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Discussione: Dagoberto Bellucci

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    Predefinito Dagoberto Bellucci



    Dagoberto Bellucci è il Direttore Responsabile dell’Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    Nato a Livorno il 25 Giugno 1970 , residente a Modena, Dagoberto Husayn Bellucci vive a Beirut dall’estate 2004.
    Militante del MSI-DN nel trienno 1988-90 ha aderito successivamente alla Comunità Politica di “Avanguardia” di cui è stato collaboratore e responsabile della redazione emiliana del mensile omonimo pubblicato a Trapani pubblicando articoli dal 1988 al 1995.

    Ha aderito all’Islam sciita nell’estate 1994. Saggista e autore di articoli di politica internazionale, religione e sulla questione ebraica e il sionismo.

    Direttore Responsabile dei periodici “La Legione” e “Proiezioni Future” pubblicati a Modena tra il 1989 e il 1990 ha collaborato con i periodici:
    - “Italia Tricolore” (settimanale di politica di Lugo di Romagna) nel 1992 con articoli di revisionismo storico;
    - “Il Puro Islam” (mensile islamico sciita di Napoli) nel 1994-96;

    Direttore Responsabile del mensile “Islam Italia” pubblicato a Modena dal 2002 al 2004 ha avuto uno spazio dedicato alle tematiche di geopolitica e politica internazionale nella rubrica “Observer” a Telestudio Modena (2002/2003).

    Ha collaborato con il periodico “Assadakah” (organo del Centro Italo-Arabo e del Mediterraneo di Roma) (2002/2007), con la Radio di Stato iraniana in lingua italiana (Irib- Radio Italia) di Teheran e con il sito Terrasantalibera (2009/2010).

    Corrispondente da Beirut (Libano) per il quotidiano “Rinascita” di Roma (2006/2007) e per il trimestrale di studi geopolitici “Eurasia” (2006/2009).
    Suoi articoli e interviste sono apparse sui siti internet: TerraSantaLibera.org, Italiasociale, Altermedia, Novopress, Il Dialogo, Ambienteweb, InfoPal, Assadakah, AriannaEditrice, Al Jaziira, Irib-Radio Italia, Aurora, Cpe (Coordinamento Progetto Eurasia).
    Interviste a Bellucci sono comparse anche su “La Gazzetta di Modena”, “Il Resto del Carlino”, “L’Unità”.

    Durante l’aggressione sionista al Libano del 2006 è stato spesso ospite intervistato dalla radio “Al Nour” e alla tv “Al Manar” di Beirut (legate a Hizb’Allah) mentre altre interviste da Beirut sono andate in onda sulle televisioni di stato della Siria, del Pakistan, sulla tv satellitare italiana “Arcoiris” e in un dossier realizzato da una tv privata francese con i giornalisti stranieri presenti in Libano nell’estate 2006.
    Altre interviste sono apparse sul quotidiano algerino “al Chourouk” e sulla televisione privata libanese “New Tv”.

    Bellucci è autore dei volumi “L’Islam e l’occidentalizzazione del mondo” (ediz. “Effepi” – Genova 2002) , “Iraq 2003: la seconda guerra giudaica contro Saddam Hussein” (ediz. “Effepi” – Genova 2003), “Islam e Globalizzazione” (ediz. “Il Cerchio” – Rimini 2003), “I-tal-yà: Ebrei e lobbies ebraiche in Italia” (ediz. “Effepi” – Genova 2003), “Conoscere l’Islam” (ediz. “Il Cerchio” – Rimini 2005), “Introduzione storica alla questione palestinese” (ediz. “Noctua” – Molfetta , Bari – 2006) , “Gli assassini della verità: Revisionismo, Olocausto e Questione Ebraica” (pubblicato on-line dal sito delle Aaargh edizioni – 2007) e “Il Governo Mondiale Ebraico” (pubblicato on-line dal sito Terrasantalibera – 2009).
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  2. #2
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    La “svolta rosa” del ‘Jew York Times’

    30 giu

    LA “SVOLTA ROSA” DEL ‘JEW YORK TIMES’

    http://dagobertobellucci.wordpress.c...ew-york-times/


    - di Dagoberto Bellucci





    “Il noto miliardario, fabbricante di automobili, Henry Ford presidente, C.J. Ford vice-presidente ed E.B. Ford segretario tesoriere della società editrice del giornale “Dearborn Indipendent” , hanno (agosto 1920) ufficialmente dichiarato di accettare l’intera responsabilità della pubblicazione di tre articoli antisemiti pubblicati dal giornale stesso. I tre articoli – che hanno eccitato il furore del ghetto americano padrone di Wilson e di tanti altri – trattavano di questi temi: 1) il problema ebraico nel mondo e l’Internazionale ebraica; 2) la resistenza della Germania al dominio ebraico; 3) l’ebreo negli Stati Uniti. Lo scrittore mostrava la piovra ebraica che ha ghermito enormi e sanguinosi profitti di guerra, ed accaparrato i posti dirigenti della vita sociale. La Germania lottava disperatamente per districarsi dai tentacoli di quella piovra che aveva piazzato ai ministeri gli ebrei Haase, Landsberg, Kautsky, Cohen, Herzfeld; a capo delle finanze, Schiffer e Bernstein; agl’interni Preuss e Freund; al servizio stampa (propaganda e censura) Fritz Max Cohen dell’ebraica “Frankfurter Zeitung”. Infine l’autore studiava la piovra ebraica negli Stati Uniti con tre milioni e mezzo d’ebrei, dei quali più che uno e mezzo a New York.

    Quasi tutta la proprietà immobiliare della metropoli è in loro mano. Essi sono padroni assoluti delle industrie aziendali teatrali e cinematografiche, delle industrie dello zucchero e del tabacco, di più che metà dell’industria delle conserve di carne, di più che il 60 per cento dei calzaturifici, di tutta la industria d’abiti confezionati, delle case editrici musicali, della gioielleria, del commercio granario e cotoniero, delle fonderie del Colorado, della stampa e delle sue agenzie, delle banche di prestito e commercio…Insomma essi sono “dietro” a tutta la forza vitale del paese. Ed il “Dearborn Independent” concludeva: “L’ebraismo è il potere più fortemente organizzato della terra…Esso forma uno Stato che può contare sulla illimitata devozione dei suoi cittadini in qualsiasi paese, in qualsiasi condizione e fortuna essi si trovino.”.”



    ( Giovanni Preziosi – articolo “Potenza ebraica in America” – da “La Vita Italiana” del 15 Aprile 1921)









    La storia dell’ebraismo è ‘zeppa’ di figure femminili che sono riuscite a metabolizzare alcuni dei tratti ‘antropologici’ dell’ebraicità: un nome per tutte quello della “regina” Esther per la quale, annualmente, i giudei dei quattro angoli del pianeta celebrano in pompa magna la “festa” del Purim (che nell’entità criminale sionista denominata “Israele” assume i contorni di una sorta di gioioso carnevale…gli ebrei si ‘divertono’ così… ricordando stragi e mattanze compiute dai loro avi…secondo la ‘leggenda’ sarebbero stati almeno 80mila fra arabi e persiani passati a fil di spada dall’autorità imperiale persiana su sobillazione della sgualdrina ebrea divenuta, grazie alla complicità dello zio Mardocheo, la “regina” di Persia).



    Le donne hanno sempre giocato un ruolo attivo all’interno delle comunità ebraiche e sono davvero molti gli esempi al femminile di quell’arte non esclusiva degli ‘eletti’ di Sion che è il malaffare, il raggiro, il tradimento, la cupidigia, l’inganno…si ‘dice’ del resto che le femmine di ogni latitudine, razza o ‘religione’ ne siano abbondantemente ‘esperte’…le ebree evidentemente hanno unito i due fattori (quello razziale a quello sessuale): una miscela a dir poco esplosiva.



    Tant’è dobbiamo riconoscere anche un certo, innegabile, ‘fascino’ (…il fascino dell’orrendo…) quando parliamo di femminilità ebraica ed anche di un altrettanto ingannevole ‘carattere’ tipico nelle femmine ebree di ieri e del presente. Un po’ come racconta Aliza Lavie che nel suo “Le preghiere della donna ebrea” scrive: “Alla vigilia dello Yom Kippùr del 2002, ho letto su un giornale un’intervista con Chen Keinan, una donna che aveva perso la sua bambina Sinai, e sua madre Ruthi Peled, in un attacco terroristico in un centro commerciale di Petach Tikva, Israele. In un istante, Chen era diventata sia una madre privata della figlia, sia un’orfana. Dopo l’attacco, Chen e suo marito, Lior, hanno lasciato Israele e si sono trasferiti negli Stati Uniti. Questa intervista, lo sentivo, era un addio alla società israeliana. Chen era incapace di contenere il panico; restare nel paese dove aveva subito la perdita di ciò che aveva di più prezioso al mondo, era diventato troppo difficile da sopportare.

    L’articolo mi aveva scioccato e aveva provocato in me un miscuglio di emozioni burrascose. Il panico e la disperazione di Chen, il suo grido dal profondo del cuore mi avevano lacerato, lasciandomi perplessa e schiacciata dalle domande. Volevo abbracciarla; volevo offrirle parole di conforto, rafforzare il suo spirito. Quando più tardi mi sono recata alla sinagoga per il Kol Nidrè, non riuscivo a pregare. Le parole del libro di preghiere mi sfuggivano. Il poco che ero riuscita a leggere era bagnato dalle mie lacrime. I pensieri si rincorrevano nella testa e mi trasportavano fuori dalla sinagoga, oltre i muri e attraverso i confini del tempo. Pensavo alle molte donne ebree nel corso della storia che avevano subito perdite simili a quella di Chen ed erano rimaste forti. Volevo raccontare a Chen di queste donne, i cui meriti sono conservati in eterno dal Creatore; donne come le nostre matriarche Sara e Rachele. Volevo raccontarle di Elishèva, figlia di Aminadàv, che perdette i suoi figli Nadàv e Avihù; di Ruth la moabita; e di Glückel di Hamelin. Volevo trasmetterle la forza e il coraggio delle donne ebree in Italia; dirle della mia stessa nonna, Hannah Mashiah, che era emigrata da Buchara dove era una donna rispettata, benestante e che aveva sopportato il lutto e la povertà nella Terra Promessa: aveva dato alla luce nove figli ma, già a trentasei anni, ne aveva persi tre ed era vedova. Avrei sussurrato a Chen che la fede incrollabile e risoluta di mia nonna e la sua partecipazione alle funzioni religiose tre volte al giorno, ogni giorno, tutto l’anno, erano il fondamento del mio stesso profondo legame con l’ebraismo. Mentre stavo lì, in piedi in sinagoga, combattendo con le domande di Chen e rendendomi conto che il libro di preghiere che avevo in mano non avrebbe potuto fornirmi le risposte, mi sono decisa a cercare il segreto dell’eredità di mia nonna ed esplorare la fede, eterna e potente, delle donne ebree.” (1)

    Al di là della ‘piagnucolante’ lamentela iniziale relativa alla contabilità cimiteriale dei ‘caduti’ di parte del pluri-decennale conflitto arabo-israeliano che oppone il lucido fanatismo dei combattenti per la liberazione della Palestina alla sbirraglia terroristica sionista e ben oltre il significato stretto delle considerazioni che l’autrice sottintende citando l’episodio che apre la prefazione al suo volume possiamo semplicemente ricordare ai sionisti di ogni angolo del pianeta che con molte probabilità non sarebbero obiettivi militari tutti i cittadini ebrei presenti nella Palestina storica se – nella primavera del 1948 – con una decisione unilaterale che andava contro gli stessi mandati delle Nazioni Unite, contro il diritto internazionale stabilito dalle stesse istituzioni sovranazionali più o meno direttamente controllate e comunque ispirate ad una visione internazionalista d’impronta giudeo-massonica ed infine contro qualsivoglia logica di tolleranza e civile convivenza – i palestinesi non fossero stati radicalmente spogliati delle proprie terre, cacciati dalle loro case e costretti ad emigrare come ‘appestati’ per tutto il resto del mondo arabo dalle azioni della banditaglia sionista.

    Non ci si venga a ‘raccontare’ la ‘fola’ della “terra senza popolo” e del “popolo senza terra” tanto cara agli ambienti sionistici internazionali: che la Palestina sarebbe diventato un focolare di sangue e terrore una volta insediatisi i primi accampamenti giudaici era chiaro fin dalla fine del XIXmo secolo quando cominciarono le rivendicazioni faziose e arroganti del messianismo ebraico d’impronta religiosa che si sarebbe ben presto saldato, conciliandosi in un mix di criminalità e cinismo odiosi quanto ipocriti, al nazionalismo sionista che avrebbero portato rapidamente alla colonizzazione ebraica della Terrasanta.

    Dei morti ammazzati di razza ebraica ci interessa ‘poco’: rimanessero, gli ebrei, nei paesi d’origine e certamente avrebbero meno ‘problemi’ anziché prolungare quella lenta ma inesorabile agonia che – un giorno o l’altro – vedrà scomparire inghiottito dalla marea araba il loro Stato-pirata.

    In ogni ‘caso’ abbiamo avuto anche l’opportunità di apprezzare – molto più di quanto non ‘sembri’ – la dirompente apparizione forumistica di una ‘gentile’ (…si fa per ‘dire’…) rappresentante del “popolo eletto”….al di là delle ‘apparenze’ (ingannevoli quanto una bella femmina) non lesiniamo di riconoscere ad Arba una sua ‘funzione’… ‘Meglio’ comunque di tanti – veri o presunti – camerati.

    Ma lasciamo ‘memorie forumistiche’ più o meno ‘passate’ e occupiamoci della cronaca che ci riporta al presente con una notizia passata relativamente sottobanco o, per essere più corretti, ‘silenziata’ dall’enfasi ‘rosa’ con la quale è stata ‘passata’ agli “animaletti parlanti” (… ‘rileggetevi’ cosa ‘dice’ in proposito di noialtri ‘Goyim’ il Talmud…) la nomina del nuovo direttore del principale quotidiano statunitense.

    Scrive “La Repubblica”: “Jill Abramson sarà il nuovo direttore del New York Times al posto di Bill Keller, 62 anni, che lascia per diventare giornalista a tempo pieno della cosiddetta ‘Vecchia Signora in grigio’. Newyorkese, 57 anni, la Ambramson è entrata al Times nel 1997 dopo aver lavorato al Wall Street Journal. E’ stata corrispondente da Washington, responsabile dell’ufficio di corrispondenza del quotidiano nella capitale Usa fino a diventare caporedattore del prestigioso quotidiano. “Quando ero piccola a casa mia il Times era religione”, ha spiegato Abramson, “se scriveva qualcosa, quella era l’assoluta verità”. (2)


    Ora la notizia in sé non è affatto uno scoop come qualcuno ha tentato di venderlo: se notizia c’è , ammesso che poi lo sia realmente, non è tanto la nomina della Abramson in quanto donna alla guida del principale quotidiano statunitense quanto il suo pedigree razziale: la prima donna ebrea chiamata a dirigere il “New York Times”.

    E per non farsi mancare niente al ‘rito’ dell’incoronazione della nuova “eroina” ebrea ad annunciare la fresca nomina è stato l’editore in persona, l’altro ebreo Arthur Sulzberger.

    Qualcosa di ‘nuovo’ dunque sul ‘fronte occidentale’? Assolutamente niente.

    L’America sempre più feudo degli e per gli Ebrei….ed il suo quotidiano di ‘punta’ sempre più “Jew York Times”…

    ‘Contenti’ loro…





    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”



    Note –

    1 – Aliza Lavie – “Le preghiere della donna ebrea” – Ediz. “Morashà”, 2010;

    2 – “Jill Abramson alla guida del NY Times – E’ il primo direttore donna in 160 anni” da “La Repubblica” 2 Giugno 2011;
    Ultima modifica di Avversario; 05-08-11 alle 00:06
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  3. #3
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

    di Dagoberto Husayn Bellucci









    “Chi vola alto è sempre solo”

    ( Rudolf Nurejev )

    “eh già
    sembrava la fine del mondo
    ma sono ancora qua
    ci vuole abilità
    eh, già
    il freddo quando arriva poi va via
    il tempo di inventarsi un’altra diavoleria

    eh, già
    sembrava la fine del mondo
    ma sono qua
    e non c’è niente che non va
    non c’è niente da cambiare

    col cuore che batte più forte
    la vita che va e non va
    al diavolo non si vende
    si regala

    con l’anima che si pente
    metà e metà
    con l’aria, col sole
    con la rabbia nel cuore
    con l’odio, l’amore
    in quattro parole
    io sono ancora qua

    eh, già
    eh, già
    io sono ancora qua

    eh, già
    ormai io sono vaccinato, sai
    ci vuole fantasia
    e allora che si fa?
    eh, già
    riprenditi la vita che vuoi tu
    io resto sempre in bilico
    più o meno, su per giù

    più giù, più su
    più giù, più su

    più su, più giù
    più su, più giù
    più su, più giù
    più su

    col cuore che batte più forte
    la vita che va e non va
    con quello che non si prende
    con quello che non si dà

    poi l’anima che si arrende
    alla malinconia
    poi piango, poi rido
    poi non mi decido
    cosa succederà?

    col cuore che batte più forte
    la notte “adda passà”
    al diavolo non si vende
    io sono ancora qua

    eh, già
    eh, già
    io sono ancora qua
    eh, già
    eh, già
    io sono ancora qua
    io sono ancora qua
    eh, già
    eh, già”

    ( Vasco Rossi – “Eh già” – Album “Vivere o niente” , 2011 )


    “Ancora una volta ho rimasto solo ”

    ( Don Backy – “Ho rimasto” – Album “L’amore” , 1965 )







    2011 …. “odissea nell’ospizio” o giù di lì…. “ricominciamo” come canta Adriano Pappalardo … nuova “ripartenza scrittoria” perché …siamo ancora qua… eh già.

    Indifferenti a quanto ci circonda oramai da una vita, assolutamente impermeabili alle dissertazioni più o meno intellettualoidi altrui e sostanzialmente insensibili ai mutamenti (…dove e soprattutto di quali mutamenti vogliamo parlare? forse delle cosiddetta “primavera araba”? o meno prosaicamente del sommovimento sovversivo pro-sionista che ha tsunamicamente infranto assetti geopolitici pluridecennali destabilizzando la sponda meridionale del Mediterraneo e le nazioni arabe quale semplice preludio alla realizzazione di quel progetto, vecchio di almeno 5 anni, di creazione di un “New Great Middle East” = Nuovo Grande Medio Oriente paventato dalle fondazioni “made in USA” di matrice neo-conservatrice, patrocinato dalle diverse amministrazioni statunitensi e realizzato attraverso il concorso dei “soliti” ‘utili idioti’ di ogni risma e colore politico ossia dai mercenari ‘demokippizzati’ ‘raccattati’ qua e là nelle diverse nazioni arabe? …mah…che dire…ne ‘riparleremo’ senz’altro…per quanto possa ‘valere’…) di idee, mode e costumi di società antropologicamente schiantate dove gli animaletti parlanti del “pianeta delle scimmie” si divertono ad un’auto-rappresentazione illusoria fine a se stessa….è il circo massimo dell’ipocrisia e della vacuità, vaticinio dei “tempi ultimi” annunciati dai Testi Sacri di tutte le Tradizioni, la caduta libera dell’individuo nel baratro di un caos che diviene, giorno dopo giorno, la sola costante di una quotidianità svuotata di senso e di logica.

    “Ricominciamo” senza alcuna volontà che non sia semplice testimonianza, senza ‘impegno’ e, soprattutto, senza pretesa alcuna di esser presi sul ‘serio’ (…la “serietà” nel mondo rovesciato dei burattini sinagogico-sistemici la lasciamo agli ‘altri’… conviene ed è pure ‘salutare’..) …siamo stati distrattamente ‘impegnati’ a osservare le recenti vicissitudini di un’umanità in agitazione, sommovimenti di anime perse in stato confusionale …il mondo ‘rovesciato’ che ‘freme’ alla ricerca di una direzione di marcia, di obiettivi, di speranze.

    Gli apprendisti stregoni del Nuovo Ordine Mondiale e le loro organizzazioni occulte e palesi di dominio (Council on Foreign Relations, Bildeberg Group, Trilateral Commission e ’affini’) sono riusciti a fare tabula rasa dei sogni depredando le ultime prospettive di individui, popoli, nazioni.

    Questi alchimisti della finanza mondiale attraverso le loro fondazioni e multinazionali, organismi decisionali quali il W.T.O. o la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale o il Nafta; hanno disintegrato qualunque illusione lasciando il pianeta in mutande e l’uomo-massa contemporaneo intento a deambulare incoscientemente in un deserto di promesse mancate.

    La società dell’edonismo e dell’individualismo, il sistema dello sfruttamento dell’individuo e della sua onnicomprensiva spoliazione e riduzione a larva umana, la realtà di un mondo sempre più ingovernabile dove si è perso il senso profondo della vita e dell’uomo promuovendo una dimensione dell’essere esclusivamente fondata sull’apparenza, sull’avere e sul contro-valore determinato dalla materia (si è ciò che si ha…piaccia o dispiaccia… questo è il ‘sistema’ e i risultati si vedono…) confermano indiscutibilmente che la ‘rotta’ è inalterabile, il timone ‘puntato’ verso il nulla, le vele ‘levate’… si naviga a ‘vista’, in direzione contraria senza meta e nell’attesa quasi spasmodica di un evento catalizzatore (un porto d’attracco o il naufragio finale)…poco importa sia positivo o negativo…arrivati a questo punto, per i più, ‘conta’ solo ed esclusivamente salvare la ‘pellaccia’ (la malapartiana ‘pelle’ quella che interessa all’uomo della strada, al cittadino inebetito, al ‘qualunque’ …eroi e santi non appartengono, da un pezzo, a questo mondo), nel bene o nel male occorre mettersi al riparo da qualunque sorpresa ( “lunga sarà la fine” ci ricorda Franco Battiato); del resto le ‘avvisaglie’ di tempeste imminenti non mancano…le perturbazioni sono all’ordine del giorno …e non stiamo parlando di meteorologia purtroppo.

