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Discussione: Osservatorio Iran

  1. #1
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Osservatorio Iran

    MA AHMADINEJAD HA RAGIONE: L'IRAN DELLA POVERA GENTE E' CON LUI
    DI MASSIMO FINI
    lanazione.ilsole24ore.com

    Il ministro Bondi, replicando a certe farneticazioni di D’Alema, ha affermato: “Chi ha vinto le elezioni ha il diritto di governare”. Ineccepibile. Ma questo principio non vale a Teheran, dove il presidente uscente Ahmadinejad ha vinto le elezioni con il 62,64% contro il 34,7% del suo principale avversario, il “moderato” Mousavi.

    I sostenitori di quest’ultimo, affermando che la vittoria di Ahmadinejad è frutto di brogli, non hanno accettato il verdetto delle urne e sono scesi in piazza incendiando automobili, cassonetti, spaccando vetrine, creando posti di blocco. E tutta la stampa occidentale si è schierata al suo fianco. Ora, spostamenti attraverso brogli, del 30% dei voti non sarebbero possibili nemmeno in una dittatura bulgara. Se così non fosse Mousavi non avrebbe potuto svolgere del tutto liberamente la propria campagna elettorale, con cortei, manifestazioni di piazza e tutto quanto occorre per cercare il consenso.

    Ha detto Ahmadinejad: “Per gli occidentali le elezioni sono valide quando vincono i loro amici, sono nulle se le vincono i loro avversari”. Purtroppo ha ragione. C’è il precedente del 1991 in Algeria quando le prime elezioni libere dopo trent’anni di una dittatura sanguinaria furono vinte dal Fis (Fronte islamico di salvezza) con il 78% dei voti e subito annullate, con il plauso e le pressioni dell’Occidente, dando così origine alla sanguinosa guerra civile algerina.
    Noi abbiamo una percezione completamente distorta dell’Iran, lo consideriamo un residuo del Medioevo. Nella Repubblica teocratica si può abortire fino al 45° giorno, esiste il divorzio, l’operazione per cambiare sesso è pagata dalla mutua, la prostituzione è legale, il numero dei laureati è superiore al nostro, le donne votano e, benché portino il velo (il gran chiodo fisso dell’Occidente), possono accedere a tutti i mestieri.
    Quando negli anni ’80, seguendo la guerra che Saddam aveva sostenuto contro l’Iran, sono stato a lungo a Teheran, notai che anche la piccola borghesia iraniana non solo conosceva i nostri grandi, Dante, Petrarca, Boccaccio, ma leggeva Moravia e Calvino, gli autori del momento. Noi della cultura persiana conosciamo, quando va bene, Omar Kayam.

    Caliamo quindi le arie.
    Se Ahmadinejad ha vinto è perché rappresenta gli interessi e i valori dei due terzi della popolazione iraniana, quella più povera, disagiata anche se non necessariamente la più incolta, mentre Mousavi rappresenta i ricchi che strizzano l’occhio all’Occidente. E a noi piacerebbe tanto che si tornasse all’Iran dello Scià (propagandato dai nostri Oggi e Gente che ci facevano vedere Soraya o Farah Diba che passavano da una vacanza all’altra), dove una sottilissima striscia di borghesia, il 2%, faceva vita da nababbi e il resto della popolazione pativa la fame.

    Massimo Fini
    Fonte; La Nazione - Il Quotidiano di Firenze, le ultime notizie di Firenze e della Toscana
    16.06.2009

  2. #2
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    I TRAVISAMENTI OCCIDENTALI DI FRONTE ALLA REALTA' IRANIANA
    DI GEORGE FRIEDMAN
    stratfor.com/

    Nel 1979, quando ancora eravamo giovani e sognatori, in Iràn ebbe luogo una rivoluzione. Quando chiesi agli esperti cosa sarebbe successo, si divisero in due campi.
    Il primo gruppo d'iranisti sosteneva che lo Scià ne sarebbe senz'altro uscito indenne: i disordini non erano altro che un evento ciclico agevolmente gestibile dalla sua polizia, ed il popolo iraniano sosteneva compatto il programma di modernizzazione promosso dalla monarchia. Questi esperti avevano maturato la loro previsione parlando con gli stessi funzionari e affaristi iraniani con cui colloquiavano da anni: potenti persiani cresciuti nell'opulenza sotto lo Scià e che parlavano inglese, dato che di frequente gl'iranisti non parlavano il farsi molto bene.
    Il secondo gruppo d'esperti considerava lo Scià un tiranno oppressore, e attribuiva alla rivoluzione l'intento di liberalizzare il paese. Le loro fonti erano professionisti e accademici sostenitori dell'insurrezione: persiani che conoscevano le idee della guida suprema ayatollah Ruholla Khomeini, ma non credevano avesse molto seguito nel popolo. Pensavano che la rivoluzione avrebbe aumentato i diritti umani e la libertà. Gli esperti di questo gruppo parlavano il farsi ancor meno di quelli del primo.



