzato dalle potenze regionali per risolvere le loro diatribe (come avverrà durante la guerra civile del 1975-1990 alla quale presero parte direttamente sia gli Stati Uniti sia alcune nazioni europee – Italia, Francia e Inghilterra – che inviarono propri contingenti di pace che, in particolare, “Israele” e Siria così come indirettamente Stati quali l’Arabia Saudita, l’Iran e l’Iraq che sostennero questo o quel movimento politico locale) e con una specificità di Stato multi-etnico e multi-confessionale che lo hanno trasformato nel centro di molte delle battaglie ideologiche e politiche altrui: situazione non nuova per i libanesi che per anni hanno fatto la guerra per procura per conto terzi.

    La situazione libanese continua pertanto ad essere influenzata pesantemente da quanto avviene ai suoi confini e sulla scena politica regionale e internazionale: da un lato la situazione sempre più critica maturata nella confinante Siria, dall’altro lato le continue minacce e i complotti orditi contro la sua sovranità dall’entità criminale sionista.

    Per fare fronte alle nuove sfide di questi ultimi mesi il paese dei cedri, che occupa attualmente un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dopo aver risolto la questione legata alla formazione, sofferta e difficile, di un nuovo esecutivo deve fare i conti con vecchi e nuovi problemi: quello della situazione della comunità palestinese stazionante all’interno del paese nei 12 campi profughi disseminati dal nord al sud (400.000 palestinesi vivono in Libano formando circa il 10% dell’intera popolazione) e quello dell’emergenza del terrorismo e delle sue diramazioni locali che già in passato si è manifestato con particolare violenza contro le istituzioni nazionali.

    In sede ONU il Libano ha operato recentemente prendendo alcune importanti decisioni: la prima in occasione del nuovo voto di condanna espresso dalla comunità internazionale controla Siria; la seconda avverrà a breve con il voto libanese favorevole a quanto annunciato in questi giorni per la creazione dello Stato palestinese.

    Secondo quanto ha riportato il quotidiano “An Nahr” da Beirut il Libano è pronto per riconoscere la sovranità nazionale palestinese in sede ONU: il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, dr. Mahmoud Abbas, andrà in visita nella capitale libanese a metà agosto per incontrare il suo omologo, Gen. Michel Souleiman, il premier Najib Miqati ed il portavoce dell’Assemblea Nazionale, avvocato Nabih Berry.

    Il “Daily Star” – quotidiano in lingua inglese di Beirut notoriamente filo-occidentale – riferisce che il presidente Souleiman avrebbe chiesto esplicitamente ad Abbas di recarsi in visita nel paese per discutere proprio del riconoscimento dello Stato palestinese: mossa politica fondamentale per la stessa stabilità libanese dopo i malumori espressi da tutta la comunità palestinese per alcuni provvedimenti governativi che avrebbero comportato ulteriori restrizioni legislative.

    Il pacchetto di nuove norme liberticide al momento sarebbe stato momentaneamente ‘congelato’ ed è tuttora al vaglio dell’esecutivo.

    Nel frattempo proprio sul fronte interno si riaffaccia l’ombra di nuove tensioni nei campi profughi.

    L’emittente libanese MTV ha riferito nella giornata di ieri di nuovi scontri avvenuti nel maggiore campo profughi del paese ad Ayn el Helwe, nei pressi di Sidone, nel sud del paese.

    Con i suoi 80mila abitanti il campo di Ayn el Helwe è da sempre considerato il più turbolento e caotico e, anche recentemente, si sono registrate infiltrazioni di cellule collegate al terrorismo di matrice salafita.

    Anche in questo campo non sono mancati nel recente passato scontri tra attivisti di Al Fatah e i militanti salafiti dell’organizzazione radicale Jund al Sham collegata ad un’analoga fazione terroristica operativa nella vicina Siria.

    L’altra decisione che ha visto il Libano intervenire in sede di Consiglio di Sicurezza ONU è quella legata proprio alla situazione siriana.

    Le Nazioni Unite, che ricordiamolo rappresentano gli interessi sovra-nazionali della plutocrazia mondialista e, di fatto, sono né più né meno il Governo Mondiale in costruzione al quale aspirano i potentati dell’alta finanza internazionale (non si deve inoltre scordare come il Palazzo di Vetro che ospita la sede ONU sia stato costruito su un terreno donato dal multimiliardario ebreo Rockefeller mentre per eventuali assonanza cromatiche tra la bandiera onusiana e quella sionista rimandiamo senz’altro all’ottimo volume di Epiphanius “Massoneria e società segrete”), sono le principali responsabili dei diversi tentativi di destabilizzazione che hanno interessato il paese dei cedri negli ultimi anni: dal voto della risoluzione 1559 con la quale nel settembre 2004 venne richiesto il ritiro del contingente militare siriano fino alla costituzione di un Tribunale Speciale per i crimini politici in Libano costituito nel 2007 e unilateralmente attivatosi per dimostrare le responsabilità siriane nell’assassinio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri.

    Il TSL che più volte abbiamo definito, come gran parte della stampa libanese ed araba, come una sorta di spada di Damocle sulla testa della sovranità nazionale del paese non ha fornito prove ragionevolmente serie che dessero credibilità alla cosiddetta “syrian connection” finendo per lanciare il proprio impianto accusatorio direttamente contro Hizb’Allah: appare evidente la faziosità con il quale i magistrati internazionali stiano lavorando e quali siano gli obiettivi perseguiti dall’inchiesta.

    Alcuni giorni or sono, dopo mesi di discussioni, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha varato una prima risoluzione contro la Repubblica Araba Siriana accusando di “violazione dei diritti umani e violenza contro i civili” il Governo di Bashar el Assad.

    Si tratta di una decisione gravissima che, senza entrare nello specifico della situazione siriana – e soprattutto senza considerare i gravi attacchi terroristici portati in questi ultimi mesi contro le forze di sicurezza e di polizia dai cosiddetti “oppositori” – e arrivando a richiedere la fine immediata delle violenze (come se queste fossero eterodirette dal legittimo governo siriano che, del caos fomentato ad arte dai “ribelli” filo-occidentali è la sola vittima); che apre scenari nuovi per tutta l’area geostrategica del Vicino Oriente rimettendo in discussione alleanze e equilibri decennali.

    La Siria ha immediatamente replicato a questo voto ONU sostenendo che è “sacrosanto dovere delle forze armate difendere i civili” così come “eliminare tutti i focolai di tensione creati nel paese”.

    Le autorità siriane dimostrandosi aperte ad eventuali confronti, aprendo un tavolo negoziale con l’opposizione e varando una nuova legge che apre al multipartitismo hanno potuto accertare che dall’altra parte della barricata vi siano solo dei violenti facinorosi sostenuti dall’Occidente e dall’Imperialismo che sono, né più né meno, che gli utili idioti dei quali si serviranno i nemici della sovranità nazionale siriana.

    Un po’ come in Libia anche in Siria si sta cercando di ricreare il clichè secondo il quale una rivolta che sparge sangue e violenza nelle strade delle città siriane può diventare il pretesto per le forze atlantico-sioniste per un intervento diretto come richiesto anche di recente da diversi Stati europei.

    La risoluzione ONU ha dell’incredibile ipocrisia laddove viene anche rivolto un appello ai manifestanti (alias gli oppositori violenti) affinché “questi non siano colti dal desiderio di vendetta contro le Istituzioni” episodi peraltro già avvenuti da mesi in diverse città dove sono state prese d’assalto sedi del Partito Ba’ath, abbattuti i simboli del quarantennale potere ba’athista ma anche caserme delle forze armate, sedi della polizia e delle forze di sicurezza.

    Il terrorismo di matrice salafita fomentato da Arabia Saudita, mercenariato al-qaedista e Stati Uniti ha anche colpito edifici pubblici, stazioni ferroviarie, banche: i “rivoltosi” si sono lasciati andare a saccheggi e violenze gratuite contro la popolazione civile.

    Quella in atto in Siria non è una “rivolta pacifica” ma una rivoluzione organizzata per spargere il caos e precipitare il paese in un conflitto civile sul modello di quanto visto nel vicino Iraq e – come ha dichiarato più volte il Ministro degli Esteri , dr. Moallem, – “la situazione è incendiata dall’ingerenza di potenze straniere” tra le quali un ruolo affatto neutrale è quello che gioca Ankara ambiguo confinante di Damasco.

    Il Governo siriano nega qualunque violenza arbitraria contro la popolazione civile affermando che polizia ed esercito sono intervenuti laddove necessario (Hama, Deir al Zohr e altri centri) per sedare le attività dei gruppi terroristi. Il parlamento siriano ha preso importanti decisioni aprendo al multipartitismo e varando riforme come richiesto dalla stessa comunità internazionale alla quale ovviamente qualsiasi genere di iniziative governative oggi sembrano insufficienti.

    Vi sono nazioni, quali la Francia e l’Inghilterra, interessate a far precipitare ulteriormente la situazione nel Vicino Oriente: paesi che sono nient’altro che i lacchè dell’imperialismo statunitense il vero responsabile della situazione di caos generalizzato venutasi a creare in tutto il mondo arabo dall’inizio dell’anno fino ad oggi.

    Il fuoco di fila mediatico sotto il quale si trova attualmente la Repubblica Araba Siriana rappresenta una delle strategie classiche utilizzate dall’imperialismo a stelle e strisce: si manda avanti la grande stampa, le televisioni, i media compiacenti; si sostiene la voce – vera, più spesso presunta – dei cosiddetti “blogger” e dell’altrettanto sedicente “opposizione” siriana, si istruiscono questi utili idioti al lavoro sporco di raccontare massacri e stragi, efferatezze e violenze, si fa salire la tensione in qualunque modo grazie soprattutto al lavoro compiacente e servile dell’informazione prostituita ai desiderata atlantico-sionisti.

    Al fianco di queste strategie l’Imperialismo usa i suoi cani da guardia, manovra le sue pedine, utilizza il peso diplomatico degli Stati corresponsabili del bagno di sangue che viene tranquillamente lasciato cadere per fomentare disordini e caos.

    E’ di ieri la notizia secondo la quale sia il Kuwait che il Bahrein avrebbero ritirato i loro ambasciatori da Damasco. Il Kuwait è un emirato nato per volontà delle compagnie petrolifere multinazionali, sostenuto a spada tratta da USA e Gran Bretagna, esempio di Stato-fantoccio figlio della corruzione e del malcostume degli emirati del Golfo.

    Il Bahrein dovrebbe invece semplicemente tacere considerando che non più di due mesi or sono ha represso nel sangue rivolte popolari chiamando per completare l’opera l’amichevole esercito dell’alleato e gendarme regionale saudita, punta di diamante dello schieramento dei paesi arabi moderati asserviti all’America.

    Ultima in ordine di tempo è arrivata la puntuale critica proveniente dall’università coranica di Al Azhar dal Cairo – massima autorità del mondo sunnita che niente ha detto e fatto quand’era ora di dire e fare, cioè per trenta lunghi anni, contro il padrone dell’Egitto filo-USA…quell’Hosni Mubarak rovinosamente caduto nel febbraio scorso e comparso ammalato e su una barella a rivendicare il suo operato dittatoriale – che si aggiunge al coro delle pecore belanti del cortile sistemico mondialista.

    «Al-Azhar ha pazientato a lungo ed evitato di parlare della situazione in Siria per la sua sensibilità» ha dichiarato l’imam in un comunicato diffuso dall’agenzia egiziana Mena. Ma la «situazione ha passato ogni limite e non c’è altra soluzione che mettere fine a questa tragedia araba e islamica» ha aggiunto.

    Niente di particolarmente diverso da quanto giunto nelle ultime giornate da quelle capitali di quel mondo arabo infeudato alle strategie e legato agli interessi statunitensi.

    Contro questa unanime demenziale condanna che potrebbe aprire le porte ad una situazione di totale destabilizzazione (anche perché se il focolare sedizioso monta in Siria potrebbe rapidamente propagarsi negli stessi Stati del Golfo tutt’altro che immuni da rabbie popolari e movimenti di protesta) la sola voce contraria dell’ambasciatore libanese all’ONU appare sottolineare una volta di più i vincoli storico-politici che uniscono i due paesi.

    Il voto contrario espresso dal Libano in sede di Consiglio di Sicurezza non può far altro che ben sperare: oltre ad un segnale forte lanciato all’interno, verso quei gruppi e partiti filo-occidentali che probabilmente, se potessero, vorrebbero incendiare la situazione sul modello di quanto avviene nella vicina Siria, è una conferma dei legami storici di cooperazione e unità fra Beirut e Damasco.

    Il Libano dunque torna al centro della politica regionale e internazionale e, ne siamo certi, le sorprese non finiranno qui.

    E’ in atto un tentativo di destabilizzazione che mira a rimescolare le carte geopolitiche ed i rapporti di forza nel Vicino Oriente: Onu, Stati Uniti, paesi arabi moderati, Arabia Saudita, Francia, Inghilterra sono in questo momento tutti in prima linea per agitare le acque e provocare sedizione e caos con l’obiettivo di abbattere il regime di Bashar el Assad.

    ‘Preoccupa’ la “calma apparente” con la quale il regime criminale sionista stia osservando gli avvenimenti attorno a sé: potrebbe essere la calma prima della tempesta…per “Israele” non sarebbe una novità.

    In Libano lo sanno: lo sa Hizb’Allah che tiene allertata la Resistenza ai confini meridionali; e lo sanno esecutivo e cittadini.

    L’estate ‘calda’ libanese dunque continua.

    IL LIBANO ALLE NAZIONI UNITE: UNA POLITICA ANTAGONISTA ALL’IMPERIALISMO



    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    09 Agosto 2011
    LIBERTAD - JUSTICIA - DIGNIDAD
    PATRIA - SOCIALISMO - REVOLUCIÓN

    http://adversariometapolitico.wordpress.com/

  3. #13
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Molto interessante questo thread dedicato agli articoli di Bellucci.

    E' possibile avere il link esatto del nuovo blog? In rete ho trovato diversi indirizzi e link ma vecchi di alcuni anni. Grazie.

  4. #14
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    IL LIBANO: UN PAESE IN BILICO




    - di Dagoberto Bellucci










    Stretto tra le manifestazioni popolari che hanno scombussolato da mesi i diversi paesi arabi, vicinissimo alle tensioni che agitano la Siria e a un tiro di schioppo dalle velleità di rivalsa del nemico sionista che alla sua frontiera meridionale potrebbe rapidamente riaprire la ‘partita’ contro la Resistenza Nazionale dopo l’aggressione di cinque anni fa; il Libano si trova ad un bivio – uno dei tanti – della sua storia recente e, per fronteggiare i nuovi problemi e tenere a bada mai sopite strategie di normalizzazione provenienti essenzialmente dall’esterno, i libanesi dovranno raccapezzarsi con una situazione anomala che li vede principale ago della bilancia dei rapporti di forza tra l’autentica anima rivoluzionaria d’ispirazione nazionalista e panaraba (esemplarmente rappresentata da Hizb’Allah e dai suoi alleati di governo) che ha caratterizzato la storia del Vicino Oriente fin dalla costituzione in “stato” dell’entità criminale sionista ed il fronte filo-occidentale che , nel paese dei cedri, ruota attorno alla famiglia Hariri ed al suo partito Corrente Futura.

    La ‘battaglia’ politica che si giocherà nelle prossime settimane in Libano potrebbe difatti avere ripercussioni inevitabili per tutta la scena geopolitica della regione: è da quanto accadrà in terra libanese che si potrà comprendere se la spinta sovversiva della destabilizzazione “made in USA”, che ha contagiato gran parte del mondo arabo e provocato dinamiche conflittuali nella confinante Siria, porterà ad un nuovo calvario per il paese dei cedri oppure se, una volta di più, i libanesi sapranno rifiutare le logiche della sedizione rinunciando ad aprire pericolosi scenari da guerra civile.

    Fino ad oggi il paese è stato oggetto delle attenzioni degli Stati Uniti e delle mire militari sioniste rifiutando categoricamente di finire nella logica del “tutti contro tutti” che ha contrassegnato la storia recente della contrapposizione etnico-confessionale dell’Irak; domani quelle che finora sono state raccomandazioni e buoni propositi potrebbero non esser più sufficienti qualora da Washington si decida di accelerare i tempi portando anche il Libano nel caos di un conflitto civile generalizzato e gli elementi perché ciò possa accadere nel miscuglio etnico e tra le diciotto confessioni religiose che esistono nel paese è tutt’altro che un’ipotesi così remota.

    Dopo cinque mesi di trattative estenuanti, contrattazioni fra i partiti e bracci di ferro tra opposte fazioni il premier designato Najib Mikati ha annunciato lo scorso 14 giugno la formazione del nuovo esecutivo nazionale all’interno del quale Hizb’Allah e i suoi alleati hanno la maggioranza dei ministeri: sedici sui trenta complessivi contro i dieci detenuti dal movimento sciita filo-iraniano nel precedente governo retto da Sa’ad Hariri con il quale gli uomini di Nasrallah sono venuti ai ferri corti sulla questione del riconoscimento e della legittimità delle decisioni che saranno prese dal Tribunale Speciale per il Libano entità giuridica sovranazionale istituita dalle Nazioni Unite che intende spogliare della sovranità giuridica la nazione libanese.

    Una delle prime dichiarazioni rilasciate dal nuovo premier è stata quella che confermava gli impegni presi dal precedente esecutivo rispetto all’istituzione del Tribunale Speciale che deve emettere a giorni la sentenza sui crimini politici commessi nel paese dalla strage di San Valentino del2005 aoggi.

    La pagina giudiziaria che riguarda l’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri, assassinato nel cuore della capitale sei anni e mezzo fa, rappresenta uno dei principali motivi di contrasto che divide e lacera la politica nazionale: è quanto emergerà dalle decisioni sull’affaire Hariri che può o meno cambiare alleanze politiche e assetti di potere interni e la sentenza – attesa per settembre – non farà altro che scombussolare le carte in tavola in una o nell’altra direzione, pro o contro l’una o l’altra fazione politica di quel bipolarismo imperfetto che ha, di fatto, diviso fin dalla primavera 2005 l’intero paese.

    Di quella strage e delle successive che insanguinarono il paese nei mesi seguenti furono accusati fin dall’inizio il potente vicino siriano, poi alcuni generali legati agli apparati d’intelligence di Damasco (infine rilasciati e riconosciuti innocenti) e, da ultimo, non più di un anno fa alcuni appartenenti al Partito di Dio che si dice estraneo ad ogni accusa e vittima di un complotto sionista per fomentare disordini e divisioni.

    Hizb’Allah fin dall’inizio di quella stagione delle bombe e di quel periodo (marzo-maggio 2005) che rimase impresso e venne rappresentato nei titoli giornalistici e sui media di mezzo mondo come “la primavera dei cedri” si disse assolutamente certo che dietro la mano assassina che aveva sparso terrore e morte in Libano si celasse il Mossad israeliano.

    Oggi potrebbero essere alcuni appartenenti al partito di Sayyed Hassan Nasrallah a dover rispondere per quelle stesse accuse che, di volta in volta, gli organismi internazionali hanno cercato di addebitare alla Siria di Assad o ai suoi agenti operativi in Libano anche dopo il ritiro del contingente militare.

    Normalizzata la situazione diplomatica e politica tra il governo di Beirut ed il suo omologo siriano l’attenzione del Tribunale Speciale per il Libano (TSL) pare concentrarsi contro Hizb’Allah alla ‘cerca’ di un capro espiatorio rispondente ai desiderata atlantico-sionisti.

    Funzionari libanesi avrebbero riferito che a breve il TSL emetterà gli atti d’accusa contro esponenti del partito sciita; uno scenario che apre inquietanti interrogativi per tutta la politica libanese e mediorientale.