    Il luccichio prodotto dal benessere delle metropoli del Terzo Millennio prova vanamente ad occultare la disperazione di interi popoli ed i disastrosi esiti di frammentazione che hanno disintegrato troppe nazioni nei quattro angoli del pianeta; comunità nazionali consumate dalle ricette economiche e dai programmi finanziari escogitati in nome e per conto della Globalizzazione da alchimisti impenitenti cinici e senza scrupoli che amano utilizzare i grandi apparati finanziari, le multinazionali e le banche centrali per adottare progetti e idee tesi alla realizzazione sconsiderata e affannosa di quello “sviluppo” e di quel “progresso” dei quali l’Occidente continua a farsi ‘portatore’ ed ‘esportatore’ unitamente agli altri due pilastri della Grande Menzogna: la democrazia e i “diritti umani” teste di ponte ideologiche dell’uniformazione planetaria mondialista alias il Governo Unico Mondiale.

    Il Governo Unico Mondiale è , fuori da qualsivoglia equivoco, il “pianeta-papalla” delle bestiole parlanti asservite al modello di sviluppo consumistico imposto dal sistema di sfruttamento del Capitale ossia dall’insieme delle dinamiche di schiavizzazione monopolistica realizzate contro individui, popoli e nazioni dalle elitè’s oligarchiche del denaro, gruppi di pressione lobbistici, trust’s industriali, multinazionali, fondazioni e organismi sovranazionali più o meno ‘occulti’ , defilati rispetto ai tessuti socio-economici nazionali e situati al di sopra delle istituzioni e delle organizzazioni politiche visibili le quali oltre ad essere state svuotate di senso e di autorità rappresentano esclusivamente sé stesse …mai come nei tempi recenti i politici si sono genuflessi al rango di camerieri dei banchieri.

    Modello economico-finanziario consumista, dominio capitalista della finanza senza volto, intelaiatura istituzionale democratica all’esterno e rigidamente gerarchico-piramidale all’interno del cerchio di potere il Sistema Mondialista rappresenta il motore immobile dell’occidentalizzazione (alias americanizzazione) planetaria, principale organismo dirigente le sorti della politica e dell’economia mondiale e strumento di interessi talvolta anche contrapposti dei diversi raggruppamenti dello schieramento plutocratico dell’Oligarchia del Denaro.

    Al di sopra e oltre le strutture “semi-occulte” mondialiste si situa, in posizione dominante e prevaricante, la plurimillenaria progettualità infero discendente dell’Internazionale Ebraica, axis mundi di segno ‘contrario’ e vettore dissolutivo di qualunque Tradizione, nucleo centrale di tutta l’elaborazione filosofico-ideologica e principale centro d’irradiazione contro-iniziatica che ha attraversato le vicende dell’umanità affiorando impetuosamente sul palcoscenico della storia a cominciare dal XVIII.mo secolo (illuminismo, rivoluzioni americana e francese, immortali principi dell’89, dichiarazione dei diritti universali dell’uomo) prendendo le redini dei principali movimenti sovversivi nel secolo successivo fino all’apoteosi ed al trionfo nel XX.mo secolo dell’idea materialista rappresentata dalle due bestie trionfanti l’ultimo conflitto mondiale (il giudeo-bolscevismo sovietico ed il giudeo-capitalismo americano).

    Disintegratosi e scioltosi come neve al sole il modello comunista d’ispirazione marxista, distrutto senza onore dai McDonald’s del benessere occidentale, resta in piedi, gonfio e tronfio dei suoi successi e delle sue conquiste, il capitalismo consumista d’impronta statunitense attualmente il modello di sviluppo ritenuto più idoneo e conforme alle volontà di sfruttamento e dominio planetario dei “signori del denaro” per i quali, ricordiamolo, l’obiettivo terminale rimane l’instaurazione di un Governo unico mondiale, l’One World, da realizzare mediante la diffusione, la libera circolazione e l’esportazione di beni, servizi, capitali e lavoratori in un melting pot (il “calderone etnico” dei senza storia, soggetti senza identità e radici che popoleranno, domani, il villaggio globale dei “figli di nessuno” senza casta e senza nome) informe e multicolored che rappresenterà il substrato umanoide dei lobotomizzati del futuro prossimo venturo.

    Il modello capitalista statunitense è attualmente il principale vettore dissolutivo su scala planetaria, gli Stati Uniti rappresentando il “Grande Satana”, principale ensemble di produzione di ogni sorta di abiezione, centro d’irradiazione ed espansione permanente di qualunque avvilimento etico e morale attraverso le mode demenziali, la creazione e l’esportazione di modelli e stili di vita anti-tradizionali e cuore del potere tecnologico e militare (quindi della forza determinante i rapporti di forza e gli assetti geopolitici e strategici tra le nazioni) dell’Occidente.

    Occidentalizzazione, mondializzazione, globalizzazione del pianeta non sarebbero dunque nient’altro che l’americanizzazione planetaria più o meno forzata: dietro alla politica estera statunitense si nasconde infatti il progetto di uniformazione mondiale dei modelli istituzionali, l’esportazione della democrazia come slogan e obiettivo minimale precedente o coincidente alla colonizzazione economica, al livellamento normativo e al modellamento culturale su scala globale preludio di quella normalizzazione delle idee che domani sarà imposta in nome del pensiero unico neo-liberista….siamo dinnanzi ad una delle più terrificanti dittature che l’umanità abbia mai conosciuto solo che i più fanno finta di non saperlo o non vogliono riconoscerlo.

    Le strategie di prevaricazione ed i programmi d’interferenza negli affari esteri delle altre nazioni rappresentano per Washington il ‘metodo’ attraverso il quale verranno gettate le teste di ponte di una colonizzazione più profonda alla quale partecipano alacremente multinazionali e fondazioni, lobbie’s e cartelli industriali, banche e istituti finanziari ma anche cinema e letteratura, mode e musiche, sport e slogan pubblicitari, costumi e mass media ossia tutte le principali ‘armi’ di distrazione/distruzione di massa proprie dell’Occidente.

    La cloaca a stelle e strisce americana, autentico cuore del capitalismo predatorio contemporaneo e centro dell’imperialismo mondiale, ha dunque una sua funzione di rullo compressore rispetto alla più vasta ed articolata strategia globale di sottomissione e dominazione propria del Mondialismo sistema nefasto che sfrutta attualmente la base culturale, politico-militare, socio-economica e tecnologica degli Stati Uniti d’America per imporre modelli di consumo, mode e costumi il più omogenei possibili su scala planetaria.

    La pretesa superiorità dell’Occidente rispetto al resto del pianeta dipende da una serie di fattori diversissimi tra loro non da ultimo dall’efficacia dimostrata negli ultimi secoli da un tipo di organizzazione che mobilita, inquadra e gestisce al meglio tutti i sistemi ed ogni tecnica per lo sfruttamento funzionale ai propri interessi di ogni prodotto della scienza e dell’evoluzione tecnologica; per il mondo occidentale trattasi di sfruttamento funzionale di qualunque risorsa disponibile per la realizzazione del suo obiettivo di dominazione che passa indistintamente dalla disciplina militare alla propaganda e rappresenta il principale “armamentario” ideologico ed il macchinario sociale essenziale determinanti il divario rispetto a qualunque altra forma di civilizzazione e nei confronti di tutto ciò che Occidente non è.

    Il ruolo svolto dai media nella società informatica del Terzo Millennio, l’influenza culturale esercitata da film e soap opera, serie e reality televisivi, videoclip e mode si rivelano come strumenti di dominio ben più temibili ed efficaci di qualunque esercito e di qualsivoglia ordigno nucleare.

    Il potere di penetrazione che questi mezzi esercitano è tale da determinare un’influenza devastante anche in zone del pianeta apparentemente pronte a resistere in quanto non esiste resistenza alcuna di fronte al fascino della seduzione emanato dallo “star-system” – stereotipo della contro- civilizzazione materialista occidentale e demenziale paradigma del carrierismo esasperato della nostra epoca - ossia di un modello vincente e di una realtà melliflua che si insinua, penetra e sconvolge dall’interno destabilizzando le strutture di una società, mutandone i modelli di riferimento, i valori, e mutando i destini delle giovani generazioni particolarmente attratte verso l’effimero: sono questi aspetti ‘double face’ dell’occidentalizzazione, subdoli e affascinanti insieme, che vanificano ogni forma di resistenza attiva.

    E’ un processo di disintegrazione ontologica e schiantamento psicologico dell’individuo, della sua coscienza e della sua volontà, ed insieme è un moto inarrestabile di sovversione occulta che mina al cuore, colpendo direttamente al centro, la vita e l’avvenire dei popoli e delle nazioni vittime sacrificali della “Grande Parodia”, del mito rovesciato del coca-capitalismo che si sposa con tutte le principali forme di barbarie moderne conosciute nell’ultimo secolo da quando cioè gli Stati Uniti si sono assunti, auto-incoronandosi, il titolo di “gendarme planetario”.

    Che dire dunque? In attesa del “New World Order”, metafora contemporanea della Grande Tribolazione biblica, noi siamo ancora qua…piaccia o dispiaccia…

    E siamo qua stavolta senza ‘adulatori’ e ‘fan’, senza ‘simpatizzanti’ e ‘supporter’s’ perché “ancora una volta ho rimasto solo” ….o, come recita un noto adagio popolare, perchè “meglio soli che male accompagnati” e onestamente parlando la ‘compagnia’ non è stata delle migliori negli ultimi anni…

    Dunque poche ‘ciancie’…in solitudine continueremo la ‘marcia’ attraverso il nulla della contemporaneità post-nichilista concordi con Milan Kundera che ne “Lo scherzo”, romanzo del 1967, sottolineava più che legittimamente come “a condannare un uomo alla solitudine non sono i suoi nemici ma i suoi amici”.

    Poco ‘male’…. Reine Malouin ci ricorda che “la solitudine è la patria dei forti” ( “Profonds destins” )…Tiremm innanz più determinati di ieri.

    Dunque si ‘ricomincia’ come sempre “al di là dell’approvazione o della disapprovazione altrui” perché… “ci vuole un fisico bestiale per fare quello che ti pare” (Luca Carboni)…e noi continuiamo a fare ciò che maggiormente ci ‘aggrada’ e ‘piace’….

    “A me me piace” parafrasando Gigi Proietti in un noto ‘spot’ pubblicitario…

    A noi piace assai….da una vita!

    DAGOBERTO BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    30 Maggio 2011







    LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

  4. #4
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    appennino emiliano immagino! bel posto

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    LA "PRIMAVERA ARABA" -

    IL CAPPIO DELL’USUROCRAZIA MONDIALISTA AL COLLO DELLA NAZIONE ARABA: IL CASO TUNISIA




    di Dagoberto Husayn Bellucci










    La cosiddetta “primavera” dei popoli arabi con le sue sollevazioni virulente e le rivolte pagate a caro prezzo in molte nazioni dell’altra sponda del Mediterraneo sono fenomeni che, a sentire molti osservatori ed esperti di politica internazionale, hanno rappresentato una novità di rilievo meritevole di analisi approfondite e commenti più o meno autorevoli.

    Qualcuno, e fra questi diversi leader’s mondiali, ha addirittura scomodato l’epocale caduta del comunismo, il crollo del muro di Berlino e la scomparsa dei regimi del socialismo reale nell’Europa orientale, a quanto accade negli ultimi mesi all’interno della nazione araba.

    Il fenomeno popolare delle sollevazioni antigovernative che, a cominciare dall’inizio del gennaio 2011, sembra interessare progressivamente le diverse realtà statali del mondo arabo, espandendosi a macchia d’olio dal Maghreb fino alla penisola arabica nasce come rivolta contro corruzione e malaffare, oligarchie e potentati, regimi e autorità delegittimate in patria e persistenti soltanto ed esclusivamente attraverso il sostegno incondizionato loro concesso dall’esterno: per capirci questi regimi si sono mantenuti saldamente al potere grazie alla fiducia loro riposta dalla cosiddetta “comunità internazionale” ossia dalle diverse amministrazioni degli Stati Uniti d’America, dai governi dell’Unione Europea, dall’assise mondialista delle Nazioni Unite e da tutti gli altri organismi di controllo sovra-nazionali rappresentanti gli interessi diretti o indiretti delle Multinazionali e della finanza mondiale.

    A nessuno sarebbe mai venuto in mente che, in un così breve arco di tempo, avremmo assistito alla caduta rovinosa di due pedine fondamentali del fronte filo-occidentale del mondo arabo quali erano Hosni Mubarak in Egitto e Zine el Abidine Ben Alì in Tunisia…la loro cacciata a furor di popolo e la fine ingloriosa del loro pluri-decennale regime sono la risultante di diversi fattori ognuno direttamente collegato con l’esperienza di governo che, al Cairo come a Tunisi, si fondava su una supina accettazione popolare di uno status quo fatto di ladrocinio di Stato, malcontento diffuso, repressioni sbirresche ed una persistente sfiducia in un cambiamento pacifico degli assetti di potere.

    Egiziani e tunisini erano vittime e insieme corresponsabili dello stato di paralisi profonda delle loro rispettive società costretti a subire e mantenere inalterati i meccanismi di ‘do us des’ contrattuali che rappresentavano l’intreccio diabolico di affari privati e finanza pubblica, interessi immediati della cerchia presidenziale e relativo entourage e riconoscimento e sostegno internazionale incondizionato senza i quali né Mubarak né Ben Alì avrebbero potuto costruire il loro potere personale, le proprie fortune e le loro posizioni di rendita politica che hanno fruttato al primo una trentennale dittatura personale ed al secondo 23 anni di altrettanto solitaria e indiscriminata impunità.

    Mubarak e Ben Alì avevano, questo è senza dubbio vero, costruito nel corso degli anni i propri feroci apparati repressivi capaci di condizionare, pesantemente, la vita nazionale e dirigere il corso degli eventi traghettando i rispettivi paesi dagli anni caldi dell’esperienza bipolare della guerra fredda al mondo multipolare del caos disorganizzato della globalizzazione e del dominio unipolare statunitense ma se questo è accaduto è stato essenzialmente proprio perché Washington per prima, quale principale alleato delle due oligarchie arabe, ha contribuito pesantemente ed a più riprese al salvataggio delle due economie, al finanziamento delle rispettive macchine belliche (soprattutto di quella egiziana) e dei rispettivi servizi d’intelligence garantendo la legittimazione sul piano politico di autorità fortemente criticate in casa loro.

    La strategia americana di controllo e stabilizzazione dei delicati equilibri geostrategici regionali nella fascia maghrebino-mediorientale era tesa alla formazione, edificazione e cementificazione di quel vasto ‘fronte arabo moderato’ di nazioni ‘amiche’ da opporre in loco ed alla bisogna allo “Stato-canaglia” di turno o al movimento “terrorista” di routine…per capirci l’esistenza politica prima ancora che umana dei due satrapi maghrebini risiedeva essenzialmente nelle relazioni intraprese da entrambi con le diverse amministrazioni statunitensi indipendentemente da quali fossero le ‘intenzioni’ yankee rispetto alla scena geopolitica mediorientale anche a fronte di eventuali interventi militari USA sempre, di fatto, avallati e sostenuti dai due burattini filo-occidentali.

    Che il fuoco covasse sotto le ceneri di una imperturbabile pluri-decennale paciosa rendita era nell’aria e così è stato: rivolte popolari nate più o meno spontaneamente nella vicina Algeria per motivazioni contingenti legate al rincaro dei prezzi alimentari (situazione analoga a quella che si produsse a metà anni Ottanta nella stessa area e pagata a caro prezzo, all’epoca, dall’Ennadah, il partito islamista di Rachid Ghannouchi, come poi – qualche anno più tardi – l’avrebbe pagata ancor più pesantemente il F.I.S. , Fronte di Salvezza Algerino, di Abassi Maidani, nella vicina Algeria), sostenute dalla piazza e dai principali partiti dell’opposizione – specialmente al Cairo dove i Fratelli Musulmani hanno atteso l’evolversi della situazione dei primi momenti di ribellione prima di pronunciarsi dichiaratamente e scendere con tutto il loro peso politico e militante nelle strade e piazze della capitale egiziana – e profondamente risolute nella rivendicazione di nuovi spazi politici, di un mutamento radicale, della necessità di cambiare una situazione di immobilismo politico che, oltre a paralizzare i palazzi del potere assoggettandoli alla vanagloria di pochi notabili di corte, ha ridotto anno dopo anno entrambe le nazioni in una condizione di povertà diffusa, con esistenze al limite del tollerabile, un diffuso precariato ed una inevitabile mancanza di speranze soprattutto nelle nuove generazioni cresciute come funghi e a dismisura in condizioni di inaccettabile passività ed all’ombra di un potere sempre più arrogante e insieme ottuso, insensibile e indifferente nei confronti degli umori della società che amministrava come fosse, né più né meno, la propria servitù domestica.

    I motivi di fondo che hanno portato anche rapidamente alla fine dei regimi tunisino ed egiziano stanno essenzialmente in questo spaccato di disinvolta e incosciente ebbrezza del potere; di autorità che avevano progressivamente contribuito a creare un pauroso deficit in quanto a rappresentatività e credibilità, lacerando le diverse anime del tessuto sociale, disintegrando speranze e alimentando quotidianamente inquietudini, paure, sensi di frustrazione e di smarrimento nei confronti del futuro, dando l’impressione e alimentandola giorno dopo giorno con i propri silenzi di un menefreghismo disinvolto rispetto ai troppo evidenti problemi quotidiani….Mubarak e Ben Alì da questo punto di vista non hanno mai neanche minimamente accennato a voler cambiare rotta nella gestione privatistica del sistema di potere di tipo feudale, un’oligarchia familiare tenutaria di ogni destino della nazione e del suo patrimonio pubblico, che hanno eretto e controllato in prima persona per tre decadi il primo e 23 anni il secondo.

    Analizzando nel dettaglio la situazione tunisina salta immediatamente all’occhio come il paese di Ben Alì fosse diventato, da almeno quindici anni, una sorta di laboratorio per le alchimie sociali dei signori del vapore mondialista: le ‘riforme’ strutturali dell’economia tunisina, lodate dal Fondo Monetario Internazionale fin dalla seconda metà degli anni Novanta, il ruolo prioritario di ponte fra sponda meridionale e settentrionale del Mediterraneo attraverso il turismo avevano garantito a Tunisi la palma di “preferita” ed un ruolo di primissimo livello all’interno del panorama arabo e nord-africano.

    La Tunisia è una delle nazioni arabe con il più alto tasso di educazione, la cultura della popolazione è fondamentalmente laica fattore questo che fece fallire la precedente rivolta del pane degli anni Ottanta alla quale aveva dato il suo appoggio il movimento islamico di Ghannouchi e, non certo irrilevante, è il suo ruolo di ‘ponte’ e interlocutore privilegiato per l’Europa.

    La cosiddetta “primavera tunisina” o “rivoluzione” secondo la vulgata corrente ha fatto passare in secondo piano i motivi economici che sono a nostro avviso determinanti per comprendere le cause reali di quella sollevazione di massa.

    L’economia tunisina per molto tempo sottoposta ad un rigido controllo statale venne trasformata, a partire dal 1986, inuna economia di mercato attraverso un programma di risanamento strutturale avviato secondo le disposizioni e seguendo le indicazioni del F.M.I. in particolare per quanto concerne la liberalizzazione dei prezzi, i tassi di interesse e degli investimenti, la promozione dei settori privati ed una riforma radicale dei settori a partecipazione statale. Fondamentalmente i tunisini pagarono ‘dazio’ e chinarono la testa di fronte ai diktat dei potentati mondialisti ed i risultati non tardarono apparentemente a dare ragione al governo di Ben Alì il quale ha alacremente perseguito in tutti questi ventitre anni una politica di liberalizzazione delle importazioni sostenendo tutte le iniziative che avevano come obiettivo quello di incentivare gli investimenti stranieri.

    Escludendo pochissime aree strategiche il governo di Tunisi diede il via ad una privatizzazione selvaggia del terreno coltivabile ponendo in affitto oltre 250mila ettari di quello che rimane, con il 16% sul PIL uno dei fattori di base dell’economia nazionale che si fonda in massima parte sui servizi (55%) tra i quali in particolare il turismo il quale rappresenta la seconda fonte di valuta estera del paese.

    Anche il commercio rappresenta un perno dell’economia tunisina con le esportazioni che costituiscono il 29,7% del PIL e le importazioni che arrivano al 43,6% del PIL. Dal 1995 il volume degli scambi è cresciuto ogni anno in media del 10%, anche se la bilancia commerciale tunisina continua ad essere in deficit a causa del forte rialzo dei prezzi mondiali dei prodotti energetici, dell’aumento del cambio del dollaro rispetto al dinaro e di una difficile stagione agricola.

    I problemi reali, che erano coperti dalla propaganda del regime di Ben Alì, iniziarono ad emergere dopo lo scoppio della recente crisi economica globale. Al di là di quanto affermato dalle autorità locali, le quali andavano negando persino la possibilità di ripercussioni sensibili sull’economia del paese africano, divenne chiaro a tutti che il modello tunisino non avrebbe retto all’intemperie su scala globale che stava per abbattersi sulle principali economie planetarie.

