Di Sergio Gozzoli - Numero 50 del 01/10/2000
Chi osservi oggi la realtà politica mondiale si vede inesorabilmente offrire, preponderante e dominante su tutti gli altri, lo spettacolo del mondialismo omologatore.
Molti paesi di rilievo, di grande storia e di forte prestigio, hanno perso sovranità. È compressa, in qualche caso in modo assoluto, la capacità dei popoli di darsi le forme politiche che vogliono e scegliersi le alleanze che credono. Si smorzano i legami con le tradizioni, si sfilacciano le radici nella propria storia, si intorbidano e si disfanno nei grandi eventi migratori le identità nazionali, si assottigliano e si smembrano le famiglie, cade la natalità in concorso con l'aborto legale, si snatura la lingua infiltrata di termini inglesi, degenerano i costumi col suicidio della dignità virile, con la morte della femminilità, con lo spengersi del rispetto pei vecchi, con le ferite all'innocenza infantile. Spariscono gradualmente i dialetti, e si uniformano i gusti alimentari. Tutto - ma realmente tutto - dalla cultura scolastica all'abbigliamento, all'uso delle bevande, si americanizza.
Ma di dove nasce, il processo di mondializzazione?
Tutto muove, in sostanza, da una iniziativa politica: i vertici americani - sospinti dalla grande finanza. bancaria che li plasma e li controlla - mirano ad assoggettare il maggior numero di Paesi alle esigenze dei propri interessi.
È un lungo processo, iniziatosi secoli fa tra i banchieri cosmopoliti intorno agli interessi britannici, ma consolidatosi poi in Nordamerica dopo la prima guerra mondiale, che tende oggi a creare una forza di pressione planetaria, giuridica e morale, sulle stesse problematiche interne dei vari Stati del mondo.
Di tutti gli Stati, con due eccezioni fondamentali: gli USA e Israele. Chi può ritenere oggi che i confini di Israele, e la sua stessa struttura sociale, possano in qualche misura ricordare quelli italiani, o olandesi, o francesi, o tedeschi?
Perché non provano oggi i curdi, o gli albanesi, o i magrebini, a sbarcar da nave o da gommone sulle spiagge di Israele? Verrebbero affondati, profughi a bordo, a migliaia di metri dalla costa. Il buonismo non attecchisce, nei due Paesi liberi e sovrani.
Il resto del mondo, comunque, si sta americanizzando: se non sempre in termini politici, quantomeno in termini di costume e di comportamenti.
Ma come può essere, per i Nordamericani, tanto facile esportare nel mondo la propria cultura e il proprio costume? Esiste in America una United States Information Agency (U.S.I.A.) che tiene sparsi per il mondo cinquantamila funzionari - con un bilancio annuo di miliardi di dollari - allo scopo ufficiale di «influenzare le opinioni e le attitudini del pubblico estero in modo da favorire le politiche degli Stati Uniti d'America». Ed esiste ancora, in America, una grande macchina di produzione cinematografica, ispirata e gestita da produttori prevalentemente ebrei, che ha da sempre il compito di dilatare nel mondo l'immagine del «miracolo americano».
Se nelle nostre reti radiofoniche o sui nostri canali televisivi ci vengono quotidianamente imposte musiche americane, e nelle nostre sale cinematografiche dominano pellicole americane, quali rapporti sussistono fra i bilanci dell'U.S.I.A. e i responsabili delle scelte italiane? Quali sono in Italia i responsabili - pubblici e privati - di queste decisioni? Si tratta talvolta di film inconsistenti, carichi di istigazioni al disordine familiare o a comportamenti abnormi, che vengono con facilità esaltati dalla critica italiana. E la scelta sempre più frequente, in campo medico - sia scientifico che pratico - di termini e sigle anglossassoni, quanto è connessa a questo fenomeno?
È del resto una linea che fu esplicitamente enunciata dal Presidente Roosevelt: «Americanizzare il mondo è il nostro destino».