    Già le accuse contro membri di Hizb’Allah avevano portato alla caduta del governo Hariri lo scorso gennaio, le incriminazioni finora rimaste segrete sarebbero state modificate, riviste e correte almeno un paio di volte da allora mentre lo stesso giudice del TSL starebbe valutando il rapporto conclusivo per capire se le indagini preliminari abbiano realmente prodotto delle prove sufficienti per arrivare ad un processo che, se non ci saranno colpi di scena dell’ultima ora, porterebbe sul banco degli imputati esponenti del principale partito che sostiene il nuovo esecutivo e rappresenta gli interessi iraniani nel paese oltre ad essere l’ala politica della Resistenza Islamica che negli ultimi trent’anni si è fieramente opposta a “Israele” perseguendo l’obiettivo, nella primavera 2000, di liberare le regioni meridionali.

    Secondo quanto ha riportato il quotidiano “Asharq al Awsat” da Londra sarebbero almeno cinque gli esponenti del Partito di Dio che rischiano l’incriminazione mentre fonti ufficiali avrebbero confermato che i giudici libanesi che fanno parte del TSL avrebbero già abbandonato per sicurezza il paese. I media locali hanno confermato quest’ultima indiscrezione motivandola come mossa precauzionale necessaria ad assicurare loro la massima sicurezza.

    Il Segretario Generale di Hizb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah, che per primo aveva riferito, l’estate scorsa, di queste accuse contro esponenti del suo partito ha sottolineato anche recentemente l’assoluta estraneità del movimento sostenendo che dietro al tribunale internazionale si muovono elementi del sionismo e interessi stranieri – in particolare americani – che mirano esclusivamente a delegittimare con un procedimento penale il movimento della Resistenza e puntare a destabilizzare il paese.

    Secondo Nasrallah il TSL sarebbe uno strumento nelle mani d’ “Israele” per fomentare la sedizione.

    In questa situazione il Libano guarda con estrema preoccupazione a ciò che potrebbe scaturire nei prossimi giorni o settimane quando le incriminazioni verranno rese infine pubbliche.

    Abituato a navigare a vista, stretto tra i suoi pluridecennali problemi di convivenza pacifica tra etnie e confessioni religiose, preda di una crisi economica che ha fortemente indebolito la sua attrattiva dei capitali finanziari esteri il Libano si interroga una volta di più sul suo futuro: niente “primavera araba” da queste parti, niente “rivoluzioni” più o meno ‘colorate’, niente sussulti ma una tensione tagliente che si percepisce nettamente e che non ha mai realmente abbandonato questo staterello di quattro milioni di abitanti stretto tra i conflitti regionali che oppongono l’America ed i sionisti all’asse siro-iraniano e le mai dimenticate beghe locali dei ‘clan’ etnici e confessionali che dal 1975 al 1990 portarono il paese al centro di un conflitto civile lungo, cruento e particolarmente feroce che costò oltre 200mila vittime, interventi militari multinazionali, aggressioni israeliane e produsse infine la pax siriana degli accordi di Taif firmati per smantellare le milizie paramilitari in Arabia Saudita.

    Una democrazia confessionale che si regge su un delicatissimo e complicatissimo rapporto di forza tra cristiani, musulmani sunniti, sciiti e drusi, che ha meccanismi di potere istituzionali creati all’indomani della fine del protettorato francese per mantenere più o meno inattaccabile l’egemonia della comunità cristiano-maronita rispetto alle altre e non ultima la recentissima contrapposizione che da quella primavera 2005 ha opposto i partiti nazionalisti che sostengono la Resistenza (a cominciare dal blocco sciita di Hizb’Allah ed Haraqat ‘Amal passando per il Partito Comunista Libanese, i laici nazionalisti del cristiano Gen. Michel Aoun, il suo collega Souleiman Franje del movimento Marada, i socialisti nazionali siriani e la locale sezione del Ba’ath) al raggruppamento filo-occidentale che ha in Sa’ad Hariri e nel suo movimento Corrente Futura il principale vettore sostenuto dagli estremisti cristiani della Falange di Gemayel e dai sostenitori dell’ex criminale Samir Geagea raccolti nel partito delle Forze Libanesi.

    Ago della bilancia dei giochi politici e della contesa libanese si è dimostrato il vecchio “marpione” ed ex signore della guerra Waleed Jumblatt che con il suo Partito Socialista Progressista dopo aver sfidato Damasco e criticato per anni Hizb’Allah accusandolo di aver provocato l’aggressione sionista contro il paese nell’estate di cinque anni fa ha virato di 360 gradi finendo per sostenere le ragioni della Resistenza.

    L’ennesimo capitolo della contorta politica libanese potrebbe aprirsi con l’adozione di una nuova legge elettorale prevista dal neonato governo Miqati. In cosa consisterà ancora non si sa, ma le parole “rappresentazione proporzionale” non fanno certo presagire una stagione tranquilla.

    Il bipolarismo non è una tendenza tutta occidentale: anche il Libano, suo malgrado e malgrado regga il concetto di “democrazia confessionale” che inevitabilmente pesa al momento del voto, lo adotta sebbene di malavoglia ad ogni tornata elettorale e questo meccanismo ha prodotto coalizioni spesso conflittuali e inverosimili come quando, nel giugno 2005, lanciò un governo, quello presieduto da Fouad Siniora, che raccoglieva tutto il ‘fronte’ filo-occidentale (i sunniti di Hariri, il PSP di Jumblatt, i due partiti falangisti di Gemayel e Geagea) al fianco del “blocco sciita” di Hizb’Allah e ‘Amal vittorioso nelle circoscrizioni meridionali e in quelle della Beka’a settentrionale.

    Attraverso i giochi di potere delle maxicoalizioni partitiche , sempre più complesse e litigiose, che cambiano come cambia il vento o meglio come cambiano le condizioni regionali, il paese è fortemente influenzato da tutto quanto avviene attorno a sé finendo per subliminare spesso le paure e le angosce di tutto il Vicino Oriente.

    In Libano le coalizioni politiche stesse prendono curiosamente il nome del giorno in cui si sono ufficialmente riunite e formate. C’è quella del 14 Marzo per i cosiddetti filo-occidentali, che annoverano tra le loro fila i sunniti della Corrente Futura, guidata dal figlio del presidente del consiglio Rafiq Hariri assassinato a Beirut nel 2005, al fianco della quale si è riunita una nuova “sinistra democratica” (da qualcuno ironicamente e legittimamente ribattezzata “sinistra americana”) e i diversi partiti cristiano-maroniti, retaggi delle milizie falangiste della lunga guerra civile che ha insanguinato il paese per 15 anni (1975-90). Dietro Hariri ed i suoi alleati si profila la lunga ombra dell’America e del suo potente vicino saudita che non ha mai abbandonato la famiglia del multimiliardario Hariri che rappresenta la ‘carta libanese’: una ‘carta’ troppo importante per essere facilmente abbandonata da Riad che ha, nel paese dei cedri, ingentissimi capitali investiti in infrastrutture di ogni genere e nel sistema finanziario e bancario locale.

    L’altra coalizione è quella dell’8 Marzo che sostiene la Resistenza ed il suo diritto a mantenere alta la guardia ai confini meridionali minacciati da “Israele”. Un raggruppamento come già detto eterogeneo creato dal partito sciita di Hizb’Allah per evitare il caos di un conflitto civile e mantenere il paese nell’orbita d’influenza iraniana anche perché le mire sioniste e statunitensi sull’intera regione dopo l’11 settembre 2001 erano chiare e noto l’obiettivo di colpire Teheran ed i suoi alleati.

    A livello parlamentare il raggruppamento nazionalista ha la maggioranza grazie proprio all’appoggio dei deputati espressi dal PSP del druso Jumblatt. Anche i meccanismi di potere della democrazia confessionale libanese comunque andrebbero rivisti: l’ultimo censimento risale al 1932 – dodici anni prima dell’indipendenza nazionale – ed è su quella base che ancora oggi i 128 seggi parlamentari dell’Assemblea Nazionale sono ripartiti equamente tra cristiani e musulmani.

    Ora se si considera che a causa delle diverse emigrazioni, del cruento conflitto civile che di fatto mise fine alle speranze dell’estrema destra cristiano-maronita della Falange di dare vita ad un’entità statale denominata Marunistan da posizionarsi ai confini con la Palestina occupata al lato di “Israele” e del peso demografico fatto registrare negli ultimi settant’anni dalla comunità islamica è evidente che quel censimento non abbia alcun valore in una nazione dove i cristiani attualmente non rappresentano che un 30% dell’intera popolazione mentre è proporzionalmente aumentato il numero dei musulmani. Nel parlamento di Beirut in barba alla logica ed alla matematica siedono 64 deputati cristiani ed altrettanti musulmani e questo pare essere uno dei pochi dati indiscutibili che da decenni darebbe un ‘senso’ alla politica libanese.

    Il sistema confessionale della democrazia settaria rimane dunque in piedi e sarà abbastanza significativo ciò che realmente il nuovo governo Mikati proverà ad adottare come nuova legge elettorale considerando che sono decine e decine le leggi elettorali introdotte nel paese per mantenere questo equilibrio fra i diversi interessi contrapposti.

    Mikati è più un tecnico che non un vero e proprio politico: multimiliardario è stato per anni uno dei più validi antagonisti dello strapotere esercitato all’interno della comunità sunnita dalla famiglia Hariri.

    L’obiettivo dovrebbe essere quello di adottare un criterio ed una nuova legge elettorale che non abbiano come riferimento il settarismo confessionale, vera e propria spina nel fianco di tutti gli esecutivi che, nel passato più o meno prossimo, hanno tentato di modernizzare il paese. Gli elementi in suo favore sono, al momento, la maggioranza piuttosto relativa che lo sostiene e l’entusiasmo con il quale sembra essersi messo all’opera concentrando immediatamente i suoi sforzi su una politica riformista che provi a rilanciare la disastrata economia del paese, il commercio, gli affari e soprattutto attrarre nuovamente gli investimenti stranieri.

    Nella storia libanese due sono state le leggi elettorali realmente determinanti: quella adottata nel 1960 che riconosce 26 kaza (circoscrizioni elettorali) e che è stata ri-adottata in occasione delle ultime elezioni del giugno 2009. La seconda, per importanza, è quella che risale invece all’anno 2000, quando ancorala Siriaoccupava con un suo contingente militare il paese, stabilita da un esecutivo pro-siriano che divise il Libano elettoralmente in 14 macro-circoscrizioni.

    La posta in palio – a seconda di quale legge elettorale si adotterà in futuro – è alta: è infatti a seconda del numero delle circoscrizioni che si decide l’esito del voto in un paese così profondamente lacerato da conflitti e divisioni etniche e confessionali.

    La questione relativa all’adozione di una nuova legge elettorale sarà determinante gli esiti politici delle prossime legislative, previste per il 2013, che vedono Hizb’Allah interessato – assieme ai suoi alleati – a mantenersi parte attiva del processo di rinnovamento della scena politica nazionale.

    I meccanismi elettorali fino ad oggi utilizzati si sono dimostrati insufficienti a garantire una reale rappresentatività di tutte le forze politiche come ha lucidamente posto in evidenza in un suo articolo Giorgia Grifoni che scrive: “Nello specifico, grandi o piccole circoscrizioni fanno la differenza. In alcune di esse, come Beirut 3, i seggi sono ripartiti tra molte comunità. Altre circoscrizioni, più uniformi nel credo religioso e meno popolate, come quella di Bint Jbeil, hanno molto meno peso decisionale. Gli elettori devono votare sì per i candidati della loro confessione, ma anche per quelli delle altre presenti nella circoscrizione. Ed ecco che in una circoscrizione a maggioranza sunnita come Beirut 3, gli elettori voteranno per i candidati maroniti della coalizione del 14 marzo, non per quelli dell’8 marzo. E se il candidato druso, per assurdo, non prendesse neanche un voto, vincerebbe comunque: perché un seggio gli spetta di diritto. Ali el-Samad, politologo, spiega in un suo articolo come ogni confessione cerchi di adottare la legge elettorale che gli garantisca una maggiore rappresentatività: “ Per i cristiani, la piccola circoscrizione offre la possibilità di eleggere i propri deputati e di marginalizzare così l’intervento della comunità musulmana. Per quanto riguarda i musulmani, essi sono presenti in quasi tutte le regioni e, grazie alla loro superiorità demografica, sono favorevoli sia alla piccola circoscrizione (i sunniti), che alla circoscrizione elettorale unica in tutto il territorio(gli sciiti)”. Tutto questo è ovviamente condizionato dai giochi di potere esistenti. “Dagli accordi di Ta’if –continua el-Samad- il Libano è stato sotto il controllo siriano. I codici elettorali adottati in quel periodo avevano come obiettivo quello di sostenere ed eleggere i candidati lealisti appartenenti al clan pro-siriano. La legge detta Ghazi Kanaan (capo dei servizi segreti siriani in Libano), promulgata nel 1996 in vista delle elezioni legislative di agosto 2000, aveva un solo obiettivo: la consolidazione della presenza siriana in Libano attraverso l’elezione dei suoi deputati e il tentativo di eliminare l’opposizione in maggioranza maronita. Quindi il Libano fu tagliuzzato in 14 circoscrizioni territoriali che non rispettavano né la realtà politica, né le logiche geografiche e sociali”. Con la vittoria del fronte anti-siriano alle elezioni del 2005, si è tornati alla vecchia legge del 1960, che divide il territorio in circoscrizioni più piccole e dà la possibilità alla minoranza cristiana di rappresentare i suoi elettori.” (1)

    In attesa di conoscere quali saranno i provvedimenti in materia di legge elettorale che intenderà adottare il nuovo esecutivo Miqati i libanesi devono fronteggiare l’eventualità che il clima di apparente calma che regna nel paese sfoci in nuove tensioni e problemi: c’è la situazione siriana da tenere sotto osservazione, ci sono i tentativi di destabilizzazione interna affidati dalle centrali del terrore internazionale e a gruppuscoli come Fatah al Islam ed altri della galassia palestinese (una componente per troppi anni rimasta emarginata dopo l’esilio forzato al quale venne costretto Yasser Arafat dopo l’assedio sionista di Beirut del 1982) e c’è sempre il rischio che “Israele” possa approfittare del caos prodottosi nella regione per muovere nuovamente contro Hizb’Allah e il paese.

    In questa situazione è ovvio che oggi - come sempre d’altro canto – i libanesi siano davanti ad un bivio.

    Lo spartiacque tra guerra e pace, calma e tempesta, da queste parti si misura anche, soprattutto, dalla pazienza con cui si guarda al futuro: in questo momento ne occorre davvero parecchia anche perché sono realmente troppi gli interessi in ballo che coinvolgono i principali attori della geopolitica locale e internazionale.

    Hizb’Allah in ogni caso sarà sempre l’ago della bilancia reale dei rapporti politici interni e il vettore rivoluzionario e militare puntato contro l’entità criminale sionista: questo è il suo naturale scopo per il quale il movimento sciita libanese venne fondato nell’ormai lontano 1982.

    Chiunque prevedesse – come sottostimandone le capacità di reazione fecero i vertici politici e militari israeliani nell’estate di cinque anni fa – una politicizzazione ed un eventuale imborghesimento degli uomini del Partito di Dio evidentemente non avrebbe capito alcunché di una realtà multiforme e multidimensionale qual è quella rappresentata dal movimento di Nasrallah al quale guardano con favore le masse arabe oppresse e verso il quale spesso sono state lanciate pro-offerte di vario genere da emissari dell’Amministrazione USA.

    Hizb’Allah, che conosce perfettamente le ‘regole’ del Great Game, non abbasserà la ‘guardia’ né arretrerà di un passo mantenendo fede alla sua missione metastorica che è quella di arrivare, un giorno, alla liberazione della terrasanta palestinese occupata e alla vittoria delle armi del fronte dei diseredati che – secondo l’interpretazione sciita e khomeinista iraniana – spetta a coloro che combattono la tirannia e l’ingiustizia planetarie rappresentate dal Grande Satana a stelle e strisce e dal suo alleato sionista.

    Per ogni problema esiste una soluzione: gli uomini del Partito di Dio sapranno come affrontare anche la ‘bega’ del TSL , i tentativi di discreditare il movimento e le vecchie e nuove strategie us-raeliane di destabilizzazione dell’area.



    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    Note –

    1 - Giorgia Grifoni – “Proporzionale sfida sistema elettorale” dal sito Nena news dell’Agenzia Stampa Vicino Oriente (Near East News Agency) all’indirizzo informatico LIBANO, PROPORZIONALE SFIDA SISTEMA CONFESSIONALE | NENA NEWS | NEAR EAST NEWS AGENCY
    29 Giugno 2011




    Il Libano: un paese in bilico

  5. #15
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    LA SIRIA: UN BALUARDO ANTI-MONDIALISTA







    - di Dagoberto Bellucci









    La Siria del Presidente Bashar el Assad, perno degli assetti geopolitici e strategici dell’intero Vicino Oriente, rappresenta la cinghia di trasmissione della rivoluzione islamica iraniana in direzione Libano e Palestina oltre a costituire il principale baluardo anti-sionista erede del nazionalismo panarabista rivoluzionario che, a partire dal Movimento dei Nazionalisti Arabi e passando per la rivoluzione kemalista egiziana degli anni Cinquanta fino all’Intifadah palestinese ed alle lotte di liberazione condotte da Hizb’Allah in Libano ed Hamas nella Palestina occupata, ha condotto la lotta di resistenza anti-imperialista della nazione araba nel corso degli ultimi sessant’anni.

    Non esiste alcuna alternativa alla presenza - oggettivamente stabilizzante l’intero panorama politico regionale e garante della saldatura sciita tra Teheran e Beirut – del pluri-quarantennale governo del Partito Ba’ath a Damasco: disintegrata l’opzione irachena, eliminato Saddam Hussein e confinata la spinta rivoluzionaria islamista di Hamas alla sola Striscia di Gaza per il mondo arabo è necessaria la sopravvivenza del regime di Assad la cui presenza garantisce una continuità ideale e politica della lotta di liberazione araba ed un trade d’union ideologico e militare fra le rivoluzioni arabe socialiste nazionali laiche degli anni Cinquanta e Sessanta e la Rivoluzione Islamica iraniana: la Siria è dunque soggetto fondamentale per tutto il mondo arabo-islamico in contrapposizione alla macchina bellica ed all’egemonia israeliana ed ai ricatti dell’imperialismo statunitense.

    In questa ottica la Siria ba’athista di Assad è l’ultima espressione di un movimento rivoluzionario che, nel corso dei decenni, ha progressivamente adottato diverse forme e modalità per concentrare i suoi sforzi contro il nemico sionista senza disperdere inutilmente energie nelle lotte interminabili e fratricide fra nazioni arabe che anziché marciare unite contro il comune avversario si sono spesso lasciate fuorviare dalle strategie di destabilizzazione regionali partorite da “Israele” e – soprattutto – dal suo più importante alleato (gli Stati Uniti) determinato a modificare le mappe geopolitiche regionali per favorire i propri interessi energetici, economici, politici e militari nella zona.

    L’America in questa situazione di caos generalizzato che ha colpito l’intero mondo arabo gioca, come sempre, un ruolo determinante: è dall’amministrazione Obama che sono partite le indicazioni ai cosiddetti ribelli ed è soprattutto Washington che ha dato carta bianca e rapidamente controllato le agitazioni di piazza che da Tunisi al Cairo passando per Sana’a e Damasco hanno scatenato le rivolte popolari.