    Sentimenti fraintesi in Iràn

    Limitandosi alle informazioni che giungevano dagli oppositori anglofoni del regime, entrambi i gruppi d'iranisti avevano maturato una visione erronea degli esiti della rivoluzione: la rivoluzione iraniana, infatti, non era portata avanti dalla gente che parlava l'inglese. Era fatta dai mercanti dei bazar cittadini, dai contadini, dai chierici: persone che non parlavano agli Statunitensi, non conoscendone la lingua. Questa gente dubitava dei pregi della modernizzazione, e non era per niente certa di quelli del liberalismo; ma fin dalla nascita coltivava le virtù musulmane ed era convinta che lo Stato iraniano dovesse essere uno Stato islamico.
    Europei e Statunitensi stanno male interpretando l'Iràn da 30 anni. Anche dopo la caduta dello Scià, è sopravvissuto il mito d'un movimento massiccio di popolo che guarderebbe alla liberalizzazione: un movimento che, se incoraggiato dall'Occidente, riuscirebbe alfine a formare una maggioranza e governare il paese. Noi definiamo questo punto di vista “liberalismo iPod”: l'idea che chiunque ascolti rock 'n' roll su un iPod, tenga un blog e sappia cosa significhi “Twitter” debba essere un entusiasta sostenitore del liberalismo occidentale. Ancor più significativo che questa corrente non sia riuscita a capire che i possessori di iPod sono una ristretta minoranza in Iràn – un paese povero, religioso e complessivamente soddisfatto degli esiti della rivoluzione di trent'anni fa.
    Senza dubbio c'è gente che vorrebbe liberalizzare il regime iraniano. La si può trovare tra le classi professionali di Tehran così come tra gli studenti. Molti parlano inglese, cosa che li rende accessibili a giornalisti, diplomatici e agenti segreti di passaggio. Sono loro quelli che possono parlare agli occidentali; anzi, sono loro quelli che vogliono parlare agli occidentali. E questa gente dà agli occidentali una visione assolutamente distorta dell'Iràn. Possono dare l'impressione che una fantastica liberalizzazione sia a portata di mano. Finché non si capisce che gli anglofoni possessori di iPod, in Iràn, non sono esattamente la maggioranza. Venerdì scorso il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è stato rieletto coi due terzi del voto. I sostenitori dei suoi rivali, dentro e fuori dall'Iràn, sono rimasti basiti. Un sondaggio dava per vincitore l'ex primo ministro Mir Hossein Mousavi. Sarebbe ovviamente interessante meditare su come si possa condurre un sondaggio in un paese dove il telefono non è universalmente diffuso, e fare una chiamata, anche dopo aver trovato un telefono, resta una scommessa. Un sondaggio, perciò, raggiungerebbe probabilmente la gente dotata di telefono che abita a Tehran e nelle altre aree urbane. Probabile che tra questi Mousavi abbia vinto. Ma fuori da Tehran e dalla gente facile da contattare, i numeri sono cambiati parecchio.
    Alcuni accusano ancora Ahmadinejad di brogli. È possibile che vi siano stati, ma è difficile capire come si possa rubare un'elezione con un margine tanto ampio. Farlo avrebbe richiesto il coinvolgimento d'un numero incredibile di persone, ed avrebbe rischiato di generare numeri palesemente in disaccordo coi sentimenti prevalenti in ciascuna circoscrizione. Brogli su ampia scala implicherebbero che Ahmadinejad abbia manipolato i numeri a Tehran senza alcun riguardo per il voto. Ma ha tanti potenti nemici che l'avrebbero subito rilevato e denunciato. Mousavi insiste ancora d'essere stato frodato, e dobbiamo rimanere aperti alla possibilità che sia così, per quando sia arduo immaginare il meccanismo attraverso cui ciò sarebbe accaduto.

    La popolarità di Ahmadinejad

    Manca pure un punto cruciale: Ahmadinejad gode di grande popolarità. Non parla delle questioni che interessano i professionisti urbani, ossia economia e liberalizzazione; ma affronta tre problemi fondamentali che interessano il resto del paese.
    Innanzi tutto, Ahmadinejad parla di religiosità. Entro ampi strati della società iraniana, è cruciale la volontà di parlare genuinamente della religione. Sebbene possa essere difficile da credere per gli Europei e gli Statunitensi, nel mondo ci sono persone per cui il progresso economico non è la cosa fondamentale; persone che vogliono mantenere la loro comunità così com'è, e vivere così come vivevano i loro antenati. Questa gente prova ripulsa per la modernizzazione – che venga dallo Scià o da Mousavi. Essa perdona a Ahmadinejad i suoi fallimenti economici. In secondo luogo, Ahmadinejad affronta la corruzione. Nelle campagne è diffusa la sensazione che gli ayatollah – che hanno enorme ricchezza ed enorme potere, riflessi nel loro stile di vita – abbiano corrotto la Rivoluzione Islamica. Ahmadinejad è inviso a molti in seno all'élite religiosa, proprio perché ha sistematicamente sollevato il problema della corruzione, che risuona nel contado.
    Infine, Ahmadinejad è un portavoce della sicurezza nazionale iraniana: posizione tremendamente popolare. Va sempre tenuto a mente che l'Iràn negli anni '80 combatté una guerra con l'Iràq che durò 8 anni, cagionando perdite e sofferenze inenarrabili, e di fatto conclusasi con la sua sconfitta. Gl'Iraniani, ed i poveri in particolare, hanno vissuto quella guerra ad un livello molto intimo. La combatterono in prima persona, o vi persero mariti e figli. Come succede in altri paesi, la memoria d'una guerra persa non necessariamente delegittima il regime. Semmai, può generare speranze di rinascita, così da non vanificare i sacrifici bellici: un tasto su cui batte molto Ahmadinejad. Affermando che l'Iràn non deve ridimensionarsi ma diventare una grande potenza, parla ai veterani ed alle loro famiglie, che desiderano veder emergere qualcosa di positivo da tutti i loro sacrifici in epoca bellica.
    Forse il principale fattore della popolarità di Ahmadinejad è che Mousavi ha parlato per i distretti-bene di Tehran – un po' come correre per le presidenziali statunitensi facendosi portavoce di Georgetown e del Lower East Side. Questa cosa ti segna, e Mousavi ne è uscito segnato. Brogli o no, Ahmadinejad a vinto e pure di tanto. Che abbia vinto non è un mistero; il mistero è come gli altri potessero pensare che non avrebbe vinto.
    Venerdì, per un tratto, era sembrato che Mousavi fosse in grado di scatenare un'insurrezione a Tehran. Ma il momento è passato quando le forze di sicurezza di Ahmadinejad sono intervenute sulle loro motociclette. E ciò ha lasciato l'Occidente con lo scenario peggiore: un antiliberale democraticamente eletto.
    Le democrazie occidentali credono che il popolo eleggerà i liberali che tutelano i loro diritti. In realtà, il mondo è più complicato di così. Hitler è l'esempio classico di chi è giunto al potere seguendo la costituzione, e poi l'ha violata. Analogamente, la vittoria di Ahmadinejad è nel contempo il trionfo della democrazia e quello della repressione.