Così gli USA, che dalla loro nascita hanno scatenato oltre duecento conflitti, che dall'Europa all'Asia hanno coperto di bombe centinaia di Paesi senza mai riceverne una come risposta, che sono i tutori indifferenti della pena di morte, che hanno praticato l'unico vero genocidio degli ultimi duemila anni - quello dei Pellerossa - che hanno seminato l'intero mondo di rivolte militari, sommovimenti di piazza, congiure di palazzo, sono riusciti, grazie alla loro U.S.I.A. e alla campagna ipocrita del loro cinema, a crearsi presso centinaia di popoli un'immagine esattamente opposta a quella reale: essi sarebbero la società che ambisce la pace, che venera la libertà, che adora la giustizia nel mondo.
È irrilevante che decine di milioni di cittadini americani vivano senza una casa, che non più del 25-27% dei votanti esercitino il proprio diritto, che il 50% della smisurata ricchezza nazionale sia controllata da un solo 5% dei cittadini, mentre l'altra metà è mal distribuita nel restante 95%; così com'è irrilevante l'alto numero di aggressioni militari condotte per mero interesse economico o di potere contro Paesi senza difesa, e che la cultura americana di fondo spinga l'affamato, il misero, il vinto ad accusare sempre se stesso come colpevole unico, lasciando ogni volta riscattata, integra e nobile la società del Dollaro onnipotente.
Questa è la realtà sociale e culturale americana, con tutte le sue possibili influenze indirette sulla situazione politica mondiale, che l'America egemonizza con la propria smisurata superiorità finanziaria, aeronavale e nucleare.
Una egemonia che le classi dirigenti dei Paesi europei - piegati insieme al Giappone da oltre mezzo secolo di occupazione militare americana - tollerano con benevolenza, o addirittura assumono come componente del proprio programma politico di fondo, contro il fondamentale interesse presente e futuro dei popoli che essi governano.
Eppure, oggi che il mondialismo ha lanciato la grande campagna planetaria della globalizzazione - che significa tutto il potere alle multinazionali e quindi alle grandi banche che le controllano attraverso le azioni e i giochi di Borsa - i popoli hanno ricominciato, partendo proprio dagli Stati Uniti, a risollevare la testa.
Mentre all'inizio, e da decenni, era la cosiddetta destra estrema a denunciare ai popoli prima l'oscuro disegno e infine l'arrogante enunciazione del programma mondialista, oggi, a protestare contro la globalizzazione è soprattutto una sinistra verde ed ecologista insieme alla sinistra estrema, che in diversi Paesi del mondo sono scese clamorosamente in piazza.
Al contrario, la sinistra ufficiale, che significa in questi anni i Governi dei maggiori Paesi europei, ha scelto contro la sua eterna tradizione - tradendo quindi con vergogna la propria intera storia - di farsi la più ardente zelatrice di tutti gli interessi americani, dal mondialismo alla globalizzazione, da Israele alla NATO, dall'anti-islamismo allo strangolamento di Saddam, dalla rinuncia alle sovranità nazionali all'abbandono dell'Africa, fino alla politica delle immigrazioni.
E tuttavia le due diverse forme di opposizione, anche se l'antagonismo alla globalizzazione è comune, non hanno alcuna capacità sostanziale di intendersi - soprattutto per la persistente anima di antifascismo che per consuetudine nutre la sinistra radicale internazionalista, su gran parte della quale esercita una pesante ipoteca psicologica lo spirito filogiudaica.
Ma al di là delle posizioni di intellettuali e militanti in diversi Paesi del mondo, al di là dei fermi contrasti dichiarati di molte delle maggiori Chiese - per prima la cattolica - al di là delle larghe opposizioni popolari in tutto il grande Islam, si frappone ancora, dai farneticanti progetti americani e sionisti alla loro pratica realizzazione sul pianeta, un ostacolo profondo e insormontabile: la naturale, abissale diffidenza di civiltà fra l'America e l'Europa.