    Taoufik Baccar, Governatore della Banca Centrale di Tunisia dell’epoca Ben Alì, andava ripetendo con orgoglio che “la crisi non colpiràla Tunisia” sostenendo che le cause che erano all’origine dei sommovimenti economici internazionali, in massima parte attribuibili alla proliferazione dei crediti ipotecari ad alto rischio denominati “Subprime” accordati dalle banche USA ad una categoria di clienti a basso reddito, non interessavano il paese.

    Questa forma creditizia, che andò aumentando nel periodo 2001-2006 sulla scia della forte crescita del settore immobiliare negli Stati Uniti, era essenzialmente legata alla politica di distensione monetaria condotta dalle autorità monetarie americane. Una politica che ha portato il principale tasso direttore della Federal Reserve all’1% nel giugno 2003, contro il 6.5% di fine 2000.

    L’allora governatore tunisino sostenne, invero con assai poca lungimiranza, che il controllo dei 3 possibili canali di trasmissione della crisi, e soprattutto degli investimenti di beni in valuta straniera nella Borsa di Tunisi, sarebbe stato sufficiente a scongiurare ogni contagio del mercato nazionale.

    In maniera alquanto maldestra e sottostimando gli effetti su scala globale della crisi l’allora responsabile della Banca Centrale tunisina sostenne che: “La Tunisiasarà presente tanto in campo economico quanto in campo finanziario. La nostra economia é ben preparata a resistere ad ogni effetto avverso della congiuntura internazionale e ha sviluppato una capacità al fine di evitare la trasmissione dell’attuale crisi” arrivando a sostenere che le basi del mercato della borsa tunisina fossero sane come avrebbe dimostrato il fatto che gli indicatori afferenti alle imprese della costa denotano chiaramente la solidità della propria situazione finanziaria.

    A turbare i ‘sogni’ in rosa del direttore del massimo istituto bancario tunisino e tanto paventato ottimismo sarebbero stati l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile ed il rallentamento della crescita economica dell’ultimo biennio (2009-2010) rallentata da una media del 5 ad una più contenuta media del 3% riflesso della diminuzione della domanda dall’Europa che ha fatto sentire i suoi effetti negativi in particolare nel settore servizi, nel manifatturiero, nell’estrazione mineraria e naturalmente nell’agricoltura.

    Un deficit commerciale del 12%, disparità sociali sempre più evidenti, inflazione che viaggia ad un ritmo del 4,5%, disoccupazione salita di un punto nei due anni della crisi (dal 13 al 14%) con punte del 30-35% tra le giovani generazioni la miscela esplosiva era semplicemente pronta da far esplodere ed è quanto accaduto all’inizio dell’anno in corso: una forza-lavoro relativamente qualificata cui non corrisponde una effettiva possibilità di espansione del mercato può soltanto implodere su se stessa o esplodere come è successo prendendo a pretesto un banalissimo rincaro dei prezzi di alcuni generi alimentari di base premessa e pretesto della sollevazione che avrebbe sconvolto l’intera fascia settentrionale del Maghreb con la sola eccezione – per il momento – del Marocco.

    L’uscita di scena del presidente Ben Alì valse, il 19 gennaio scorso, il declassamento del paese da parte di “Moody’s” (da Baa2 a Baa3) che ne peggiorava l’outlook da “stabile” a “negativo”: era il “premio” dei potentati economici internazionali alle 100 e più vittime di quella cruenta “rivoluzione”.

    Ora che i potentati finanziari siano esclusivamente interessati ai propri profitti questo appare assolutamente assodato e – dal loro punto di vista egoistico e cinico – pure “legittimo” (…d’altro “business is business” …e gli affari devono andare avanti in un modo o in un altro…) ma che siano poi gli stessi strozzini del Mondialismo o i loro ‘burattini’ sulla scena della politica internazionale a pretendere oltretutto un ruolo di “salvatori della patria” questo è l’assurdo di un mondo capovolto dove si è perso il senso del ridicolo e della realtà.

    Una prova lampante di questo cinismo è dato dalla recente dichiarazione di Deepak Padmanabhan, CEO della ‘Emirates International Telecommunications” (EIT) – che dal 2006 possiede il 35% della compagnia telefonica nazionale tunisina – il quale ha sostenuto all’indomani dello stabilirsi del sindacato dentro Tunisie Telecom che “lo sciopero presenta un’immagine negativa della Tunisia…se Tunisie Telecom è un esempio per capire come gli investitori stranieri vengono trattati allora credo che ciò farà si che altre compagnie ci pensino due volte prima di investire. Potrebbero guardare verso altre economie dove c’è più chiarezza e sicurezza.”

    A risolvere i dubbi e le ambiguità dei mercati ci hanno infine pensato i ‘burattini’ riuniti per il vertice del G8 di Deauville in Francia: i “grandi” del pianeta avrebbero trovato un accordo per un prestito di 20 miliardi di dollari in sostegno alle “primavere arabe” egiziana e tunisina con il concorso del F.M.I. , della Banca Europea per gli Investimenti e della Banca Europea perla Ricostruzionee lo Sviluppo….come dire …ciò che i ladroni di Stato intascano e trafugano e ciò che ritorna alle centrali mondialiste in interessi viene ‘risarcito’ dagli stessi centri direttivi l’economia globale per opere di salvataggio fondamentali solo ed esclusivamente per la sopravvivenza politica dei nuovi politicanti che a Tunisi come al Cairo hanno avuto il ‘disco verde’ ad operare per conto ed in nome della “rivoluzione” ma su ‘delega’ del F.M.I. , dell’amministrazione USA e dei suoi alleati…

    “Oltre alla cifra annunciata in queste ore, i paesi che fanno parte del G8 stanno studiando la possibilità di mettere a disposizione altri miliardi per aiutare le spinte democratiche nei paesi del Nordafrica e del vicino Oriente. Nicolas Sarkozy ha annunciato che la cifra finale si aggirerà probabilmente intorno ai 40 miliardi di dollari, anche se non ha fornito dettagli più precisi sulle modalità dei finanziamenti e sul loro impiego diretto nei paesi che protestano per avere maggiori aperture democratiche e la caduta dei regimi che li controllano.

    Da qui all’inizio di luglio, ha spiegato Jalloul Ayed, il ministro dell’economia tunisino, i ministri degli esteri e delle finanze dei paesi del G8 parteciperanno ad alcuni incontri per mettere a punto un piano comune per lo stanziamento dei fondi. Un primo documento che riassume gli obiettivi per i paesi che hanno organizzato rivolte o ancora in rivolta sarà diffuso alla fine dell’incontro di Deauville, probabilmente con qualche dettaglio in più sull’utilizzo dei finanziamenti.

    La Bancaeuropea degli investimenti (BEI), l’istituzione che finanzia i progetti per sostenere gli obiettivi politici dell’Unione Europea, potrebbe fornire 3,5 miliardi di dollari tra il 2011 e il 2013 per sostenere il processo di riforme e la stabilità in Egitto e Tunisia. Le cifre di cui si parla nelle ultime ore sono comunque distanti dalle stime recentemente fornite dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).

    Secondo il rapporto dell’FMI, il finanziamento delle aree dalle quali l’occidente ogni anno ottiene enormi quantità di petrolio potrebbe richiedere fino a 160 miliardi di dollari. Il Fondo ha annunciato di poter fornire fino a 35 miliardi di dollari per stabilizzare le economie di questi paesi, ma il resto del denaro necessario dovrà essere stanziato dalla comunità internazionale.La Banca Mondialeha annunciato martedì scorso lo stanziamento di 6 miliardi di dollari perla Tunisiae l’Egitto, dove le rivolte hanno poi dato il via alle proteste in paesi come lo Yemen, il Bahrein ela Siria.”(1)

    I nuovi ‘tenutari’ locali ovviamente ringraziano per la fiducia, si genuflettono e ‘intascano’.

    Cambiano i nomi, cambiano le facce ma tutto rimane sostanzialmente identico…lo “show” deve continuare o, parafrasando don Fabrizio Corbera, il Principe di Salina – magistralmente ritratto ne “Il Gattopardo” da Giuseppe Tomasi da Lampedusa -; “tutto cambia perché nulla cambi”…

    Analizzeremo anche, prossimamente, l’ancor più complesso “caso egiziano” in dettaglio ma anche in questo contesto un ruolo decisivo è quello giocato dai potentati economici mondiali, dall’alta finanza, dalle ‘garanzie’ ricevute e date a F.M.I. e Banca Mondiale e da quelle politiche ‘concesse’ a Washington il padrone di ieri e di domani sempre interessato a muoversi preventivamente per chiudere ed eliminare eventuali spazi di manovra per altri, e ben più pericolosi, attori geopolitici che potrebbero penetrare nell’area nord-africana …

    La primavera sionista araba….un mito, un bluff, un imbroglio!

    Note –

    1 – articolo “Le promesse del G8 ai paesi in rivolta” ; all’indirizzo internet: Le promesse del G8 ai Paesi in rivolta | Il Post








    La “primavera araba” – Il cappio dell’usurocrazia mondialista al collo della nazione araba: il caso Tunisia

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    IL LIBANO VIGILATO SPECIALE TRA “PRIMAVERA ARABA”, TERRORISMO INTERNAZIONALE SALAFITA E PROVOCAZIONI SIONISTE




    di Dagoberto Husayn Bellucci










    Un paese da sempre sull’orlo di una crisi di nervi con istituzioni bloccate ed una tensione latente pronta ad esplodere in qualunque momento: questo è il Libano che si presenta agli occhi di un osservatore esterno; una nazione sotto stretta vigilanza, perno fondamentale dei delicatissimi rapporti di forza del Vicino Oriente e inevitabile confluenza di tutti i contrasti etnico-confessionali dell’area oltre a rappresentare un difficile laboratorio politico dove si incastrano malamente, come in un intricatissimo puzzle, le volontà egemoniche dei principali attori della geopolitica locale.

    Il Libano è il principale fronte della resistenza anti-israeliana, l’unico rimasto attivo a livello regionale per la presenza di Hizb’Allah ed il suo ruolo di braccio armato della Rivoluzione khomeinista iraniana, ed è, attualmente, il paese maggiormente a rischio di deflagrazione interna a causa della situazione creatasi ai suoi confini con le proteste anti-governative in Siria e il riaccendersi dell’Intifadah palestinese.

    Un ruolo difficile quello che è chiamato a rivestire in questo particolare momento storico il Partito di Dio sciita di Nasrallah in un contesto che vede tutto il panorama arabo in subbuglio e con una situazione che sembra mutare radicalmente davanti alla ventata pseudo-rivoluzionaria che ha scatenato le piazze da Tunisi al Cairo, da Amman a Damasco, passando per Tripoli e Sanaà.

    Hizb’Allah ha ‘benedetto’ le sollevazioni di popolo e la cacciata dei despoti filo-USA di Tunisia ed Egitto, ha coraggiosamente preso le distanze immediatamente dalla repressione ordinata dal Colonnello Gheddafi contro le prime insurrezioni in Libia – uniformandosi alla analoga condanna piovuta contro Tripoli da Teheran e Damasco – ma, giocoforza, è stato costretto a difendere a spada tratta il suo alleato Bashar el Assad che nella vicina Siria si trova a fronteggiare analoghe manifestazioni di protesta.

    Niente di quanto sta investendo l’intero mondo arabo è spontaneo e nulla di ciò che viene cambiato appare scontato anche perché le centrali di destabilizzazione atlantico-sioniste lavorano direttamente sul campo, intervenendo in prima persona dove necessario o mantenendo un basso profilo per poi attivarsi dietro le quinte: è quanto emerge dopo i cambi al vertice al Cairo e a Tunisi ma anche alla luce dei conflitti che interessano Yemen, Bahrein, Siria o rispetto all’intervento militare della NATO in Libia.

    Ogni nazione araba è un caso a parte ma tutte le diverse situazioni dell’uno o dell’altro paese influiscono a determinare cambiamenti repentini, mutamenti di status quo ritenuti insindacabili fino a pochi mesi or sono e trasformazioni profonde.

    La mano invisibile, perché in tutte le sollevazioni che si rispetti ed in tutte le rivoluzioni agiscono dietro le quinte dei sapienti burattinai, che tira i fili di questa specie di tragicommedia movimentistico-insurrezionale che ha contagiato come una febbre o un virus letale l’intera nazione araba sembra ancora mantenersi occulta ma appare chiaro che l’obiettivo finale sia il ridimensionamento dell’intera regione del Vicino Oriente.

    La domanda da porsi è dunque più che “chi” muova i fili “che cosa” attenderà, nel prossimo futuro, il mondo arabo; quale sarà la nuova carta geopolitica della regione e chi saranno i prossimi leader, quali le loro volontà e quali gli assetti strategici che verranno determinati da questa che è stata, forse con un po’ troppo entusiasmo, ribattezzata dai media mondiale come “la primavera araba”….il “’48 dell’Islam” paragonando le recenti insurrezioni delle piazze arabe ai “risorgimenti” europei dell’Ottocento… Va da sé che, solo a pensarlo, sarebbe già una tragedia senza fine.

    Mentre il potente alleato siriano deve sbrigarsela da sé per contenere le insurrezioni divampate non del tutto ‘spontaneamente’ e tantomeno casualmente sul proprio territorio Hizb’Allah è costretto ad occuparsi dei problemi interni libanesi.

    Il Libano vive questa “primavera araba” in una posizione privilegiata di osservatore che rischia però di potersi rapidamente trasformare in quella di protagonista involontario del ripetersi di un possibile dramma: basta davvero poco per scatenare la scintilla che potrebbe ripiombare il paese dei cedri in una nuova guerra civile sul modello di quella che dal 1975 al 1990 infiammò e devastò un intero paese con costi in perdite umane troppo alti per tutti.

    Un rischio che il Libano ed i libanesi non possono permettersi.

    Che il fuoco covasse sotto le ceneri di una apparente tranquillità lo si era intuito da settimane e l’attentato che lo scorso 27 maggio ha colpito un convoglio dell’UNIFIL , coinvolgendo direttamente il contingente militare dei caschi blu italiani, conferma soltanto che qualcuno è interessato ad aprire il baratro delle ostilità che vedrebbero scatenarsi i due principali fronti contrapposti (quello filo-iraniano guidato dagli sciiti di Hizb’Allah e quello pro-occidentale alla cui leadership si situa il movimento della Corrente Futura del premier Sa’ad Hariri) in un conflitto interno fino ad oggi sempre rimandato da quella primavera del 2005 che vide l’assassinio dell’allora premier Rafiq Hariri, padre di Sa’ad, multimiliardario e magnate dell’edilizia legato direttamente all’Arabia Saudita, gettare il paese in un clima di tensione strisciante dal quale non è mai realmente uscito.

    Il conflitto civile interno che poteva scoppiare in quella che qualcuno ribattezzò come la “primavera dei cedri” di sei anni or sono è stato fino ad oggi rimandato attraverso le mediazioni internazionali dei ‘tutori’(Iran e Siria da un lato e Arabia Saudita dall’altro lato di quelli che appaiono come i due contendenti principali) ma la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro considerando la situazione generale che vive l’intera regione dove le sollevazioni di piazza sono oramai all’ordine del giorno e le rivolte si espandono a macchia d’olio.

    Se il Libano finora è rimasto relativamente tranquillo è proprio perché probabilmente chi sa cosa rappresenta per il futuro dell’area vicino-orientale il paese dei cedri non ha ancora preso la decisione di incendiare tutto: lo scatenamento di un conflitto civile a Beirut equivarrebbe ad una specie di viaggio senza ritorno, una via forse irrimediabilmente senza uscita dalla quale potrebbero uscire i nuovi assetti regionali del futuro ma anche, per qualcuno, la fine delle proprie strategie e speranze.

    A Riad , nella capitale saudita, come a Damasco in Siria non si vivono giorni tranquilli: anche l’Arabia Saudita dei petroldollari potrebbe rischiare di finire coinvolta nella stagione ‘riformista’ e ‘rivoluzionaria’ dei cambiamenti e la dinastia non può permettersi passi falsi: i Saud hanno compreso perfettamente che la situazione è incandescente ed il vaso di pandora degli accordi internazionali potrebbe frantumarsi in mille pezzi rilasciando inquietanti incubi.

    La preoccupazione nei palazzi del potere a Riad è evidente: si osserva con una certa attenzione e preoccupazione le proteste che si diffondo al di là del confine meridionale, nel vicino Yemen, ma soprattutto quanto sta accadendo nel vicino Bahrein un paese alleato dell’Arabia Saudita sul quale grava minacciosa la protesta sciita che qualcuno vorrebbe eterodiretta da Teheran.

    L’Arabia Saudita fin dall’inizio delle manifestazioni nel Maghreb ha assunto un atteggiamento prudente, un basso profilo, una real-politik fatta di timide promesse di riforme interne, l’idea solo ventilata di cambiare il proprio assetto istituzionale trasformando la monarchia da ereditaria in costituzionale e soprattutto l’annuncio, del 23 febbraio scorso, di re Abdullah di un pacchetto di sussidi economici per i propri sudditi superiore ai 35 miliardi di dollari con il quale garantire maggiori posti di lavoro e migliori condizioni di vita.

    Quanto realmente questo mix di promesse e riforme potrà servire a tenere lontano lo spettro delle manifestazioni popolari dall’Arabia Saudita è difficile dirlo ma, di sicuro, i dirigenti di Riad hanno paura e sentono il loro trono minacciato da questa onda insurrezionale anomale che utilizza internet e i nuovi canali informatici, che si muove ambigua da una nazione all’altra e non lesina richieste sempre più radicali di cambiamento.

    Ancor meno dei sauditi possono dormire sogni tranquilli i loro principali alleati: Stati Uniti e Israele. I primi hanno benedetto infine la ‘primavera araba’ perché conforme ai loro obiettivi di riorganizzazione della regione; Israele dopo qualche iniziale perplessità ha ‘plaudito’ agli sforzi di cambiamento regionali auspicando che queste sollevazioni e mutamenti andassero a colpire anche i suoi vicini siriani.

    Per i sionisti un “nuovo grande medio oriente” come idealizzato e prospettato dalla Rand Corporation cinque anni or sono rappresenterebbe il bacino economico e lo sbocco naturale dei propri obiettivi di sionistizzazione dell’intera regione mediante riconoscimenti ufficiali, scambi commerciali e aperture di crediti con tutte le capitali arabe.

    L’idea di “sionistizzazione” del Vicino Oriente è un antico sogno, ampiamente caldeggiato dai governi laburisti israeliani fin dagli anni Settanta, sempre rimasto lettera morta a causa dell’ostilità delle nazioni arabe al riconoscimento di “Israele”.

    L’Arabia Saudita in questo contesto di alleanze internazionali è il perno centrale della strategia sionista e americana di destabilizzazione del Vicino Oriente; perdere Riad per Washington equivarrebbe a rimettere in gioco decenni di consolidate relazioni con tutto il mondo arabo ‘moderato’ ed il Dipartimento di Stato sa perfettamente che il regno è una pedina troppo importante per essere lasciata in mano a bande di rivoltosi (la piazza) che inevitabilmente richiederebbero anche la cacciata delle truppe statunitensi da un ventennio dislocate a difesa e a guardia dei pozzi petroliferi sauditi (oltre al rischio, calcolato, dell’emersione di organizzazioni d’ispirazione al-qaedista che hanno più di un conto in sospeso con gli emiri di Riad).

    Il puzzle libanese dunque rimane inestricabile ma centrale per quanto concerne i futuri assetti geopolitica di tutto il Vicino Oriente anche alla luce dei pluridecennali fragilissimi assetti interni e problemi della società libanese: le questioni aperte a Beirut sono quelle che direttamente oppongonola Teocraziasciita iraniana alle mira egemoniche statunitensi; più che a Baghdad o a Riad, al Cairo o a Kabul è sul Libano che gli iraniani hanno maggiormente investito la loro ragnatela di interessi e impiantato la loro principale base d’esportazione della rivoluzione khomeinista quel Partito di Dio fondato agli inizi degli anni Ottanta sulle montagne della Beka’a settentrionale e successivamente diventato la punta di diamante dello schieramento della resistenza anti-sionista ed il principale esempio militare per tutto il mondo arabo-islamico, l’unica organizzazione politica che ha saputo vincere di fronte all’arroganza dei dirigenti sionisti di Tel Aviv cacciando le truppe di ‘tsahal’ nella primavera del 2000 e opponendo una tenace difesa dei propri confini nazionali durante l’aggressione dell’estate 2006.

    Da quella vittoriosa prova di resistenza, lodata ed esaltata in tutto il mondo arabo-islamico, Hizb’Allah è uscito rafforzato sia sul piano interno (conducendo un estenuante braccio di ferro contro il governo filo-occidentale di Siniora, le milizie sunnite finanziate dal clan Hariri e , soprattutto, rigettando sempre ogni provocazione sionista ai confini meridionali del paese) che a livello di prestigio internazionale.

    La questione che ha ulteriormente inasprito i rapporti tra il disciolto esecutivo Hariri e il Partito di Dio è quella relativa all’instaurazione del TSL – il Tribunale Speciale per i delitti in Libano – istituito dalle Nazioni Unite per far luce sull’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri (padre dell’attuale premier) e sugli altri crimini politici che non hanno mai smesso, da quella primavera del 2005, di insanguinare il paese dei cedri.