    Il futuro: lo stesso, di più

    La domanda è ora cos'avverrà in seguito. Internamente, possiamo aspettarci che Ahmadinejad consolidi le sue posizioni sotto la copertura della lotta alla corruzione. Lui vuole ripulire gli ayatollah, molti dei quali sono suoi nemici. Avrà bisogno del sostegno della guida suprema ayatollah Alì Khamenei. Quest'elezione ha fatto di Ahmadinejad un presidente potente, forse il più potente che ci sia mai stato in Iràn dalla rivoluzione. Ahmadinejad non vuole sfidare Khamenei, e la sensazione è che Khamenei non vorrà sfidare Ahmadinejad. Si profila un matrimonio obbligato, che forse metterà in una posizione difficile molti altri capi religiosi.
    Di certo le speranze che la nuova dirigenza politica ridimensionasse il programma nucleare iraniano sono state annullate. Il campione di quel programma ha vinto, in parte proprio perché se n'è fatto paladino. Riteniamo l'Iràn ancora lontano dallo sviluppare un'arma nucleare utilizzabile, ma di certo la speranze dell'amministrazione Obama che Ahmadinejad sarebbe stato rimpiazzato o quanto meno indebolito e ridotto a più miti ragioni, sono state infrante. È interessante che Ahmadinejad abbia inviato congratulazioni al presidente Barack Obama il giorno della sua investitura. Ci aspetteremmo che Obama ricambi la cortesia, vista la sua politica d'apertura, che il vice-presidente Joe Biden pare aver affermato, assumendo che parlasse per conto di Obama. Non appena la questione dei brogli si sarà risolta, avremo un'idea migliore se la politica di Obama proseguirà (e crediamo che sarà così).
    Ora abbiamo due presidenti in posizione politicamente sicura, cosa che normalmente garantisce buone basi per negoziati. Il problema è che non si capisce su cosa gl'Iraniani siano pronti a negoziati, né quali concessioni gli Statunitensi siano disposti a dare agl'Iraniani per indurli a negoziare. L'Iràn vuole maggiore influenza in Iràq ed il riconoscimento del suo ruolo di maggiore potenza regionale, cose che gli Stati Uniti non vogliono concedergli. Gli USA vogliono la fine del programma nucleare iraniano, cosa che l'Iràn non vuole accettare. A prima vista, questo sembrerebbe aprire le porte ad un attacco contro le installazioni nucleari iraniane. L'ex presidente George W. Bush non ebbe alcuna voglia di condurre un simile attacco, né l'ha ora Obama. Entrambi i presidenti hanno impedito agl'Israeliani d'attaccare, posto che quest'ultimi abbiano mai voluto farlo davvero.
    Per ora, le elezioni sembrano aver congelato lo status quo. Né Stati Uniti né Iran sembrano pronti a mosse significative, e non vi sono terze parti che vogliano farsi coinvolgere nella questione, eccettuate le occasionali missioni diplomatiche europee o le minacce russe di vendere qualcosa all'Iràn. Alla fin fine, ciò dimostra quel che sappiamo da molto: il gioco è bloccato sul posto, e va avanti.

    Versione originale:

    George Friedman direttore di “Stratfor”
    Fonte: STRATFOR - Geopolitical intelligence, economic, political, and military strategic forecasting | STRATFOR
    Link: Western Misconceptions Meet Iranian Reality | STRATFOR
    15.06.2009

    Versione italiana:

    Fonte: Eurasia :: Rivista di studi Geopolitici
    Link: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli
    18.06.2009

    Traduzione a cura di DANIELE SCALEA

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    UNA CONNESSIONE TRA MIR-HOSSEIN MOUSAVI E L'“IRANGATE”?
    DI REZA FIYOUZAT
    Revolutionary Flowerpot Society

    Che cosa hanno in comune Michael Ledeen (il ‘neoconservatore’ americano), Mir-Hossein Mousavi (il candidato iraniano alla presidenza del ‘cambiamento’) e Adnan Khashoggi (il ricco membro del jetset dell’Arabia Saudita)?

    Sono tutti buoni amici e soci di Manuchehr Ghorbanifar (un mercante di armi iraniano, un presunto doppio agente del MOSSAD nonché figura chiave del caso Irangate, ovvero gli accordi di ‘armi in cambio di ostaggi’ tra l’Iran e l’amministrazione di Reagan). In uno o due, al massimo tre gradi di separazione, queste persone frequentavano gli stessi circoli e molto probabilmente hanno partecipato agli stessi brindisi.

    Si trovano tutti i generi di informazioni banali su Ghorbanifar nel “Walsh Report on the Contra/Iran affair” [il rapporto finale su Irangate di Lawrence E. Walsh ndt]. Al capitolo 8, ad esempio apprendiamo quanto segue:

    Nella foto: Mir Hossein Mousavi in mezzo ai suoi sostenitori durante le recenti proteste (foto ANSA).


    “Ghorbanifar, un esiliato iraniano ed ex informatore della CIA che era stato screditato dall’agenzia come un fabbricatore, era una delle forze motrici dietro queste proposte [l’accordo armi in cambio di ostaggi];”oppure “Ghorbanifar, come intermediario per l’Iran, ha preso in prestito i fondi per il pagamento delle armi da Khashoggi, che ha prestato milioni di dollari a Ghorbanifar con un 'finanziamento-ponte' per gli accordi. Ghorbanifar ha rimborsato Khashoggi con il 20% di commissione dopo essere stato pagato dagli Iraniani,” (vedi: http://www.fas.org/irp/offdocs/walsh/chap_08.html).


    Segue un estratto da un articolo della rivista Time magazine che mostra la cerchia di soci di Ghorbanifar; proviene da una storia di copertina del 1987 (“The Murky World of Weapons Dealers”; 19 gennaio 1987):


    “Secondo quanto da lui stesso detto, [Ghorbanifar] era un rifugiato del governo rivoluzionario di Ayatollah Ruhollah Khomeini, che confiscò la sua attività in Iran, tuttavia in seguito divenne un fidato amico e consigliere di Mir Hussein Mousavi, primo ministro durante il governo di Khomeini. Alcuni ufficiali americani che hanno trattato con Ghorbanifar lo lodano senza riserve. Michael Ledeen, consigliere del Pentagono sul contro-terrorismo ha detto: “[Ghorbanifar] è una delle persone più oneste, istruite e giuste che abbia mai conosciuto”. Altri lo definiscono un bugiardo che, come si suol dire, non saprebbe dire la verità sugli abiti che indossa”, (enfasi aggiunta).




    [Il falco neocon M. Ledeen (sinistra) e il mercante d'armi Manuchehr Ghorbanifar (destra).]