L'America (te] Nord prese esistenza e forma sostanziale per opera di coloni britannici - sconfitti in Patria da forze monarchiche e anglicane - che lasciarono le proprie terre col loro credo calvinista: in parte esuli, in parte proscritti.
Tutte le sette calviniste - puritani, quaccheri, presbiteriani, ugonotti, riformati olandesi, valdesi - non ostentano, nei confronti del denaro, l'atteggiamento tipico delle altre Chiese cristiane, dalla cattolica alla luterana all'anglicana all'ortodossa: la diffidenza istintiva per l'amore della moneta e la condanna totale e sprezzante del fenomeno dell'usura.
Chiunque sia cresciuto - credente o meno - nell'ambito di una cultura cristiana, tende a considerare il successo economico come appartenente ad un mondo inferiore rispetto a quello più nobile delle conquiste dello spirito, e giudica sempre in qualche misura peccaminoso il guadagno ottenuto attraverso l'usura. Usuraio, in tutte le nostre lingue, non è un epiteto rassicurante.
A differenza dunque di tutti gli altri cristiani, il calvinista crede che l'uomo sia predestinato alla salvezza o alla dannazione eterne da una scelta che Iddio conosce. Una scelta della quale Egli dà giustificazione in vita all'eletto garantendogli il successo economico, comunque esso sia stato conseguito: di qui, la più compiuta approvazione per il guadagno ottenuto secondo la pratica dell'usura.
È infatti dopo la Riforma, che alle antichissime famiglie presta-denari costituite in gran parte da ebrei si associano le prime banche fondate da calvinisti olandesi, svizzeri, francesi, inglesi.
Al povero, la miseria conferma la sua perdizione perpetua, e ai suoi peccati non è concesso il perdono: è questo il nucleo fondamentale della cultura e quindi della psicologia americana, che non ha mai offerto il destro, nei secoli, alle masse dei meschini la capacità di pretendere un minimo di sicurezza e di giustizia sociale nella terra più ricca del mondo.
È una nuova realtà culturale che nasce nei secoli fra il 1500 e il 1800 - col calvinismo, col capitalismo bancario, col razionalismo filosofico, con la Massoneria, con la rivoluzione borghese laica e antisacrale, con la democrazia formale - che genera la mentalità americana centrata sull'immagine individualista dell'uomo che cerca da sé la verità, in un rapporto diretto e personale con Dio - un uomo nemico di ogni antica tradizione, di ogni socialità, di ogni gerarchia che non sia fondata sul denaro.
È un mondo senza un passato, che non riconosce né Terra né Comunità come fonti del proprio destino. Decine di popoli diversi giunsero negli Stati Uniti a piccoli gruppi separati e in tempi diversi, ognuno con le sue connotazioni, col suo Dio, con la sua identità biologica, a costituire insieme la più complessa entità multietnica del mondo: europei occidentali, scandinavi, mediterranei, slavi, ebrei, levantini, asiatici, negri, ispanici, con le loro particolari consuetudini, con la loro cucina, con le loro inclinazioni, a convivere nella stessa città, nello stesso quartiere, nella stessa strada.
Sovrapposizioni razziali e nazionali, culturali e sociali che alimentano odi non spenti e tragiche tensioni a vibrare nel corpo di una società che non ha un Dio perché ne tollera troppi, che vede scaduta la famiglia in tutti i gruppi razziali, che non riconosce diritti reali a chi non ha dollari in tasca, che non possiede una cultura se non nella macchina di mistificazioni del cinematografo, che dall'aborto alla pena di morte ai blocchi aereonavali di interi Paesi pratica la violenza più cinica.
È una realtà che nasce con la rivolta anti-britannica, innescata ed esplosa sotto la protezione delle reti massoniche. Sono infatti massonici i simboli della nuova Unione di stati, come sono massonici i simboli e le scritte sulla loro nuova moneta.