    Hizb’Allah, attraverso le parole del suo Segretario Generale , Sayyed Hassan Nasrallah, ha accusato fin dallo scorso luglio il TSL di mirare a destabilizzare la politica libanese mediante indizi che porterebbero a mettere in stato d’accusa alcuni appartenenti al Partito di Dio ela RepubblicaIslamicadell’Iran peraltro chiamata in causa recentemente e pretestuosamente pure per gli attentati dell’11 settembre2001 interritorio americano, quelli che diedero il via all’offensiva mediatica e poi militare da parte dell’Occidente contro le nazioni musulmane.

    Hizb’Allah, che aveva ottenuto di far parte di un governo di unità nazionale formato dopo mesi di stallo post-elezioni del giugno 2009 vinte dal fronte pro-occidentale, ha ritirato gli undici ministri appartenenti al movimento dell’8 marzo la coalizione filo-iraniana e pro-siriana che sostienela Resistenza.

    La scorsa estate Nasrallah aveva ottenuto da Sa’ad Hariri la garanzia che le decisioni del Tribunale Internazionale sarebbero rimaste lettera morta, pretendendo dall’esecutivo di cui faceva parte di disconoscerne le sentenze: il premier ha però tradito la parola data rifiutandosi di prendere le distanze da quella che, secondo i dirigenti sciiti, è una congiura per incastrare Hizb’Allah e soprattutto interferire pesantemente nelle faccende interne libanesi con un organismo giudiziario al di fuori di qualunque controllo nazionale, una minaccia per la sicurezza dello Stato libanese ed un intralcio per le buone relazioni fra i diversi partiti politici ottenute dopo gli accordi di Doha dell’estate 2008.

    Dopo quattordici mesi di inoperoso quieto vivere il governo Hariri è rovinosamente caduto lo scorso gennaio aprendo così una crisi istituzionale che risulta la fotocopia di quella, analoga, che oppose l’allora esecutivo guidato da Fouad Siniora al fronte pro-siriano capitanato da Hizb’Allah (novembre 2006-maggio 2008).

    L’Assemblea Nazionale libanese è oggi nuovamente un parlamento spaccato in due dove, su 128 deputati eletti, 57 sono i rappresentanti del popolo che sostengonola CorrenteFuturae il suo leader Hariri, premier dimissionario, altrettanti quelli che invece appoggiano Hizb’Allah e Nasrallah e dove i voti dei drusi del Partito Socialista Riformista di Waleed Jumblatt, passato al fianco dei movimenti pro-siriani dopo cinque anni di durissima opposizione a Damasco, spostano l’ago della bilancia a favore dei movimenti dell’opposizione filo-iraniana.

    Il problema di fondo è che la nuova crisi politica libanese ed i tentativi di Hizb’Allah di formare un nuovo esecutivo passano attraverso i vincoli istituzionali della complicata democrazia interna che prevede, in caso di formazione di un governo, la partecipazione di tutte le componenti etniche e confessionali: la scelta per il sostituto di Sa’ad Hariri deve inevitabilmente coinvolgere un altro candidato espressione della maggioranza sunnita dei musulmani.

    Il Libano si presenta infatti come una democrazia confessionale all’interno della quale ad ognuna delle principali confessioni religiose (cristiani e musulmani, a loro volta divisi in sunniti, sciiti e drusi) spettano gli incarichi istituzionali: la presidenza della Repubblica è appannaggio dei cristiani, quella del consiglio dei ministri appartiene ai sunniti mentre quella dell’assemblea parlamentare spetta agli sciiti. I drusi, fin dalla fondazione della Repubblica Libanese nel lontano 1944, non hanno alcun potere istituzionale.

    Con questi meccanismi di potere e una delicatissima congiuntura internazionale che ha visto il Libano spettatore passivo delle rivolte arabe la scelta è caduta infine sul miliardario Najib Miqati, sunnita, laico, laureato in economia e – secondo “Forbes”, la prestigiosa rivista di finanza internazionale – al 446mo posto tra gli uomini più ricchi del pianeta con un personale patrimonio che supera i due miliardi e mezzo di dollari.

    Da qualche mese il Presidente della Repubblica, il Gen. Michel Souleiman, gli ha conferito l’incarico di formare un nuovo governo ma Miqati ha proceduto con molta cautela: amico personale di Bashar el Assad, il presidente siriano, Miqati ha cominciato a dichiarare che, pur se la sua designazione è partita da Hizb’Allah, questa non è la sua personale identificazione politica prendendo sostanzialmente le distanze da quanti, tra i corrispondenti a Beirut della stampa e dei media arabi e gli osservatori delle principali cancellerie diplomatiche, sostenevano che il suo fosse il classico ruolo di “uomo di paglia” funzionale alle strategie sciite.

    Miqati ha invece sottolineato più volte che intende lavorare per unire il paese, tornando possibilmente a buone relazioni conla CorrenteFuturadi Hariri e garantendo gli Stati Uniti che il paese è pronto a mantenere contatti aperti e a lavorare di concerto con gli organismi internazionali.

    Una presa di distanza che ovviamente non è stata accolta positivamente da Hizb’Allah il quale, dopo aver provocato il ribaltone politico, in questa delicata fase di contatti e discussioni sta mantenendo un bassissimo profilo.

    In questo scenario già sostanzialmente destabilizzato si inserisce l’attentato contro una pattuglia del contingente italiano dell’UNIFIL , di quella missione “di pace” che dal settembre 2006 dovrebbe separare Hizb’Allah ed esercito libanese dai loro storici nemici israeliani nel sud del paese.

    Una missione inutile, come si è caratterizzata fin dall’inizio, ed estremamente controproducente all’interno della quale il Governo di Roma ha stanziato oltre 1800 uomini sulla base degli accordi intercorsi tra l’esecutivo italiano, all’epoca guidato da Romano Prodi, ed il governo libanese ed in conformità con la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite che il 15 agosto 2006 ottenne il cessate il fuoco fra Hizb’Allah e entità criminale sionista alias “stato” d’Israele.

    Missione inutile al pari di quelle, analoghe, condotte da francesi e spagnoli diventata anche pericolosa. Missioni per le quali già in passato le forze ONU hanno perso uomini e credibilità colpite da formazioni della galassia del terrorismo internazionale che ha trovato nel paese dei cedri un possibile nuovo santuario dove reclutare,addestrare e allevare nuove cellule di stampo fondamentalista jihadista quali quelle che provocarono nell’estate 2007 la sanguinosa rivolta all’interno del campo profughi palestinese di Nahr el Barad , vicino a Tripoli (nord del paese).

    A rendere incandescente la situazione interna libanese cellule salafite eterodirette, finanziate e sostenute più o meno direttamente da Riad e dall’Arabia Saudita che, per i propri interessi nella zona e per mantenere la propria influenza sul paese, non intende lasciare “iranizzare” il Libano sostenendo spesso gruppuscoli terroristi che operano sotto le direttive dei servizi segreti sauditi i quali armano questi mercenari tanto nel paese dei cedri quanto nella vicina Siria (in Libano il principale gruppo d’ispirazione salafita prende il nome di Fatah al Islam mentre nella vicina Siria è nota la presenza di fanatici al-qaedisti che si nascondono dietro la sigla “Jund al Sham” organizzazione responsabile di alcuni attentati nel 2005 e attiva nelle recenti manifestazioni di protesta delle piazze a maggioranza sunnita siriane).

    In questo scenario di traffici di armi e di valuta straniera, di ingenti interferenze straniere e di influenti sussidi ai radicali islamisti contrari all’egemonia sciita sulle formazioni della Resistenza si inseriscono inoltre gli interessi di Stati Uniti e Israele da sempre pronte a sfruttare qualunque occasione per destabilizzare il paese dei cedri.

    I campi profughi palestinesi meridionali inoltre si prestano magnificamente a diventare, come Nahr el Barad alcuni anni fa, un ricettacolo di fondamentalismo islamico salafita incontrollabile ed una minaccia latente sia per quanto riguarda la sicurezza nazionale sia per ciò che concerne i contingenti militari stranieri che operano oramai da quasi cinque anni nella zona a sud del Litani.

    Cui prodest dunque l’attentato anti-italiano nel Libano meridionale? E chi realmente si cela dietro all’attentato? Fatah al Islam o Fatah al Mossad come venne immediatamente ribattezzata tra le fila del fronte sciita l’organizzazione “integralista” al-qaedista?

    Immediata la condanna politica dell’azione terroristica, proveniente da tutti i partiti politici del panorama libanese: Hizb’Allah ha condannato subito l’agguato contro la pattuglia dei militari italiani colpita a sud di Sidone.

    “Sgomento, dolore e rabbia” e’ stato espresso all’Agi – Agenzia Giornalistica Italiana - dal ministro degli Esteri del movimento sciita, Ali Daghmush, e dal portavoce Ibrahim al Moussawi.

    Hizb’Allah ha fatto presente di non avere sotto controllo l’area nella quale e’ avvenuto l’attentato. L’Italia, hanno aggiunto gli esponenti del movimento, “ha contribuito alla pace e alla stabilità nel sud, e ha protetto i cittadini che vi vivono”

    Nubi fosche si addensano nuovamente sui cieli libanesi: il paese dei cedri vive ancora una volta sospeso tra tensioni e interferenze straniere, tra possibili soluzioni diplomatiche alla crisi istituzionale che dal gennaio scorso ha diviso ancora le fazioni politiche nazionali ed i rischi di deflagrazione generale che condurrebbero rapidamente ad una guerra civile , un tutti contro tutti finora fortunatamente evitato.

    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”






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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    L’ISLAM DAVANTI AL COMPLOTTO DELLA SINAGOGA MONDIALISTA



    - di Dagoberto Husayn Bellucci



    “Oggi giorno la potenza dell’oro ha sopraffatto i regimi liberali. Vi fu un tempo in cui la religione governava. Il concetto di libertà non è realizzabile perché nessuno sa adoperarla con discrezione. Basta dare l’autonomia di governo ad un popolo, per un periodo brevissimo, perché esso diventi una ciurmaglia disorganizzata. Da quel momento stesso cominceranno i dissidi, i quali presto si trasformeranno in guerre civili, l’incendio si appicca ovunque e gli Stati cessano virtualmente di esistere. Lo Stato, sia che si esaurisca in convulsioni interne, sia che la guerra civile lo dia in mano ad un nemico esterno, può considerarsi definitivamente e totalmente distrutto e sarà in nostro potere. Il dispotismo capitalista, che è interamente nelle nostre mani, gli tenderà un fuscello al quale lo Stato dovrà inevitabilmente aggrapparsi per evitare di cadere inesorabilmente nell’abisso.”

    ( Dal Protocollo nr 1 dei Savi Anziani di Sion)









    L’asse Teheran-Damasco-Beirut, il solo potenzialmente in grado di destabilizzare su diversi livelli i progetti sovversivi dell’One World mondialista sognato dalle centrali della menzogna e dell’inganno facenti capo alla cricca del terrore di USrael, è il fronte di resistenza planetaria della nazione dell’Islam ossia il principale referente politico, rivoluzionario, militare e spirituale degli uomini liberi che nei quattro angoli del pianeta non intendono piegare la testa e inchinarsi supini di fronte al Governo Unico Mondiale idolatrato quale novello vitello d’oro dal Giudaismo cosmopolita errabondo nelle terre di nessuno della contemporaneità post-nichilista e agognato dalla Finanza senza volto della combriccola degli usurai internazionali che si cela dietro il palcoscenico della storia e sovrintende ai principali avvenimenti mondiali.

    L’obiettivo di abbattere la teocrazia islamica sciita iraniana risulta essere da oltre trent’anni il perno della politica estera delle amministrazioni USA e del loro alleato, l’entità criminale sionista occupantela Terrasanta palestinese alias “Stato d’Israele”.

    Washington e Tel Aviv, autentico asse del terrore e centrali della sovversione mondiale, hanno identificato nella Rivoluzione Islamica iraniana il principale ostacolo verso la realizzazione del tanto sospirato progetto di uniformazione planetaria che passa indiscutibilmente attraverso la creazione di un mercato unico mondiale e si serve delle nazioni dell’Occidente giudaico-mondialista, serve dei diktat e delle volontà egemoniche d’Israele, esclusivamente come “teste di ponte” verso la costituzione di un governo globale che sarà perseguito mediante il successivo potenziamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con l’istituzionalizzazione dei periodici vertici tra i paesi più industrializzati e l’estensione del potere d’ingerenza e l’influenza esercitata dalla finanza senza radici e senza volto.

    Questa metodologia operativa della Grande Parodia rappresentata dal sistema mondialista si serve dunque della sapiente regia occulta dei finanzieri senza identità di Wall Street e della City londinese, degni eredi di quella oligarchia del danaro sorta agli inizi del XX.mo secolo dai processi di integrazione tra banca e industria e dai processi di concertazione settoriale che interessarono i principali paesi industrializzati tra la fine del XIX.mo e gli inizi del XX.mo secolo.

    Il “Sistema” è rappresentato a livello di “establishment”, ai piani alti, da una serie di organismi che oltre all’appropriazione indebita di ingenti profitti lucrati sul lavoro altrui realizzarono e plasmarono fin dalla fine dell’Ottocento lo spirito del capitalismo consumista andando ad accrescere la propria influenza sui governi nazionali attraverso un nutrito numero di organizzazioni trasversali, fondazioni e multinazionali che – a partire dal progetto Round Table di origini britanniche e d’epoca vittoriana – raggrupperanno i banchieri, gli industriali, i politici e gli esponenti della cultura dei principali paesi dominati dalla nuova oligarchia dell’oro insediatasi occultamente al di sopra di governi e istituzioni pubbliche.

    Questa elite’s occulta che sovrasta con la propria potenza economico-monetaria qualunque nazione è destinata a guidare le redini del pianeta come prescritto peraltro lucidamente dal documento programmatico per la costituzione di un governo mondiale ebraico denominato “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” realizzabile con il concorso, più o meno cosciente ed entusiastico, degli stolti “goim” = i gentili alias i non ebrei cooptati dall’Internazionale Ebraica tra le fila dei giudaizzanti amici della causa organizzati a diversi livelli occulti attraverso le varie organizzazioni massoniche e para-massoniche (si pensi ai vari Lion’s Club e ai gruppi Rotary) veri e propri cenacoli degli amici di Sion.

    La Massoneria è, storicamente, lo strumento principale di dominio degli Ebrei sulle società dei “goym” come affermano numerose testimonianze che smascherano l’impostura con la quale è stata imbellettata questa setta operante contro la Cristianità e contro ogni fede fin dalla sua fondazione nel lontano 1717 anno di costituzione della Gran Loggia britannica.

    La Prima Gran Loggia d’Inghilterra (in inglese: Premier Grand Lodge of England) è la principale organizzazione massonica fondata il 24 giugno 1717 col nome di Gran Loggia di Londra e Westminster. Rimase attiva sino al 1813, quando venne unita con l’Antica Gran Loggia d’Inghilterra al fine di creare la Gran Loggia Unita d’Inghilterra.

    In merito al ruolo ed agli obiettivi della Massoneria moderna segnaliamo le seguenti dichiarazioni:

    - “Nella Terza Repubblica i ministri si susseguono, ma al servizio di una istituzione particolare: la Massoneria” (Charles Maurras);

    - “Guerra al Cristo e al suo culto, guerra ai re e a tutti i troni. Questi termini di sovvertimento universale sono accompagnati da pratiche volutamente sacrileghe: l’iniziato alla Massoneria cabalistica evoca i geni malefici e adora l’Essere per eccellenza, che non è il vero Dio ma un idolo infame che adoravano i Templari rinnegati. I Teosofi hanno asilo nel castello di Ermenonville: qui il conte di San Germano presiedeva licenziosi misteri in cui sotto il pretesto di un ritorno allo stato naturale ogni donna diventava la comune compagna di tutti i “Fratelli”.” (Serge Hutin – “La Massoneria”);

    - “Una relazione esiste senza dubbio fra la tradizione ebraica ela Massoneria. Nel 1848 il massone Von Knigge ebbe a scrivere: “Gli Ebrei hanno riconosciuto che la Massoneria era il mezzo per fondare saldamente il loro impero segreto”.” ( Julius Evola – “Tre Aspetti del Problema Ebraico” );

    Relazione salda quella fra Internazionale Ebraica e Frammassoneria e connubio di ferro per quanto concerne obiettivi e metodologia operativa: possiamo definirli rispettivamente come la mente e il braccio di una azione tentacolare di strangolamento delle nazioni, i due capisaldi dell’azione destabilizzante l’ordinamento tradizionale dell’Europa prima e del resto del pianeta poi e assieme la principale manifestazione di un’attività della Sovversione che, negli ultimi tre secoli a partire dal trionfo delle rivoluzioni dei Lumi in Francia e di quella dei diritti universali dell’uomo negli Stati Uniti, si è esplicitata soprattutto nella disgregazione dei valori morali ed etici delle società e mira ad un obiettivo finale che è quello di creare un Governo Unico planetario.

    L’ultimo ostacolo rimasto sulla strada della realizzazione di questo One World , sorta di regno della contro-chiesa di Satana e ricettacolo di tutte le tendenze sovversive e materialiste del pianeta, è l’Islam politico e rivoluzionario derivato dalla dottrina sciita e dagli insegnamenti della Rivoluzione Islamica iraniana del compianto Imam Khomeini.

    Fu infatti la Guidadella Rivoluzione, che Dio lo abbia in gloria, a identificare con l’epiteto di “Grande Satana” gli Stati Uniti d’America all’epoca, in piena apoteosi edonistico-reaganiana negli anni Ottanta del secolo scorso, impegnati nel conflitto su scala globale contro l’Unione Sovietica a sua volta schematicamente e mass-mediaticamente rappresentata dai circoli neoconservatori vicini alla destra repubblicana come “l’Impero del Male”.

    Se l’ateismo di Stato dell’URSS sarà il prodotto ultimo della “rivoluzione in marcia” di stampo marxista il capitalismo imperialista “made in USA” rappresenterà il principale nemico dei popoli: entrambi questi due sistemi di governo verranno identificati dalle masse popolari rivoluzionarie iraniane – che scenderanno nelle strade e piazze di Teheran e delle altre città persiane al grido “Là Gharbya Là Sharkya Jumouhrya Islamia = Né Occidente né Oriente Repubblica Islamica” – come le due facce della stessa identica medaglia e i due poli di riferimento contro-tradizionali entrambi alleati oggettivi del Sionismo e dai suoi rappresentanti diretti e controllati considerando la sudditanza dimostrata tanto da Washington quanto da Mosca nei confronti dei desiderata della lobby.

    Da un lato dunque l’One World ed i suoi ‘accoliti’ ovvero i kippizzati di tutte le risme e latitudini, gli americanizzati di qualunque continente, gli occidentalizzati di tutte le nazioni che decantano e esaltano l’american way of life, gli stili ed i costumi, le mode e le musiche che rappresentano una delle diverse manifestazioni della contro-iniziazione militante cioè il moto tellurico-lunare delle escrescenze infere affioranti ed ormai debordanti nelle terre di nessuno dell’Occidente nichilista schiantato da tutte le demenzialità ideologiche che, a partire dalla rivoluzione americana con i famigerati “diritti dell’uomo” e da quella degli ‘immortali principi’ dell’89 giacobino francese, hanno interessato la storia europea e nord-americana degli ultimi due secoli (dal nazionalismo borghese alle tendenze colonial-imperialistiche fino al socialismo marxista ed alla rivoluzione bolscevica e infine con il trionfo dell’individualismo di massa generato dall’avvento delle società consumiste del capitalismo occidentale che nulla hanno risparmiato in quanto a erosione di ideali eroici e valori spirituali schiantando etica e morale come rulli compressori).

    Dall’altro lato l’Islam tradizionale e rivoluzionario esemplarmente incarnato da oltre trenta anni dalla Repubblica Islamica dell’Iran e dai suoi alleati nell’area del Vicino Oriente (con particolare riferimento alla Repubblica Araba Siriana del Presidente Assad, al movimento libanese di Hizb’Allah e al suo omologo palestinese di Hamas).

    Alcuni anni or sono ci venne fatto notare come non fossero gli Ebrei i veri detentori del potere mondiale: teoria interessante per quanto non suffragata da alcuna reale conferma fattuale in quanto i ‘dati’ sulla preponderante, diremmo asfittica, presenza degli esponenti della ‘razza’ autoproclamatasi “eletta” ai vertici delle principali strutture di potere e nei gangli vitali delle diverse società nazionali hanno confermato come la longa manus che detiene le leve del Sistema Mondialista sia saldamente quella rapace e secolarmente affine alla manipolazione monetaria dei “figli di Sion” i quali potranno anche non essere – come affermato negli ambienti dell’organizzazione diretta da Lyndon La Rouche– i deus et machina di tutti i cambiamenti su scala planetaria ma rappresentano senza ombra di dubbio i principali agenti ed i vettori sovversivi che catalizzano in una forma mentis ed in un modus operandi il principale ‘modello’ di riferimento dell’Oligarca senza volto e senz’anima del Mondialismo.

    Gli Ebrei sono, per quanto ci riguarda, alieni rispetto al tessuto delle nazioni, di fronte al resto dell’umanità, dinnanzi alla storia delle civilizzazioni umane. Essi sono “il nemico dell’uomo” – come definiti nitidamente dalla resistenza palestinese – o, per essere più chiari, rappresentanti di una razza sub-umana di sciacalli dall’attitudine predatoria che non solo ha nel suo dna l’istinto avido di succhiare il sangue di tutte le comunità con le quali entrano in contatto ma, soprattutto, la tendenza a deturpare, svilire, calpestare ed insudiciare le altrui tradizioni e perciò si palesano quali principali vettori dissolutivi di qualunque popolo e di qualsiasi sentimento nazionale, razziale, etnico o religioso d’appartenenza.