    Questo secondo estratto è preso dal capitolo 1 del rapporto Walsh su Irangate: (http://www.fas.org/irp/offdocs/walsh/chap_01.html)


    “Il 25 novembre 1985 o intorno a tale data, Ledeen ricevette una frenetica telefonata di Ghorbanifar, che gli chiedeva di riferire un messaggio da parte di [Mir-Hossein Mousavi] , primo ministro dell’Iran, al presidente Reagan riguardo alla spedizione del tipo sbagliato di missili HAWKs. Ledeen ha detto che il messaggio essenzialmente era “abbiamo fatto la nostra parte dell’affare, e adesso eccovi a mentirci e imbrogliarci e a raggirarci e fareste meglio a correggere la situazione immediatamente”.

    […]

    “All’inizio di maggio North[1] e il beneficiario della CIA George Cave si sono incontrati con Ghorbanifar e Nir[2] a Londra, dove sono state gettate le basi per un incontro tra McFarlane e gli ufficiali iraniani ad alti livelli, oltre che gli accordi finanziari per l’affare delle armi. Tra gli ufficiali che Ghorbanifar disse che avrebbero incontrato una delegazione americana c’erano il presidente e il primo ministro [Mousavi] dell’Iran e il portavoce del parlamento iraniano,” (enfasi aggiunta).




    [Copertina di Time con la foto del Colonnello Oliver North durante una testimonianza al Congresso sullo scandalo Iran Contra (o “Irangate”). North fu uno dei militari più coinvolti nel traffico di armi verso l'Iran volto a ottenere il rilascio degli ostaggi americani e fondi neri con cui finanziare la guerriglia dei contras in Nicaragua.]

    E per ricordare come Michael Ledeen sia stato coinvolto nell’affare Irangate nel 1985, ecco un estratto dal capitolo 15 del rapporto Walsh (http://www.fas.org/irp/offdocs/walsh/chap_15.html):


    “[McFarlane] ha autorizzato Michael A. Ledeen, un consulente part-time del NSC[3] sull’antiterrorismo, a chiedere al primo ministro israeliano Shimon Peres di indagare su una relazione secondo cui gli Israeliani avevano accesso a buone fonti sull’Iran. Entro l’inizio dell’agosto del 1985 i discorsi di Ledeen avevano portato ad un approccio diretto degli ufficiali israeliani verso McFarlane, per ottenere l’approvazione del presidente Reagan per la spedizione in Iran di missili TOW forniti dagli USA, in cambio del rilascio degli ostaggi americani a Beirut. McFarlane disse che aveva informato sulla proposta il presidente Reagan, Schultz, Weinberger, Casey e forse il vicepresidente tra il luglio e l’agosto 1985. McFarlane disse che Casey aveva raccomandato che il Congresso non fosse informato della vendita di armi”.


    Ecco qui. Ora, non sono un giornalista investigativo, quindi lascerò che siano i professionisti a scavare di più su questa faccenda.

    Ma devo chiedermi ad alta voce: visto che non possiamo ignorare le sue credenziali di ‘neoconservatore’, e visto che Michael Ledeen ha mantenuto le sue ottime relazioni con Ghorbanifar, (che per lo meno era) un buon amico di Mir-Hossein Mousavi (il ‘candidato del cambiamento’ alle elezioni presidenziali iraniane); e dato il sostegno che la candidatura di Mousavi riceve dai ‘moderati’ americani, forse questo genere di ‘cambiamento’ è il ‘cambiamento di regime’ che gli Americani hanno in mente per l’Iran?

    NOTE DEL TRADUTTORE

    [1] Il colonnello Oliver North

    [2] Amiran Nir consigliere di Peres

    [3] Il National Security Council

    Titolo originale: "Mir-Hossein Mousavi's Iran/Contra Connection? "

    Fonte: Revolutionary Flowerpot Society
    Link
    08.06.2009

    Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

  4. #4
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    Il popolo iraniano parla
    :::: 16 Giugno 2009 :::: 3:17 T.U. :::: Analisi :::: Ken Ballen - Patrick Doherty
    di Ken Ballen e Patrick Doherty*