    Il ruolo che svolge l’America in questo momento è quello di direzione generale della ribellione: Washington promuove il caos e anima la rivolta di piazza con la speranza di veder nascere da quello che qualcuno ha definito come “il 48 arabo” il suo progetto di Nuovo Grande Medio Oriente, una confederazione di Stati arabi moderati, ridotti a mendicare aiuti economici e monetari dalla comunità internazionale e dagli istituti finanziari del Mondialismo (in particolar modo da Fondo Monetario e Banca Mondiale) e pronti a soddisfare tutte le richieste del Sionismo interno ed internazionale ovvero ‘adempiere’ supinamente alla pre-condizione necessaria per risanare le loro casse statali in disfacimento cioè riconoscere l’entità criminale sionista usurpantela Terrasantapalestinese primo passo, fondamentale, per la creazione di un mercato comune regionale all’interno del quale “Israele” possa godere del ruolo privilegiato di ‘cassaforte’ degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie in spregio alla pluri-decennale lotta di liberazione condotta dal popolo palestinese e dalle sue organizzazioni di resistenza.

    Se da un lato il “Grande Satana” – splendida metafora con la quale usava chiamare gli Stati Uniti d’America il compianto Imam Khomeini (che Dio lo abbia in gloria) – utilizza le sollevazioni di piazza per soddisfare i propri interessi geostrategici prendendosi una clamorosa rivincita laddove, in dieci anni di guerre asimmetriche e tentativi vanificati di ‘esportazione’ della democrazia, i suoi eserciti hanno fallito (Afghanistan, Irak) e la sua influenza è venuta meno determinando squilibri regionali gravissimi (il caso del Pakistan è lampante malgrado l’intelligence statunitense continui a disegnare un’alleanza solidissima con Islamabad e segnali di profonde divergenze sulla cosiddetta guerra al terrorismo internazionale si sono oltremodo evidenziate anche con altri e più fidati alleati fra i quali la Turchia, bastione NATO fondamentale nel perimetro geopolitico del Mediterraneo sud-orientale) ciò non significa che la tela degli intrighi e dei complotti internazionali orditi dall’amministrazione USA e dai suoi compari sionisti non abbia dato i suoi frutti: ‘persi’ Mubarak e Ben Alì gli Stati Uniti hanno immediatamente coperto il vuoto di potere al Cairo come a Tunisi con elementi affidabili che, di fatto, hanno ridimensionato la spinta rivoluzionaria dei moti popolari d’inizio anno dando alla transizione verso una democrazia diretta in entrambi i paesi (Egitto e Tunisia) una valenza più conforme ai desiderata ‘occidentali’; in Libia – in modo più che sapiente – l’America ha lasciato campo aperto alle iniziative belliche dei ‘volenterosi’ ruffiani di Washington in campo europeo (i ‘compari’ britannici ma anche le velleità di ‘grandeur’ dell’Eliseo francese dove il giudeo Sarkozy – mai come oggi la France est juif – ha ottenuto ‘punti’ preziosi dall’avventura militare libica in prospettiva delle prossime elezioni e, dulcis in fondo, pure all’italietta berlusconian-legaiola che, nel contesto internazionale venutosi a creare sulla sponda meridionale mediterranea conta come il due di picche con la briscola a fiori…meno di zero…alla faccia delle promesse mancate, dei trattati bilaterali di amicizia firmati non più di tre anni fa con il Colonnello Gheddafi ‘amico’ personale del Cavaliere di Arcore…. E meno male per Gheddafi che era ‘amico’ figuriamoci fossero stati nemici…Tant’è in guerra – tirata per le ‘palle’ da Parigi, Londra e Washington, presa per il collo dalle decisioni dell’Allenza Atlantica o per mantenere quantomeno un briciolo di controllo sui nostri interessi energetico-economici in Libia – contro Gheddafi ed in prima linea c’è anche Roma che ha visto decisamente, e a questo punto, radicalmente ridimensionata la sua – vera o presunta – sfera d’interesse e la sua politica ‘autonoma’ rispetto alle strategie USA. Chi governa e detta le condizioni sono sempre gli Stati Uniti …la colonia tricolor-kippizzata italiota al massimo può solo ed esclusivamente obbedire agli ordini provenienti d’oltre-oceano) ed infine oggi l’Establishment giudaico-massonico che controlla la politica estera statunitense tramite le sue strutture semi-occulte (il Council on Foreign Relations, le fondazioni, le multinazionali, le logge massoniche e il lobbismo pro-sionista di gruppi di pressione quali l’A.I.P.A.C. o il B’nai B’rith) ha decisamente ‘puntato’ la Siria socialista-nazionale e rivoluzionaria del Presidente Bashar el Assad.

    A Damasco non regna, come ci hanno ‘raccontato’ i media filo-occidentali di mezzo pianeta, né la paura né il terrore queste sono cazzate buone per qualche ‘scoop’ degno di MTV e qualche altro canale under controll: la realtà è che il governo a guida ba’athista che dirige la vita politica del paese da oltre quarant’anni ha saputo mantenerela Repubblica Araba Siriana al di fuori delle contese militari che hanno investito il Vicino Oriente negli ultimi trent’anni (l’ultimo intervento militare delle truppe di Damasco risale addirittura al lontano 1978 nel conflitto civile libanese e su delega della Lega Araba) e le iniziative per migliorare il tenore di vita e l’economia nazionali sono state notevoli soprattutto negli ultimi anni.

    Lo sforzo per la modernizzazione nazionale, per un rilancio dell’economia, per un miglioramento dei rapporti bilaterali con altri Stati arabi vicini o confinanti è stato – da questo punto di vista – considerevole e proficuo: Damasco, dopo una lunga fase di stallo politico interna al vicino Libano – ha riconosciuto e aperto infine relazioni diplomatiche, con scambio di ambasciatori, con Beirut promuovendo quel confronto fra i partiti politici libanesi necessari per riportare concordia in una nazione sull’orlo, fino a qualche anno fa, del conflitto civile; verso Riad e l’Arabia Saudita i siriani hanno sempre manifestato aperture e disponibilità per la risoluzione dei contenziosi regionali dopo il gelo seguente l’aggressione sionista al Libano dell’estate di cinque anni or sono ed infine ottime relazioni andavano maturando con la confinante Turchia a guida islamista verso la quale erano stati fatti progressi di collaborazione in tutti i settori dello sviluppo (industriali, agricoli e nel terziario).

    Un idilio quello con Ankara che stava dando ottimi frutti anche nella contrapposizione delle mire sioniste nella regione con un avvicinamento politico ulteriore dopo la vicenda della Freedom Flottilla dell’estate scorsa.

    Un paese, la Turchia, verso la quale le autorità e i media siriani si erano espressi spesso come ad un “amico” , addirittura un “fratello” come veniva presentata la cooperazione tra i due vicini ricordando l’ottime relazioni tra Assad e Erdogan e le molteplici comuni posizioni su molte delle questioni in ‘agenda’ relative all’intera regione (questione curda, nucleare iraniano, situazione palestinese, crisi politica libanese).

    Questa luna di miele tra Siria e Turchia potrebbe essersi definitivamente incrinata a seguito della rivolta interna che da mesi aleggia alle porte di Damasco e che coinvolge in particolare le regioni settentrionali a maggioranza sunnita dove gli elementi radicali legati alla rete al-qaedista hanno i loro feudi e dove agiscono da anni organizzazioni terroristiche quali Jund al Sham’s che danno, a loro volta, reclute, armi e finanziamenti ad analoghi gruppi visti all’opera anche nel vicino Libano (Fatah al Islam , che prese il controllo del campo profughi di Nahr el Bared nella zona di Tripoli area settentrionale libanese, aveva ai suoi vertici molti esponenti di spicco della rete jihadista alcuni dei quali già ricercati per terrorismo in Siria).

    Alle spalle di queste organizzazioni del terrore e del crimine si celano le strategie di destabilizzazione regionale del Grande Satana statunitense e dei suoi alleati: sono accertati i collegamenti, i contatti e l’azione esercitata sia su Jund al Shams che su Fatah al Islam da parte dei servizi d’intelligence della confinante Giordania e dell’Arabia Saudita che esercita una fortissima pressione (e paga benissimo) per seminare la sedizione sia in Siria che in Libano.

    In Siria la rivolta eterodiretta da Washington è sostenuta dal fiume di petroldollari saudita e dal mercenariato wahabita e salafita molto spesso proveniente dal fronte iracheno (sono numerose le testimonianze che accertano la presenza di elementi di spicco della rete di al Qaeda in Irak passati, dopo sette anni di esperienza sul perimetro militare iracheno, in Siria) da altri paesi dell’area del Golfo o dalla vicina Giordania.

    In Libano sono risultate palesi le connivenze tra elementi della rete del terrore di Fatah al Islam e la stessa famiglia sunnita degli Hariri che controlla politicamente proprio l’area a nord del paese dove il gruppo terrorista opera e quella di Sidone dove suoi elementi si sono infiltrati nei due campi profughi palestinesi come testimonia anche l’attentato contro una pattuglia di militari italiani del contingente UNIFIL di un mese or sono.

    L’obiettivo in entrambi i casi è chiaro: mantenere alta la tensione nel paese dei cedri (è recente l’arresto di un predicatore sciita che aveva creato proprio a Tripoli, nel nord del Libano, una sorta organizzazione che metteva in discussione la leadership rivoluzionaria di Hizb’Allah ….tentativo non nuovo da parte dell’America e dei suoi alleati di screditare le forze della Resistenza Nazionale utilizzando nuovi e a volte anche vecchi ‘arnesi’ per minare dall’interno il fronte anti-sionista) e premere direttamente contro il regime siriano per provocarne la caduta dall’interno attraverso la rete terroristica jihadista che le autorità di Damasco hanno sempre combattuto con ogni mezzo.

    In Siria la situazione evolve: sela Turchiasi è dimostrata un alleato inaffidabile – di qualche giorno or sono il lancio di una iniziativa del Partito Ba’ath per il boicottaggio dei prodotti turchi – nel Libano le forze nazionaliste dell’Opposizione hanno infine trovato l’unità attorno al nome di Najib Mikati premier designato qualche mese fa a costituire un esecutivo sostenuto da Hizb’Allah e dai suoi alleati.

    La situazione appare particolarmente incandescente al confine siro-turco dove l’esercito di Damasco si è attestato attorno ai villaggi di Maarrat an Numan, centro vitale di comunicazioni sull’autostrada Damasco-Aleppo e poco distante da Jisr ash Shughir località nel nord-ovest al confine conla Turchiadove si contano oltre diecimila profughi siriani.

    La presenza dell’esercito siriano testimonia l’impegno preso dalle autorità di Damasco per ripristinare l’ordine ed impedire che nuovi elementi sediziosi possano infiltrarsi da nord come da sud (al confine iracheno) per promuovere e rinfocolare la protesta.

    Mentre le agenzia di stampa internazionali – eterodirette da elementi sionisti e sottoposte al controllo dell’Intelligence statunitense (anche i social-network alla ‘Facebook’ o “Twitter” sarebbe ‘scrupolosamente’ monitorati dalla C.I.A.) – blaterano quotidianamente di incidenti e scontri a fuoco nel paese nessuno ricorda il sacrificio di sangue di molti esponenti, ufficiali e militari, delle forze armate vilmente aggredite da bande di terroristi ‘insorti’ affatto ‘casualmente’ contro le autorità.

    La televisione di Stato e l’Agenzia Nazionale siriana SANA mostrano invece quale sia la realtà di una situazione che, come per la Libia, qualcuno ai piani ‘alti’ dell’Establishment a Washington – con l’ausilio e l’avallo possibilmente dei potentati internazionali del Mondialismo (l’ONU) - vorrebbe ripetere il copione libico auspicando e sostenendo l’esigua minoranza dei rivoltosi ai quali, proprio nelle ultime ore e per l’ennesima volta, ha aperto il Regime.

    Manifestazioni popolari oceaniche di sostegno al Presidente Bashar el Assad hanno inondato le strade e le piazze di Damasco, Latakia, Aleppo, Homs, Tartus principale porto siriano a nord dove ha sede una numerosa comunità cristiana.

    “Siamo oggi qui per invitare tutti i siriani a boicottare i prodotti turchi”, hanno detto alcuni dei partecipanti al raduno svoltosi in questa ultima località e interpellati dall’emittente nazionale. Senza fornire ulteriori dettagli, gli intervistati si sono detti “irati per l’atteggiamento turco in un momento in cuila Siria è colpita da un complotto straniero”.

    E che di complotto straniero si tratti appariva chiaro fin dall’inizio della strana rivolta che, dal tam tam internettiano-informatico fino alle primissime manifestazioni nei sobborghi meridionali della capitale Damasco, ha visto le autorità siriane pronte a esaudire alcune delle richieste della piazza soprattutto quelle di una riforma istituzionale: la realtà è che i manifestanti dell’opposizione – sostenuti dall’esterno – vorrebbero tutto e subito per precipitare il paese nel caos e consegnarlo domani, su un piatto d’argento, al Sionismo Internazionale.

    Appare quindi evidente e logico il monito lanciato a fine maggio dal Segretario Generale di Hizb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah, che ha indicato ai giovani siriani la strada maestra che è quella che non può lasciare campo libero ai nemici della Nazione Araba invitando tutti i siriani a sostenere il regime di Assad “amico fraterno” della Resistenza Nazionale Libanese.

    In questa situazione di conflitto generalizzatola Turchia, che negli ultimi anni si è imposta come uno dei principali partner economico-commerciali della Siria, invadendo con i suoi prodotti i mercati siriani, in particolare nelle regioni settentrionali, è l’unico Paese confinante conla Siriache sin dall’inizio delle proteste ha invitato con fermezza il regime di Damasco a non ricorrere all’uso della forza sui civili e ad avviare serie e radicali riforme.

    Nelle ultime giornate sempre più febbrili sono stati gli incontri che hanno visto il Gen. Hasan Turkmani, sunnita ed ex ministro della Difesa di Damasco, trascorrere parecchi giorni ad Ankara per incontri ai più alti livelli con il premier Tayyip Erdogan e con il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu.

    Entrambi i colloqui erano chiusi alla stampa e nessun comunicato ufficiale è stato emesso al termine delle riunioni. Indiscrezioni di stampa affermano che Turkmani avrebbe chiesto ai “partner turchi” rassicurazioni sulle presunte intenzioni di Ankara di creare una zona cuscinetto all’interno del territorio siriano, in caso dell’inasprirsi della repressione e della conseguente crisi umanitaria.

    Ad Harasta, in un sobborgo nord di Damasco, un corteo di circa 200 donne che invocavano la liberazione dei loro congiunti arrestati durante le recenti manifestazioni è stato disperso dalle forze di sicurezza. Questo mentre dalla Giordania giungono notizie di una parziale riapertura – riservata ai piccoli imprenditori e ai commercianti – del valico di frontiera meridionale con la regione di Daraa, primo epicentro delle proteste dal 18 marzo scorso.

    Infine domenica scorsa a Kseir, località alla frontiera con il Libano, l’esercito siriano avrebbe esteso la sua offensiva per la normalizzazione del paese e la bonifica del territorio da elementi sovversivi.

    L’energica reazione delle forze armate e dei reparti fedeli al Presidente Bashar el Assad garantiràla Siriada spiacevoli sorprese nel breve periodo riportando il paese ad una normalità che è condizione essenziale per fronteggiare tutte le minacce, interne ed esterne, che incombono su quello che rimane l’ultimo baluardo anti-sionista e anti-imperialista della Nazione Araba.

    Non esiste alcuna alternativa alla leadership del Partito Ba’ath a Damasco come non esiste alcun cambio di regime plausibile per le forze rivoluzionarie – siano nazionaliste o internazionaliste, laiche o confessionali, islamiche o cristiane – che intendono nel perimetro geostrategico del Vicino Oriente opporsi al Sionismo ed all’Imperialismo: con Assad fino alla vittoria!

    ‘Qualcuno’ sta con Gheddafi, ‘altri’ con la NATO; c’è chi ha troppo frettolosamente osannato la politica di Ankara e chi sostiene la necessità dell’alleanza turco-siriana….a noi francamente interessa veramente poco – ‘francamente’ niente – nè di Gheddafi, nè della NATO e tantomeno della Turchia…

    A ognuno ‘dunque’ il ‘suo’: il ‘nostro’ si chiama Repubblica Islamica dell’Iran, Repubblica Araba Siriana, Hizb’Allah….perchè tutto il ‘resto’ non ‘conta’….

    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”



    28 Giugno 2011




    LA SIRIA: UN BALUARDO ANTI-MONDIALISTA

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    QUANTI SONO GLI EBREI IN ITALIA?






    - di Dagoberto Bellucci









    Esiste una ‘fiorente’ letteratura d’impronta esplicitamente ebraica che, da alcuni decenni, attraverso case editrici di eletta ascendenza ha stabilmente e asfitticamente ‘occupato’ i banchi delle librerie italiane.

    Chiunque non sia così sprovveduto da pensare che questo fiorire di testi e volumi relativi all’ebraismo (in tutte le ‘salse’ e di tutti i ‘colori’) sia solo frutto del ‘caso’ (il ‘caso’ non esiste) potrà scorgervi una affatto disinteressata regia che mira essenzialmente a rinverdire a più non posso la ‘memoria’ sul presunto-preteso “olocausto” ovvero a tenere in piedi la traballante fola dei sei milioni di soggetti di razza ebraica “sterminati” – secondo la ‘vulgata’ corrente – durante la seconda guerra mondiale.

    Chiariamoci: che gli ebrei, vincitori senza morale del conflitto che oppose le forze della Tradizione (rappresentate dalle potenze dell’Asse e dalle nazioni sorte tra le due guerre mondiali dalle Rivoluzioni Nazionali europee) a quelle della sovversione (giudeo-capitalismo demoplutocratico d’impronta anglo-americana e giudeo-bolscevismo collettivista d’ispirazione marxista), siano ‘legittimati’ dagli avvenimenti planetari degli ultimi 70 anni a inondare di pubblicistica filo-semita qualunque rassegna libraria, ogni ‘festival’ o ‘convention’ culturale o i saloni delle principali librerie nazionali della loro verità è fatto insindacabile che non staremo neppure a ‘discutere’: hanno ‘vinto’ e oggi ‘raccattano’ i frutti maleodoranti d’inganno e di menzogna della loro vittoria.

    Ciò che eventualmente dovrebbe colpire e far riflettere è, casomai, la assoluta incapacità di contrasto, sia per quanto concerne una operazione culturale storico-revisionista degna di tal nome sia – soprattutto – per ciò che riguarda la menzognera propaganda sionista ‘sparpagliata’ tra i banconi nelle pagine stampate di quell’oscena, quasi paradossale, tracimazione di ‘ciarle’ relative all’occupazione criminale ebraica della Terrasanta palestinese.



    In considerazione di questa autentica occupazione culturale da parte dell’elemento ebraico, delle sue ‘verità’, della sua visione del mondo distorta e rovesciata, occorre riconoscere i ‘meriti’ e – soprattutto – investigare sulle eventuali ‘colpe’ (e di ‘colpe’ l’area politica e ideologica riconducibile in senso lato al neo-fascismo- l’unica dottrinariamente e culturalmente ‘preposta’ a tale incombenza (…in realtà si è preferito cianciare di tutt’altro dal razzismo biancocentrico d’impronta anglo-sassone al nazionalcomunismo, dalle mestruazioni geopolitiche al terzaposizionismo socialisteggiante passando per tutta quella ‘sfera’ di variabili fallimenti che contraddistinguono gli eterni fuorigioco della politica italiana- ne avrebbe a ‘iosa’ semplicemente per aver accuratamente evitato l’affrontamento della questione maledetta quando ancora, ‘forse’, sarebbe stato funzionale un’azione degna di questo nome…allo stato attuale dei fatti tanto varrebbe darsi all’ippica o al giardinaggio, occuparsi di piante&fiori o ‘dilettarsi’ con la filatelia…siamo di fronte ad una autentico ‘revival’ librario giudaico espressione lampante del livello di kippizzazione generale della società italiana schiantata e sottomessa senza ‘ma’ e senza ‘se’ ai diktat provenienti dalla Sinagoga… senza ‘raccontarcela’ e per dirla chiaramente rapporti di forza improponibili…Gli ebrei hanno ‘vinto’ perché, semplicemente, non potevano perdere…).