Dietro i rivoltosi stanno la crescente, ricca borghesia americana e francese, gli enciclopedisti di Francia, Voltaire e Rousseau, le società di Libero Pensiero, la montante marea dell'Illuminismo che si estende nel mondo e domina alcune Corti europee.
Queste realtà, per quanto vincenti e rigogliose, subivano però in Europa l'urto delle forze tradizionali, popolari e nazionali - che entro pochi anni avrebbero prodotto la Vandea, le rivolte contadine tirolesi, venete, toscane e romagnole, i Lazzaroni del Sud, la guerriglia spagnola - contribuendo così ad alimentare e gonfiare il già preponderante revanscismo anti-europeo dei ribelli repubblicani e massoni d'America.
Questo revanscismo anti-europeo ebbe la sua prima vittima nella Confederazione del Sud, prevalentemente anglicana e in parte cattolica - in quel conflitto che Gianantonio Valli chiama la Prima Guerra laica di religione - che per il mondo WASP (1) americano era troppo europea per essere tollerata nel Nuovo Mondo.
In Europa intanto, sempre protetta dalla Massoneria illuminista e dalle banche internazionali, alla vincente rivoluzione americana seguì quella francese. Ma dopo i trionfi di Napoleone, commesso viaggiatore della rivoluzione ma nel segno di una restaurazione monarchica, le armate nazionali austro-ungariche, prussiane, russe, inglesi, stroncarono l'ascesa politica della rivoluzione borghese nel nostro continente. E insieme all'aspetto politico della rivoluzione, venivano sostanzialmente sconfitti il calvinismo, il razionalismo filosofico, la Massoneria illuminista.
Tutte queste forze, vinte dalle risorse profonde dell'antica civiltà europea - tradizionalista, comunitaria, gerarchica - per poter coltivare ancora il sogno di conquistare l'Europa e il mondo, non ebbero altra scelta che quella di raccogliersi in America.
Qui, l'assenza di un terreno storico-ereditario, la prodigiosa ricchezza della terra, l'incapacità di difesa delle popolazioni autoctone favorirono la rapida crescita di una grassa società borghese fondata su quei valori che l'Europa aveva appena respinto.
Così il razionalismo filosofico, l'individualismo esasperato, l'usura bancaria, la demoplutocrazia, la rivoluzione del costume trovarono in Nordamerica la loro roccaforte naturale, base di riorganizzazione e di rivincita degli sconfitti d'Europa.
Dal 1776, anno della loro nascita, gli Stati Uniti d'America hanno offerto al mondo la strapotente carica della propria vitalità economica e militare invadendo il Pacifico fino alle Marianne e alle Filippine, cancellando dalla terra le tribù pellerossa, dominando il Centroamerica fino a Panama e cacciandone la Spagna, presentandosi col proprio esercito in Europa nel corso delle due Guerre Mondiali - e la seconda volta occupandola, al pari del Giappone, con forze tuttora presenti dopo oltre mezzo secolo - ed egemonizzando il pianeta con la propria potenza nucleare e finanziaria.
Ma in termini di contributo alla civiltà del mondo, che cosa ci hanno dato? Ci hanno certo trasmesso gli esempi del loro costume: edonismo, lassismo sessuale, femminismo, promiscuità, gangsterismo, corruzione, violenza estrema, droga, prepotenza, cinismo, ipocrisia - la vita intesa come rincorsa individuale al proprio benessere fisico e sociale nella comunità opulenta dei pochi.
È un mondo senza nobili e senza popolani, quindi senza regole e senza rispetto. Un mondo che ci ha imposto le proprie mode: le sue musiche, le sue danze, le sue rumorose feste dalle luci smargiasse, i suoi grattacieli, la sua rincorsa alla produzione e al consumo, il suo cinematografo nato e controllato dagli ebrei, le sue carte di credito. E le sue banche, nuove cattedrali senza Dio, insieme alle sue carceri, nuove università per la perpetuazione del suo costume giovanile.