    I risultati elettorali in Iran potrebbero riflettere la volontà del popolo iraniano. Molti esperti stanno sostenendo che il margine di vittoria del presidente in carica, Mahmoud Ahmadinejad, è stato il ri-sultato di frodi o manipolazioni, tuttavia il nostro sondaggio dell’opinione pubblica iraniana a livel-lo nazionale tre settimane prima del voto mostrava Ahmadinejad in testa con un margine di oltre 2 a 1 – superiore a quello con cui apparentemente ha vinto nelle elezioni di tre giorni fa.
    Mentre i servizi giornalistici da Tehran nei giorni che hanno preceduto il voto rappresentavano una opinione pubblica iraniana entusiasta del principale avversario di Ahmadinejad, Mir Hossein Mus-savi, il nostro campionamento scientifico in tutte e 30 le province dell’Iran mostrava Ahmadinejad in testa di parecchio.
    I sondaggi nazionali indipendenti e non censurati dell’Iran sono rari. Di solito, i sondaggi pre-elettorali vengono condotti o monitorati dal governo, e sono notoriamente inaffidabili. Invece, il sondaggio realizzato dalla nostra organizzazione no-profit dall’11 al 20 maggio era il terzo di una serie negli ultimi due anni. Condotto per telefono da un Paese confinante, le rilevazioni sul campo sono state eseguite in Farsi da una società di sondaggi il cui lavoro nella regione per conto di ABC News e della BBC ha ricevuto un Emmy Award. Il nostro sondaggio è stato finanziato dal Rocke-feller Brothers Fund.
    L’ampiezza del sostegno per Ahmadinejad era evidente nel nostro sondaggio pre-elettorale. Nel corso della campagna elettorale, ad esempio, Mussavi ha sottolineato la sua identità di azero, il se-condo gruppo etnico in Iran dopo quello dei persiani, per cercare di accattivarsi gli elettori azeri. Il nostro sondaggio indica, tuttavia, che gli azeri preferivano Ahmadinejad a Mussavi nel rapporto di due contro uno.
    Gran parte dei commenti hanno rappresentato i giovani iraniani e Internet come precursori del cam-biamento in queste elezioni. Ma il nostro sondaggio ha scoperto che solo un terzo degli iraniani hanno accesso a Internet, mentre, di tutti i gruppi di età, quello dei giovani fra i 18 e i 24 anni com-prendeva il blocco di voti più forte a favore di Ahmadinejad.
    Gli unici gruppi demografici nei quali Mussavi era in testa o competitivo rispetto ad Ahmadinejad, secondo i risultati del nostro sondaggio, erano gli studenti universitari e i laureati, e gli iraniani con la fascia di reddito più alta. Quando è stato realizzato il nostro sondaggio, inoltre quasi un terzo de-gli iraniani erano ancora indecisi. Tuttavia, le distribuzioni di riferimento che abbiamo trovato allo-ra rispecchiano i risultati riferiti dalle autorità iraniane, il che indica la possibilità che il voto non sia il prodotto di frodi diffuse.
    Alcuni potrebbero argomentare che il sostegno dichiarato per Ahmadinejad da noi rilevato riflettes-se semplicemente la riluttanza degli intervistati impauriti a fornire risposte oneste ai rilevatori. Tut-tavia, l’integrità dei nostri risultati è confermata dalle risposte politicamente rischiose che gli irania-ni erano disposti a dare a un sacco di domande. Ad esempio, quasi quattro iraniani su cinque – compresa la maggioranza dei sostenitori di Ahmadinejad – hanno detto di voler cambiare il sistema politico per avere il diritto di eleggere la Guida Suprema, che attualmente non è soggetta al voto popolare. Analogamente, gli iraniani hanno definito libere elezioni e una libera stampa come le loro priorità più importanti per il governo, praticamente alla pari con il miglioramento dell’economia nazionale. Non propriamente risposte "politically correct" da esprimere pubblicamente in una socie-tà generalmente autoritaria.
    Anzi, e coerentemente in tutti e tre i nostri sondaggi nel corso degli ultimi due anni, più del 70 % degli iraniani si sono detti favorevoli a dare pieno accesso agli ispettori sugli armamenti, e a garan-tire che l’Iran non sviluppi o possieda armi nucleari, in cambio di aiuti e investimenti esterni. E il 77 % degli iraniani era favorevole a rapporti normali e commercio con gli Stati Uniti, un altro dato in accordo con i nostri risultati precedenti.
    Gli iraniani considerano il loro sostegno a un sistema più democratico, con rapporti normali con gli Stati Uniti, in armonia con il loro appoggio ad Ahmadinejad. Non vogliono che lui continui con le sue politiche intransigenti. Invece, gli iraniani apparentemente considerano Ahmadinejad il loro ne-goziatore più tosto, la persona meglio posizionata per portare a casa un accordo favorevole – una sorta di Nixon persiano che va in Cina.
    Le accuse di frodi e manipolazioni elettorali serviranno a isolare ulteriormente l’Iran, e probabil-mente ne aumenteranno la belligeranza e l’intransigenza nei confronti del mondo esterno. Prima che altri Paesi, compresi gli Stati Uniti, saltino alla conclusione che le elezioni presidenziali iraniane sono state fraudolente, con le conseguenze serie che accuse di questo tipo potrebbero portare, essi dovrebbero valutare tutte le informazioni indipendenti. Potrebbe darsi semplicemente che la riele-zione del presidente Ahmadinejad sia quello che voleva il popolo iraniano.

    Ken Ballen è presidente di "Terror Free Tomorrow: The Center for Public Opinion", un istituto senza fini di lucro che si occupa di ricerche sugli atteggiamenti nei confronti dell’estremismo. Pa-trick Doherty è vice direttore dell’"American Strategy Program" presso la "New America Founda-tion". Il sondaggio condotto dai due gruppi dall’11 al 20 maggio si basa su 1.001 interviste in tutto l’Iran, e ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali.

    Traduzione di Ornella Sangiovanni per Osservatorio Iraq

    Fonte: washingtonpost.com - nation, world, technology and Washington area news and headlines
    Titolo originale: "The Iranian People Speak"
    15.06.2009

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    Bye Bye Uncle Sam

    Rivoluzione colorata in Iran
    Giugno 16, 2009 di byebyeunclesam



    I sostenitori di Mousawi non sono semplicemente “quattro gatti”: sono quattro gatti ben finanziati e istruiti da chi tenta di utilizzarli per garantirsi un maggior controllo sulla politica interna del paese, nonché ottimamente sostenuti e pubblicizzati dall’intera stampa filoamericana internazionale. Solo uno scemo potrebbe pensare che una manifestazione di protesta possa tenersi nel centro di Teheran, contro le disposizioni del governo, in una congiuntura così delicata, senza essere appropriatamente sostenuta, favorita e logisticamente diretta da un apparato di potere di qualche rilevanza. Per gestire una simile manifestazione occorre garantire che i trasporti funzionino, che le comunicazioni siano efficaci, che i leader dell’adunata siano ben protetti e ciascuno al proprio posto, che i poliziotti entro certi limiti lascino fare e che la stampa internazionale assicuri una copertura tale da scongiurare un’azione di forza opportunamente drastica. In questo senso Repubblica, giornale-maggiordomo dei nostri colonizzatori, ha svolto un lavoro eccellente, riferendo senza esitazione dei “milioni di persone” in piazza a Teheran (immagino non si tratti di dati della questura), delle terribili e antidemocratiche manganellate buscate dai facinorosi (come se ci si potesse difendere dall’ingerenza di potenze straniere nella politica nazionale con le orazioni francescane) e supportando senza esitazione la tesi dei brogli elettorali basandosi sulla pura parola d’onore di Mousawi. Chi crede che le manifestazioni di protesta di questo tipo sorgano “spontaneamente” dall’anima del popolo ha urgente bisogno di darsi una ripassata alla fenomenologia delle “rivoluzioni colorate” dell’est europeo. Anche la mia scala dai molti pioli potrebbe essergli utile.
    (…)
    Per capire ciò che sta succedendo a Teheran sarebbe sufficiente, ad un lettore appena smaliziato, ascoltare ciò che i padroni del mondo hanno da dire sugli avvenimenti in corso. La Casa Bianca ha appena espresso la sua “preoccupazione” sulla regolarità delle elezioni” (le irregolarità di casa loro sono evidentemente meno preoccupanti). E il dipartimento di Stato è “profondamente turbato” dalle notizie delle violenze seguite al voto. Il primo ministro inglese Gordon Brown ha detto che Teheran dovrà rispondere (a chi?) su “seri interrogativi” riguardo al voto. Anche un idiota capirebbe, a questo punto, per chi parteggiano questi marpioni. E si sa che nel loro modus operandi non esiste il parteggiare privo di sostegno finanziario e organizzativo.
    (…)