    Il sito internet “Holywar.org” – sovente chiamato in ‘causa’ dalla carta-straccia sistemica kippizzata in occasione di determinate e ben orchestrate campagne di demonizzazione – ha, fra gli altri ‘meriti’ (secondo molti, troppi detrattori …i soliti ‘noti’, appartenenti all’ “area” – l’aver manifestamente ‘centrato’ la questione ebraica come determinante spartiacque politico e culturale ossia aver provato a rappresentare lo scontro metastorico e metapolitico tra mondo della Tradizione e mondo della sovversione all’interno della dicotomia “amico-nemico” di schmittiana memoria identificando nell’ebreo il nemico dell’uomo – più che ‘merito’ sarebbe una ‘colpa’…qualcosa di cui quasi vergognarsi …le ‘direttive’ generali da parecchi anni a questa parte in ‘fondo’ erano di lasciar perdere gli ebrei…e i risultati si vedono…vuoto cosmico d’idee e di progetti), quello di aver pubblicato e reso visibile in ‘rete’ l’elenco dei cognomi di circa 10mila famiglie di origine ebraica presenti in Italia.

    Ora è chiaro che né un sito, né un forum e tantomeno un blog – così come qualunque altro strumento informatico-computatorio e analogamente a quanto già detto sull’opportunità o meno di dare alle stampe riviste, giornali, libri e libercoli che alla fine rimangono allo stato catacombale appannaggio di pochi ‘eletti’ (…stavolta non di Sion…) – abbiano l’efficacia né la funzionalità che, semplicemente, potrebbero avere dieci minuti di ‘comparsata’ televisiva…lo ‘scatolotto’ magico checche se ne dica è a tutt’oggi il principale strumento di controllo ed il veicolo principale utilizzato per diffondere idee, mode, costumi e comportamenti di massa.

    Risulta però reale che anche qualche interferenza forumistico-internettiana può talvolta ‘scatenare’ le ire dei detentori del potere reale del paese alias la Kehillah (comunità ebraica) capitolina ‘pacificamente’ – si fa per ‘dire’ – retta dall’ex capopopolo L.E.D. (Lega Ebraica di Difesa) Riccardo Pacifici il quale, non più di sei mesi or sono si era scagliato pubblicamente niente popò di meno che contro il forum di Stormfront reo di aver diffuso una lista dei cognomi ebraici in Italia.

    Sosteneva l’eletto Pacifici: “Ci troviamo di fronte ad uno scenario nuovo. Per questo l’Italia si faccia promotrice nella Ue di una regolamentazione del web per poter intervenire in altri paesi.

    Fino a venti anni fa una pubblicazione di questo tipo avrebbe avuto un responsabile, un ‘editore’ soggetto giuridico, contro il quale ci si sarebbe potuto rivalere.


    Oggi non è così: si è all’interno di un meccanismo in cui magari puoi sapere chi sono gli autori, hai anche gli elementi per poterli perseguire, riesci a farli chiudere, ma basta che si spostino, con lo stesso dominio, in paesi compiacenti o senza regole amministrative o penali, perché uno se li ritrova sul web” (1).

    Mah che ‘dire’….che evidentemente ‘questi’ non hanno proprio un cazzo di meglio da ‘fare’.



    Unitamente alla corrente storiografica revisionista sull’olocausto e al documento programmatico-sovversivo denominato “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” la ‘tematica’ dell’individuazione e dell’elencazione del chi è ebreo oggi in Italia risulta essere una delle manifestazioni di comprensione del problema ebraico in quanto – al di là di mere e inutili disquisizioni più o meno intellettualoidi sui massimi sistemi – circoscrive e nitidamente porta all’emersione la reale presenza dell’ebreo, numericamente e secondo coefficienti di errore risibilissimi per quanto concerne le famiglie storiche dell’accampamento ebraico nella penisola italiana, la sua impenetrabile doppiezza (spesso occultata appunto dietro a un cognome insospettabile ed arianissimo preso a prestito) e il ruolo da esso svolto all’interno della società italiana.

    Si avrà un bel dire a ripetere la favoletta che “in Italia gli ebrei non sono tanti e quindi la loro influenza è minima” : quest’assunto – da decenni e decenni ripetuto pappagallescamente in ogni dove dalle tavole rotonde ai programmi d’intrattenimento ‘culturale’ radio-televisivi fino ai sondaggi ed ai dossier di quotidiani, settimanali e mensili – non soltanto non significa alcunché ma non trova assolutamente alcuna corrispondenza in una realtà che indiscutibilmente smentisce le stime ‘ufficiali’ prodotte dalle organizzazioni ebraiche in Italia (U.C.E.I et simili) che vorrebbero raccontarcela e pretenderebbero di darla a bere agli stolti ‘goyim’ con la storiella dei 35mila ebrei ‘italiani’… Una cazzata interplanetaria.

    Al di là infatti della crassa ignoranza, sapientemente ‘divulgata’ a piene mani dalle centrali di disinformazione del circuito massmediatico del Sistema – che ‘alimenta’ e tende a determinare ab aeternum le ‘speranza’ della Sinagoga sottoponendo i poveri ‘stolti’ Goyim ( = i non ebrei ) alla dittatura catodica kosher – noi ‘plaudiamo’ all’iniziativa del sito Holywar di diffondere la lista dei cognomi degli ebrei in Italia convinti che l’elencazione dei cognomi ebraici rappresenta un altro ‘tassello’ culturale, piccolo ma determinante, nell’affrontamento della questione maledetta.

    E’ per il suddetto motivo che inizieremo quanto prima la ripubblicazione della lista dei cognomi come proposta dall’ebreo Samuele Schaerf nel suo volume “I Cognomi degli ebrei d’Italia” (Edizioni “Israel” Firenze 1925) una delle fonti storiche più affidabili e documentate relative al problema della reale presenza ebraica nel nostro paese.

    Vi invitiamo ad una attenta lettura con l’avvertenza che nomen est omen e la certezza che – al di là del mero ‘censimento’ numerico sull’occupazione giudea del “paese ‘cchiu stupete du munne” - ‘conta’ oggigiorno e più di ieri una esatta identificazione di ciò che rappresenta, che si suole intendere e delle sue manifestazioni dello spirito ebraico che , nella società rovesciata contemporanea, ha ‘sedotto’ e plasmato intere schiere di nominali “gentili” …per dirla coll’ebreo Karl (Mordechai) Marx “Il denaro è il Dio d’Israele” e “Il cristiano si è fatto ebreo” in quanto “Il giudaismo si è mantenuto nella società cristiana, anzi vi ha ottenuto la sua massima perfezione. L’ebreo, che sta nella società civile come membro particolare, è solo la manifestazione particolare del giudaismo della società civile (…) Dalle sue proprie viscere la società civile genera continuamente l’ebreo. (…) Il cristianesimo è scaturito dal giudaismo. Nel giudaismo esso si è nuovamente dissolto. Il cristiano era fin da principio l’ebreo teorizzante, l’ebreo è perciò il cristiano pratico, ed il cristiano pratico è diventato nuovamente ebreo (…) L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo.” (2)



    “Uomini siate e non pecore matte si che di voi tra voi ‘l giudeo non rida” ..



    Note –

    1 – intervista a Riccardo Pacifici dal sito Comunità Ebraica di Roma , 12 Gennaio 2011;

    2 - Karl Marx – “La Questione Ebraica” – Ediz. “Noctua” – Molfetta (Bari);






    Quanti sono gli Ebrei in Italia?

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    IL KAHAL – IL SINEDRIO MONDIALE EBRAICO

    10 ago





    IL KAHAL

    IL SINEDRIO MONDIALE EBRAICO



    di Dagoberto Husayn Bellucci

    «Pochi problemi sono difficili da risolvere, come quello del governo interno
    del popolo ebreo. Non vi è mistero più tenacemente tenuto segreto… Il governo
    del popolo ebraico è una vera società segreta. E come in tutte le società
    segrete vi sono iniziati che… non giungono mai ai primi ranghi… Così nel
    Giudaismo vi sono dei circoncisi in totale buona fede che ignorano la
    costituzione ed anche l’esistenza stessa del Kahal, vale a dire dell’autorità
    che governa nell’ombra il popolo ebreo»

    ( Gustavo Martinez Zuviria, Direttore della Biblioteca Nazionale dell’
    Argentina, nonché Ministro della Giustizia e della Pubblica Istruzione -
    citato in H. Wast – “El Kahal” – Editorial “Aldecoa” , Burgos, 1954.)





    “L’ebraismo è sicuramente la prima grande rivoluzione della storia
    occidentale, la cui vicenda inizia proprio con Abrahamo, il grande patriarca
    ineguagliato rivoluzionario che frantuma gli idoli di ogni specie, rompe lo
    scettro di ogni possibile tiranno, e prosegue con Mosè, che spezza le catene
    della schiavitù per inaugurare una nuova visione della vita basata sulla
    libertà.”

    (Moni Ovadia)





    “Il “Judische Volksblatt” – giornale ebraico tedesco – stampava nel luglio
    1899: “Noi dobbiamo favorire la democrazia sociale ovunque e in tutti i modi,
    ma dobbiamo nel medesimo tempo operare con prudenza perchè la massa operaia non
    si deve accorgere che la democrazia sociale è soltanto una tenda dietro la
    quale si nasconde Israele.” (1)

    La realtà oggettiva relativa alla prassi di sfruttamento, accampamento e
    occupazione oligarchico-mafiosa da parte dell’Internazionale Ebraica
    all’interno delle amministrazioni degli Stati dell’Europa e, più vastamente,
    del mondo occidentale continua ad essere disconosciuta alla stragrande
    maggioranza della cosiddetta “opinione pubblica” la quale – rincoglionita da
    sessant’anni di menzogne propagandistiche ebraiche e dalla prassi di
    stordimento delle coscienze e occultamento della verità – non risulta
    suscettibile di alcuna particolare ‘reazione’ neanche di fronte alla più grande
    fandonia creata dalla sconfinata immaginazione dei detentori del potere reale:
    la truffa olocaustica!

    Inutilmente quindi risulterebbe pensabile che le masse contemporanee -
    obnubilate da decenni di giudaizzazione strisciante e dormienti oramai il sonno
    di chi, per noia o assuefazione, alienazione o pacioso vivere, ha delegato ai
    mass media sistemici di ‘raccontare’ la realtà – trovassero un barlume di
    coscienza di sè e raccogliendo le ultime forze denunciassero ciò che,
    palesemente, è chiaro come la luce del sole dalla fine della 2.a Guerra
    Mondiale: l’asservimento alle direttive e l’uniformità di opinioni favorevoli
    alla causa ebraica e la totale kippizzazione della vita politica, culturale,
    sociale ed economica delle società “goyim” ( = non ebraiche ).

    E se ciò è tanto più vero da quando tutti i principali organi d’informazione
    sono passati nelle mani di ebrei andando a suonare, ogni qualvolta possibile,
    la grancassa delle ‘lamentazioni’ e sostenere il piagnucolio isterico che si
    innalza da ogni Sinagoga allora occorre riflettere ancor più sulla situazione
    di assoluto servilismo che la politica ha rivolto ossequiosa nei confronti di
    qualsivoglia “affare ebreo”.

    In qualunque occasione siano presenti elementi ebrei o polemiche relative a
    interessi giudaici ecco che, come per ‘magia’, all’unisono tutti i principali
    organi d’informazione, le televisioni e gli altri canali per veicolare opinioni
    e idee diffondono un’unica, identica, verità: quella che fa ovviamente comodo
    agli ebrei e a “Israele”!

    Da dove può essere esercitata una così totale autorità condizionante? Quali
    enormi pressioni devono arrivare sugli esecutivi del Vecchio Continente (…
    l’America si sa è un feudo ebraico…e non da oggi…) e quante indicazioni
    direttive sono abilmente fatte passare nei parlamenti quando si tratta di
    “ebrei-ebraismo” e dintorni? A quali ‘regie’ più o meno occulte si devono
    l’elaborazione, l’estensione e infine l’applicazione di misure legislative
    restrittive nei confronti di chiunque osi mettere in discussione – non diciamo
    l’operato dei massacratori del cosiddetto “governo” di occupazione sionista…i
    criminali di Tel Aviv….che questo è già passabile di pubbliche gogne e
    ghigliottinamenti massmediali pressochè unanimi – la semplice verità fattuale
    che vede operativo, operante e onnicompresivo, un potere extra-politico ed
    extra-economico raccolto sapientemente nelle diverse “kehillah” (comunità
    ebraiche) disparse per ogni dove? Al malcapitato di turno che osasse
    rimproverare un qualsiasi esponente della comunità ebraica, ovunque si trovi,
    toccherebbe l’immediata scomunica nonchè l’eventuale piagnucolante ed assieme
    arrogante pretesa di “mea culpa” collettivi dei quali francamente saremmo
    oltremodo stanchi…

    Non vi sembra eccessivo? Qualora qualcuno per una qualche ragione dovesse
    criticare – già la sola critica è di per sè inammissibile per coloro i quali si
    considerano, sbraitano e si affannano a scarabocchiare di essere niente popò di
    meno che “il popolo eletto” – l’ultimo prodotto artistico dell’infinita
    produzione hooliwodiano-giudaica…o quanto stonato sia il cantante ebreo di
    turno, quanto brutto il grugno dell’attorucolo hooliwodiano circonciso sfornato
    dall’industria ebraica del cinema o quanto demenziale l’ultima ‘trovata’
    jewish nella moda o in un qualsivoglia altro settore (non prendiamo poi l’arte
    che è, notoriamente, feudo ebraico per eccellenza, laddove imperante è lo
    ‘slogan’ del “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”…ovvero
    l’inversione dei valori che ovviamente ai giudei non poteva bastare confinata
    nei soli ambiti artistici) ; orbene questo ‘malcapitato’ si ritroverebbe
    inesorabilmente costretto a coprirsi il capo di cenere battendosi il petto in
    cerca di perdono…perdono che peraltro gli ebrei non concederanno mai! Perchè
    l’ebreo non dimentica: nè tollera che l’opinione pubblica dimentichi
    specialmente quando si tratta di presunti-pretesi “antisemiti” ….

    Poi, ovviamente, per una già considerata “doppia morale” (e doppia verità) gli
    ebrei vorrebbero imporre il silenzio più totale e difendere a spada tratta
    obbligando all’oblio il resto del pianeta quando qualcuno dei loro viene colto
    sul fatto: Lapo Elkann….ma in fondo che ha fatto di male? I rabbini-pedofili?
    Mica fanno ‘notizia’ come i preti o i cardinali….I soldati di ‘tsahal’
    (l’esercito dei mercenari sionisti fatti arrivare da ogni angolo del pianeta
    per sostenere l’esistenza di un governo di occupazione nato sul terrorismo e
    sull’espropriazione violenta, la confisca e l’estorsione ‘dinamitarda’ di
    territori e lo stragismo indiscriminato ai danni delle popolazioni palestinesi)
    che si sono resi responsabili di eccidi e stragi neanche loro fanno notizia! E
    non devono assolutamente far notizia truffe e malaffare che hanno
    contrassegnato le vicende della cosiddetta “alta finanza” ebraica alla quale si
    deve, tra le altre porcherie, anche l’ultima crisi economica globale… Già ma
    tutto questo non deve far notizia!

    Si (s)parla oramai da diversi mesi e quasi quotidianamente in merito ai, reali
    o presunti che siano, reati di pedofilia dei quali si sarebbero macchiati
    diversi esponenti del clero cattolico…e giù paginate sui principali
    quotidiani contro la Chiesa e il Papa…. Ma di quanto emerso, per fare
    semplicemente un esempio, negli Stati Uniti su un’indagine dell’Fbi condotta
    contro esponenti di primo piano della comunità religiosa e finanziaria ebraica
    per analoghe accuse (e pure per traffico di organi) se escludiamo qualche raro
    trafiletto qua e là su organi di stampa o siti internet semi-catacombali….chi
    pensate ne sappia qualcosa?

    Sia detto per inciso: la pedofilia è un crimine ed un delitto orrendo
    perpetrato contro l’infanzia! E su questo niente da obiettare, ci mancherebbe!
    Un cappio probabilmente non basterebbe nè sarebbero sufficienti tutti gli
    alberi d’Italia per ‘appenzolare’ questi maiali! Ma questo quotidiano putiferio
    mediatico contro l’autorità del Papa e del Vaticano onestamente ‘puzza’ di una
    non disinteressata manovra condotta dai soliti ‘noti’: ambienti massonici,
    ambienti giudaici, ambienti anti-clericali e dell’estremismo laicista sempre
    pronti, sulle ‘barricate’ della polemica anti-ecclesiastica, a sparare sentenze
    e gridare allo scandalo…

    Parliamo di queste vicende così come potremmo prendere a pretesto la
    drammatica situazione dei palestinesi, a Gaza o nella Cisgiordania, il loro
    continuo, quotidiano, stillicidio e la situazione di instabilità dell’intera
    area vicino-orientale determinata dalla presenza di un’entità che continua ad
    utilizzare il terrorismo indiscriminato andando ad ammazzare – peraltro sotto
    gli occhi di numerose telecamere d’albergo – un leader di Hamas a Dubai… E
    identiche considerazioni ci porterebbero, per rimanere in I’tal’yà , a
    occuparci delle “schedature” periodicamente stilate da interessati organismi di
    controllo dei quali l’A.D.L. (Anti-Defamation League) statunitense è la punta
    di diamante (in ogni nazione occidentale esiste comunque anche tutta una serie
    di organizzazioni ‘minori’ che si occupano di aggiornare queste demenziali
    “liste di proscrizione” riguardanti veri o presunti “antisemiti”…in I’tal’yà
    oltre al “Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea” – sede a Milano e
    indirizzo in ‘rete’ a questa pagina: Fondazione CDEC - Milano …si ‘noti’ il
    “portale sul pregiudizio antiebraico contemporaneo”…la “caccia alle streghe”
    mutatiis mutandis i tempi al ‘contrario’…- esistono poi le iniziativa della
    apposita Commissione interparlamentare presieduta e diretta, guarda un pò,
    dall’ebraica sottosegretaria agli Esteri Fiamma Nirenstein….i ‘commenti’ si
    ‘sprecherebbero’…)…. Gli ebrei hanno in mano l’Occidente ma hanno sempre un
    gran timore, una paura matta a dirla tutta, che qualcosa possa cambiare…
    L’allarmismo “antisemitistico” (…ma poi che significa “antisemita”?….) a
    ogni piè sospinto invocato da qualche solerte ‘censore’ con o senza kippa – in
    genere quando ‘delegano’ ad altri …per esempio a qualche gruppuscolo di
    estrema sinistra…sono comunque presenti , dietro le quinte…- è un qualcosa
    che farebbe, in sè e per sè, ridere se non fosse esistente e tutt’altro che
    ‘latente’ la possibilità che dalle liste di proscrizione un domani si passasse
    a stilare liste di “enucleandi” da eliminare fisicamente… ( sull’esempio del
    volterriano “Esacrez l’infame!” ….Gli “antisemiti al rogo!”….Lex Judaica
    per una novella Inquisizione yiddish….forche caudine dell’umanità sottoposta
    a kippizzazione pena scomunica eterna….ossia il mondo ‘rovesciato’…).