    Noi affermiamo la ‘centralità’ dell’elemento ebraico in tutti i principali moti sovversivi in quanto l’Ebreo, indipendentemente dall’appartenenza confessionale alla religione mosaica (la quale, per inciso è stata sostituita progressivamente dal Talmudismo cabalistico contro-tradizionale), è vettore dissolutivo-disgregatore rispondendo la sua natura a quella ebraicità che è più di una semplice “caratteristica” peculiare dell’ebreo rappresentandone una sorta di richiamo ancestrale, di “coscienza interiore”, un vero e proprio motore immobile psicologico che fa dell’israelita, ovunque si trovi e sotto qualunque regime si annidi, un nemico di qualsiasi ordinamento e istituzione difforme dall’unica vera autorità che egli riconoscerà ovvero la fedeltà alla propria natura e alla propria razza che lo renderanno inevitabilmente un ribelle per antonomasia a qualunque legge che non sia quella interna, legge esclusivista riservata ai soli Ebrei, di cui si fanno interpreti e portabandiera le varie Kehillah (comunità israelitiche) sparse nei quattro angoli del pianeta a loro volta sottoposte ad un’autorità invisibile ma agente dietro le quinte della storia, il Kahal = il Governo occulto dell’Ebraismo Internazionale.

    Che il popolo ebraico sia nella sua apparente eterogeneità controllato da un vero e proprio potere centrale non può mettersi in dubbio da quanti hanno avuto l’occasione di osservare come, in determinati momenti, in certe circostanze particolari tutta la stampa ebraica o ebraicizzata planetaria, tutti gli oratori politici ebrei o gli opinionisti filo-israeliti ed ebraicizzanti, abbiano istantaneamente e spontaneamente lo stesso motto d’ordine, utilizzino gli stessi slogan propagandistico-allarmistici, si schierino immediatamente a difesa degli interessi di Sion quasi aderendo in massa ad una consegna non scritta come fossero un esercito in armi pronto a dare battaglia.

    Campagne diffamatorie su vasta scala sono così impunemente condotte sui principali organi d’informazione da agenti al servizio permanente ed effettivo d’Israele: gli scribacchini pro-sionisti alacremente all’opera nelle sedi diplomatiche e della politica mondiale sono ai lati dei governi, ne controllano l’attività, ne influenzano le scelte: tutta la stampa mondiale è al servizio delle veline sioniste quando necessario inscenare delle mobilitazioni a difesa degli interessi d’Israele.

    E’ ciò che accade oramai da un trentennio rispetto alla politica estera statunitense pesantemente sottoposta alle volontà della lobby ebraica locale che rappresenta la quinta colonna pro-sionista all’interno degli USA vero e proprio “establishment occulto” che determina e dirige le sorti della colonia sionista denominata Stati Uniti, più della stessa Terrasanta palestinese occupata vero e proprio feudo ebraico.

    Negli Stati Uniti risiederebbe la testa del serpente ossia il Kahal Supremo (dal nome ebraico KHL = potere) centro direttivo dell’Internazionale Ebraica.

    E’ dalla kehillah newyorchese che fu finanziatala Rivoluzionegiudeo-bolscevica sovietica del 1917, il Golpe ebraico di Lenin, così come furono sempre banchieri kahalici i principali responsabili ed i fondatori delle grandi organizzazioni multinazionali del Potere Segreto (il Council on Foreign Relation’s, la Trilateral Commission, il Bilderbeg Group).

    “Una forza del Kahal – ha scritto Carlo Alberto Roncioni (1) - sta appunto nella sua ubiquità, per la quale svolge la sua attività in campi opposti, coll’unico intento del proprio trionfo per il dominio morale e materiale del mondo. Questa organizzazione potente in Russia, Germania, Francia e Stati Uniti, stipula essa la guerra o la pace a seconda dei suoi capi anche oggi? Utilizza essa – come si è detto – le passioni rivoluzionarie a vantaggio dei propri scopi anche oggi? E’ importante rispondere a queste domande. Certo è che l’imperialismo ebraico mai come oggi ha visto il suo piano trionfante. Sono le seguenti tre terribili verità che vanno tenute presenti:

    - a) Mai quanto oggi il mondo è stato in mano dell’Internazionale economico-finanziaria e dell’Internazionale demagogico-massonica;

    - b) Mai quanto oggi queste due internazionali sono state in mano di Israele, che è il padrone dell’alta banca internazionale destinata da Israele a sconvolgere il mondo per assoggettarlo. Il banchiere ebreo Jacob Schiff che finanziava il capo ebreo bolscevico Trotsky simboleggia questo fatto capitale;

    - c) Per quanto Israele non sia ancora riuscito ad attuare il suo ideale di dominio del mondo, ha però creato grandi raggruppamenti e colossali intese; onde il suo dominio benché non assolutamente compiuto pesa su tutto e tutti. Leggiamo in “Gog” di Giovanni Papini il capitolo “Le idee di Banrubi”. Questo piccolo e malformato Ebreo, che “ha aspetto poverissimo e l’espressione di un cane che teme d’essere picchiato sa pure d’essere necessario”; Banrubi dice: “Dopo la dispersione gli Ebrei furono sempre senza Stato, senza governo, senza esercito: gruppi sparuti in mezzo a moltitudini che li odiavano. Come volete che si sviluppasse in loro l’eroismo dei Crociati o dei Condottieri? Per non essere sterminati dovettero anche loro inventare delle difese. N’ebbero due: il denaro e l’intelligenza. Quelli che furono arnesi di protezione, diventarono col tempo strumenti di vendetta. Più potente dell’oro, secondo me, è l’intelligenza. In che modo l’Ebreo calpestato e sputacchiato poteva vendicarsi dei suoi nemici? Coll’abbassare, avvilire, smascherare, dissolvere gli ideali dei gojm. Col distruggere i valori sui quali dice di vivere la Cristianità. E difatti, se ben guardate, l’intelligenza ebraica, da un secolo a questa parte, non ha fatto altro che scalzare e insudiciare le vostre care credenze, le colonne che reggono l’edificio del vostro pensiero. Da quando gli Ebrei hanno potuto scrivere liberamente, tutte le vostre impalcature spirituali minacciano di cadere”.

    E Banrubi dimostra il suo audace asserto con l’opera dei suoi correligionari: Heine in arte, Marx in sociologia, Lombroso in biologia, Freud in psicologia, Weininger per quanto spetta alla donna, Bergson in filosofia, Salomone Reinach in religione, Einstein nelle scienze fisico-matematiche, Meyerson nel razionalismo scientifico.”.

    Disintegrata la società cristiana, svilito il senso ultimo della morale nelle società cosiddette cristiane dell’Europa oramai completamente laicizzate e secolarizzate e asservita e ridotta in cloaca la colonia statunitense il Giudaismo Mondiale si è diretto contro le nazioni dell’Islam ultimo serio ostacolo al suo utopistico sogno di realizzare il Governo Mondiale Ebraico.

    “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, documento programmatico della progettualità infera sionista, avevano con assoluta preveggenza profetizzato – con quasi cinquant’anni di anticipo – la costituzione di un emporio sionista in Terrasanta, la ricostituzione del novello “Regno d’Israele” nel cuore della nazione arabo-musulmana palestinese e l’avvento di un mondo unidimensionale nel quale avessero valore e trovassero spazio solo ed esclusivamente i valori materialistici idolatrati dai figli d’Israele fin dall’epoca del vitello d’oro.

    La contrapposizione schmittiana “amico/nemico” che oppone radicalmente due identità antagoniste vedrà nei prossimi anni a venire maturare sempre più la dicotomia Occidente-Islam che rappresenta su di un piano metafisico, metastorico e politico-militare il dualismo esistente fra due concezioni della vita, due weltanshauung opposte, espressioni rispettivamente del Caos e del Cosmo, della via luciferina dei negatori di ogni Verità e dei suoi oppositori, i credenti ed i fedeli che potranno riconoscere negli avvenimenti contemporanei quei “Segni dei Tempi” descritti mirabilmente nei Testi Sacri di tutte le dottrine tradizionali.

    Parafrasando il film western “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” del maestro Sergio Leone: “Il mondo si divide in due categorie: chi si accuccia servile ai diktat della Sinagoga Mondialista e chi si oppone e resiste.”

    Di là i kippizzati di ogni risma e ‘colore’, di qua gli uomini liberi.

    Il ‘resto’ sono solo ciancie di qualche cranio ebraico o filo-ebraico.



    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

    8 GIUGNO 2011





    Note –

    1 – Carlo Alberto Roncioni – “Il Potere Occulto” – Ediz. “Sentinella d’Italia” – Monfalcone (Go) 1974;







    L’ISLAM DAVANTI AL COMPLOTTO DELLA SINAGOGA MONDIALISTA

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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Recensione Libraria – Umberto Galimberti – “L’Ospite inquietante – Il Nichilismo e i giovani”



    di Dagoberto Husayn Bellucci



    “Nietzsche chiama il nichilismo “il più inquietante (unheimlich) fra tutti gli ospiti”, perchè ciò che esso vuole è lo spaesamento (Heimatlosigkeit) come tale. Per questo non serve a niente metterlo alla porta, perchè ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia”

    ( Martin Heiddeger – “La questione dell’essere (Sopra la linea)” – (1955-1956) )



    “…liete si apprestano a combattere le Forze del Male e già calpestano il Ponte che adduce ai Troni degli Dèi

    il Destino orami sta per compiersi e Heimdall, il santo custode, suona a gran forza il grande corno di guerre

    Odino conversa con la testa di Mimir e da lei cerca consiglio…”

    ( Canto della Vòluspà – Strofa XLVI )




    “Vivere per sempre
    Ci vuole coraggio
    Datti al giardinaggio dei fiori del male
    E’ necessario vivere
    Bisogna scrivere
    All’infinito tendere”

    ( Baustelle – “Baudelaire” – album “Amen” – 2008 )




    “E non è colpa mia se esistono carnefici

    Se esiste l’imbecillità

    Se le panchine sono piene di gente che sta male”

    ( Franco Battiato – “Up patriots to arms” – album “Patriots” – 1980 )












    Nel ‘circo Barnum’ demenzial-compulsivo della macchina editoriale italiota, omologato al pensiero unico edonistico-consumista per il quale risulta ‘conforme’ la validità di un ‘testo’ esclusivamente per il nome del suo autore o in funzione delle ‘copie-vendita’ in quanto è la ‘percezione’ materialistico-consumistica che ‘rende’ l’opera scrittoria ‘degna’ o meno di ‘intasare’ gli scaffali librari (…infinite pagine di inutilità ‘buttate’ lì alla ‘rinfusa’…’bestseller’ che ‘spaziano’ dalla cura del pelo dei gatti alla caccia al cinghiale, dai consigli per il clitoride infiammato a quelli per le evacuazioni intestinali per finire con ‘entusiasmanti’ descrizioni dell’ufologia, della meccanica divina, delle ‘ascensioni’ alpinistico-sportive e indicibili rappresentazioni ‘romanzesche’ di una realtà che oramai è in stato perennemente confusionale… ‘comprateli’ voi e non dimenticatevi la ‘letteratura’ ‘fantastico-storica’ che mescola alla rinfusa mitofanie, dottrine esoteriche, occultismo, simbolismi ‘eccetera eccetera’…), abbiamo ‘intuito’ la validità argomentativo-analitica dell’ultima ‘fatica’ scrittoria di Umberto Galimberti, filosofo e psicologo, uomo di ‘sinistra’ (…perchè ‘esiste’ ancora una ‘sinistra’?…e una ‘destra’? …mah…crediamo avesse ragione l’indimenticato Giorgio Gaber qualche anno or sono quando sosteneva che “…Ma cos’è la destra cos’è la sinistra… Ma cos’è la destra cos’è la sinistra… Fare il bagno nella vasca è di destra far la doccia invece è di sinistra/ un pacchetto di Marlboro è di destra di contrabbando è di sinistra (…) Una bella minestrina è di destra il minestrone è sempre di sinistra/ tutti i films che fanno oggi son di destra se annoiano son di sinistra (…) Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po’ di destra/ ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate è da scemi più che di sinistra (…) I blue-jeans che sono un segno di sinistra con la giacca vanno verso destra (…) il concerto nello stadio è di sinistra i prezzi sono un po’ di destra (…) I collant son quasi sempre di sinistra il reggicalze è più che mai di destra (…) la pisciata in compagnia è di sinistra il cesso è sempre in fondo a destra (…) La piscina bella azzurra e trasparente è evidente che sia un po’ di destra/ mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare sono di merda più che sinistra (…) L’ideologia, l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia/ è la passione, l’ossessione della tua diversità/ che al momento dove è andata non si sa dove non si sa, dove non si sa (…) Tutti noi ce la prendiamo con la storia ma io dico che la colpa è nostra/ è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra…..” ….destra-centro-sinistra parole ‘vuote’, artifici ‘parlamentarististi’ inventati ad hoc dalla borghesia e ‘accettati’ supinamente dal proletariato per la ‘consumazione’ del ‘banchetto’ delle ‘ciancie’ politicanti…’frammenti’ d’identificazione ideologico-politica tardo-ottocenteschi ‘sopravviventi’ quali ‘residui’ deambulanti nella vuota quotidianità post-modernista…’percezioni’ demenziali per irretire il ‘pubblico pagante’ dello spettacolo elettoralistico-partitocratico…immondezzaio pubblico delle ‘pulsioni’ e degli ‘istinti’ più veniali di chi ‘crede’ alle ‘allodole’ sistemiche… ‘contenti’ ‘voi’…mah…questa, in ‘fondo’, è l’illusione democratica….da ‘sempre’…il nostro ‘dagocentrismo’ ci porta indiscutibilmente al di là e oltre le ‘categorie’ destra/sinistra…. siamo irriducibilmente ‘alieni’ a qualsivoglia ‘fascinazione’ democratica…. unica ‘via’ Dagocrazia…’sicuri’ di non ‘sbagliarci’….mai!…..) e discreto ‘osservatore’ delle dinamiche depauperizzanti della società del nulla contemporanea.

    Il testo in questione è ‘dedicato’ ai giovani…in realtà dovrebbe essere ‘destinato’ ad un ‘pubblico’ più vasto….l’umanità. Perchè, parafrasando Friedrich Nietzsche, “il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui, il più inquietante fra tutti gli ospiti?” (1) …il nichilismo pervade, devasta, influenza, ‘ammalia’, affascina e distrugge…indomito prosegue la sua devastante corsa precipitando gli individui e le società nel baratro del nulla… Oggi il nichilismo ‘trionfa’ nelle società vuote di senso della porcilaia occidentale, determinando percorsi scoscesi e irrefrenabili cadute…non c’è salvezza perchè il nichilismo ha tagliato definitivamente i ‘ponti’ con qualsiasi percezione metafisica , rovistando nell’anima e sgangherando le coscienze ben oltre lo ‘sgangherabile’.

    “Un libro sui giovani: perchè i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male (…perchè i ‘meno’ giovani stan ‘messi’ ‘meglio’? …tze…frustrazioni esistenziali di derelitti senza possibilità di ‘attracco’…vuoti a ‘perdere’…). – scrive l’autore nell’introduzione – E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perchè un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. (…) Interrogati non sanno descrivere il loro malessere perchè hanno ormai raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome. E del resto che nome dare a quel nulla che li pervade e che li affoga? Nel deserto della comunicazione, dove la famiglia non desta più alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse, tutte le parole che invitano all’impegno e allo sguardo volto al futuro affondano in quell’inarticolato all’altezza del quale c’è solo il grido, che talvolta spezza la corazza opaca e spessa del silenzio che, massiccio, avvolge la solitudine della loro segreta depressione come stato d’animo senza tempo, governato da quell’ospite inquietante che Nietzsche chiama ‘nichilismo’. (…) Un pò di musica sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un pò di droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione, tanta solitudine tipica di quell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che – stante l’inaridimento di tutti i legami affettivi – non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto dei valori, a quell’unico generatore simbolico di tutti i valori che nella nostra cultura si chiama denaro. Va da sè che quando il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo è solo la vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi, come accade nella nostra cultura, é ovvio che risultano inefficaci le cure farmacologiche cui oggi si ricorre fin dalla prima infanzia o quelle psico-terapiche che curano le sofferenze che originano nel singolo individuo. E questo perchè se l’uomo, come dice Goethe, è un essere volto alla costruzione di senso (Sinngebung), nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perchè questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime. (…) Se il disagio giovanile non ha origine psicologica ma culturale, inefficaci appaiono i rimedi elaborati dalla nostra cultura, sia nella versione religiosa perchè Dio è davvero morto, sia nella versione illuminista perchè non sembra che la ragione sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non in quella formula ridotta della “ragione strumentale” che garantisce il progresso tecnico, ma non un ampliamento dell’orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e l’aridità del sentimento.”

    Già è esattamente ‘questo’ il nodo gordiano da sciogliere…ammesso e non concesso che qualcuno abbia una ‘soluzione’ in vista dell’improbabile ‘scioglimento’ dobbiamo rilevare che Galimberti abbia colto nel segno identificando nella ‘cultura’ della morte dominante, nella cultura della crisi prevalente, le principali responsabili dell’affioramento ‘tsunamico’ del nichilismo e delle conseguenze devastanti che questa realtà priva di senso e aliena da qualsivoglia ‘freno’ ha prodotto nelle società moderne (occidentali e ‘non’).

    ” “Crisi” è la parola che sempre più spesso ricorre in questo nostro tempo instabile e magmatico. – scrive Giuliano Borghi (2) – Antiche certezze sembrano definitivamente tramontate e i vecchi valori appaiono sfumare sempre più in un crepuscolo in cui il rapporto tra la ‘ragione’ umana e il suo tempo va declinando fino ad alterarsi profondamente. (…) Ci sembra che un possibile punto di presa iniziale per impostare il discorso che gradualmente andremo svolgento, lo consenta quel momento chiave del Novecento, compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando la sensazione di trovarsi alla fine dei tempi, la critica della civiltà e il pessimismo culturale costituiscono e alimentano una vera e propria corrente di pensiero, quella che è stata definita come “letteratura della crisi”. (…) Da tutta l’Europa, letterati, saggisti, storici, filosofi, pur con diverse matrici culturali e con destini diversi, si interrogano con insistenza in conferenze, riviste, volumi, in una fitta rete di rimandi reciproci, per capire se la civiltà occidentale, così decrepita e ammalata alle radici per alcuni, così grandiosa un tempo per altri, potrà riuscire a superare la profonda crisi in cui versa, e che mai prima di allora le era toccato subire.”.

    Queste le analisi che ‘affioravano’ un secolo or sono tra gli intellettuali ed i pensatori di un’epoca che avrebbe dovuto ancora produrre, attraverso l’irrinunciabile fiducia nella scienza e nella tecnica, due conflitti mondiali, la suddivisione planetaria del pianeta tra due imperialismi (capitalistico-statunitense il primo, comunistico-sovietico il secondo) di segno apparentemente ‘opposto’ ma sostanzialmente identici per metodologia e soprattutto ‘genealogia’ ‘ideale’ (…prodotti partoriti dalle rivoluzioni anti-tradizionali d’illuministica memoria, rappresentazioni ‘statali’ dei più meschini istinti umani dell’invidia sociale miranti all’omologazione meccanicistica e alla depauperizzazione delle coscienze…due facce della stessa ‘patacca’ a sei punte e prodotti dell’evoluzionismo, del progressismo, della costante cieca furia devastatrice di qualsivoglia ordine e di qualunque ‘organicismo’…) ed infine il mondo rovesciato, l’One World, la società del nulla che ‘invade’ e pervade, penetrante e strisciante, ogni minimo ‘anfratto’ abbandonando gli individui a sè stessi… Non esiste più alcuna morale. Nè un’etica. Non esistono più valori nè obiettivi. Non c’è alcun orizzonte verso il quale procedere…la ‘marcia’ nel nulla, verso il nulla, per il nulla.

    “Nichilismo: manca il fine, manca la risposta al “perchè?”. Che cosa significa il nichilismo? – Che i valori supremi perdono ogni valore” sentenzierà Nietzsche con assoluta lucidità.

    “Il nichilismo – continua Galimberti nel suo volume – è un’antica figura, perchè intorno all’essere e al nulla si è aperto il grande scenario della filosofia che, a differenza della religione e della scienza, non si è assestata sul positivo atteso o realizzato, ma in quel framezzo tra positivo e negativo, tra essere e nulla, in cui la decisione si fa più drammatica e più vertiginosa la scelta di campo (…il ‘signoreggiamento’ del ‘vortice’…ndr). Una scelta, infatti, che non è tra questo o quell’altro ente, tra Dio o il mondo, ma tra il senso della totalità dell’essere e la sua implosione.”

    Assistiamo alla ‘danza’ ossessiva e ripetitiva fino all’estenuazione di un mondo che si ‘capovolge’ su se stesso, del contorcimento ‘emozionale’ delle coscienze di anime immobili dentro corpi dinamici che, ritmicamente, meccanicamente, compulsivamente, ‘deambulano’ vaganti alla ‘cerca del nulla’ che appare come l’estrema ratio per i soggetti sinagogico-sistemici incapaci di fuoriuscire dalle dinamiche di livellamento globale e di omologazione edonistico-consumistica imposti da società programmate e ‘tecnicamente’ funzionali a ‘costruir’ automi… L’automatismo delle relazioni, la meccanicità dei sentimenti, l’interazione falsa e meschina dei rapporti diventano una costante del ‘vivere’ quotidiano per milioni di individui massificati e resi ‘schiavi’ del nulla.