    Da Dietrologia iranica per principianti, di Gianluca Freda.
    [grassetti nostri]



    La nuova amministrazione di Barack Obama ha riavviato, in sostanza, la vecchia politica aggressiva dei neocon dell’amministrazione precedente; ha solo fatto ricorso al maquillage ‘ecologico’ e a dei termini e a un linguaggio ‘moderati’. In pratica, tutte le promesse avanzate in campagna elettorale: chiusura di Guantanamo, ritiro dall’Iraq, rientro della politica interventista unilaterale, abolizione delle pratiche utilizzate nella ‘Guerra al Terrore’ (tortura, omicidi mirati, bombardamenti indiscriminati, ecc.); rivisitazione del Patriot Act, ecc., sono rimaste lettera morta. Solo la promessa a un maggior impegno in Afghanistan/Pakistan, è stata mantenuta da parte di Obama.
    I circoli che consigliano e guidano Obama, comprendono la famiglia Brzezinsky e la famiglia Clinton, concentrati sulla politica internazionale, nonché componenti decisive dell’amministrazione Bush jr., come Geithner e Gates, ai ministeri dell’economia e della difesa.
    (…)
    Costretti dalla contingenza, gli USA devono mostrare ‘fermezza’ verso Tel Aviv, soprattutto ora che l’impegno del Pentagono si concentra sull’Heartland, ovvero Afghanistan/Pakistan, compito che riesce facile a Brzezinsky, da sempre poco innamorato della causa sionista e molto interessato a destabilizzare la Russia o, quanto meno, le regioni ad essa adiacenti. Quindi, le chiacchiere ecumeniche di Obama al Cairo, hanno solo un carattere strumentale, come favorire indirettamente le forze filo-occidentali, durante le elezioni in Libano; forze per le quali il discorso cairota ha avuto un effetto positivo.
    Discorsi strumentali e insinuanti, come anche nel caso della videocassetta che Obama ha inviato al Popolo Iraniano, nello stesso stile attribuito a Osama bin Ladin. La ‘mano tesa’ di Obama era chiaramente un trucco; non solo una rozza forma d’influenzare l’esito elettorale iraniano, ma anche un messaggio di sostegno incondizionato alle forze antinazionali di Mussavi. Da ciò deriva il comportamento del candidato presidenziale iraniano ‘moderato’. Il suo atteggiamento e le sue azioni ricalcano quelle adottate dalle ‘forze arancioni’ in Jugoslavia e in Ucraina; il proclamarsi vincitore ad urne aperte, il minacciare il ricorso alla piazza se i risultati elettorali non rispecchiano le proprie ‘previsioni’ o i sondaggi prodotti dei soliti organismi ‘internazionali’, ‘no-profit’ e ‘imparziali’, ma tutti basati in territorio statunitense o britannico. Tutto ciò dimostra che quel che sta succedendo a Teheran è stato concordato e studiato; la borghesia iraniana è rimasta legata culturalmente ed ideologicamente agli Stati Uniti d’America; in fondo è stata Washington a plasmarla e a crescerla, ai tempi di Reza Pahlavi. Nessuna sorpresa che Mussavi e Karrubi riescano a mobilitare 100mila persone, cosa non difficile in una città di 12 milioni di abitanti.
    Chiaramente, la cricca ‘geopolitica’, quella dei ‘realisti’ alla Brzezinsky, Soros e Clinton, sta giocando sul ‘fascino’ e sull’effetto internazionale del marketing elettorale di Obama, spingendo l’acceleratore, prima che questo effetto di trascinamento pubblicitario svanisca.
    Perciò vediamo che i vecchi trucchi colorati vengono tirati fuori in ogni ambito e angolo del mondo in cui gli USA hanno interessi immediati. La Moldavia è stata la prima, con l’amministrazione Obama in sella a Washington, a subire tale aggressione ‘non violenta’ a base di teppisti, politicanti ‘democratoidi’ e sabotatori vari. E’ l’impiego delle ‘Quinte Colonne’, dettato dalla carenza di fondi e dalla mancanza di marines, impegnati nell’ostico fronte afgano.
    (…)

    Da Obama alla riscossa: la controffensiva unipolare, di Alessandro Lattanzio.
    [grassetto nostro]



    “L’Iran nel caos” secondo la testimonianza di un italiano
    Col nome di Dio, mi trovo in Iran da un mese, ho seguito la campagna elettorale e il voto e leggendo queste righe, come altre in questi giorni (”Iran nel caos”…?!?…”la rivolta dell’Iran”…?!?) viene da ridere….quattro teppisti (sicuramente manovrati dall’interno dai filo-occidentali su istruzioni provenienti forse dall’esterno) che bruciano cassonetti, auto, bus, banche ecc in attesa che la polizia intervenga per poi lanciare i filmati e le foto sui media internazionali e gridare alla dittatura vengono presentati come l’avanguardia della “rivoluzione verde”…
    Mentre milioni e milioni di iraniani lavorano tranquillamente, fanno pic nic come sempre e vanno avanti per la propria strada, alcuni indifferenti e altri sopresi da tanto clamore esterno, e sicuramente molti altri adirati per i danni subiti ai propri beni da questa marmaglia.
    Giuseppe Mahdi Aiello