    Tant’è considerando che questa è la realtà nella quale si dibattono le società
    occidentali c’è poco da stare allegri. Ora viene da chiedersi: chi dirige il
    ‘coro’? Chi è che decide e soprattutto quali sono i meccanismi di controllo
    sinagogico che sovraintendono alla prassi ebraica di regolamentazione
    dell’informazione e della sua diffusione a senso unico?
    Esiste, per dirla con Henry Ford che di queste questioni si occupava
    novant’anni or sono analizzando la situazione statunitense, un organo supremo e
    direttivo dell’ebraismo cosmopolita disperso tra le nazioni?





    La domanda appare finanche superflua: esiste e opera tra le nazioni un vero e
    proprio organismo di potere ebraico. Esiste ed è attivo in tutto l’Occidente -
    e non solo in Occidente – una sovrastruttura, extra-nazionale ed extra-
    governativa posta al di fuori di qualsivoglia controllo, che rappresenta gli
    interessi dell’ebraismo a livello internazionale. Esiste ed è operativo quello
    che possiamo chiamare il Centro dirigente dell’Internazionale Ebraica.

    “Che il “popolo eletto” d’Israele sia controllato da un suo vero potere
    centrale, non può mettersi in dubbio da quanti hanno potuto osservare come in
    certi momenti tutta la stampa ebraica o ebraizzata, tutti gli oratori politici
    ebrei o simpatizzandi, abbiano istintivamente lo stesso motto d’ordine e lo
    stesso contegno di fronte a una data questione che interessa Israele – scriveva
    Giovanni Preziosi (2) – Tale potere è il Kahal (dal nome ebraico Khl = potere)
    , mentre il governo regionale o locale si chiama Kehillah (Kllh). L’origine del
    Kahal rimonta all’epoca della Dispersione ebraica al tempo di Vespasiano,
    quando cadde l’ultimo vestigio del potere sacerdotale farisaico del Tempio a
    Gerusalemme. Ma già il Kahal era delineato nel suo tipo fin dal tempo
    dell’Impero di Alessandro Magno, seguito dai regni dei Seleucidi (Siria) e dei
    Tolomei (Egitto). Caduta la speranza di una restaurazione del Regno d’Israele,
    dopo il crollo dei Maccabei i politicanti e trafficanti si scissero in due
    tendenze cosmopolite, iniziarono la serie dei moderni “assimilati”; cioè degli
    ebrei che trovano opportuno dissimulare la congenita xenofobia per la quale
    ogni popolo goy è uno straniero da sfruttare con ogni mezzo, facendo essi gli
    adatti e gli spregiudicati. Al tempo di Cristo si chiamarono Sadducei (da un
    Sadoc, loro organizzatore) ed Erodiani, perchè accettavano il re Erode, ebreo
    senza scrupoli adattato al dominio romano. Invece i politici aristocratici
    della razza, s’irrigidirono nel nazionalismo xenofobo; e siccome ormai il loro
    popolo era disperso per il mondo, quei politici detti Farisei (dal verbo
    “farah” , separare) , combatterono soprattutto l’assimilazione della
    Dispersione (in greco Diaspora) e con essa tutti i pericoli che evidentemente
    ne sarebbero derivati per un popolo materialmente disperso attraverso tutto il
    mondo. Fu così che i capi farisei montarono una enorme bardatura rituale contro
    la cui ipocrisia tuonò Cristo. Bardatura tendente a tenere separato da ogni
    contatto morale estraneo il popolo ebraico: con il pensiero che egli era il
    “puro”, mentre tutti i goym erano “impuri” e rendevano tali gli israeliti con
    il loro contatto. Perciò il fariseo purificava ritualmente il cibo, la bevanda,
    la stoviglia, mangiava soltanto carne di bestie uccise ritualmente (koscer)
    ecc. In tal modo il materialmente disperso popolo ebraico poteva essere tenuto
    riunito nella mentalità giudìa di essere il Popolo Eletto al dominio del mondo,
    e quindi odiatore, disprezzatore, sfruttatore degli altri popoli, che per
    allora e poi dominavano Israele. Il Talmud, o raccolta dei libri dottorali dei
    rabbini di quel tempo, ha fissato indelebilmente nella massa dei Beni-Israel
    questo sentimento ispiratore della sua vita plurimillenaria fra i popoli della
    terra. Ecco la radice atavica, ecco il “sangue” d’Israele. Da ciò ne abbiamo la
    prova tangibile nei due opposti malanni mondiali di oggi; il capitalismo
    parassitario e la demagogia dissolvente, ambedue controllati in maggior parte
    dagli ebrei, misera minoranza nel totale dei popoli della terra. Fu il Kahal
    farisaico che organizzò la mirabile rete ebraica fin dal primo tempo della
    Dispersione e creò i “nodi del serpente” nelle varie epoche. Citiamo qualche
    esempio, solamente qualcuno: ed anche qui prendiamo a prestito la “loro”
    parola: Quando la Comune di Parigi (1871) terrorizzò la capitale della Francia
    e le truppe nazionali dipendenti dal governo provvisorio di Versailles si
    apprestavano alla riconquista di Parigi, il vecchio Rothschild sussidiava tanto
    lo sfinito governo versagliese quanto il governo comunista di Parigi il quale
    destinava un servizio di guardia per salvare il palazzo del barone. E’ la
    regola del kahal: controllare il movimento prominente del momento, ma tenere i
    piedi nell’opposizione per guadagnare o …non perdere. Banchieri kahalici
    (Jacob Schiff ecc.) diedero i primi milioni a Lenin e a Trotsky per la
    rivoluzione bolscevica del 1917: essi la sussidiarono e poi la sfruttarono
    largamente; il famoso piano quinquennale è opera del kahalista Kaganovich. I
    principali organi sovversivi sono un “affare” loro; basti rammentare che
    l’organo comunista parigino “L’Humanitè” fu fondato da Levy, Bruhl, Brahms, L.
    Dreyfus, Louys, Blum, Rouff, Sevitz, Reinach… Ma simultaneamente altri ebrei
    massoni sussidiano e controllano organizzazioni antibolsceviche a Ginevra, a
    New York ecc facili a riconoscersi perchè in esse è proibito toccare l’ebreo e
    il frammassone allorchè si parla dei primi responsabili degli orrori russi.
    (…) L’ebreo massone Reinach dava 30000 franchi ad un giornale monarchico
    francese e ne passava 100.000 ad un giornale socialista (proprio come un
    banchiere ebreo in Italia faceva con “La Tribuna” e con “L’Avanti”. Più una
    staffa è forte e più la zampa kahalica vi pesa.”.

    La situazione, inevitabilmente, a distanza di settant’anni da quando furono
    scritte queste parole – dal più lucido e coerente degli studiosi italiani della
    questione ebraica – non potrebbe esser peggiore se anche numerosi fogli pseudo-
    antagonisti e finto-rivoluzionari sono eterodiretti da ebrei, cripto-ebrei e
    massoni o la loro opera si pone al servizio indiscutibilmente di soggetti
    giudei o giudaizzanti. Premettiamo subito che laddove è ebreo non potrà mai
    esservi che una politica filo-ebraica e filo-massonica anche se occultata
    dietro alla propaganda nazionalista anche laddove si presenti quale “foglio di
    battaglia” patriottico. Vista e considerata la situazione presente noi
    sosteniamo che il controllo esercitato da ambienti collusi con le diverse
    kehillah della penisola italiana sia pressoche onnicomprensivo e totale avendo
    quale fine ultimo la distorsione degli avvenimenti, la delimitazione delle
    opinioni ‘scomode’ in recinti finto-rivoluzionari e la diversione tattico-
    strategica attuata mediante evidenti posizioni ideologiche che hanno la
    funzione di deviare e spostare l’attenzione di un’opinione pubblica – seppure
    minoritaria e inoffensiva quale può essere quella costituita da poche migliaia
    di individui e da altrettante poche migliaia di ipotetici ‘ricettacoli’ delle
    suddette posizioni “antagoniste” – su problematiche ‘altre’ irrilevanti o su
    fattori geopolitici ininfluenti per gli interessi e la causa d’Israele.

    Chi si occupa realmente e concentra le sue attenzioni verso la situazione
    palestinese, o il quadrante geopolitico-strategico-militare del Vicino Oriente,
    potrà comprendere perfettamente quanto andiamo dicendo: occuparsi oggigiorno di
    Palestina e dintorni (ovviamente non fossilizzando esclusivamente su questa
    questione la sua attenzione ma allargandone l’orizzonte a tutte le inevitabili
    ripercussioni di politica e di economia inerenti l’attività di sciacallaggio
    dell’usurocrazia finanziaria mondiale pro-sionista) risulterà oltremodo
    ‘scomodo’ rispetto a disamine più o meno illuminanti su tutto e il contrario di
    tutto, oggi si dice ‘globali’, a 360 gradi caratterizzate da una pedanteria
    professoral-intellettualistica che veicola concetti distorti a fini di evidente
    distorsione dal fronte principale di combattimento laddove esiste una
    prospettiva di lotta rivoluzionaria che altrove è inesistente! A queste
    considerazioni erano giunti, peraltro con lucidità di analisi e con
    straordinario tempismo, venticinque anni or sono i più qualificati ambienti
    della “sinistra comunista internazionalista” (o per esteso i seguaci di Amedeo
    Bordiga raccolti nell’allora Partito Comunista Internazionalista) i quali, pur
    da prosettive completamente difformi alle nostre, ragionavano sull’opportunità
    di un sostegno alle forze rivoluzionarie “extra-metropolitane” del Vicino
    Oriente – leggasi resistenza palestinese – con particolare riferimento
    all’inesistenza di un’organizzazione rivoluzionaria sul territorio
    metropolitano (ossia sull’inattuabilità di lotte rivoluzionarie in seno alle
    società capitalistiche occidentali). Ciò succedeva in un periodo storico,
    quello dei primi anni Ottanta, che ancora viveva della luce riflessa delle
    ‘scintille’ pseudo-rivoluzionarie, agitatorio-movimentistiche dei cosiddetti
    “anni di piombo” (un dramma e una tragedia assieme per tutto il movimento
    rivoluzionario).

    Nè ci si venga a raccontare che in Europa non sia necessaria un’opera di
    contro-informazione (…unica prospettiva reale e attualmente anche sola
    possibilità offerta a chiunque intenda ancora operare in termini di politica…
    rapporti di ‘forza’ improponibili: 100 a 1 per ‘loro’…) rispetto alle vicende
    vicino orientali: lo è tanto più quando questi avvenimenti vanno nella
    direzione di una radicalizzazione che investe anche gli interessi europei e
    dell’Occidente… Il mondo ‘guarda’ mentre Israele continua indisturbato la sua
    mattanza quotidiana.

    Ora che l’autoproclamatosi “popolo eletto” imponga ovunque la propria lex
    judaica questo non dovrebbe sorprendere più nessuno: uscito vincitore assoluto
    dal 2.o conflitto mondiale l’ebraismo – inteso come un movimento attorno al
    quale si sono fossilizzate le posizioni dello sciovinismo nazionalista
    sionistico, il piagnisteismo olocaustico-vittimistico, le recrudescenze di uno
    spirito vendicativo e il fondamentalismo confessione ebraico che fanno da
    portabandiera dell’attuale schieramento imperial-sionista e identificano tout
    court qualsivoglia elemento della cosiddetta “diaspora” con gli sgherri di
    tsahal (…e non esiste ragione alcuna perchè ciò non avvenga considerando che
    l’identificazione ebreo/Israele è diventata leit motiv delle più piagnucolose
    campagne di stampa e di disinformazione condotte, proprio in nome delle
    rispettive comunità ebraiche, da abilissimi agenti provocatori in sostegno
    della causa sionista…) – ha continuato progressivamente a tessere i fili
    della propria ragnatela imbrigliando la matassa e monopolizzando “per diritto
    divino” e ragione politica il dibattito intorno alla funzione di quinta colonna
    dell’imperialismo dell’entità criminale sionista e aumentando a dismisura il
    suo pressochè incontrastato dominio sulle nazioni europee oramai kippizzate a
    dovere e rese inoffensive e partecipi della grande frode olocaustica. Ciò che
    dovrebbe far pensare è l’assoluta uniformità di vedute quando si tratta di
    dibattere di “questione ebraica”: considerazioni di vario genere hanno impedito
    finora che esistesse la volontà di spezzare l’omertà sinagogico-sistemica che
    irretisce chiunque, tranne forse qualche spirito libero qua e là (…a suo
    rischio e pericolo ovviamente…), dall’affrontamento vis a vis del ‘problema
    ebreo’.





    E allora diciamolo senza mezzi termini: talvolta non nascondiamo di avere
    l’impressione di assecondare i desiderata ed i “fini antisemitici” della stessa
    sinagoga quando ci ‘dilettiamo’ di ebrei ed ebraismo e, non senza timore di far
    loro più di un piacere, ciò indipendentemente da come si scriva e di che cosa
    ci si occupi: non foss’altro per una ragione semplice semplice che investe le
    coscienze ovvero il ‘ragionevole dubbio’ che ad un’azione (in buona fede) di
    smascheramento delle menzogne si sovrapponga (in malafede) una re-azione volta
    a giustificare e perpeturare all’infinito i ‘peana’ e le lamentazioni
    vittimistiche dell’altrui ‘barricata’. Da un lato perchè per gli ebrei sono
    necessarie “voci critiche” e “antisemiti” di comodo; dall’altro lato perchè,
    oltretutto, quest’azione di testimonianza e disinformazione risulta fine a se
    stessa nè trova alcun riscontro plausibile nella società italiana addomesticata
    e dormiente…così come peraltro aveva lucidamente evidenziato anni or sono
    Maurizio Lattanzio laddove – in una “lettera di scuse agli ebrei” (per
    ulteriori informazioni si veda l’articolo “La leggenda dell’Oder” dello stesso
    Lattanzio pubblicato su “Islam Italia” Anno 2 Nr. 16 Aprile 2003) mai
    pubblicata ma indirizzata alla redazione di “Avanguardia” nella primavera 1997
    - sottolineava l’inesistenza di qualsivoglia reazione di fronte al “problema
    eterno” rappresentato da “Israele” e dalla questione ‘maledetta’. Anzi si
    potrebbe constatare che l’”antisemita di comodo” ha una sua funzione ed una sua
    precisa ragione d’essere laddove rappresenta per “Israele” un identificabile
    ‘parafulmine’ sul quale scaricare ‘strali’ e piagnistei d’ogni sorta
    accompagnati da più o meno lacrimevoli invocazioni alla repressione e
    sottolineando l’esigenza di liste di proscrizione oramai di dominio pubblico
    sia nella rete informatica sia a livello di più o meno carta straccia sistemica
    (…del resto si sa che oramai i giornalisti usufruiscono abbondantemente dello
    stesso mezzo informatico quindi….è tutto un ripetersi…decine di libri
    pubblicati raccattando e saccheggiando wikipedia e ‘dintorni’…). Ora non
    nascondiamo dietro ad una peraltro inutile foglia di fico: il problema c’è e si
    pone laddove oltretutto abbiamo appurato la prassi ebraica di infiltrazione ed
    occupazione ‘campale’ (…si ‘accampano’ ovunque…) all’interno delle stesse
    redazioni e dei gruppi dirigenti delle riviste e periodici “anti-sionisti” e
    perfino anti-ebraici (si potrebbe qui citare una nota ‘massima’ che recita che
    fatto un partito antisemita il segretario, il tesoriere e l’addetto stampa sono
    ebrei!). Tant’è questo è quanto avviene ‘normalmente’…quindi invitiamo sempre
    a far riferimento anche – soprattutto – ai nomi (nomen est omen) dei
    responsabili con attenta opera di ‘selezione’. In quanto a noi possiatene stare
    certi: fino ai trisnonni abbiano preventivamente appurato di non aver sangue
    ‘impuro’ nei rami familiari paterno e – soprattutto – materno (è la linea
    matrilineare quella che ‘conta’)….e questo – a scanso di ‘equivoci’ – proprio
    perchè provenendo dalla “Sionne” d’Italia…

    Dunque perchè continuare ad occuparci di “questione ebraica”? Per lo stesso
    motivo per cui non sarebbe conforme dibattere o discutere alcunchè della
    politica – nazionale come internazionale – senza rilevare l’asfittica,
    onnipervadente e onnicomprensiva presenza dell’elemento ebraico che il vero
    motore immobile della storia contemporanea. Qualcuno, in fondo, di ebrei ed
    ebraismo dovrà pur parlarne e – considerando che non ci siano ‘file’ di
    soggetti disposti a ‘spingere’ per occupare uno spazio culturale di
    approfondimento fondamentale qual’è quello relativo alla ‘questione maledetta’
    - qualcuno dovrà continuare a testimoniare…. Altro, onestamente, non è
    pensabile almeno in queste condizioni: rapporti di forza improponibili!

    Tant’è esiste comunque un organo direttivo del Giudaismo Mondiale ovvero il
    Kahal ed è sulla sua funzione e sulla sua influenza che concentriamo la
    presente ricognizione analitica: “Come è possibile – si chiedeva novant’anni or
    sono Henry Ford (3) – che un gruppo numericamente inferiore possa esercitare
    un’influenza così decisiva sul resto dell’umanità? …Due organizzazioni
    ebraiche entrambe interessanti tanto per la loro segretezza come per la loro
    potenza sono la Kehillah novaiorchese e il Comitato giudeo-americano. Dicendo
    “segretezza” ci riferiamo al fatto che sebbene i loro membri raggiungano un
    numero altissimo e prendano parte attiva alla vita americana, la loro esistenza
    e il loro modo di agire permangono del tutto sconosciuti all’immensa
    maggioranza del popolo americano. Se si facesse un referendum a Nuova York,
    risulterebbe che forse un solo abitante su cento risponderebbe di “aver sentito
    pronunciare quel nome. Eppure è accertato che la Kehilla rappresenta il più
    forte fattore politico della vita ufficiale di Nuova York.”.

    Ci fermiamo un momento prima di rilasciare la parola al fondatore della casa
    automobilistica statunitense per l’esposizione sul ruolo e le funzioni del
    Kahal quale organismo centrale dell’Internazionale Ebraica: pensate se si
    potesse realizzare un sondaggio analogo (…di quelli che piacciono ‘tanto’ al
    giudeo Renato Mannheimer….il telesondaggista più famoso d’Italia….e,
    assieme e dietro di lui – pronto domani a prenderne il posto – all’altro giudeo
    Klaus Davi….e poi non ci si ‘dica’ che li ‘vediamo’ ovunque….’sono’
    ovunque! ….ora è la ‘volta’ – fanno a ‘turno’ – della onnipresente Monica
    Setta che ‘raccontano’ “piaccia” anche a qualcuno per qualche scosciamento di
    ‘troppo’…mah…de gustibus non est disputandom si usa ‘dire’ ….’tenetevela’
    voi l’ebrea Setta, che – abbiamo ‘letto’ – “litiga” con la Ventura (altro
    cognome non propriamente ‘ario’) – ….che in ‘giro’ c’è senz’altro di
    meglio…molto meglio!….) nell’Italietta senza sovranità, identità, storia e
    cultura del Terzo Millennio e si ponesse la domanda ‘fatidica’ all’uomo “della
    strada” su, per fare un semplice esempio, “il B’nai B’rith” o “la Lega Ebraica
    di Difesa” organismi rappresentativi della kehillah capitolina? Quale pensate
    sarebbe la percentuale di coloro che risponderebbero positivamente dichiarando
    di conoscerne l’esistenza e sapere esattamente cosa siano queste due
    istituzioni ebraiche (…non parliamo poi di ‘fini’, ‘obiettivi’ e
    attività…)?….Zero virgola e qualcosa probabilmente…

    Perchè di ebrei/ebraismo si (s)parla troppo e a sproposito e normalmente solo
    ed esclusivamente in maniera ossequiosa soprattutto a livelli di istituzioni
    politico-socio-economiche e nel mondo accademico-culturale quest’ultimo, come
    quello giornalistico ovviamente, vero e proprio feudo ebraico. Non sia mai che
    qualcuno si azzardi a mettere in discussione gli ebrei e le loro verità
    sacrosante in una società che ha innalzato la leggenda olocaustica a dogma
    assoluto e si è prostituita intellettualmente alla storiografia
    sterminazionista!