Ma in termini culturali, chi ha prodotto l'America che possa ricordare agli uomini Omero, i grandi filosofi greci, Tucidide, Virgilio, Tommaso d'Aquino, Dante, Machiavelli, Leonardo, Michelangelo, Vico, Shakespeare, Goethe, Voltaire, Wagner, Nietzsche, D'Annunzio, Gentile? E chi non fu importato dall'Europa, dei suoi uomini di scienza?
L'unico grande - sicuramente il sommo poeta del secolo, Ezra Pound - nacque certo negli USA, ma li abbandonò ancora giovane. Egli fece dell'Europa la sua Patria, scegliendo infine di vivere in Italia. Fu fascista convinto - piaccia o non piaccia ai «revisionisti» democratici delle genialità del fascismo, che tentano di ridurre la pienezza della loro adesione ideale - e venne imprigionato dagli Americani dopo il crollo della R.S.I.: chiuso in una gabbia in mezzo ai propri escrementi venne tenuto a Coltano, e poi trascinato in America, dove senza diagnosi né condanna giuridica fu buttato in un manicomio criminale. Quando ne uscì dopo tredici anni, tornò in Italia, e pubblicò i suoi Cantos con un commosso ricordo alla grandezza di H. ed M. - Hitler e Mussolini - gli unici nel mondo ad aver fatto qualcosa contro l'Usura - che egli chiamava proprio così, USURA.
E in Italia morì, per esservi sepolto, dopo una splendida intervista a Pasolini nella quale non pronunciò una parola contro le posizioni politiche della sua vita. Morì da fascista - da fascista «di sinistra», come dichiarò dopo il manifesto di Verona della R.S.I. E morì senza pentirsi, come Hamsun e come Mosley, come D'Annunzio e Marinetti, come Primo Antonio De Rivera e Brasillach, come Gentile e Cèline. E scelse di morire da europeo, giacché a questa civiltà egli apparteneva per intero e con tutte le sue fibre fisiche e morali.
Ezra Pound, nemico mortale di Usura, sarebbe stato nemico naturale del mondialismo e della globalizzazione. Che è poi la stessissima cosa.
Quando e come nacque, invece, la civiltà europea?
Nel corso dei millenni precedenti l'antichità classica - con l'apogèo della Grecia, col rapido fulgore di Alessandro, con la grandezza romana - i popoli indoeuropei cominciarono a crescere e a muoversi dalla loro sede originaria - da qualche parte, là, fra l'Europa e l'Asia-con un movimento migratorio che li condusse, barbari ancora ma dominatori, verso tutte le distanze del mondo.
Alcuni si confusero coi mongoli, generando gruppi di incrocio - le popolazioni uraloaltaiche e quelle turche - altri giunsero fino al grande Nord, alla Scandinavia, altri ancora arrivarono all'India, all'Afghanistan, all'altopiano iranico. Ma i più mossero verso l'Europa.
Nei popoli che giunsero al Nord, dove la pelle chiara assorbiva meglio i raggi ultravioletti e quindi garantiva uno scheletro più alto e più forte, le lunghe generazioni senza casa e con scarsi indumenti nel freddo fecero prevalere i biondi con gli occhi chiari: i bruni morivano bimbi, o crescevano rachitici senza raggiungere l'età per procreare. Al contrario, in quelli che vissero per lunghe generazioni al Sud, i ragazzi di pelle scura e occhi bruni reggevano meglio il sole e il caldo nella loro vita da nomadi, e generarono molti più figli dei biondi o dei rossi di pelle bianca. Nei popoli che scelsero un percorso di mezzo, prevalsero nei millenni caratteri intermedi o misti. Questo naturalmente finché non cessarono di essere nomadi cacciatori, e la prima forma di civiltà come allevatori o agricoltori non garantì a tutti un tetto occasionale sopra la testa - oltre ai pasti fissi quasi tutti i giorni.