    A Venezia, un gruppo di attivisti dei centri sociali (i soliti smidollati che tra una canna e l’altra giocano a fare i rivoluzionari di professione) ha occupato per un’ora (dopodiché avranno ripreso la ricreazione a base di oppio e di hashish) il padiglione iraniano della Biennale d’arte di Venezia al fine di esprimere solidarietà al popolo iraniano.
    I debosciati socialimbecilli dei centri sociali hanno voluto così contestare la “terribile violenza dispiegata dal ‘regime’ di Ahmadinejad nel reprimere le proteste di questi giorni”.
    Le scimmie antropomorfe dell’esercito di liberazione metropolitano dei fancazzisti (SAELMF) si sono poi arrampicate sui balconi del palazzetto che ospita l’Iran, in campo San Samuele, e qui hanno sostituito l’insegna d’ingresso con un lenzuolo dove era scritto: ”Freedom for Iran now”.
    Lo slogan, in inglese, la dice lunga sull’intelligenza di questi primati che utilizzano la lingua imperiale per esprimere il loro insensato e servile dissenso, così come la dice lunga sulla natura delle contestazioni che stanno avvenendo in Iran in questi giorni, laddove “folle oceaniche” di prezzolati contestatori scrivono sui loro cartelloni, in perfetto farsi: Where is my vote? Tutto ciò dovrebbe far aprire gli occhi sulla reale consistenza delle proteste in atto e sul sentimento patriottico che le anima. La stampa internazionale amplifica la portata dell’indignazione “popolare” iraniana, alimentando nella pubblica opinione di tutto il mondo l’idea dei brogli elettorali e della rete dei “cacicchi” di regime che avrebbero pilotato le elezioni a favore di Amadinejad. Eppure, l’atteggiamento di Moussavi, che ad urne ancora aperte aveva già proclamato la vittoria del suo partito e la differenza abissale di voti tra i due contendenti a spogli avvenuti (si parla di circa 10 milioni di voti di distacco, a favore del Presidente in carica), nonchè la preparazione con la quale i seguaci dell’opposizione si erano subito mossi (qualcuno li aveva istruiti a dovere?) avrebbe dovuto instillare, nelle persone di buon senso, per lo meno il germe del sospetto. Ma il buon senso è ormai una merce unica quanto rara e non alberga nemmeno più in quella sinistra estrema che, in altri tempi, era stata in grado di prendere posizioni meno supine all’imperialismo americano. Anche sul Manifesto, quotidiano pretenziosamente comunista, non si fa altro che dar voce, al pari di tutta la stampa capitalista filo-americana e filo-sionista, ai dissenzienti e fuoriusciti del regime, vagheggiando inoltre, con stolta eccitazione giornalistica, le enormi opportunità dischiuse da questa protesta popolare, la quale dovrebbe infine aprire delle brecce nel regime degli Ayatollah per l’avvio di una nuova fase di democratizzazione. Ma dire democratizzazione oggi significa esprimere ben altro concetto: quello di riallineamento alla prepotenza americana, a costo di una più pesante subordinazione dei popoli.

    Da Where is your brain?, di Gianni Petrosillo.
    [grassetto nostro]

  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    IRAN: NO GLOBAL OCCUPANO PADIGLIONE ALLA BIENNALE VENEZIA

    (ANSA) - VENEZIA, 17 GIU - Un gruppo di attivisti dei centri
    sociali ha occupato, per un'ora, il padiglione iraniano alla
    53/a Biennale d'arte di Venezia, come atto di solidarieta' per
    la protesta post elettorale in corso in Iran.
    Il gesto e' stato fatto per contestare ''la terribile
    violenza dispiegata dal 'regime' Ahmadinejad nel reprimere le
    proteste di questi giorni'' rilevano gli attivisti.
    Una ventina di attivisti del S.a.l.e. (braccio
    culturale-espositivo dei centri sociali) ha fatto irruzione nel
    palazzetto in campo San Samuele che ospita l'Iran, si sono
    arrampicati sui balconi e hanno sostituito l'insegna
    all'ingresso con la scritta''Freedom for Iran now''.
    ''Sette manifestanti morti, decine di arresti, centinaia di
    feriti, irruzioni nelle universita' e negli ospedali non possono
    lasciarci indifferenti'', hanno gridato i ragazzi, mentre
    consegnavano volantini ai passanti ed ai visitatori.(ANSA).

  7. #7
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    Iran, il candidato riformista condanna l'Olocausto

    http://www.lastampa .
    it/_web/cmstp/ tmplrubriche/ base/grubrica. asp?
    ID_blog=186& ID_articolo= 793&ID_sezione= &sezione=

    Dialogo con gli Usa,
    ma il programma nucleare è irrinunciabile


    Mir Hossein Mousavi , il
    principale candidato riformista alle prossime elezioni presidenziali
    iraniane ha condnnato l'uccisione degli ebrei nell'Olocausto. Una
    posizione, nota il quotidaino israeliano Haaretz, significativamente
    diversa da quella del presidente in carica, Mahmoud Ahmadinejad, noto
    per aver definito in più occasioni il massacro nazista "un mito".
    Durante una conferenza stampa Mousavi ha anche detto che, da
    presidente, dialogherebbe con gli Stati Uniti, ma solo a patto di non
    dover rinunciare al programma nucleare, che Teheran continua a
    sostenere sia orientato esclusivamente a scopi pacifici.

    www.haaretz.
    com/
    11/04/2009

  8. #8
    Tringeadeuroppa
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    (AGI) - Ekaterinburg, 16 giu. - Il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha
    ignorato la crisi post-elettorale in patria, ma ha attaccato gli Stati Uniti
    affermando che "l'epoca degli imperi e' finita". Parlando in Russia al vertice
    del Gruppo di Shanghai a Ekaterinburg, negli Urali, Ahmadinejad ha osservato
    che "l'ordine internazionale capitalista batte in ritirata ed e' assolutamente
    ovvio che l'epoca degli imperi e' finita e non tornera'". "L'Iraq e' ancora
    occupato, non c'e' ordine in Afghanistan e la questione palestinese resta
    irrisolta", ha ricordato Ahmadinejad, "l'America e' schiacciata dalla crisi
    economica e politica e non si puo' sperare nelle sue decisioni, ne' gli gli
    alleati degli Usa sono in condizione di affrontare questi problemi".
    Il presidente iraniano, fresco di una contestatissima rielezione, ha affermato
    che "i problemi del mondo contemporaneo" derivano proprio "dalla fine
    dell'epoca degli imperi". "Nonostante l'emergere di crisi gravissime", ha
    osservato, "le strutture e i meccanismi politici ed economici esistenti nel
    mondo sono rimasti intatti". "Ma si puo' credere che qualcuno sia in grado di
    superare tutti questi problemi con meccanismi e strutture antiquati?", si e'
    chiesto davanti ai leader di Russia, Cina e quattro repubbliche dell'Asia
    centrale ex sovietica (l'Iran e' solo un osservatore nel Gruppo di Shanghai).
    Ahmadinejad ha auspicato "cambiamenti radicali" nelle istituzioni
    internazionali e si e' detto favorevole alla creazione nel lungo periodo di
    una moneta unica e di una banca centrale dei Paesi del Gruppo di Shanghai.