    Tutto è relativo nella società del permissivismo ad oltranza e del
    relativismo; tutto è da rimettere in discussione e dibattere; tutto è aleatorio
    e contingente meno l’olo-dogma e le menzogne della propaganda sionista!
    Sull’”olocausto” hanno espresso infine la loro insindacabile opinione (in
    questo caso “infallibile” per tutto il resto ovviamente no) le più alte
    gerarchie vaticane e lo stesso Pontefice per il quale “chi nega l’Olocausto
    nega Dio!”….E che la scomunica ci fulmini noi poveri stolti ‘bestemmiatori’
    dell’infallibilità vaticana!

    Cinquant’anni di pressioni continue sulla Santa Sede hanno evidentemente
    lasciato più di un ‘segno’….hanno semplicemente giudaizzato i vertici
    ecclesiastici! E non ci si racconti che non esiste “la testa del serpente”….
    il Gran Sinedrio Ebraico che tutto controlla e tutto dirige!

    Prosegue Ford: “La Kehillah novaiorchese ha grandissima importanza per due
    ragioni: perchè non solo rappresenta un esempio vivo e palpitante
    dell’esistenza di uno “Stato dentro lo Stato” ma anche perchè, per mezzo della
    sua Giunta amministrativa, forma il 12.o distretto del Comitato giudeo-
    americano, il quale, a sua volta rappresenta il focolaio della propaganda pro-
    ebrei e antiamericana. Detto con altre parole, l’amministrazione giudea di
    Nuova York forma parte essenziale del Governo giudeo negli Stati Uniti. (…)
    Il Kahal rappresenta la forma genuinamente ebrea di governo e amministrazione
    del popolo disperso. (…) La Kehilla novaiorchese è la maggiore e più potente
    organizzazione ebraica di tutto il mondo. (…) I membri della Kehilla
    appartengono a tutte le classi sociali. Dal presidente del dipartimento delle
    Assicurazioni di guerra – ente che appartiene al Governo degli Stati Uniti -
    fino agli agitatori del gruppo più rosso del quartiere Est di Nuova York. In
    quella grande associazione sono, fra l’altro, rappresentati: la Conferenza
    centrale dei rabbini americani; il Consiglio dei rabbini riformati dell’Est;
    gli ordini indipendenti del B’nai B’rith, B’nai Scholom, Figli liberi
    d’Israele, B’rith Abraham; le Associazioni di Sionisti americani, gli ebrei
    ortodossi e riformisti, gli “apostati”, assimilati, ricchi, poveri, lealisti e
    rivoluzionari.” (4)

    Un pò come, su scala ridotta, avviene presso tutte le altre organizzazioni
    ebraiche internazionali: indipendentemente dal loro ceto sociale, dall’adesione
    o meno alla fede, dal loro ‘credo’ politico esteriore e da altre considerazione
    di ordine sociale, politico o economico gli ebrei formano un tutt’uno con la
    loro comunità all’interno della quale possono dissentire e polemizzare quanto
    vogliono e più gli garberà ma che li vedrà uniti – come un solo elemento -
    quando gli interessi superiori d’Israele verranno messi in discussione! E se
    per i loro fini risulterà necessario farsi passare per “antisemiti” (come
    peraltro accadrà sovente nel corso della storia – e come è stato lucidamente
    ‘svelato’ in un testo del quale ci riproponiamo una recensione scrittoria
    ‘conforme’ (5) – che vedrà ‘frotte’ di ebrei aizzare l’anti-ebraismo dalle più
    disparate vesti e dai più diversi ‘pulpiti’) non lesineranno di essere tra i
    più accesi nemici dei loro correligionari dimenticando fedeltà di razza e
    prostituendosi a ‘dirigere’ eventualmente il ‘coro’ del peggior “antisemitismo”
    di facciata (a che cosa ‘corrisponda’ un simile comportamento ovviamente è
    questione che lasciamo al lettore ‘sviscerare’…si ritorna invariabilmente al
    “cui prodest” ed alle esigenze di un antiebraismo di ‘comodo’).





    Ma ritorniamo al Kahal…che altrimenti ci si accuserà di ‘sviare’ discorso
    (…mah…sarà…di ‘sviamenti’ e ‘diversioni’ strategiche noi ne vediamo
    invece ‘altre’…). Ha scritto Luca Fantini in merito all’anti-ebraismo di
    Dostoevskij – ed alla sua “scoperta” dell’esistenza di un supergoverno ebraico
    dominante la vita socio-culturale russa del XIXmo secolo – che “ Riguardo la
    potenza internazionale del “Gran Kahal”, Dostoevskij, con ogni probabilità, si
    basava sulle rivelazioni del libro di Jacob Brafman (1824-1879), Il Libro del
    Qahal, che possedeva nella propria biblioteca. Brafman, figlio battezzato –
    poiché convertitosi trentaquattrenne al cristianesimo – di un rabbino, docente
    al seminario ortodosso di Minsk e censore di libri ebraici a Vilna, nel suo
    saggio, “Il Libro del Kahal”, “attaccò l’organizzazione ebraica ( Kahal )..
    descrivendola…come uno Stato nello Stato ed affermò che faceva parte di una
    cospirazione internazionale ebraica.. Sebbene Brafman sia stato accusato di
    falso, in realtà il suo libro era una traduzione abbastanza accurata di
    documenti, ed è servito a molti studiosi come fondamento storico per la
    conoscenza della vita intima dell’Ebraismo russo nel diciannovesimo secolo”.”
    (6)
    Anche in questo caso, come si noterà, siamo di fronte ad un “figlio d’Israele”
    che – dopo aver ripudiato le proprie origini ebraiche passa al “contrattacco”
    dell’organizzazione/comunità di appartenenza con l’obiettivo precipuo di
    fomentare l’”antisemitismo”… Accadrà molto spesso. Non solo in Russia.
    Prosegue nella sua interessante disamina il Fantini sostenendo che “ Il Kahal
    è uno stato occulto ultra-talmudista, non solamente talmudista, in quanto,
    secondo le rivelazioni di Brafman, i suoi atti e le sue decisioni avrebbero un
    valore addirittura superiore al Talmud, che si sovrappone universalmente agli
    stati in cui vivono gli Ebrei sparsi per il mondo. Brafman fornisce una
    rilevante documentazione scientifica circa l’esistenza d’un “governo mondiale
    segreto” ebraico, un misterioso Tribunale mondiale riservato agli Ebrei: Il
    posto d’onore nella mia raccolta è occupato dal materiale costituito da mille e
    più delibere, decisioni e atti dei kehalim (direttori sociali) e dei bet-din
    (tribunali ultra-talmudici, NDC) ebraici, sinora ignoto alla scienza e che
    questo libro farà conoscere al lettore… Come si comporta un ebreo, dal suo
    punto di vista etnico-religioso, con i beni, mobili e immobili, di un non-ebreo
    ?.. Nei trentasette atti da noi ricordati nella quinta postilla il lettore si
    convincerà che il Qahal vende ai singoli ebrei nella loro provincia la hazakah
    e la meropie, cioè il diritto al possesso dei beni immobili degli abitanti non
    ebrei e allo sfruttamento di ogni non-ebreo… Disposizioni e decisioni di queste
    istituzioni, confermate da un cherem (la scomunica, l’anatema, la più grave
    sanzione comminata dal bet-din, NDC), per un ebreo sono assai più importanti
    del Talmud.” (7).
    A proposito dell’esistenza di un vero e proprio Tribunale inquisitoriale
    ebraico mondiale – rispondente a quanto tratteggiato dallo stesso Henry Ford
    nella sua definizione della onnipotente kehillah novayorchese – precisiamo che
    l’ebreo Henry Kissinger, segretario di Stato americano presso l’amministrazione
    del coltivatore di noccioline, Jimmy Carter (esponente anch’egli del CFR), sarà
    sottoposto a giudizio e ‘scomunicato’ da un organismo simile per aver permesso
    gli accordi “di pace” di Camp David con i quali l’allora presidente egiziano
    Anwar el Sadat ed il primo ministro sionista Menachem Begin siglarono, il 17
    settembre 1978, la restituzione del Sinai all’Egitto occupato dal 72 dalle
    truppe di Tel Aviv (8). Kissinger subì supino la ‘reprimenda’ – a nulla valsero
    gli autodafè – dinnanzi al Kahal novayorchese.
    Il Gran Sinedrio Ebraico Mondiale è una realtà operativa esistente dall’epoca
    della “cattività” babilonese….Affermarlo sarà pure “complottismo” – come
    riterranno i miliardi di poveri decerebrati per i quali la politica mondiale e
    quella specifica dello “stato” sionista in Palestina sarebbero frutto degli
    ‘eventi’ della storia e ‘casualità’ determinate esclusivamente dalle volontà
    piccolo-imperialistiche di un gruppuscolo di criminali chiamati Irgun o Banda
    Stern -; negarlo – per quanto ci riguarda – è invece palese dimostrazione di
    idiozia cronica, pressapochismo e riduzionismo politici quando non
    dichiaratamente cripto-sionismo foss’anche mascherato da “ragioni”
    nazionalistico-patriottiche (…in merito si vedano le tesi sostenute dal De
    Vries De Heekelingen nel suo “Israele il suo passato il suo avvenire”…).

    Ancora sul Kahal: “Nella celeberrima e prestigiosa Revue Internationale des
    Societés Secrètes (9) si può leggere un interessante articolo sul Kahal, che
    apre vasti orizzonti e spinge ad andare alle fonti. In tale articolo si
    apprende che per gli ebrei il Talmùd è la legge, ma per quanto riguarda la sua
    applicazione, occorre che esista un potere esecutivo e giudiziario, e questo
    appartiene ad un gruppo ristretto di magistrati. Il collegio sovrano di tali
    giudici è il Kahal, che significa: assemblea, riunione, comunità. Il Kahal è
    perciò l’assemblea dei rappresentanti d’Israele. Tale istituzione risale ai
    tempi più antichi, per esempio ai tempi di Mosè. Malgrado la Dispersione (130
    d. C.) il Kahal non perse né influenza né autorità, tuttavia non funzionò più
    alla luce del giorno ma restò confinato all’ombra dei ghetti e delle sinagoghe.
    Oggi come ieri, il Kahal è il regolatore della vita ebraica. «Rappresenta il
    governo di una nazione senza territorio [almeno fino al 1948 n.d.a.], ma
    nondimeno reale e attivo. È uno Stato che si sovrappone, e spesso si oppone,
    agli Stati nei quali vivono gli ebrei» (10). Suo fine è mantenere intatto e
    isolato il popolo ebraico disperso nel mondo, affinché da un lato non sia
    discriminato e dall’altro non perda la sua identità con l’assimilazione; fino
    al giorno in cui il popolo d’Israele avrà il dominio assoluto sul mondo intero.
    Come scriveva nel 1925 l’Albrecht, tale giorno secondo i cabalisti dovrebbe
    iniziare con il 1966! (Un anno dopo Nostra Aetate).”
    Questo ci riporta ovviamente alla questione della “doppia fedeltà” ebraica: se
    esiste, ed esiste, ed è operativo un Governo Mondiale Ebraico – una
    sovrastruttura degli interessi ebraici internazionali – è ovvio che non sia
    assolutamente pensabile pretendere fedeltà da elementi – siano essi laici o
    religiosi, ortodossi o riformati – che riconosceranno sempre altre
    istituzioni, altre leggi ed altre autorità rifiutando quelle degli Stati goyim
    come peraltro evidenzia la storia stessa di un popolo che, per una sua
    caratteristica precipua (psichico-attitudinale) rilevabile in tutte le epoche e
    presso tutti i popoli ai quali si mantennero saldamente estranei, sarà
    straniero tra le genti e nazione tra le nazioni sempre in conflitto tra la
    fedeltà alle leggi ebraiche (Torah, Talmud) e mai disinteressati tentativi di
    “assimilazione” ovvero ad una lenta penetrazione nel corpo sociale ed economico
    delle nazioni non ebraiche che, nonostante tutto, non tradiva i precetti
    comunitari e le direttive kahaliche superiori.
    L’ebreo rimane per sua natura un “rivoluzionario” nel senso di elemento
    sovversivo, disgregatore e disintegratore di qualunque ordine costituito non
    ebraico: la sua natura, la sua indole, la sua psicologia lo rende il principale
    virus d’infezione in seno a qualsiasi società ‘goyim’ in quanto risiede nella
    sua ebraicità quell’autentica smania di rivalsa, di vendetta e di isterico
    malessere per tutto quanto non sia conforme all’identità e visione del mondo
    rovesciata proprie dell’ebraismo. Ebraismo che lungi dall’essere monolitico e
    organico si dirama proprio come un’idra dalle mille teste in differenti entità
    riuscendo tranquillamente a presentarsi sotto vesti – apparentemente e solo
    apparentemente – contrapposte: ecco il segreto di “Israele”!
    Sarà attraverso questa strategia di occultamento e mimetizzazione che gli
    ebrei potranno assurgere alle più alte cariche nelle amministrazioni pubbliche
    e nelle istituzioni delle nazioni militando, indisturbati e mascherati, sia nei
    partiti d’ispirazione democratica che in quelli socialcomunisti, divenendo
    nazionalisti qualora ciò servisse ai loro calcoli e ai loro tatticismi (…
    maestri di tattiche e di manovre oscure non smetteranno mai di usare le loro
    quinte colonne disseminate in ogni dove per la causa d’Israele…) e non per
    sincero spirito di fedeltà (che, d’altronde, gli ebrei non riconoscono nei
    confronti di tutto ciò che ebraico non è).
    “Il calcolo di Israele – scriverà sotto pseudonimo uno studioso fascista (11)
    in pieno conflitto mondiale – era altrettanto semplice che scaltro. Giocare
    simultaneamente sul rosso e sul nero ed avere in mano il banco in modo tale da
    essere sicuro di guadagnare sempre, sia sui numeri rossi, che sui neri, che
    sullo zero. Israele non manca certo di intelligenza. Non per nulla l’ebrea è
    stata definita la “razza di sughero” perchè non va mai a fondo. Con tutte le
    tempeste riesce sempre a star più o meno a galla”.
    Pertanto che l’ebreo sia praticante o ateo, che segua alla lettera i precetti
    talmudici o sbandieri il suo laicismo ai quattro venti, che si professi fedele
    di qualunque dottrina e arrivi a proclamarsi perfino nazionalista ‘convinto’
    non s’inganni il Gentile ( = non ebreo ) saranno sempre, tra noi, come olio
    nell’acqua….nemici e profanatori!

    Perchè, per dirla con Arthur Schopenhauer, “la patria dell’ebreo sono gli
    altri ebrei”….Il ‘resto’ sono solo ‘ciancie’ e blateramenti di crani ebraici,
    di cripto-ebrei e di simpatizzanti d’Israele!



    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    18 MAGGIO 2010





    Note -

    1 – Giovanni Preziosi – “La testa del serpente: il Kahal” – (crf G. Preziosi
    - “Come il giudaismo ha preparato la guerra” – Ediz. “Tumminelli” – Roma 1939)

    2 – Giovanni Preziosi – ibidem;

    3 – Henry Ford – “L’Ebreo Internazionale” – Ediz. di “Ar” – Padova 1971;

    4 – Henry Ford – ibidem;

    5 – Il testo in questione è quello dell’ebreo anarchico Camillo Berneri
    relativo a “L’Ebreo antisemita” pubblicato in francese nel lontano 1935 e
    tradotto e pubblicato in lingua italiana dalla casa editrice Carucci di Roma
    nel 1983. Nel testo in questione sono prese in esame alcune delle figure più
    controverse del ‘panorama’ ebraico: dal prototipo di ebreo “antisemita”
    rappresentato da un Paolo (Saul) di Tarso passando per i molti “inquisitori”
    della Chiesa cattolica di origini ebraiche, dall’antiebraismo di Otto Weininger
    a quello “di difesa” di un Benjamin Disraeli, dall’antisemitismo materialista
    di Karl Marx al razzismo di un Cesare Lombroso. Non mancheranno ovviamente
    considerazioni sui “convertiti” al cristianesimo passati ad un feroce
    antisemitismo. Scrive Berneri nella sua premessa: “Il lettore che si aspetta un
    saggio brillante, perfino divertente, resterà a bocca asciutta e più ancora
    resterà deluso chi vorrebbe una monografia storicamente completa su l’ebreo
    antisemita. (…) I documenti facilmente accessibili non sono molti. Pur non
    volendo sventagliare l’hic sunt leones dei vecchi cartografi, penso di essere
    brutale dicendo che molto raramente mi è successo nel corso delle mie ricerche
    di imbattermi in veri e propri consistenti “filoni”. Qualche piccolo esempio:
    un articolo del Dr. L. Caze su “Quello che sono divenuti gli Israeliti
    convertiti nel XIX secolo” (da “La Revue de Revues” – Paris 1896 p. 430-436)
    finisce con queste parole: Vi sono (ebrei) persino tra gli antisemiti e
    soprattutto tra quelli che credono all’influenza nefasta della razza ebrea e
    all’eredità dei vizi.”. (crf C. Berneri – “L’ebreo antisemita”) ….occorrerà
    senz’altro una ‘ricognizione’ recensoria!

    6) Luca Fantini – “Dostoevskij e il Gran Kahal” – articolo pubblicato per il
    sito Terrasantalibera in data 26 Ottobre 2008;

    7) Luca Fantini – ibidem;


    IL KAHAL – IL SINEDRIO MONDIALE EBRAICO




    Articolo pubblicato sul blog informatico Dagoberto Husayn Bellucci – 2010 | Testi anno 2010 in data 18 Maggio 2010
    LIBERTAD - JUSTICIA - DIGNIDAD
    PATRIA - SOCIALISMO - REVOLUCIÓN

    http://adversariometapolitico.wordpress.com/

  8. #18
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Pertanto che l’ebreo sia praticante o ateo, che segua alla lettera i precetti
    talmudici o sbandieri il suo laicismo ai quattro venti, che si professi fedele
    di qualunque dottrina e arrivi a proclamarsi perfino nazionalista ‘convinto’
    non s’inganni il Gentile ( = non ebreo ) saranno sempre, tra noi, come olio
    nell’acqua….nemici e profanatori!
    Che botta agli amanti del politicamente scorretto :sofico: , ci vuole roba così :giagia: , altrimenti i mass media ti lobotomizzano !
    Ultima modifica di Freezer; 10-08-11 alle 11:33
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

  9. #19
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Recensione Libraria: “LA RIVOLUZIONE FRANCESE NELL’OPERA DELLA MASSONERIA” di Carlo Alberto Agnoli

    RECENSIONE LIBRARIA – “LA RIVOLUZIONE FRANCESE NELL’OPERA DELLA MASSONERIA” di Carlo Alberto Agnoli


    di Dagoberto Bellucci

    “La loggia massonica in ogni parte del mondo agisce inconsciamente da maschera al nostro scopo. Ma l’uso che faremo di questa potenza nel nostro piano d’azione, come i nostri quartieri generali, restano perpetuamente sconosciuti all’universo”
    ( Protocolli dei Savi Anziani di Sion – Protocollo nr 4 )


    “Il grande ideale del giudaismo è che il mondo intero sia compenetrato dall’insegnamento ebraico e che una fraternità universale delle nazioni, un giudaismo allargato, subentri a tutte le razze e religioni”
    ( “Jewish World” – rivista ebraica, 9 Febbraio 1863 cit. da P. Virion – “Le nouvel ordre du monde” – Tequi 1974)


    Esistono libri che spiegano e raffigurano in maniera assolutamente chiara, con documenti dell’epoca, dichiarazioni dei protagonisti e verità insindacabili, periodi e avvenimenti della storia.