    L’accettazione supina di questa situazione di malessere profondo e quotidiano rappresenta il ‘limes’ di riferimento tra ‘nichilismo attivo’ e ‘nichilismo passivo’. Arrendersi alla ‘corrente’ prima ancora della ‘piena’ , assecondandone i ‘flutti’, potrebbe anche risultar più conveniente di qualsivoglia tentativo di opporre una inutile, vana e presentita come sterile ‘resistenza’ di ogni ordine e di ogni gradazione…

    “Da Gorgia – per il quale “nulla è; se anche fosse, non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile” (3) – a Heidegger – per il quale “che ne è dell’essere? Dell’essere ne è nulla! E se proprio qui si rivelasse l’essenza del nichilismo finora rimasta nascosta? (4) – , per l’intero arco della storia della filosofia, l’ospite inquietante ha fatto sentire la sua presenza, ma solo oggi, solo nel nostro tempo, questa presenza è divenuta clima della terra, spaesamento di tutti i paesaggi che gli uomini nella loro storia hanno di volta in volta faticosamente costruito per abitare la terra. – continua Galimberti – Ma perchè proprio oggi?”

    La risposta alla domanda appare scontata: perchè viviamo nel “ragna rok” delle antiche saghe nordiche, nel Kali-Yuga della tradizione indù, nell’epoca dello svuotamento assoluto di tutto e di tutti i valori, nella società dei senza futuro in attesa della fine…Viviamo l’epoca precedente lo sprofondamento, l’oscuramento generale, dell’umanità ed è una ‘percezione’ che viene avvertita da tutte le culture tradizionali in ‘affanno’, a qualunque latitudine…

    Il ragnarok (o ragnarokkr) indica, nella mitologia norrena (5), il periodo precedente la fine del tutto o, per essere esatti, l’epoca che annuncia la battaglia escatologica tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle rappresentanti le tenebre ed il caos in seguito alla quale il mondo conosciuto verrà disintegrato e rigenerato.

    Il nome è composto da ragna, il genitivo plurale di regin (dèi-poteri organizzati) e rök (fato-destino-meraviglie), poi confuso, non erroneamente, con røkkr (crepuscolo). La visione del ragnarokkr è quella da “crepuscolo degli dei” disegnata superlativamente da Friedrich Nietzsche nella filosofia e ‘preannunciata’ da Renè Guènon e altri autori del Novecento come ineluttabile destino….è “Il tramonto dell’Occidente” di spengleriana memoria quello disegnato dalla mitofania nordica…la fine di una civiltà e delle civiltà, la scomparsa di un mondo.

    “L’opera di Spengler significava la critica dell’evoluzionismo lineare dell’umanità, la sua sostituzione con una concezione ciclica della storia che vedeva espansioni, crolli e rinascite delle civiltà, significava, inoltre, non parlare più della civiltà al singolare, modello mondiale inglobante i singoli destini dei popoli, ma delle civiltà nella loro particolarità e nel loro ritmo vitale di nascita, crescita e morte. Significava pensare alla possibile fine di un mondo, significava indicare che l’Occidente era ormai entrato nella fase di decadenza, senza speranza di futuro.” (6)

    Il Ragnarok preannuncia la fine e un nuovo inizio. Un inizio che dovrà riposare sulla quiete dopo lo scatenamento della tempesta finale. Ragnarokkr significa “crepuscolo degli dei” ed è questa probabilmente la più efficace metafora, della quale si approprierà utilizzandola e riportandola alla luce ed a nuova popolarità anche Richard Wagner nella sua opera “Gòtterdàmmerung”, per la descrizione di un’atmosfera, di un ‘pensarsi’ al culmine, dinanzi al baratro, posti di fronte alla “battaglia finale”. Alcuni storici, tra i quali il francese Claude Lecouteux (7), hanno corretto questa definizione affermando che il vero e proprio significato di Ragnarokkr sia quello di un “Giudizio delle potenze”.

    Ma torniamo a Galimberti e alla sua domanda ‘fatidica’ sul perchè proprio adesso, ora, nell’epoca attuale assistiamo impassibili, quasi immobilizzati, all’apparizione devastante del nichilismo. “Perchè, scrive Franco Volpi: “Oggi i riferimenti tradizionali – i miti, gli dèi, le trascendenze, i valori – sono stati erosi dal disincanto del mondo. La razionalizzazione scientifico-tecnica ha prodotto l’indecidibilità delle scelte ultime sul piano della sola ragione. Il risultato è il politeismo dei valori e l’isostenia delle decisioni, la stessa stupidità delle prescrizioni e la stessa inutilità delle proibizioni. Nel mondo governato dalla scienza e dalla tecnica l’efficacia degli imperativi morali sembra pari a quella dei freni di bicicletta montati su un jumbo. Sotto la calotta d’acciaio del nichilismo non v’è più virtù o morale possibile.”(8).

    Niente resiste alla carica distruttiva prodotta dal fenomeno nichilista….tutto viene eroso, tutto lacerato, tutto infranto. Le certezze ed i valori, basi fondamentali sulle quali gli individui hanno costruito da sempre le loro civiltà, sono andate disintegrate dalla comparsa dell’inquietante inatteso…Inatteso ma preannunciato e inevitabile ‘ospite’ di un mondo destinato alla scomparsa per autocombustione lenta e per quel vuoto che sospende tutto.

    “Il nichilismo conclude la “terra della sera” e custodisce il senso del tramonto. Nietzsche, infatti, concepisce l’uomo moderno e il suo tempo come una fine, la fine del movimento morale e spirituale di più di duemila anni, la fine della metafisica e del cristianesimo, la fine di ogni giudizio di valore. – prosegue Galimberti soffermandosi su quella che è stata la ‘risposta’ offerta dalla prospettiva inquietante del Grande di Rocken – A parere di Heidegger il nichilismo denunciato da Nietzsche non è un evento casuale, un fatto storico che poteva anche non accadere, ma è il “processo fondamentale della storia dell’Occidente, e l’intera logica di questa storia” (9). Per questo l’annuncio nichilista della morte di Dio, non è determinato da un’insana mania di profanazione. Nietzsche non è Erostrato che, per una perversa mania di gloria, incenerì il tempio di Diana a Efeso. Per Nietzsche l’epoca finisce perchè non crede in ciò che l’aveva promossa e per secoli animata.”.

    L’annuncio nietzschiano è l’annuncio di una inevitabilità…di un qualcosa che è già prefigurato nelle premesse di una civilizzazione spinta parossisticamente e lanciata fuoriosamente alla conquista dell’infinito, plasmata dalle scoperte della tecnica e della scienza, laicizzata, umanistica e concepita solo ed esclusivamente in funzione di e per l’individuo al quale viene richiesta un’adesione ‘decontestualizzata’ da qualsivoglia valore, priva di etica e aliena da qualunque formula morale.

    La società del niente contemporaneo è l’attracco inevitabile dell’analisi filosofica nietzschiana che schiude le porte del perbenismo razionalista e quelle del buonismo pietistico religioso occidentali per lasciar emergere la figura inquietante del Leviatano nichilista che preannuncia la fine della cultura e della civilizzazione occidentali, la morte del sacro, lo sconsacramento supremo di tutti i valori e di tutte le metafisiche, la disintegrazione delle coscienze stuprate orgiasticamente nella bolgia consumistico-edonistica del mondo rovesciato della materialità…

    In Nietzsche del resto, quasi come si trattasse di un’opera omnia riassuntiva di tipo ontogenico, attorno alla sua visione organica dell’esistenza individuale e collettiva è possibile identificare un fascio, un insieme organico, di tutte le tappe essenziali del pensiero critico e della dialettica pessimistica occidentali fino alla estrema conclusione che delinea irriducibilmente l’avanzata del nuovo attore, assoluto protagonista, che contraddistinguerà le dinamiche involutive del mondo moderno: il nichilismo. Nietzsche dunque assurge al rango di figura simbolica di un’intero mondo (10), di una civiltà in decomposizione, anticipatore cosciente e disintegratore autodidatta delle crepuscolari atmosfere di morte, dolore, rassegnazione, oblio interiore che circonderà l’umanità occidentale ed infine il mondo nelle epoche a seguire le sue folgoranti intuizioni.

    “La persona di Nietzsche è in pari tempo una causa. E’ la causa dell’uomo moderno, per la quali qui si combatte, di quest’uomo che, sradicato dal sacro suolo della tradizione (…) cerca sè stesso, cioè vuol riconquistare un senso soddisfacente per la sua esistenza oramai rimessa interamente a sè stessa.” (11)

    In Nietzsche dunque assistiamo alla duplice trasfigurazione di due ‘stilemi’ che rappresentano i possibili ‘sviluppi’ di esperienze fondamentali: l’individuo si accorge che la vita è tragica ma come tale deve essere vissuta (coscienza del nichilismo, sua percezione, sua analisi e ‘radiografia’). In quali ‘forme’ e in quali ‘modi’ è la risposta che il Filosofo di Rocken cercherà di anticipare quasi a voler affermare il suo primato, la primogenitura del e sul fenomeno nichilista: un ‘lascito’ alle future generazioni ed un monito. Perchè nella visione del mondo nietzschiana l’esistenza rimane qualcosa di fondamentalmente tragico e contraddittorio. Ma Nietzsche indica anche i ‘metodi’ che potrebbero rappresentare la giusta soluzione, o per lo meno una delle possibili soluzioni, per le inquietudini esistenziali perchè l’uomo viene anche avvertito come una forza generatrice che può, anzi deve, creare nuovi valori in sostituzione di quelli che sono stati abbattuti ovvero evadere, scaricando tutta la tensione emotiva insostenibile, ricreando o creando ex novo un nuovo mondo di contemplazione estetica.

    Nella “Nascita della Tragedia” la prima via indicata da Nietzsche è quella di immedesimarsi completamente con la ‘tragicità’ anzi viene offerta una metodologia operativa e ideale per volerla vivere fino alle sue forme più estreme, radicalmente, in quel percorso segnato dalla cosiddetta “Via di Dioniso” la Via della Mano Sinistra, la via del Nichilismo. Al contrario esiste una seconda ‘opzione’ – escludendo completamente quella di riconnettersi a forme spirituali e tradizionali che per Nietzsche non rappresenterebbero nient’altro che limitanti ostacoli e retaggi di un passato destinato ad essere spazzato via – che è contemplativa, estatica, evasiva e creatrice e che viene comunemente riconosciuta come la “Via di Apollo”. L’uomo dionisiaco nietzschiano però non si perde nella semplice identificazione con “ciò che esiste” ma mira ad assumere organicamente, coscientemente e lucidamente, un’attitudine che diviene autoprocreatrice di potenza: esiste una volontà di potenza che rappresenta il potere autonomo che si manifesta quale pura determinazione e tende a confondersi, ridursi e amalgamarsi completamente con la Potenza.

    Da un lato assistiamo in Nietzsche al progressivo, sistematico e irrazionale riduzionismo dello spazio creato dall’evasione estetica, dalla disintegrazione di tutto ciò che viene avvertito come la maschera idolatrica dei feticci, degli ‘dei’ soprattutto di quelli razionalistici e moralistici. E’ il crepuscolo degli idoli, l’abbattimento di tutto ciò che può e poteva servire all’essere umano come appoggio, come rifugio, come ultima ratio salvificante. La concezione è tragica ed estrema perchè i tempi sono tragici ed estremi come la vita che l’individuo si troverà a vivere d’ora innanzi.

    In questa concezione tragica si manifesta quindi l’ascetica nietzschiana: una dimensione ed una rappresentazione dell’esistenza che si formano nella particolarità dell’ascesi determinata dalla volontà, sempre più intesa da Nietzsche come una forza assoluta che può, anzi deve e necessita, di sopravvivere a sè stessa, dicendo no a sè stessa e appunto in questa autoflagellazione sentire e realizzare pienamente la sua più alta manifestazione di potenza.

    Giorgio Simmel , analizzando la risposta superomistica del ‘pazzo di Rocken’ – come sarà definito dai suoi non pochi detrattori in vita e successivamente il filosofo tedesco – ; ricorda come la tensione costante prodotta dal vivere, l’estrema intensità del vivere, si trasforma e capovolge in una qualità diversa che diviene un “più che vivere” sebbene ricordi come nel mondo del “superuomo” nietzschiano manchino le premesse ed i punti di riferimento che abbiano la possibilità di funzionare da “trasformatori” nel circuito della vita per renderla realmente “supervita”.

    E’ qualcosa che non può nè deve essere lasciato al caso perchè i rischi sono troppo alti.

    Nella sua opera “La questione dell’essere” , rispondendo a Ernst Jùnger, scrive Martin Heidegger: “in che cosa consiste il compimento del nichilismo? La risposta sembra ovvia. Il nichilismo sarà compiuto quando avrà carpito tutte le sostanze, quando avrà fatto la sua comparsa ovunque, quando più niente potrà pretendere di fare eccezione, perchè il nichilismo sarà divenuto la condizione normale. Ma la condizione normale non è che la realizzazione del compimento. Quella è una conseguenza di questo. Compimento significa il raccogliersi di tutte le possibilità essenziali del nichilismo, che restano difficili da perscrutare sia nel loro insieme, sia singolarmente. Le possibilità essenziali del nichilismo possono essere pensate solo se torniamo indietro a pensare alla sua essenza. Dico “indietro” perchè l’essenza del nichilismo precede e quindi anticipa le singole manifestazioni nichilistiche, e le raccoglie nel compimento. Il compimento del nichilismo, tuttavia, non è già la sua fine. Con il compimento del nichilismo si inizia solo la fase finale del nichilismo.” (12)

    Già Nietzsche aveva presentito e descritto che la decadenza non troverà compimento e comunque caratterizzerà i secoli a venire perchè , come scriverà lucidamente: “L’uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere. Il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto. Si avverte sempre più il vuoto e la povertà di valore. Il movimento è inarrestabile, sebbene si sia tentato in grande stile di rallentarlo. Alla fine l’uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l’origine, conosce abbastanza per non credere più in nessun valore; ecco il pathos, il nuovo brivido. Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli.” (13)

    Quale il senso di ‘marcia’, la direzione, le dimensioni e le derivazioni che il nichilismo ha assunto nel corso dell’ultimo secolo e mezzo? Anche questa è una risposta che interessa a Galimberti per la sua ricognizione analitico-introspettiva, sociologica e psicologica, del baratro della contemporaneità che avviluppa e confonde, irretisce e caratterizza la società moderna: “A dare il nome all’ospite inquietante – scrive – è stato lo scrittore russo Ivan Sergeeviç Turgenev (1818-1883), a partire dal quale il nichilismo si è fatto strada nel Romanticismo e nell’Idealismo, ha contaminato il pensiero sociale e politico francese e tedesco, ha animato l’anarchismo e il populismo del pensiero russo, ha proclamato la morte di Dio con Nietzsche, aprendo quella cultura della crisi connotata da relativismo, scetticismo e disincanto. Si è fatto evento estetico e letterario, per poi diventare sigillo della storia dell’essere con Heidegger, Junger e Severino. Ha permeato di sè l’esistenzialismo di Sartre, la teologia politica di Carl Schmitt, fino ad annunciare la fine della storia con Kojève e Gehlen per l’avvenuto incontro fra l’ospite inquietante, il nichilismo, e quell’impassibile convitato di pietra che è la tecnica, la quale, con la sua fredda razionalità, relativizza e relega sullo sfondo tutte le simboliche e le immagini che l’uomo si era fatto di sè per orientarsi nel mondo e dominarlo.”




    ( continua )




    Recensione Libraria – Umberto Galimberti: “L’ospite inquietante – Il Nichilismo e i giovani”

  9. #9
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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    Questo’ a titolo ‘introduttivo è quanto c’era da dire e da scrivere su e del Nichilismo , di quest’ospite inquietante che ha scaravoltato e rovesciato tutte le certezze, mandando in frantumi tutti gli idoli, tutte le certezze, tutte le metafisiche inaridendo l’Occidente, rendendolo vuoto, triste, sconvolto interiormente, castrato nell’anima, disilluso e ferito nella coscienza, privo di speranza e di illusioni perchè tutte quelle che c’erano, quelle sulle quali gli individui occidentali riponevano la loro fiducia e il loro razionale o fanatico , cosciente o cieco, impegno e la loro attitudine sono state disintegrate, andate in frantumi, con quel grande travaglio e rimescolamento ideale rappresentato prima dai due conflitti mondiali e successivamente dalla fine delle delle ideologie del Novecento che hanno segnato e contrassegnato un’epoca assolutamente tragica, idealistica, emotivamente coinvolgente miliardi di anime ma sepolta definitivamente con la proclamazione del mondo unipolare, unidimensionale, dell’avvento del nuovo messianismo edonistico-consumista, con l’affermazione planetaria delle nuove tecnologie ed i nuovi mezzi di comunicazione, depauperizzata e deideologizzata l’umanità assiste inerme e impotenta all’emersione del Non-Valore assoluto, all’avvento dell’era del Nichilismo.

    La ricognizione d’analisi ‘destinata’ dall’autore al rapporto nichilismo-nuove generazioni viene ‘introdotta’ nel secondo capitolo del testo in questione dall’eloquente titolo “l’epoca delle passioni tristi” e da una altrettanto e più eloquente citazione del duo Benasayag/Schmit che si domandano “Cosa succede quando la crisi non è più l’eccezione alla regola, ma essa stessa regola nella nostra società?”.

    E’ una domanda retorica perchè, pensiamo, entrambi i due autori – che si occupano di psicoanalisi e psicologia con cattedre in Francia – sanno benissimo quale sia il livello di lacerazione raggiunto dall’attuale processo dissolutivo delle nostre società occidentali caratterizzante un’epoca ed assieme un’atmosfera di profonda disillusione che lascia inevitabilmente il posto appunto a “passioni tristi” – come hanno intitolato un loro saggio (14) – e a deboli ‘rimedi’ e ancor più vacue reazioni: si passa dalla rabbia alla depressione, dall’isteria di massa alla vulnerabilità del singolo fino al ricorso a mezzi di ‘sostegno’ artificial-stupefacenti che, si vedrà nel paragrafo dedicato a droghe, alcool e ‘sballi’ giovanili da Galimberti, offrono un quieto rifugio per i più deboli ma rappresentano anche quei vani “sorgenbrecher” (“scacciadolori”) – parafrasando il giudeo Freud – che sono la manifesta aspirazione di un libero sfogo ai semplici desideri che, come ci ricorda Platone, sono essenzialmente “mancanze” in quanto “il nulla è l’anima del desiderio” che, nella sua versione anestetica, rende l’appetito irresistibile e il piacere insoddisfacente.

    “Contro l’insaziabilità del desiderio Platone consigliava il pensiero, Freud invitava a piegarsi al principio di realtà, nel senso che per godere bisogna fare uno sforzo. – scrive Galimberti – E allora contro la voluttà degli “scacciadolori” (…) l’antropologa Giulia Sissa consiglia: “Mettiamoci a sedurre uomini, conquistare donne, guadagnare denaro, scrivere un libro. Passiamo attraverso le persone e le cose. (…) Dopotutto – ed è appunto il dopo che conta – si gode di più” (15).

    L’introduzione al rapporto tra le giovani generazioni e l’ospite inquietante non lascia molte speranze (…del ‘resto’ non è che ce ne ‘siano’ poi ‘molte’ in ‘giro’…assumere atteggiamenti ottimistici risulterebbe oltremodo demenziale, pessimistici sicuramente ‘accondiscendente’ la ‘corrente’ con il rischio di farsi risucchiare dal vortice…serve sempre un sano realismo per qualunque ‘analisi’ …) scrive infatti l’autore: “Quali sono le ricadute del nichilismo soprattutto sulla condizione giovanile? A rispondere sono un filosofo e psicoanalista argentino, Miguel Benasayag, (…) e un professore di psichiatria infantile e dell’adolescenza, Gèrard Schmit, che insegna all’università di Reims. I due studiosi hanno posto sotto osservazione i servizi di consulenza psicologica e psichiatrica diffusi in Francia e si sono accorti che a frequentarli, per la gran parte, sono persone le cui sofferenze non hanno una vera e propria origine psicologica, ma riflettono la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà. Quali “tecnici della sofferenza” si sono sentiti impreparati ad affrontare problemi che non fossero di natura psicopatologica. E invece di adagiarsi tranquillamente sui farmaci a loro disposizione per curare il disordine molecolare e così stabilizzare la crisi, si sono messi a studiare e a pensare il senso che si nasconde nel cuore del sintomo, quando la crisi non è tanto del singolo quanto il riflesso nel singolo della crisi della società che, senza preavviso, fa il suo ingresso nei centri di consulenza psicologica e psichiatrica, lasciando gli operatori disarmati.”

    Già in fondo chi è causa del suo mal pianga sè stesso verrebbe da commentare considerando come i primi ‘malati’ sono spesso e volentieri coloro ai quali viene delegata la facoltà di decidere del destino altrui o, per essere più chiari, alla folta schiera di psicologi e psicoanalisti ai quali la società moderna , contorta e rovesciata su sè stessa, vorrebbe affidare la salvezza delle anime… Il mondo moderno dopo aver relegato Dio in un angolo e infine sancito la sua ‘cacciata’ (quasi che l’essere umano – in una insana e perversa follia vendicativa – abbia inteso mutatis mutandi decretare la stessa sorte toccata alla sua ‘razza’ con la ‘cacciata dall’Eden’….) cerca disperatamente ‘appigli’ di salvazione laddove possibile; purtroppo a furia di materialismo e ateismo, laicismo e modernismo l’uomo-massa ha creato il ‘suo’ mondo nel quale non trovano più posto nè gli antichi ‘dei’ delle tradizioni politeiste classiche nè tantomeno il dio “geloso e esclusivista” dell’Antico Testamento ..ma l’esperimento -sostenuto da tutti i mezzi della tecnica, della scienza e della ragione – non ha prodotto i ‘frutti’ sperati…nè avrebbe potuto ottenere più di quanto abbiamo dinnanzi…il vuoto, la voragine, il baratro del nichilismo…

    E allora ecco domandarsi, puntualmente, in che cosa consista essenzialmente questa crisi? Qual’è la natura, la vera essenza, della crisi dei valori, della società, del mondo moderno?