    Tra i diversi testi che hanno rappresentato il lavorio sinistro e occulto svolto dalle società segrete per lo scatenamento della rivoluzione francese senza dubbio merita una analisi approfondita il volume di Carlo Alberto Agnoli che ripercorre, a partire da dichiarazioni e documenti di alti esponenti della Massoneria, l’attività destabilizzatrice alla quale furono chiamate in tutta Europa le logge “illuminate” dalla dea Ragione per abbattere la monarchia francese e instaurare l’epoca contemporanea sotto il segno dei nuovi ‘immortali’ principii dell’89 ( Libertè, Egalitè, Fraternità ) primo obiettivo per la disintegrazione dell’ancièn ordre tradizionale europeo (saranno poi le cosiddette “rivoluzioni” nazionali del risorgimento e infine il comunismo a completare l’opera cominciata il secolo precedente dagli agitatori ispirati dalla Loggia).

    Il ruolo di primissimo piano giocato dalla setta massonica appare in tutta la sua profondità, dalle dichiarazioni d’ostilità verso la dinastia francese passando per il sostegno, propagandistico e finanziario, che la confraternita dei nemici della Chiesa darà ai sedicenti rivoluzionari di Francia i quali, nulla più, si riveleranno che semplici comparse di una serie di avvenimenti che saranno lo spartiacque tra età modena e contemporanea ovvero momenti storici nei quali sono ‘deste’ quelle che la tradizione orientale definisce come ‘potenze dell’aria’ e agenti degli ‘etats d’esprits’ incontrollabili i quali finiscono per essere i reali, veri, motori delle azioni dei singoli individui scaraventati sul palcoscenico della storia spesso loro malgrado, agiti più che agenti e marionette di abilissimi burattinai che spesso hanno mantenuto celato il loro ruolo, le proprie responsabilità ed i loro veri obiettivi.

    Tra questi ‘giocolieri’ occulti l’autore riconosce immediatamente l’opera svolta nel Portogallo dal marchese di Pombal, primo ministro ed alto esponente massone, il quale fin dalla metà del XVIIImo secolo si era impegnato per l’abolizione della Compagnia del Gesù.

    Approfittando di un attentato al sovrano portoghese nel 1759 dispose la soppressione dell’Ordine dei gesuiti, la confisca dei loro beni, pene detentive e eliminazione fisica per alcuni di loro e l’espulsione per tutti gli altri.

    “Similmente in Francia, libertini, miscredenti, settari di ogni genere, giansenisti, giurarono ai gesuiti un odio implacabile ed ottennero, nel 1762, lo scioglimento del loro Ordine. Il massone D’Alembert divenne il dispensatore delle cattedre lasciate vuote dai membri della Compagnia di Gesù; ed ora che questi non c’erano più, i giovani sarebbero stati allevati nelle idee nefaste e perniciose dei filosofi illuministi massoni.”

    Che la soppressione dell’Ordine della Compagnia di Gesù fosse stata preordinata come base per la rivoluzione francese sarà rilevato anche a quel tempo da alcuni attenti osservatori come riporta un anonimo che, in un opuscolo datato 1794 e intitolato “Colpo d’occhio d’un vecchio osservatore sopra l’origine della rivoluzione francese, ossia l’abolizione dei Gesuiti”, sottolineava come la maggior parte dei futuri agitatori di folle e ideologi rivoluzionari – da Brissot a Robespierre, da Barnave a Lameth, fossero stati educati dalle nuove accademie laicizzate.

    Fondamentale per la strategia sovversiva delle logge massoniche sarà la ‘caccia’ all’aristocratico: con una tattica cinica e perversa infatti i frammassoni cominciarono fin dalla prima metà del XVIII.mo secolo a fare incetta di nuovi adepti all’interno delle famiglie benestanti e nobili dei diversi paesi europei così che – una volta scatenata la rivoluzione – gli stessi aristocratici finirono coinvolti inevitabilmente in una cospirazione contro sé stessi, stritolati dai meccanismi diabolici che determinarono il nuovo ordine borghese d’Europa che progressivamente avrebbe detronizzato i monarchi, distrutto l’antico ordine feudale e soprattutto aperto la strada verso la laicizzazione = rateizzazione dell’intera società privilegiando le istanze del Quarto Stato in prima battuta e successivamente di ogni genere e sorta di paria, reietti e sottoproletariati (il Quinto Stato) che abilmente sarebbero stati mobilitati come vera e propria armata sovversiva dal Comunismo , ideologia dell’invidia e della cieca violenza creata ad hoc dal giudeo Karl Mordechai Marx un secolo più tardi.

    I cosiddetti ‘nobili’ finirono praticamente in una trappola nella quale si era volontariamente e stupidamente infilati confermando tutti i dubbi e le più che legittime domande sul loro effettivo ruolo oramai in declino di elitè della società.

    Secondo quanto riporta infatti Agnoli: “Il 7 settembre 1734 un giornale di Londra narrava che, in una loggia tenuta a Parigi, nel palazzo della duchessa di Portsmouth, il duca di Richmond, assistito da diversi personaggi, tra i quali vi era anche Montesquieu, aveva proceduto all’accettazione di molti neofiti appartenenti alla più alta nobiltà francese. Nel 1737, un altro giornale diceva che l’Ordine dei massoni, che esisteva da lungo tempo in Inghilterra, era tenuto, a Parigi, in grande favore e, recentemente, 18-20 membri dell’aristocrazia erano stati iniziati.” (*) Dunque la massoneria ufficiale, nata nel1717 inInghilterra, aveva subito trovato la sua collocazione anche nella cattolica Francia, dove, nel 1787 contava ben 636 logge, la cui azione incessante favoriva, spesso attraverso la stampa, il diffondersi di quella frenesia rivoluzionaria che il massone Voltaire, nel 1776, diceva “annunciarsi da tutte le parti”. Il 5 maggio 1789 furono convocati gli “Stati Generali” e il 20 giugno ci fu il famoso giuramento dei rappresentanti del terzo Stato nella sala della Pallacorda. Se la nobiltà e il clero avessero tenuto duro, niente sarebbe accaduto, ma invece i molti rappresentanti dei primi due Stati si unirono a quelli del terzo. Sentiamo il solito Nys: “Se, nel giugno 1789, i deputati del clero, poi quelli della nobiltà si unirono a quelli del terzo stato per formare l’assemblea nazionale, è da credere che ciò fu perché un certo numero di questi ecclesiastici e di questi gentiluomini avevano preso nelle logge l’abitudine di deliberare insieme con semplici plebei…” (**)

    Del resto, il famoso storico Gaxotte, ci informa che i primi ad unirsi al terzo Stato furono 47 nobili massoni, guidati dal Gran Maestro della massoneria nazionale, quel Luigi Filippo d’Orlèans che aveva creato nei sotterranei del Palais Royal, covi di sedizione e clubs di filosofi. L’ambasciatore di Parma, chiaramente riferendosi a lui, faceva sapere alla sua corte che gli agitatori rivoluzionari “sono pagati da un altissimo personaggio” e affermava anche che “si arrestano uomini straccioni con le tasche piene d’oro”. Gaxotte poi, ci informa che dei “banchieri scesero in piazza con le famiglie e i dipendenti e misero denaro, locali, armi e provviste a disposizione dei rivoluzionari. Due di essi, Delessert e Prevoteau, versarono per più di un mese, la somma necessaria al mantenimento di un battaglione” (***).”

    Come si può dunque comprendere fu attraverso il finanziamento dell’alta finanza, il volontario sostegno di insospettabili banchieri e di molti membri dell’aristocrazia francese che il verbo rivoluzionario degli Immortali Principi potè diffondersi come un vero e proprio virus nefasto in Francia e successivamente – attraverso le armate napoleoniche – espandersi per tutto il Vecchio Continente senza che fosse possibile debellarne le idee e l’influenza che andavano prendendo in tutti i paesi.

    La rivoluzione francese come si vede non fu, come non lo sono mai in genere tutti i ‘fermenti rivoluzionari’ i quali sono necessariamente eterodiretti da forze superiori, occulte e sconosciute agli agitatori di piazza, agli stessi capi delle diverse organizzazioni e partiti politici che nulla più rappresentano che delle semplici comparse e delle stolte marionette di un gioco più grande di loro finendo spesso vittime essi stessi del loro fanatismo (capiterà ai rivoluzionari giacobini cadere sotto la scure dell’odio popolare che essi stessi avevano provocato così come avverrà anche nella Russia bolscevica che molti agitatori di piazza comunisti finissero i loro giorni nelle buie prigioni della Lubianka o confinati in qualche gulag siberiano …la rivoluzione esige sangue e richiede tributi…tutto è permesso in nome della rivoluzione …dall’esperienza francese fino ai giorni nostri quante le vittime incoscienti di quella che sostanzialmente si è dimostrata nient’altro che una congiura di pochi eletti ‘illuminati’ che tessevano i fili degli avvenimenti con cinica abilità? Tanti…troppi…); quella spontanea reazione di un popolo affamato come ci descrivono da sempre tutti i libri di scuola educandoci ad una quasi riverente lettura degli eventi storici che colpironola Francia….fu un complotto ordito, pensato, organizzato e messo a segno dai circoli segreti, dalle logge massoniche, da tutti i nemici del vecchio ordinamento sociale fondato sul riconoscimento di un potere superiore e sulla divisione gerarchica in classi della società.

    “…il ‘fratello’ Gaston Martin, nel suo studio, intitolato “La Frammassoneria francese e la preparazione della Rivoluzione” (1) testimonia di un diretto impegno finanziario della sètta per mettere in movimento la gran macchina rivoluzionaria: “non meno importante è il concorso finanziario portato dalla Massoneria all’opera riformatrice. Mettere in moto un simile rivolgimento non poteva non costare molto caro. La Massoneria non risparmiò il suo denaro più del suo tempo e della sua attività intellettuale.”.


    Le rivendicazioni massoniche relativamente al contributo e al finanziamento dato per la realizzazione di quella che sarebbe stata riconosciuta dai massoni come la “rivoluzione-madre” saranno notevoli e, nel corso dei secoli, sempre costantemente riaffermate con orgoglio da tutti i principali Grandi Orienti e dai loro responsabili.

    Uno dei principali esponenti della Frammassoneria, Albert Pike, suprema autorità dottrinale della sètta nella sua versione di rito scozzese antico e accettato, di cui fu Sovrano Gran Commendatore, grado 33°, e autore di un volume “Morals and Dogma” – fondamentale per comprendere il pensiero massonico, i veri ideali e gli obiettivi che si prefigge la sètta – , da molti riconosciuto come una vera e propria ‘bibbia della massoneria’ ha scritto: “Una loggia, inaugurata a Ginevra sotto gli auspici di Rousseau, diventò il centro del movimento rivoluzionario in Francia” e, più avanti, continuava sostenendo che “Quando Luigi XVI fu giustiziato, la metà del lavoro era fatta e quindi da allora l’armata del Tempio doveva indirizzare tutti i suoi sforzi contro il papato” (2) come in effetti avverrà.

    La rivoluzione esige sangue: sangue di rivoluzionari, sangue di contro-rivoluzionari, sangue degli aristocratici e degli ecclesiastici, sangue del popolo che, come avverrà in Vandea – dove si scatenerà il ‘terrore’ – , pagherà caro l’essersi opposto alla “marcia trionfale” della Rivoluzione.

    Agli occhi dei rivoluzionari non deve esistere alcun ostacolo che impedisca il diffondersi delle idee, il cambiamento dovrà essere radicale e intollerante, disintegrare qualunque nemico, ridurre le coscienze critiche della società: è così che nascerà il mito, tutto progressista, dell’avvento di una nuova era fondata su un’eguaglianza mai raggiunta né raggiungibile, mito e utopia indimostrabile, su una libertà che nient’altro significa per molti che nuova oppressione e violenza e su una fraternità inesistente quando si tratta di spezzare le reni ai nemici della rivoluzione.

    Scrive l’autore: “Nel quadro della sanguinaria violenza rivoluzionaria si iscrivono, poi, anche la strage vandeana (circa 250.000 popolari morirono!), che Babeuf ci assicura essere stata predisposta per poter poi attuare una ridistribuzione delle terre (…identiche e pretestuose dichiarazioni saranno concepite con inaudita follia dai capi rivoluzionari bolscevichi nella Russia dei soviet centoventi anni più tardi…ndr), e la distruzione delle città di Tolone e Lione (celebre, a questo proposito la frase scritta su una colonna della città: “Lione ha fatto la guerra alla libertà, Lione non esiste più”). In conclusione, considerando che il Terrore segnò la fine di parecchi rivoluzionari massoni, è bene ricordare, col massone Achille Pontevia che “ogni guerra, ogni rivoluzione, ha avuto i suoi nemici non solo in campo avverso, ma anche nelle stesse fila dei combattenti e che spesso nella storia si avverò quel detto della Sacra Scrittura: “Incidit in foveam quam fecit” (cadde nella fossa che fece)”. Cioè, se molti rivoluzionari furono uccisi, è perché la rivoluzione mangia i suoi stessi artefici.”.

    Non saranno dunque le belle parole di “libertà, uguaglianza e fraternità” a guidare la mano dei rivoluzionari che, in preda ad un vero e proprio delirio orgiastico, finirono con l’esser preda di quel meccanismo diabolico che avevano avviato , utili idioti di un gioco più grande e pericoloso di quanto mai potessero sospettare.

    Questi concetti egalitari nati con l’illuminismo e diffusisi con l’attività dei gruppi giacobini radicali troveranno nella Frammassoneria il principale strumento ed il retroterra , finanziario e ideologico, per l’avvento del mondo contemporaneo: agitatori professionisti e criminali incalliti saranno i burattini dei grandi finanzieri e dell’alta banca internazionale che si metterà al servizio delle diverse ondate sovversive esclusivamente perché ciò farà l’interesse dei veri detentori del potere reale, gli ebrei: i massoni saranno pertanto gli agenti occulti delle strategie sovversive controllate e dirette dall’Internazionale Ebraica come si evince da tutta una serie di dichiarazioni e rivelazioni che confermano gli strettissimi legami fra sétta massonica e giudaismo.

    “La massoneria è un’istituzione ebraica, la cui storia, i gradi, gli incarichi, le parole di passo, le interpretazioni, sono ebraiche dall’inizio alla fine” sosterrà Isaac Wise, rabbino israelita del XIXmo secolo (3).

    “I rapporti tra massoneria e giudaismo sono più intimi di quanto si pensi…il suo spirito è lo spirito del giudaismo, nelle sue convinzioni più fondamentali; sue sono le idee, il linguaggio e, quasi, l’organizzazione” riporta il giornale ebraico “La Veritè Israelite” (4).


    Lo stesso Gran Maestro, Albert Pike, ricorda come “il fondamentale insegnamento adombrato nella “Rivelazione” (scil. Massonica) è tramandato nella Kabalah dei Sacerdoti d’Israele” mentre un alto dignitario della massoneria italiana riconosce che “ciò che la massoneria Scozzese deve alla Cabala è l’allegoria della parola vera che ci darà nelle mani la pienezza della gnosi e la dominazione dell’universo” (5)

    E che il ruolo determinante delle logge massoniche nell’avvento della rivoluzione fosse noto oltralpe viene confermato anche da uno scritto di Giovanni Preziosi sui motivi del silenzio con cui gli storici di regime francesi trattavano della questione relativa al ruolo avuto dalla Massoneria e dagli ebrei negli avvenimenti del 1789.

    Scriverà Preziosi: “Come è, molti si domandano, che A. Thiers, nella sua voluminosa storia della Rivoluzione francese, serba il più assoluto silenzio su l’opera attiva dell’ebraismo e per esso della massoneria? Il fatto si spiega perfettamente, visto che Thiers era massone. Doveva egli molto alla massoneria, soprattutto la brillante carriera che lo portò sino alla Presidenza della Repubblica.

    Il Taine però, che, dal modo come tratta della rivoluzione, non appare certo essere massone, nemmeno lui in “Les origines dela France contemporaine” dice una sola parola su i veri fattori della Rivoluzione francese.

    Il perché del suo silenzio però fu rivelato da lui stesso nella spiegazione che ne dette a E. Drumont e che questi pubblicò ne “La Libre Parole” del 25 settembre 1905. Leggiamo: “Il Taine sapeva perfettamente della parte considerevole avuta dalla massoneria nella rivoluzione; né si dissimulava che il silenzio su tale questione creava una lacuna enorme nella propria opera; ma egli confessava non aver osato parlare, per paura delle vendette da parte della sètta”.

    Probabilmente il Taine era rimasto impressionato dalla misteriosa morte del giurista sassone Eckert, avvenuta nel 1860, dopo la pubblicazione della sua opera “La massoneria nel suo vero significato”.

    Un massone stesso dichiarò sulla “Die Freiermauer von Leipzig” del 17 dicembre 1864 che l’Eckert era stato colpito per mano di un misterioso assassino.

    Di morte non molto diversa finì pure Gougenot des Mousseaux, autore di “Les Juifs, le Judaisme etla Judaisationdes peoples chrètiens”- Egli il 3 ottobre 1876 mostrava all’amico suo Carlo Choliac un biglietto ricevuto alcuni giorni prima. In esso si raccomandava: “Non mangiate né bevete cosa alcuna prima di averla fatta assaggiare al vostro cane, poiché in una riunione segreta di ieri sera gli ebrei vi hanno condannato a morte”.

    Alle dieci della sera Gougenot des Mousseaux aveva mostrato questo biglietto, e nove ore dopo, egli moriva subitamente, dopo aver ricevuto, alle sette del mattino, secondo sua abitudine, la santa comunione nella cappella dell’Ospizio di Coulomniers. (crf Alberto Munito, “Le crime rituel chez les Juifs”, Parigi 1924, pagg. 320-321).

    Il Netchovolodow, dalla cui opera Giuseppe Zoppola (“Imperialismo materiale e imperialismo spirituale” , Venezia, Tip. Istituto Manin) trasse queste notizie, osserva che il dott. Gustavo Le Bon – un erudito che scrive di tutto, delle cose più disparate e in particolare della rivoluzione del 1789 ecc (…) – evita con cura di fermarsi sia sul significato del giudaismo, sia su quello della massoneria. Né sulla psicologia del socialismo ha una parola sola per accennare alla parte che alla sua formazione e al suo sviluppo, ebbero gli ebrei. (…) Assai verosimilmente, nota il Netchovolodow, un tabù misterioso proibisce al dott. Le Bon di parlare di questioni riferentisi ad ebrei e massoni. E chiude con questa significativa osservazione:

    “Il fatto di toccare tali questioni mette immediatamente ogni investigatore in faccia al mistero di questo silenzio voluto e della falsificazione della verità, e , se riesce a terminare l’opera sua, superata la difficoltà di trovare l’editore che la pubblichi e la divulghi, deve affrontare il pericolo di soccombere o per veleno, o per un colpo di rivoltella, o per accidenti provocati da mano misteriosa.” (A. Netchovolodow – “L’Empereur Nicola II et les Juifs” , Etienne Chiron, edit. Paris, Vol. 1.ò pag.67”. E la lista potrebbe continuare.” ( 6)

    La situazione non appare oggigiorno molto migliore: si stampano libri a proprio rischio e pericolo, si diffondono idee, sempre altrettanto a proprio rischio e pericolo; sotto l’occhio vigile della novella inquisizione sinagogica.

    Anche in tempi di apparente, e proprio per questo più sottile e pericolosa, “libertà” d’espressione, anche mediante i nuovi mezzi di comunicazione informatici la scure delle leggi liberticide è lì, pronta, a ricordare a chiunque osi sfidarela Sinagoga quali siano i rischi che si aprono dinnanzi a coloro che osano sfidare i detentori del potere reale dell’Occidente e dell’insieme sgangherato di nazioni del pianeta-papalla alias l’One World mondialista.

    Perfino sulla “rivoluzione madre” esiste una certa omertà sistemica.

    Anche oggi che le carte sono state scoperte dagli stessi ebrei e massoni.

    La “grande orchestra” della Sovversione militante è dunque al gran completo: il Massone dirige gli sprovveduti agit-prop rivoluzionari, gli intellettuali, i pensatori, i rivoltosi ma – sopra di lui, occultato nelle proprie sinagoghe, al centro del potere della finanza mondiale – è l’Ebreo che manovra e fila la tela della disintegrazione delle società goyim = non ebraiche.


    Non casualmente, il ‘caso’ non esiste…, Bernard Lazare, influente storico ebreo, ha sottolineato nel suo volume “L’antisèmitisme son histoire et ses causes” che “la rivoluzione può rappresentarsi come la distruzione dello Stato cristiano e l’indebolimento dell’autorità religiosa” e che, una volta passata la tempesta rivoluzionaria “una delle cose più dovette sorprendere fu certamente la situazione dell’ebreo. Ieri, l’ebreo non era nulla, non aveva alcun diritto, alcun potere e, oggi, brillava al primo posto…era lui che il cambiamento sociale aveva favorito più di ogni altro. Agli occhi dei rappresentanti della tradizione parve che un trono fosse stato rovesciato e delle guerre europee scatenate unicamente affinché l’ebreo potesse raggiungere il rango di cittadino, e la dichiarazione dei diritti dell’uomo, sembrò non essere stata che la dichiarazione dei diritti dell’ebreo”.

    Dietro agli alti ideali ed ai nobili principi che ispiravano l’azione delle masse popolari francesi si nascondeva l’ebraismo cosmopolita il quale fu il solo ad avvantaggiarsi della situazione ascendendo rapidamente i gradini della scala sociale e iniziando a muovere le pedine ‘gentili’ di una partita mortale che avrebbe finito col rendere schiavo in casa proprio l’intero continente europeo.

    “In Italia e Germania – è sempre lo stesso Lazare a parlare – furono le armate della repubblica e dell’impero che portarono gli ebrei all’emancipazione. Napoleone divenne l’eroe e il Dio di Israele, il liberatore atteso…entrò in tutte le città tra le acclamazioni degli ebrei…che sentivano bene che la loro causa era legata al trionfo delle sue aquile” (7)

    Scrive Claudio Mutti nel saggio “Ebraicità ed Ebraismo” : “La carriera di Joseph Suss Oppenheimer è esemplare. L’Europa occidentale, che nella seconda metà del Settecento contava circa quattrocentomila ebrei, era matura per la rivoluzione francese. Questa dichiarò il suo programma allorché proclamò, per bocca di uno dei suoi profeti, l’abate Grègoire: “La Francia di domani vorrà vedere uniti i suoi ideali a quelli che traggono origine dallo spirito di giustizia ebraico”. E Mirabeau, che si era ispirato all’illuminismo di Mosè Mendelssohn, affermò che “ogni uomo lungimirante deve essere lieto che gli ebrei possano diventare dei validi concittadini”. Il 27 settembre 1791 i cinquantamila ebrei francesi si videro riconosciuto il diritto di cittadinanza.” (8)

    Gli ebrei, diventati “cittadini francesi”, inizieranno l’opera di distruzione dello Stato e delle istituzioni fino a quel momento direttamente o indirettamente collegate ai valori della Tradizione e alla Chiesa cattolica contro la quale muoveranno i profeti della rivoluzione, gli atei ed i miscredenti di tutte le risme, semplici burattini nelle mani della Sinagoga.

    Il lavoro occulto e la pressione che verranno esercitate controla Franciaporteranno ben presto al fracasso ogni tentativo di restaurazione monarchica: il paese più cattolico d’Europa era diventato la base di partenza dell’Internazionale Ebraica per la distruzione del continente.

    Concludiamo citando lo stesso Carlo Alberto Agnoli che scrive: “Gli ebrei, del resto, continuano spesso, nel corso dei secoli, a occultarsi, simulandosi di volta in volta, cristiani e musulmani e praticando in segreto i loro culti. In particolare, poi, all’interno dello stesso ebraismo talmudico, nacquero, fin dai tempi di Cristo, delle associazioni segrete, praticanti culti misterici e misteriosi. Queste organizzazioni , che divennero poi predominanti nell’ebraismo, culminarono, verso il 1200, nella Cabala, la quale proliferò, a sua volta, sètte vieppiù esoteriche e segrete. Alludiamo, specialmente, al cabalismo sabbateo. A questo riguardo è estremamente significativo ricordare che una delle figure di spicco di questo cabalismo, l’ebreo Yacob Franck (9) – fondatore di una sètta che esiste ancor oggi, i Doenmeh, alla quale, secondo la voce che corre tra gli ebrei, avrebbe appartenuto anche il protagonista della rivoluzione turca, Kemal Ataturk – andava predicendo, tra il 1775 e il 1780, parecchi anni, cioè, prima della Rivoluzione Francese, evidentemente con buona cognizione di causa, “una rivoluzione generale che avrebbe travolto molti regni e in particolarela Chiesacattolica”.”

    La massoneria dunque quale strumento dell’Internazionale Ebraica.

    Il massone quale utile idiota dell’Ebreo.

    Niente di nuovo sul ‘fronte’ occidentale….

    In Occidente non si muove foglia che ‘l giudeo non voglia…

    Au revoir

    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    10 Agosto 2011 -

    NOTE –

    (*) – Ernesto Nys – “Origini, glorie e fini della Massoneria” – Ediz. “Arnaldo Forni” – ristampa dell’edizione di Roma 1914;

    (**) – Ernesto Nys – “Origini, glorie e fini della Massoneria” – ibidem;

    (***) Pierre Gaxotte – “La rivoluzione francese” – Ediz. “Arnoldo Mondadori” – Milano 1989;

    1)Gaston Martin – op. cit. ed. “Le Presses Universitaires de France” – 1926; cit. in Leon de Poncins – “La F.M.d’après ses documents secrets” – Diffusion dela Pensèe Française, 1975;

    2)Albert Pike – “Moral and Dogma” – Vol. VI , pag. 156 – Ediz. “Bastogi” – 1984;

    3)Isaac Wise – “The Israelite of America” , 3 Agosto 1860 – cit. in Yann Moncomble “L’irrèsistible expansion du mondialisme” – pag. 212;

    4)“La Veritè Israelite” , 80, Rue Taitbout, tomo 5, 1862, pag. 74, citato da Leon de Poncins – “La F.M.d’après ses documents secrets” – op. cit. ;

    5)S. Farina – “Il libro completo dei rituali massonici” – Fratelli Melita Editori – 1988, pag. 443;

    6)Giovanni Preziosi – articolo “Il perché del silenzio degli storici francesi sulle responsabilità dell’ebraismo” da “La Vita Italiana” del 15 Febbraio 1939, cit. nella raccolta “Giudaismo Bolscevismo Plutocrazia Massoneria” – Ediz. “Hohenstaufen” 1944;

    7)Bernard Lazare – “L’Antisèmitisme son histoire et ses causes”;

    “Napoleone era di origine semita? Disraeli lo ha detto, l’autore di ‘Judaisme en France’ lo sostiene. E’ certo che le isole Baleari ela Corsicaservirono di rifugio a molti ebrei cacciati dalla Spagna e dall’Italia, i quali finirono per convertirsi al Cristianesimo e, come era avvenuto in Ispagna, presero i nomi dei grandi signori che avevano fatto loro da padrini: gli Orsini, i Doria, i Colonna, i Bonaparte” – cit. da Eduard Drumont – “La France Juive” – Paris, tomo premier, pp. 300-301;

    Un’altra testimonianza non irrilevante è quella che ci viene dal massone François Collaveri il quale sostiene che Napoleone Bonaparte fosse stato iniziato alla Massoneria durante la campagna d’Egitto. Lo storico della massoneria italiana, Aldo Mola, ne condivide le conclusioni definendo Napoleone “fratello” e, sia pure esprimendo un’ombra di dubbio, concorda con l’autore nel ritenere che egli fosse “uno strumento attraverso il qualela Massoneria pervenne a realizzare i propri obiettivi” .

    Il massone Nys scriverà invece: “L’impero fu per la massoneria un periodo di vera prosperità. Il Grand’Oriente finì per avere alla sua obbedienza 823 logge e 337 capitoli, e i nomi delle persone che li componevano mostrano chiaramente l’importanza che l’istituzione aveva acquistata. Nel 1807, per non citare che quest’anno, Giuseppe, Re di Napoli e di Sicilia, grande elettore dell’Impero, era Gran Maestro; il principe Cambacèrès ed il principe Murat erano Gran Maestri aggiunti; tra i grandi dignitari figuravano i marescialli Kellerman, Massena, Lannes, Angereau, Lefebre, Serrurier, Brune, Mortier, Soult, il consigliere di Stato Simèon, il ministro della polizia generale Fouchè, il gran giudice Règnier, il procuratore generale della corte di cassazione Merlin, scienziati illustri come Lalande e Lacèpède” ( “Origini, glorie e fini della massoneria” – pag. 110);

    8)Claudio Mutti – “Ebraicità ed Ebraismo” saggio introduttivo a “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion” – Edizioni di Ar – Padova 1976;

    9)Sulla figura di Jacob Franck si consiglia il nostro articolo “Il Frankismo” reperibile all’indirizzo informatico Il frankismo, Dagoberto Husayn Bellucci

    Recensione Libraria: “LA RIVOLUZIONE FRANCESE NELL’OPERA DELLA MASSONERIA” di Carlo Alberto Agnoli
    Ultima modifica di Johann von Leers; 10-08-11 alle 17:18
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
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    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    JIHAD AL BINA’A – L’ORGANIZZAZIONE PER LA RICOSTRUZIONE DI HIZB’ALLAH

    di Dagoberto Husayn Bellucci


    Nell’ottobre 2006 , quarantacinque giorni dalla fine dell’aggressione
    sionista, incontrammo nei suoi uffici il dr. Adnan Sammour – responsabile
    dell’organizzazione per la ricostruzione del partito sciita libanese di
    Hizb’Allah nel Libano meridionale – che ci ricevette nella sede centrale di
    Derdghayah (qualche km a nord-est di Tiro) di “Jihad al Bina’a”. Unitamente ad
    altri responsabili di questa essenziale struttura, incontrati nello stesso
    periodo tra le macerie ancora fumanti dei quartieri sciiti di Beirut sud e
    nella Beka’a settentrionale a Ba’albak, il dr. Sammour oltre ad illustrarci la
    struttura, la storia e l’attività di “Jihad al Bina’a” fece il punto della
    situazione post-bellica e ci consegnò diversi opuscoli e documenti relativi
    alle iniziative più importanti e ai lavori di ricostruzione edilizia affidati
    dal partito alla sua associazione. Riportiamo di seguito una sintesi
    dell’intervista allegandovi notizie e informazioni su Jihad al Bina’a.

    “Jihad al Bina’a” letteralmente “Sforzo per la Ricostruzione” è
    un’associazione non governativa filiazione di Hizb’Allah. I quadri dirigenti
    sono tutti membri del partito sciita di Sayyed Hassan Nasrallah.
    L’organizzazione per la ricostruzione sciita opera prevalentemente nelle aree a
    maggioranza sciita ma ha diversi uffici e sedi anche nel resto del paese: nel
    nord, sulla costa, nel Monte Libano, nello Chuf druso.

    La sede centrale dell’associazione è a Haret Hreik nel cuore della periferia
    meridionale di Beirut ed è rimasta vittima dei bombardamenti alleati
    dell’estate 2006 come tutti i principali enti collegati direttamente o
    indirettamente al partito di Dio. Lungo la cosiddetta “linea blu”, la linea di
    demarcazione della frontiera tra il Libano e la Palestina occupata, Jihad al
    Bina’a è presente nei principali centri compresi i villaggi a maggioranza
    cristiana di ‘Rmeish, Ain ‘Ebel, Safad Battikh, Rashayam Fakkhar e Deir Mimas.

    La principale sezione distaccata dell’organizzazione per la ricostruzione
    oltre a quella di Derdghayah (nel sud) ha sede a Ba’albak nella Beka’a
    settentrionale ‘santuario’ di Hizb’Allah. A Jihad al Bina’a sono collegate due
    compagnie edilizie “Foussoul Company” e “Al Raed Company” rispettivamente
    operative nella Beka’a e nel Libano meridionale.

    La nascita di Jihad al Bina’a è direttamente collegata agli sviluppi bellici
    della situazione libanese durante il conflitto civile. L’organizzazione nacque
    infatti nel 1985 nel quartiere sciita di Bir el Abad (Beirut sud) dopo che
    un’attentato terroristico organizzato dalla Cia statunitense fece crollare un
    edificio provocando la morte di 85 civili. La ricostruzione di quel palazzo fu
    la prima iniziativa di ricostruzione dell’organizzazione che da allora non ha
    mai smesso di sostenere lo sviluppo edilizio nei villaggi del Libano
    meridionale e nelle zone a maggioranza sciite in particolar modo rendendosi
    attiva dopo le aggressioni sioniste del 1993, del 1996 (operazione “Grappoli di
    furore” che portò ai massacri indiscriminati di Cana, Mansour e Nabathiyeh) la
    liberazione del sud nella primavera 2000 e quattro anni fa dopo l’ennesimo
    conflitto con l’entità sionista che provocò la distruzione di quasi trentamila
    abitazioni, la morte di oltre 1400 civili e il ferimento di altre 3500
    persone.

    Anche l’organizzazione per la ricostruzione conta tra le proprie fila
    numerosi martiri assassinati dal fuoco sionista: si ricordano qui brevemente
    l’ingegner Nizar Saleh e i suoi collaboratori Mohsen Bjeiji, Mohammad Taleb,
    Lufti Madi, Bassam Aknan trucidati sul loro posto di lavoro dagli israeliani
    nella regione dello Jabal Amel.


    Numerose le branche d’attività e le sezioni operative in cui si suddivide la
    struttura generale dell’organizzazione: esistono dipartimenti tecnici,
    produttivi, agricoli, amministrativo-finanziari e i tre centri per le aree a
    maggioranza sciite della Beka’a , del Sud e della periferia meridionale della
    capitale Beirut. Il dipartimento di studi si occupa della specializzazione in
    ingegneria per l’architettura, gli studi civili, la meccanica, l’elettricità e
    l’idraulica. E’ in questo dipartimento che sono formati i quadri dirigenti di
    Jihad al Bina’a.

    I finanziamenti, come ci confermò nella nostra visita l’ing. Sammour, sono
    derivati dalle attività di collegamento con enti ed istituzioni private
    libanesi all’estero. A Jihad al Bina’a arrivano aiuti privati da tutto il
    mondo. L’organizzazione è volontaristica e recluta in tutti i principali centri
    sciiti del paese soprattutto quando si tratta di fronteggiare emergenze post-
    belliche. Tra i principali interventi di ricostruzione uno dei più importanti
    riguarda la rete scolastica: i progetti edili in questo settore sono collegati
    al progetto “Imam al Mahdi (a.s.) schools” per l’edilizia scolastica che ha
    visto nascere istituzioni religiose private nelle località del sud (Charkieh,
    Majadel, Tiro, Ain Kana, Ghazieh, Ain Mezrab) a Beirut ( Ouzahi, Bir Hassan) e
    nella Beka’a (Bezzaleya e Chmestar).

    L’attività di ricostruzione per quanto riguarda le abitazioni ad uso privato
    è stata celere e ha interessato numerose zone del paese: dal Jabal Amel alla
    Beka’a settentrionale fino ai villaggi del sud sottoposti al fuoco sionista.
    Interi villaggi rasi al suolo dai bombardamenti israeliani sono stati
    ricostruiti: dalle abitazioni civili agli esercizi commerciali, dalle strade
    alle scuole fino agli ospedali. “Israele” non ha risparmiato con i suoi raid
    terroristici niente distruggendo tutto quanto ha trovato sulla sua strada:
    ponti, infrastrutture, strade e autostrade.

    Dopo l’aggressione del 1993 il numero dei villaggi colpiti fu di 90 , il
    numero delle case ristrutturate oltre 5000. Dopo l’operazione “Grappoli di
    furore” lanciata dall’esecutivo sionista diretto da Shimon Peres (il nobel per
    la “pace” di Oslo) il numero dei villaggi colpiti fu di 102 , 4217 le
    infrastrutture ad uso abitativo ricostruite e 803 le attività commerciali
    ripristinate da Jihad al Bina’a. Dopo l’ultima aggressione di quattro anni fa i
    numeri sono quadruplicare forse quintuplicare. Jihad al Bina’a comunque ha
    sempre rimesso in piedi ciò che i sionisti distruggevano.

    Altro settore specializzato del quale si occupa l’organizzazione è quello
    della costruzione o riabilitazione dei luoghi religiosi: 44 costruiti e oltre
    60 quelli rimessi a nuovo in particolar modo nella Beka’a dove sono stati
    eretti i santuari dedicati a Sayda Khawla , sorella dell’Imam Hussein (a.s.),
    sito a Ba’albak e l’importante mausoleo dedicato al martire Sayyed Abbas
    Moussawi , segretario generale di Hizb’Allah martirizzato nel febbraio 1992
    assieme alla moglie, al figlio e ad alcune guardie della sicurezza. Il mausoleo
    sorge nel villaggio di Nabih Chit.


    Centri culturali e sanitari costituiscono un’altro settore d’intervento di
    Jihad al Bina’a: dall’Accademia culturale e sociale di Khatem al Anbia’a a
    Beirut alle Hussayniat intitolate all’Imam Khomeini a Ba’albak e all’Imam al
    Mahdi (a.s.) a Ain el Tineh nella Beka’a fino alle imponenti costruzioni di
    ospedali che hanno interessato numerose regioni del paese: a Toul nel sud
    (ospedale di Sheick Ragheb Harb martire della Resistenza Islamica), a quello di
    Nabathiyeh passando per il centro medico Batoul di Hermel (Beka’a) e ai
    sanatori di Kherbet, Machghara, Yohmour, Kasernaba e Kafersala tutti nella
    Beka’a.

    Essenziale anche l’attività svolta nel settore agricolo dove Jihad al Bina’a
    ha costruito e realizzato numerosi progetti con simposi e sessioni tecnico-
    scientifiche annuali e numerosi interventi nelle fattorie del sud e della
    Beka’a. Il Comitato Agricoltura dell’organizzazione è diviso in due
    dipartimenti che si sono occupati anche della costruzione dei centri-studi
    tecnici nati a Doures e Hermel nella Beka’a. Sotto l’egida del Ministero
    dell’Agricoltura sono annualmente svolte esibizioni che si occupano di fare il
    punto della situazione tecnica e scientifica e presentare all’opinione pubblica
    i successi conseguiti nel campo dell’agricoltura da Jihad al Bina’a.

    Anche questo è Hizb’Allah! Anche questa è l’attività al fianco del popolo
    svolta da decenni dalle sue organizzazioni. Anche questa è “resistenza”!
    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia Stampa “Islam Italia”

    da Nabathiye (Libano Meridionale)

    Articolo pubblicato sul sito internet Arianna Editrice in data 09 Aprile 2009
    JIHAD AL BINA’A – L’ORGANIZZAZIONE PER LA RICOSTRUZIONE DI HIZB’ALLAH
    Ultima modifica di Johann von Leers; 10-08-11 alle 17:18
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

 

 
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