    Scrive l’autore: “In che cosa consiste questa crisi? In un cambiamento di segno del futuro: dal futuro-promessa al futuro-minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche repressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente), quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora, come dice Heidegger, “il terribile è già accaduto” (16), perchè le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l’energia vitale implode. (…) La morte di Dio non ha lasciato solo orfani, ma anche eredi. La scienza, l’utopia e la rivoluzione hanno proseguito, in forma laicizzata, questa visione ottimistica della storia, dove la triade colpa, redenzione, salvezza trovava la sua riformulazione in quell’omologa prospettiva dove il passato appare come il male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso (scientifico o sociologico) come salvezza. Il pensiero positivo di fine Ottocento era animato da una sorta di messianismo scientifico, che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza. Sul versante sociologico Marx evidenziava le contraddizioni del capitalismo in vista di una radicale trasformazione del mondo, mentre sul versante psicologico Freud ipotizzava un prosciugamento delle forze inconsce non controllate dall’Io, perchè “dov’era l’Es deve subentrare l’Io. Questa è l’opera della civiltà” (17).”

    ‘Complimenti’ ai due ‘compari’ giudei: Marx e Freud hanno concepito strumenti d’analisi sterili, fuochi fatui, utopie ancor più livellanti e omologanti che hanno castrato l’individuo anziche portarlo alla tanto ‘agognata salvezza’…La ‘triade’ colpa-redenzione-salvezza prospettata dal ‘socialismo scientifico’ da un lato e dal freudismo dall’altro hanno svuotato fisicamente (portando anime e coscienze all’ammasso) l’uno e psicologicamente (attaccando il ‘cuore’ dell’individuo ossia il suo ‘motore immobile’..penetrando nella mente, intendendone rivelare qualunque ‘segreto’, mutuando dallo spazio psichico pericolose ‘terapie’ fondate su aberranti ricorsi alla rimozione di qualsivoglia freno inibitorio …consigliamo in proposito la rilettura di “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” …sempre ‘illuminante’..) l’altro l’essere umano fino a disumanizzarne l’anima, svuotandola di contenuti etici, di spiritualità, di aneliti verso il Sacro. Tanto il marxismo ‘scientifico’ (…la ‘scientificità’ marxista..una delle più evidenti, profonde, demenziali utopie della società contemporanea…un grandioso inganno…) quanto la psicanalisi freudiana sono co-responsabili di aver aperto varchi profondi e inferto insanabili ferite all’umanità. La messa in discussione e la pretesa di ‘concorrenza’ rispetto al Divino da una parte e l’istinto maniacale della ‘cerca’ di ‘devianze’ dall’altra parte sono state, fra le altre, due delle principali azioni dissolutivo-degenerative rispetto all’organismo imperfetto dell’individuo ‘abbandonato’ a sè peraltro dal fiducioso ‘avvenire’…un’umanità che, come giustamente rileva Galimberti, a questo “ha guardato….sorretta dalla convinzione che la storia…è inevitabilmente una storia di progresso e quindi di salvezza.”.

    “Oggi questa visione ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall’estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all’estrema negatività di un tempo affidato a una casualità senza direzione e orientamento. E questo perchè, se è vero che la tecno-scienza progredisce nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci alla nostra infelicità e ai problemi che ci inquietano e che paurosamente ruotano intorno all’assenza di senso. Per dirla con Spinoza, viviamo in un’epoca dominata da quelle che il filosofo chiama le “passioni tristi”, dove il riferimento non è al dolore o al pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso (…”vuoto di senso crolla l’Occidente/ soffocherà per ingordigia e assurda sete di potere” ci ‘ricorda’ il sulfureo Franco Battiato…ndr), che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi, perchè si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà.”

    La paura, l’insicurezza, l’inadeguatezza del vivere, il senso di impotenza, la visione catastrofistica o apocalittica che contrassegna le nostre società, il vuoto ideale, emotivo e sentimentale che ‘accompagna’ e ‘scandisce’ i rapporti e le relazioni tra gli individui, la mancanza di aspettative verso il futuro, la sensazione avvertita a livello generale e globale di precarietà e l’insondabile ‘tendenza’ verso il baratro di una quotidianità assorta in mille pensieri che neanche più si pone alcuna questione relativa al proprio futuro sono i ‘sintomi’ di questa crisi. Crisi enorme. Crisi che non ha soluzioni perchè non ne esistono. Tantomeno in terra occidentale dove alla domanda di ‘sacro’ si offre l’osceno scenario del “supermarket delle religioni” in stile ‘new age’ e dove qualunque ‘afflato’ sia ribellistico sia spirituale viene ricompreso in quel crogiulo informe che è la spettacolarizzazione e la pubblicizzazione del mondo delle immagini ‘diffuse’ largamente e in ogni modo dallo ‘scatolotto maledetto’ alias televisione fino ai più moderni mezzi di comunicazione di massa (internet, chat, cellulari ecc ecc).

    “La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva (..”Quant’è bella giovinezza/ che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’é certezza” ….Lorenzo De Medici…’echi’ lontani di ‘rinascimentali prospettive’e sonetto in rime che intendeva ‘cantar’ la giovinezza…’almeno’ c’era ancora la speranza ad alimentare quel mondo…ndr). Ciò significa che nell’adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull’amore di sè) alla libido oggettuale (che investe sugli altri e sul mondo). Senza questo passaggio, si corre il rischio di indurre gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che “ci si salva da soli”, con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali. La mancanza di un futuro come promessa priva genitori e insegnanti dell’autorità di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti si instaura allora un rapporto contrattualistico, per effetto del quale genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto egualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare l’adolescente come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni, e all’ansia che ne deriva.”

    E meno male che anche Galimberti se n’é ‘accorto’ di cosa abbiano significato le ‘decantate’ derive buonistico-onnicomprensive che per anni hanno caratterizzato l’approccio didattico-scientifico e la ‘scolastica’ delle facoltà di sociologia e scienza della comunicazione….

    “Quando i sintomi del disagio si fanno evidenti, l’atteggiamento dei genitori e degli insegnanti oscilla tra coercizione dura – che può avere senso quando le promesse del futuro sono garantite – e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura consumistica che si va diffondendo è un invito. Sennonchè anche i giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare tutte le situazioni tipiche dei riti di passaggio dell’adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente l’autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia, dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l’autorità non esiste più (…’ricordiamo’ una demenziale ‘serie’ televisiva dall’”illuminante” ‘titolo’ …”Una mamma per amica”….chissà quante ‘mamme’ ‘moderne’ hanno cercato di ‘emulare’ le ‘gesta’ della protagonista…l’inversione dei ruoli è ovviamente un altro sintomo e la conseguenza più evidente dell’inversione dei valori del mondo moderno…ndr) , i giovani finiscono con il fare il loro Edipo con la polizia, scatenando nel quartiere, allo stadio, nella città, nella società la violenza contenuta in famiglia.”

    Sia detto per ‘inciso’ ‘caro Galimberti’ …’magari’ si ‘sfogassero’ soltanto tra quartiere, stadio e città ..le nuove generazioni ‘imparano’ prima (….educazione ‘fai da te’ computeristico-compulsoria…demenziali atteggiamenti di massa caratterizzanti oramai una fascia di individui che ‘trascende’ l’adolescenza….) via ‘Internet’….per esistere ci si affida alle ‘dinamiche virtuali’ del computatore che ‘insegna’ l’”abc” su tutto…’sveglia’ l’emotività, suscita stati di dipendenza, eleva il rischio (…ed anche il rischio bisogna riconoscerlo ha un suo fascino ‘diabolico’ da sempre…) e quindi ‘eccita’ e stimola a “vivere” la realtà virtuale…..(…centinaia di migliaia di siti, forum e chat su tutto ed il contrario di tutto per decerebrati e ‘illusi’ perchè Internet è la grande parodia della vita…ma ‘questo’ è un discorso che comunque ci porterebbe lontano…basti comunque pensare al fenomeno “Facebook” con i suoi milioni di iscritti….alla ‘facilità’ con la quale viene ‘garantito’ un’approdo veloce per l’apertura di nuove relazioni ‘sociali’…senza neanche più ‘società’…abbiamo, ‘bazzicando’ allegramente nella ‘realtà computatorio-informatica, incontrato di tutto di più….soggetti al limite del ‘credibile’ e anche al di là dell’inimmaginabile…d’altronde, occorre ‘ricordarlo’, la realtà ‘reale’ non si differenzia oramai molto da quella virtuale…).

    “Sono questi, solo alcuni degli esempi fra i molti che si potrebbero segnalare per mostrare il nesso tra il passaggio storico del futuro come promessa al futuro come minaccia…(…) A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l’attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella terroristica, cade come un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ha ancora in serbo delle risorse se solo non ci facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l’insicurezza.”

    Mah…’sarà’ …di certo non è che ‘abbondiamo’ con le ‘dosi’ di ‘ottimismo’…. in giro ‘pare’ una ‘materia’ piuttosto ‘rara’ da incontrare.

    Meritevole di una fugace ‘introduzione’ e analisi il terzo capitolo del volume passa quindi a occuparsi del “disinteresse della scuola” sostenendo, non a torto, che “la scuola ha a che fare con quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza (…discorso ‘lungo’ che andrebbe a parar lontano quello degli ‘eterni adolescenti’ che – specialmente tra i nostri coetanei ‘abbondano’…anche, ‘soprattutto’, tra quelli che si ‘ritengono’ “realizzati” dalle compensazioni Casa-Lavoro-Famiglia.. ndr) , dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è (…ma realmente Galimberti è così ‘certo’ che gli ‘adulti’ siano ‘tali’ e soprattutto sappiano esattamente che cazzo sono?..mah…diciamo che è ‘vero’ va…’crediamoci’….ndr) , ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna. (…) L’autostima dello studente è scambiata spesso per presunzione, e l’autoaccettazione come un esplicito riconoscimento da parte dello studente di non valere un granchè. Se poi è lo stesso studente a esser convinto di valere poco, il professore si sente assolutamente assolto nel suo ribadire con voti e giudizi negativi, quel nulla che lo studente avverte già per suo conto dentro di sè. E così (…) si allarga e si approfondisce quella dimensione del vuoto che talvolta porta a gesti irreversibili. A evento compiuto, di solito i professori manifestano meraviglia. Non si meravigliano della loro disattenzione, ma dell’imprevedibilità di un simile gesto in un ragazzo che sembrava così “allegro” e “vivace”. Perchè, nonostante il gran frequentare letture umanistiche in cui sono descritte tutte le pieghe dell’anima, molti professori ancora non sanno distinguere, nel riso di un giovane, lo spunto della gioia o la smorfia della tragedia imminente. Ma chi tra gli insegnanti accerta, oltre alle competenze culturali dei propri allievi, il grado di autostima che ciascuno di loro nutre per se stesso? Chi tra gli insegnanti è consapevole che gran parte dell’apprendimento dipende non tanto dalla buona volontà (…ci domandiamo cosa ‘esattamente’ sia questa “buona volontà”…ndr) , quanto dall’autostima che innesca la buona volontà? Chi, con opportuni riconoscimenti, rafforza questa autostima, primo motore della formazione culturale, ed evita di distruggerla con epiteti e derisioni che, rivolti a persone adulte, porterebbero di corsa in tribunale? (….) Pochi, pochissimi insegnanti nella scuola italiana, a cui si accede per competenze contenutistiche e non per formazione personale, in base al principio che l’educazione è una conseguenza diretta dell’istruzione.”

    Già ed appare evidente che nessuno ‘prenda atto’ di questa lapalissiana verità fattuale.

    Interessante infine, per soffermarci ancora sul terzo capitolo dedicato alla scuola e all’educazione scolastica (…del ‘resto’ abbiamo “bei ricordi” di quel periodo…’spuntavamo’ a malapena il ‘quattro’ in “english” e, quando ‘andava bene’, il “due” in matematica…), un testo riportato dal Galimberti a pag. 37 del suo volume che ‘sfata’ il mito della buona volontà… E’ una lettera lasciata da una studentessa liceale che completa il quadro generale dei rapporti Professori-Studenti che sono caratterizzati sempre da reciproca diffidenza se non addirittura da assoluta incomprensione. ‘Riportiamo’:

    “Sia genitori sia insegnanti mi esortavano a studiare. E io studiavo provando una noia mortale, con l’attenzione corrotta dal dubbio che stessi lavorando inutilmente, perchè era indipendente dalla volontà l’esito del mio lavoro. Mi era negata ogni possibilità di sentirmi capace di gestire gli eventi scolastici che mi riguardavano. Le pagine erano disanimate, straniere, mi avvicinavo a loro con l’urgenza di altri pensieri insieme al senso di colpa per il fatto di averne. Piano piano sentivo che cresceva in me la convinzione che la cosa non mi riguardasse, e alla fine, quando i miei genitori erano arrivati a preoccuparsi gravemente, a me non interessava più nulla di quel che veniva detto a scuola. Erano discorsi di cui vedevo immediatamente l’inutilità, la contraddizione. Mi sembravano linguaggi parlati da estranei e non certo rivolti a me. E a nessun insegnante sembrava importasse qualcosa di queste mie sensazioni, anzi, andava bene perchè non disturbavo più, non facevo più domande e non mi arrabbiavo. Non parlavo neppure con i compagni, perchè loro erano bravi e mi guardavano come se fossero dei professori. Non c’erano più amici con cui parlare dei miei pensieri che mi venivano al posto della voglia di studiare, ma solo giudici, tante persone che avevano capito tutto e sapevano proprio tutto. Ma tutto cosa? Quando ci riflettevo, spesso piangendo, mi chiedevo che segreti avessero scoperto dai libri o dai discorsi degli insegnanti. Poi, col tempo, me ne importava sempre meno, e questo tipo di domande ora non me le pongo più. Quello che sanno delle cose della vita non gli serve a niente, e non li fa neppure essere felici: qualsiasi cosa sia, ciò che hanno capito non gli ha cambiato il modo di stare al mondo.”

    Vera o meno questa ‘testimonianza’ scolastica rappresenta sicuramente un possibile ‘archetipo’ di ciò che dev’essere e di come dev’essere ‘avvertito’ il rapporto con le istituzioni scolastiche dalla gran parte degli studenti italiani….Probabilmente meno ‘complessato’ di quanto riportato è certo che, per i più, la scuola rappresenta un passaggio ozioso, noioso, monotono della loro vita che dev’essere ‘superato’ per andare ‘oltre’, entrare nel “mondo degli adulti” …senza però, spesso, esserne affatto pronti. Anche Galimberti comunque ‘deve’ concludere ‘raccontandosela’ un pò quando – paragrafo 8.vo del capitolo in questione – domandandosi il ‘classico’ “che fare?” di leninista memoria scrive “Che fare non lo so, che dire ci provo. Penso che la generazione dei nostri figli abbia, rispetto a quella dei loro genitori, un’emotività molto più incontrollata e uno spazio di riflessione molto più modesto. Il loro fondo emotivo è stato sollecitato fin dalla più tenera età da un volume di sensazioni e impressioni eccessivo rispetto alla loro capacità di contenimento (e fin qui niente da ‘obiettare’ ndr). Sin dai primi anni di vita hanno fatto troppa esperienza (televisiva e non) rispetto alla loro capacità di elaborarla. Di loro abbiamo detto: “Come sono intelligenti, noi alla loro età eravamo più stupidi” (…’strano’ perchè pensiamo esattamente il contrario….ndr). E non l’abbiamo detto solo a noi, l’abbiamo detto anche a loro. E loro ci hanno creduto, avviandosi, con la nostra benedizione e il nostro compiacimento, su quella strada ingannevole dove si confonde l’intelligenza con l’impressionabilità, cui segue una risposta immediata. In questo gioco di inganni abbiamo confuso la loro risposta immediata con la prontezza dei riflessi e la velocità di ideazione, mentre era semplicemente un cortocircuito. (….) L’eccesso emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo portano sostanzialmente a quattro possibili esiti: 1) lo stordimento dell’apparato emotivo attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca o i percorsi della droga; 2) il disinteresse per tutto, messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell’ignavia e della non partecipazione che portano all’atteggiamento opaco dell’indifferenza; 3) il gesto violento, quando non omicida, per scaricare le emozioni e per ottenere un’overdose che superi il livello di assuefazione come nella droga; 4) la genialità creativa, se il carico emotivo è corredato da buone autodiscipline. Autodiscipline, non divieti immotivati e punizioni casuali.”

    Mah….che dire ancora…che obiettivamente abbiamo dinanzi uno ‘scenario’ da incubo ….un delirio di derive esistenziali svuotate di ogni emotività quando non sovralimentate da carichi emozionali artificiosi….(..gli ‘shock addizionali’ ‘servirebbero’ pure se fossero ‘conformi’ a pratiche ‘rituali’ ascendenti…ma anche questo è un discorso che ci porterebbe sicuramente lontano…qui il problema è una quadratura del cerchio impossibile…perchè questa pretesa direzione di formazione della ‘genialità creativa’ non può sussistere nel mondo capovolto e nella moderna società di massa …a meno che, appunto, non ci si trovi dinanzi a veri e propri Geni…ed i ‘geni’ dalle nostre parti non ‘abbondano’ affatto…). Tant’è possiamo semplicemente sottolineare un dato fattuale che probabilmente emerge dall’analisi di Galimberti: non sono ‘tanto intelligenti’ i ragazzi…sono proprio gli adulti ad essere coglioni!

    Va da sè che abbiamo dedicato anche troppo ‘spazio’ al capitolo dedicato al rapporto scuola-adolescenza anche se lo ritenevamo doveroso perchè apre lo scenario successivo che è quello dell’”analfabetismo emotivo” interessante ai fini di un’articolazione omogenea del problema centrale che è , e rimane, la dinamica di interazione tra nuove generazioni, società moderna e ‘inquietanti aspetti’ del nichilismo.




    ( continua)





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    Predefinito Rif: Dagoberto Bellucci

    “Oggi – scrive l’autore – l’educazione emotiva è lasciata al caso e tutti gli studi e le statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell’attuale generazione, ad avere un maggior numero di problemi emotivi rispetto a quelle precedenti. E questo perchè oggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita, perchè privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia senza i quali saranno sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare. (…) Se la scuola non è sempre all’altezza (…diciamo mai…ndr) dell’educazione psicologica, che prevede, oltre a una maturazione intellettuale, anche una maturazione emotiva, l’ultima chance potrebbe offrirla la società (…’andiamo bene’ …ndr) se i suoi valori non fossero solo business, successo, denaro, immagine e tutela della privacy, ma anche qualche straccio di solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco….”.

    Premesso che ci riconosciamo nel ‘profilo’ caratteriale ‘giovanilistico’ (…e quindi? ‘accidiosamente’ ribelli per natura detestiamo ‘standard’ ed ‘omologazione’ perchè, infine, a ciò mira dulcis in fondo l’articolata analisi del Galimberti…ecco perchè, pur interessante, questo testo non ‘convince’ appieno…e soprattutto non esaudisce affatto nè la problematica centrale nè tantomeno pone una minimale base di costruzione ideale che rappresenti un’inizio , o un nuovo inizio, rigenerante per le giovani generazioni…) almeno per alcuni ‘tratti’ ‘necessari’ (….’meglio’ …evidentemente siamo “giovani di spirito”…di fronte ad una gioventù ‘cresciuta’ già ‘vecchia’…alle soglie dei ‘quaranta’ potremmo prepararci ad una nuova ‘fatica editoriale’….”I miei primi quarant’anni”….’scontata’ …non ci metteremmo mezzo dito sul fuoco…) consideriamo assolutamente demenziale ‘affidarsi’ alla società contemporanea…e siamo certi che mentre indicava questa “ultima chance” qualche dubbio all’autore sia venuto…

    Solidarietà? Relazioni? Comunicazioni? Aiuti reciproci? Diciamo che qualcosa ‘resiste’ nelle italiche lande del post-modernismo e della seconda repubblica…in fondo si sà gli “italiani sono buoni” anche se quest’atteggiamento solidaristico-buonista sta lasciando il posto ad un arido individualismo di massa, alla manifestazione sempre più evidente di egoismi sociali che nascondono paure vecchie e nuove e timori, anche fondati, generati da un diffuso disagio e da un senso di insicurezza sempre più presente nella quotidianità di milioni di individui. Anche le dinamiche migratorie ed i flussi incontrollati di immigrazione ‘selvaggia’ hanno inevitabilmente contribuito e pesantemente a rendere meno ‘socievoli’ gli italiani….Tant’è questa è un’altra ‘problematica’ e non ci sembra opportuno aprire un nuovo fronte d’indagine… Basta e avanza quello su Gioventù e Nichilismo.

    “Conoscevamo la follia come eccesso della passione. Ne vedevamo i sintomi, ne prevedevamo i possibili scenari. Oggi sempre più di frequente, nell’universo giovanile (…perchè in quello ‘adulto’ è ‘diverso’?…pensiamo bene prima di ‘imputare’ tutti i mali del mondo ai giovani….ndr), la follia veste gli abiti della freddezza e della razionalità, non lascia trasparire alcunchè ed esplode in contesti insospettabili che nulla lasciano presagire e neppure lontanamente sospettare. (…) Quando la causa è irreperibile , quando il furore che di solito accompagna i gesti della follia è assente, allora bisogna scavare più a fondo e scoprire chi sono e come sono fatti coloro che compiono gesti così orrendi senza dare a vedere alcuna risonanza emotiva. La psichiatria conosce questa sindrome, e la rubrica sotto il nome di “psicopatia” o “sociopatia”. Lo psicopatico è colui che è capace di compiere gesti anche terribili senza che il suo sentimento registri il minimo sussulto emotivo. Il cuore non è in sintonia con il pensiero e il pensiero con il gesto. (…) Una buona educazione – soprattutto quella borghese che insegna a tenere a bada gli eccessi emotivi (…mah…diciamo l’educazione finto-borghese dell’ipocrisia familiar-scolastica fin de siècle….’resiste’ soprattutto nella provincia italiota…quest’oscura nebulosa di potenziali assassini e maniaci e di anime svuotate da qualsivoglia valore che non sia ‘sonante’ moneta…specialmente al Nord abbiamo sempre più evidenziato un tipo umano meccanicizzato…teso unicamente a lavorare possibilmente a ‘realizzarsi’ da sè, ad essere autonomo e indipendente, a ‘celebrare’ il Vitello d’Oro nella consapevolezza che “il lavoro nobilita l’uomo”….solo ‘interessi’ …in fondo, come ‘direbbero’ a Wall Street e dintorni – ma anche nel Nord-Est del ‘miracolo italiano’ anni Ottanta – , “business is business” …ndr) – confeziona per ciascuno di questi ragazzi un abito di buone maniere, di stereotipi linguistici, di controllo dei sentimenti che, come una corazza, rende questi giovani impenetrabili e scarsamente leggibili a chi sta loro intorno. Alla base c’è una mancata crescita emotiva, che ha reso il sentimento atrofico, inespressivo, non reattivo, per cui gli eventi della vita passano loro accanto senza una vera partecipazione, senza una adeguata risposta di sentimento a quanto intorno accade (…ci ‘crediamo’…onestamente c’è ‘poco’ quasi niente che possa realmente ‘coinvolgere’…ammesso che non parliamo di ‘guadagno facile’ e carriera semplice, interessi e ‘money’…allora tutto ‘cambia’…ndr). Buon terreno di cultura sono di solito le famiglie per bene, dove i problemi, quando si affrontano, si affrontano sempre in modo razionale (mah…che ‘razza’ di famiglie ‘conosce’ Galimberti?…o forse no…ha ragione lui…ne abbiamo ‘conosciute’ ‘parecchie’ ….ndr) , dove non si alza mai la voce (…infatti finisce sovente a ‘martellate’ e ‘coltellate’ …’dopo’…ndr), dove non si piange e non si ride, e dove soprattutto non si comunica perchè quando i figli hanno dato le loro informazioni sull’andamento scolastico e sull’ora del rientro quando si fa notte il sabato sera, sono lasciati nel rispetto della loro autonomia, dietro cui si nasconde il terrore dei genitori (anche questo mascherato) ad aprire quell’enigma che i figli sono diventati per loro.”

    Già …il ‘gioco’ degli ‘specchi’ e delle ‘finzioni’….che ‘bello’ eh?

    “E i figli, come gli animali, sentono quando c’è la paura dei genitori, e, quando non c’è, sentono il loro sostanziale disinteresse emotivo. Soli da piccoli, affidati alla televisione o alle prestazioni mercenarie dell’esercito delle baby-sitter, questi figli, figli del benessere e della razionalità, crescono con un cuore dapprima tumultuoso che invoca attenzione emotiva, poi, quando questa attenzione non arriva, giocano d’anticipo la delusione e il cinismo per difendersi da una risposta d’amore che sospettano non arriverà mai. A questo punto il cuore, un tempo tumultuoso e invocante, si fa piatto, non reattivo, pronto a declinare ora nella depressione ora nella noia. (…) Tutto bene dunque? All’apparenza si, tutto bene. A scuola non vanno male, col prossimo si sanno comportare, vestono anche bene (…mah…sarà…ndr) e con le maschere, che con estrema facilità indossano e sostituiscono, l’allenamento è collaudato. La sessualità, quando c’è, è tecnica corporea, perchè questi ragazzi sono “emancipati”, in discoteca ballano in modo parossistico, insieme a tutti gli altri, la propria solitudine. Un pò di ecstasy dà quella leggera scossa emotiva di cui si è assetati, ma non lo si dice, lo si fa per moda, per essere come gli altri, con cui si fa “gruppo”….Finchè alla fine tutto esplode. La compressione della razionalità mai diluita nell’emozione, la difesa delle buone maniere che ormai, persino a propria insaputa, fanno tutt’uno con l’insincerità, la noia, che come un macigno comprime la vita emotiva, impedendole di entrare in sintonia con il mondo, formano quella miscela che sotterra l’io di questi adolescenti infelici, facendoli agire in terza persona con gesti che la storia dell’uomo fa fatica a reperire come suoi. Sono gesti che mettono in crisi la giustizia e, con la giustizia, la società che, per tranquillizzarsi, è sempre alla ricerca di un movente. E il movente in effetti non c’è, o se c’è è insufficiente, comunque sproporzionato alla tragedia perchè ignoto agli stessi autori.”

    ‘Esuberanze’ giovanili si diceva una volta….qui invece si è oramai superato tutti i limiti ‘accettabili’ e ‘tollerabili’….La società non può ‘tranquillizzarsi’ di fronte all’inimmaginabile, all’irrazionale, al senza senso. C’è una dose di ipocrita difesa d’ufficio dello status quo , del vivere ‘pacioso’ e della mentalità borghese, a fare da sottofondo a quest’analisi che, comunque, sostanzialmente risulta azzeccata quant’anche esasperata in alcuni tratti. Perchè Galimberti ha perfettamente ragione quando individua nel deserto emotivo, nella mancanza di sentimenti o, meglio, nella sostituzione del sentimento con qualcosa di arido che è semplicemente una maschera emotiva ‘intercambiabile’ a seconda delle situazioni e delle diverse occasioni.

    “Oggi – prosegue l’autore – la si chiama “resilienza” (18) , una volta la si chiamava “forza d’animo”, Platone la nominava thymoeidès (19) e indicava la sua sede nel cuore. Il cuore è l’espressione metaforica del “sen-timento”, una parola dove ancora risuona la platonica thynoeidès. Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell’anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perchè in una scelta piuttosto che in un’altra ci si sente a casa. E guai a imboccare per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita. La forza d’animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Quì è la salute. Un sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli “altrove” della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perchè altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. (…) Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d’animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra. Che è ciò che rifiutiamo di noi. (…) “Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte” scrive Nietzsche (20). Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore. Quello proprio, quello altrui. Perchè il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. (…) Di forza d’animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perchè non sono più sostenuti da una tradizione, perchè si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perchè si è smarrito il senso dell’esistenza e incerta s’è fatta la sua direzione.”

    E su questo sicuramente niente da eccepire. Un ultimissima ricognizione , anche perchè è onestamente l’ultima ‘meritoria’ il ‘resto’ del volume lo ‘tralasciamo’ alla curiosità del lettore, è quella relativa alla “pubblicizzazione dell’intimità” (quinto capitolo) che rappresenta la deriva post-moderna dell’imbecillità comportamentale di massa.

    “Perchè tanta partecipazione di giovani a reality show come “Il Grande Fratello” , “L’Isola dei famosi” e altre trasmissioni consimili, dove si esibiscono senza pudore i sentimenti più profondi e i segreti più nascosti della propria intimità? Se questi spettacoli sono particolarmente seguiti nelle ore pomeridiane e serali da un vasto pubblico vuol dire che oggi la cosa più sconosciuta e di cui si ha la massima curiosità non è più, come un tempo, la vita degli dèi o dei sovrani, ma la vita comune interpretata da persone comuni, la vita quotidiana di tutti noi. Brutto segno. Perchè questo significa che sono crollate le pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte “discreta”, “singolare”, “privata”, “intima” di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione. Se infatti chiamiamo ‘intimo’ ciò che si nega all’estraneo per concederlo a chi si vuol fare entrare nel proprio segreto profondo e spesso ignoto a noi stessi, allora il pudore, che difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà. (…) Il pudore, infatti, non è una faccenda di vesti, sottovesti o abbigliamento intimo, ma una sorta di vigilanza, dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l’altro. Si può infatti essere nudi senza nulla concedere, senza aprire all’altro neppure una fessura della propria anima. (…) Siccome agli altri siamo irrimediabilmente esposti e, come ci ricorda Sartre, “dallo sguardo degli altri siamo irrimediabilmente oggettivati” (21), il pudore è un tentativo di mantenere la propria soggettività in modo da essere segretamente in presenza degli altri. E qui l’intimità si coniuga con la discrezione nel senso che, se “essere in intimità con un altro” significa “essere irrimediabilmente nelle mani dell’altro”, nell’intimità occorre essere discreti e non svelare per intero il proprio intimo, affinchè non si dissolva quel mistero che, se interamente svelato, estingue non solo la fonte della fascinazione, ma anche il recinto della nostra identità… Ma contro tutto ciò soffia il vento del nostro tempo che vuola la pubblicizzazione dell’intimo, perchè in una società consumistica dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento dei giovani (…diciamo pure di ‘tanti’…anche meno ‘giovani’…ndr), i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, come le merci, il mondo è diventato una mostra, una esposizione pubblica che è impossibile non visitare perchè comunque ci siamo dentro. In questo modo molti giovani scambiano la loro identità con la pubblicità dell’immagine e, così facendo, si producono in quella metamorfosi dell’individuo che non cerca più sè stesso, ma la pubblicità che lo costruisce. Per effetto di questa esposizione, che abolisce la parola segreta, quella intima, quella nascosta, il pudore, per loro, non è più un sentimento umano, il tracciato di un limite. La parola che li espone pubblicamente ha rotto i confini, e l’anima, che un giorno abitava il segreto della loro interiorità, si è esteriorizzata come la pelle rovesciata di un serpente. (…) Per esserci bisogna dunque apparire. E chi non ha nulla da mettere in mostra, non una merce, non un corpo, non un’abilità, non un messaggio, pur di apparire e uscire dall’anonimato mette in mostra la propria interiorità, dove è custudita quella riserva di sensazioni, sentimenti, significati “propri” che resistono all’omologazione, che, nella società di massa, è ciò a cui il potere tende per una più comoda gestione degli individui. “Il Grande Fratello” o “L’Isola dei famosi” sono stati ideati fondamentalmente per questo, ma falliscono lo scopo, perchè quando una dozzina di persone sono chiuse in uno spazio ristretto o relegate su un’isola remota…(…) quello che mostreranno non sarà assolutamente la loro normalità, ma la loro patologia. Sviscereranno quanto di più contorto c’è nella loro anima, senza la possibilità di contenerla, come facciamo noi nella vita reale con le occupazioni e il lavoro. Spettacolo della pazzia quindi, e non della normalità.”

    Rilievi ineccepibili e sostanzialmente già ‘ricordati’ in un nostro precedente ‘scritto’ (22) quando, commentando le dichiarazioni rilasciate al “Chiambretti Night” la scorsa primavera dall’ex attrice hard ed ex miss Ungheria , Eva Henger, sottolineavamo quanto di intelligente aveva rilevato la stupenda, giunonica, bellezza magiara che sosteneva sprezzantemente, lucidamente e incontestabilmente una verità fattuale ovvero che “il pudore non è solo la nudità ma i sentimenti”.

    Già…come affermato nel recente passato la Signora Henger aveva ragione!

    “Il sentimento del pudore consiste in un ritorno dell’individuo su se stesso, volto a proteggere il proprio sè profondo dalla sfera pubblica” sottolinea Max Scheler (23).

    Ci si potrà domandare come mai abbiamo dedicato ampio spazio – quasi un ‘saggio’ – a questa fatica editoriale del Galimberti. Se non l’avete ‘compreso’ finora evidentemente non ci conoscete ‘abbastanza’…semplicemente perchè ‘meritava’ una ricognizione d’analisi …e merita la vostra non disincatata ma interessata lettura.

    Sarà ‘predisponente’ ad una successiva ricognizione scrittoria sulla “letteratura della crisi” che sicuramente non ‘guasterà’ ….perchè il nichilismo, ospite inquietante, è lungi dall’aver ‘sviscerato’ completamente la propria forza devastante e accompagnerà ancora per molti decenni , forse secoli, le vicende umane dell’Occidente e dell’umanità intera. Impossibile quindi resistere alla ‘tentazione’, prossimamente, di ritornarci sopra.

    “Il caos diventa visibile solo nel momento in cui il nichilismo comincia a venire meno in una delle sue combinazioni – scrive Ernst Junger (24) – (…) E’ chiaro perciò che l’ordine non solo è ben accetto al nichilismo, ma fa parte del suo stile. Il caos è quindi tutt’al più una conseguenza del nichilismo, e neppure la peggiore. (…) Tra il nichilismo e il disordine sussiste la stessa differenza che separa il nichilismo dal caos e dall’anarchia: nell’ambito dell’inabitato come in quello del vivente. Per il nichilista, deserti e foreste vergini sono forme. In questo senso il caos non gli è necessario; non è un luogo al quale è legato. Ancor meno gli è congeniale l’anarchia, che turberebbe il rigoroso decorso delle cose nel quale egli si muove. (…) A ragione Nietzsche afferma che il nichilismo è una condizione normale, che diventa patologica solo se lo si confronta con valori non più o non ancora validi. (…) Questo ci conduce alla terza differenza, quella tra il nichilismo e il male. Il male non si accompagna necessariamente con esso – soprattutto ciò non accade là dove c’è sicurezza. (…) Se fosse possibile considerare il nichilismo come qualcosa di specificamente malvagio, la diagnosi sarebbe più favorevole. Contro il male ci sono rimedi sperimentati. Ciò che è più allarmante è la mescolanza, per non dire la totale confusione, del bene e del male…”.

    E’ un invito, a conclusione, a mantenere ‘alta’ la ‘guardia’ di fronte ai devastanti effetti prodotti dal fenomeno inquietante del Nichilismo contemporaneo.

    DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

    DIRETTORE RESPONSABILE “AGENZIA DI STAMPA ISLAM ITALIA”

    Note -

    1 – Friedrich Nietzsche – “Frammenti postumi 1885-1887″ in “Opere” v. VIII – ediz. “Adelphi” – Milano 1971;

    2 – Giuliano Borghi – “La politica e la tentazione tragica – La “modernità” in Macchiavelli, Montaigne e Gracian” – ediz. “Franco Angeli” – Milano 1991;

    3 – Gorgia – “Del non essere o della natura” in Diels-Kranz – “I presocratici. Testimonianze e frammenti” – ediz. “Laterza” – Bari 1983;

    4 – Martin Heidegger – “Introduzione alla metafisica” – ediz. “Mursia” – Milano 1968;

    5 – La mitologia norrena si estende praticamente senza confini tra tutte le popolazioni del Nord Europa: dalla Scandinavia alla Danimarca passando per la Germania questa ha ‘plasmato’ la metastoria di leggende relative a conflitti tra Dei e uomini. Interessante osservare come probabilmente la mitologia norrena rappresenti un ‘alter-ego’ nordico-paganeggiante della visione escatologico monoteistica di derivazione ebraico-cristiana. L’assenza pressochè generale di paralleli corrispettivi escatologici nelle altre mitologie europee, la mancanza di narrazioni organiche sui Tempi Ultimi e l’assoluto vuoto di visioni relative alla fine del mondo che hanno accompagnato il mondo greco-romano e la letteratura classica antica ha portato diversi studiosi a ipotizzare anche la presenza di influssi più o meno decisivi, nell’escatologia norrena, dell’immaginario cristiano con particolare riferimento all’Apocalisse di Giovanni. L’ipotesi sarebbe corroborata dal fatto che la mitologia norrena sia stata codificata e trascritta solo in seguito all’avvento del cristianesimo nelle regioni dell’Europa settentrionale. Georges Dumèzil , studioso francese dei miti, delle ideologie e della religione degli antichi popoli indoeuropei, ha rilevato invece una forte somiglianza tra il Ragnarok norreno e la mitologia hindù con particolare riferimento alla battaglia tra Pàndava e Kaurava riferita e contenuta nel “Mahàbhàrata”. La battaglia suddetta si svolge nel passato; quella del Ragnarok nel futuro. Qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi di un possibile corrispettivo del Ragnaròk in area mediterranea nella gigantomachia e nella titanomachia che vedono contrapposti in schiere pronte alla battaglia gli dèi olimpici guidati da Zeus contro le creature deformi e caotiche (le orde di Gog e Magog presenti in altre tradizioni e riferite sempre ai Tempi Ultimi) annuncianti la fine.

    Di Georges Dumèzil si consiglia, tra gli altri, “L’ideologia tripartita degli Indoeuropei” ediz. “Il Cerchio” – Rimini, (seconda edizione) – 2003;

    6 – Giuliano Borghi – op. cit.;

    7 – di Claude Lecouteux si consiglia il “Dizionario di mitologia germanica” – “Argo Editrice” – Lecce 2007;

    8 – Franco Volpi – “Il nichilismo” – ediz. “Laterza” – Bari 2004;

    9 – Martin Heidegger – “Nietzsche” – ediz. “Adelphi” – Milano 1994;

    10 – di e su Friedrich Nietzsche si consultino:

    Werke. Kritische Gesamtausgabe, De Gruyter, Berlin 1967 sgg.
    Opere di Friedrich Nietzsche, ed. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 1964 sgg.
    F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. it. di L. Scalero, Adelphi, Milano, 1964.
    F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, tr. it. di Sossio Giametta, Adelphi, Milano, 2006.
    F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, tr. it. di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 2000.
    F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, tr. it. di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2003.
    F. Nietzsche, Umano troppo umano, I, tr. it. di Sossio Giametta e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 2004.
    F. Nietzsche, Umano troppo umano,II, tr. it. di Sossio Giametta e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 2004.
    F. Nietzsche, Aurora e Frammenti postumi, 1879-1881, tr. it. di Ferruccio Masini e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 1964.
    F. Nietzsche, La gaia scienza, tr. it. di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano, 1965.
    F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, tr. it. di, G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1991.
    F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, tr. it. di F. Masini, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1990.
    F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, tr. it. di Ferruccio Masini, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 1983.
    F. Nietzsche, Ecce homo, Adelphi, Milano, 1969.
    F. Nietzsche, Scritti su Wagner, Adelphi, Milano, 2000.
    F. Nietzsche, Ditirambi di Dioniso e poesie postume, versione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 1970.
    F. Nietzsche, Frammenti postumi, I voll., versione di G. Colli e Chiara Colli Staude, Adelphi, Milano, 2004.
    F. Nietzsche, Frammenti postumi, II voll., versione di G. Colli e Chiara Colli Staude, Adelphi, Milano, 2004.
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    F. Dostoevskij, Delitto e castigo, Einaudi, Torino 1981, Einaudi, Torino 1993.
    F. Dostoevskij, I demoni, Einaudi, Torino 1994.
    F. Dostoevskij, Diario di uno scrittore (1873-1881) Sansoni, Firenze 1989.
    F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Garzanti, Einaudi, Torino 1994.
    Letteratura secondaria
    A. Arena, Nietzsche e le metamorfosi del sentimento tragico, MGruppo Edicom, Milano, 1999.
    G. Baldi, Dal testo alla storia dalla storia al testo, II vol, Paravia, Torino, 1995.
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    11 – Robert Reininger – “Nietzsche e il senso della vita” – ediz. “Volpe” – Roma 1971;

    12 – Martin Heidegger – “La Questione dell’Essere” – in E. Junger/M. Heidegger – “Oltre la linea” – ediz. “Adelphi” – Milano 1989;

    13 – Friedrich Nietzsche – “Frammenti postumi 1887-1888″ in “Opere” v. VIII – Ediz. “Adelphi” – Milano 1971;

    14 – Miguel Benasayag/ Gèrard Schmit – “L’epoca delle passioni tristi” – ediz. “Feltrinelli” – Milano 2004;

    15 – Giulia Sissa – “Sesso, droga e filosofia” – ediz. “Feltrinelli” – Milano 1999;

    16 – Martin Heidegger – “La cosa” in “Saggi e discorsi” – ediz. “Mursia” – Milano 1976;

    17 – Sigmund Freud – “Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni)” in “Opere” – ediz. “Bollati Boringhieri” – Torino 1967-1993 Vol. XI – Lezione 31;

    18 – A. Oliverio Ferraris – “La forza d’animo” – ediz. “Rizzoli” – Milano 2003;

    19 – Platone – “Repubblica” – Libro IV – in “Tutti gli scritti” – ediz. “Rusconi” – Milano 1991;

    20 – Friedrich Nietzsche – “Frammenti Postumi 1888-1889″ in “Opere” – ediz. “Adelphi” – Milano 1975;

    21 – Jean Paul Sartre – “L’essere e il nulla” – ediz. “Il Saggiatore” – Milano 1966;

    22 – nostro articolo “Eva Henger ha ragione!” apparso sul sito Arianna Editrice in data 27 Marzo 2009 e su altri siti internet;

    23 – Max Scheler – “Pudore e sentimento del pudore” ediz. “Guida” – Napoli 1979;ù

    24 – Ernst Jùnger – “Oltre la linea” in E. Jùnger/M. Heidegger – op. cit.:






    Recensione Libraria – Umberto Galimberti: “L’ospite inquietante – Il Nichilismo e i giovani”

 

 
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