  9. #9
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    Bruxelles, 16 giu. (Aki) - In Iran si è avuto un vero e proprio colpo di Stato che ha scippato Mir Hossein Moussavi della vittoria. A sostenerlo sono due noti cineasti iraniani, Mohsen Makhmalbaf, rappresentante 'ad honorem' di Moussavi e regista di ‘Viaggio a Kandahar’, e Marjani Satrapi, l'autrice della pellicola cinematografica 'Persepolis' . I due hanno parlato alla stampa dalla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles, nel corso di una conferenza del leader verde Daniel Cohn-Bendit.



    I due cineasti hanno presentato la fotocopia di un documento che sarebbe la certificazione del risultato del voto della Commissione elettorale iraniana, nella quale a Moussavi erano assegnati 19.075.423 di voti, 13.387.103 quelli di Mehdi Karoubi, ex presidente del Parlamento, e soltanto 5.498.217 a Mahmoud Ahmadinejad, dichiarato invece vincitore. Non vi sono certezze sull'autenticità del documento ma, secondo la denuncia di Satrapi, "Ahmadinejad ha avuto solo il 12%, non il 65% dei voti".



    "Moussavi - ha riferito dal canto suo Makhmalbaf - alla fine dello spoglio dei voti fu chiamato dalla Commissione elettorale che gli comunicava la vittoria e gli diceva di prepararsi per il discorso". Poi il colpo di scena. "Poco dopo - ha raccontato ancora il cineasta - alcuni militari sono entrati nel suo ufficio, gli hanno detto che non avrebbero consentito una rivoluzione verde. Poi la televisione di Stato ha annunciato la 'vittoria' di Ahmadinejad".



    Makhmalbaf ha esortato dunque "la comunità internazionale a non riconoscere ufficialmente la vittoria di Ahmadinejad. Quello che è successo non sono brogli elettorali, è un vero e proprio colpo di Stato". E conclude: "Se qualcuno si chiedeva se il popolo iraniano è pronto per la democrazia, la risposta è sì; lo abbiamo espresso nel voto, ma siamo stati derubati del voto. Ora abbiamo bisogno del sostegno internazionale".

  10. #10
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    Predefinito Riferimento: Osservatorio Iran

    I giorni dell'Iran (dietro Moussavi c'è la regia di Rafsanjani e il bazar)
    di Tatiana Boutourline - 16/06/2009

    Fonte: Il Foglio [scheda fonte]



    --------------------------------------------------------------------------------

    La sfida ad Ahmadinejad andava in scena a piazza Azadi mentre alla protesta pubblica convocata dal passaparola via web si univa una battaglia feroce ma più privata. La reazione al responso delle urne è la sintesi potente di una frustrazione che cova da decenni sotto le ceneri della Rivoluzione, ma anche una resa dei conti tra due volti del regime: Hashemi Rafsanjani e Ali Khamenei.

    Se dietro alla "dolce vittoria" di Ahmadinejad c'è la mano di Khamenei, dietro all'insubordinazione di Mir Hossein Moussavi c'è la regia di Rafsanjani. Sono i suoi emissari che agitano gli umori del bazaar, diffondono la protesta del popolo verde aiutandolo ad aggirare la censura, ed è sempre Rafsanjani a spendersi tra febbrili consulti con gli ayatollah di Qom e i consiglieri all'interno del Consiglio degli esperti.

    Se l'obiettivo visibile è quello di tornare alle urne e liberarsi di Ahmadinejad, sottotraccia c'è un disegno ben più ambizioso: eliminare l'ayatollah Khamenei. Nel 2005, alla vigilia delle elezioni, il figlio di Hashemi Rafsanjani "confidò" a un reporter americano: "Se vince mio padre cambierà la Costituzione e limiterà i poteri di Khamenei, trasformando il ruolo della Guida Suprema in una carica di rappresentanza simile a quella della regina d'Inghilterra".

    Quattro anni fa il "kuseh", lo squalo, come viene soprannominato Rafsanjani, era annoverato come il volto pragmatico del regime, colui che avrebbe importato in Iran il modello cinese e riallacciato i fili della comunicazione con gli Stati Uniti. Poi è arrivato il colpo di reni dell'ayatollah Khamenei: Rafsanjani ha subito la sconfitta più pesante della
    sua carriera e i pasdaran hanno scalato le vette del potere insieme con Ahmadinejad.

    Ma Rafsanjani non si è arreso. Consapevole di esercitare un ascendente politico-economico all'interno dell'establishment, ha consolidato il suo potere nelle istituzioni presiedendo il Consiglio per il discernimento dell'interesse del regime e scalando l'Assemblea degli esperti. Forte di queste cariche, Rafsanjani sta provando a riequilibrare i rapporti di forza tra i turbanti e i fucili.

    Per trasformare il sistema, ha provato a trasformare la sua immagine. Si è calato nei panni del teologo riformatore. E a dispetto dei critici che faticano a immaginare il re degli affari (e del malaffare) della Repubblica islamica come un novello Lutero, i consiglieri raccontano che la sua è una battaglia seria per "portare lo sciismo nell'era moderna".

    La prima occasione per esibirsi in questa veste si è presentata nel giugno 2008 durante l'incontro dell'Associazione dei professori dei seminari di Qom. Nel corso della riunione lo squalo ha ipotizzato la creazione di un nuovo capitolo di dottrina religiosa denominata "Teologia di stato" o "Teologia politica". Un gruppo di religiosi di alto rango - ha detto - potrebbe stabilire le linee guida entro le quali sviluppare le politiche dello stato.

    Rafsanjani ha anche invocato la revisione dei curricula nei seminari e sollecitato maggiore controllo nella formulazione degli editti religiosi "che - ha spiegato - dovrebbero essere ad appannaggio di specialisti".

    Alla fine di dicembre durante una conferenza sullo sciismo all'Università di Teheran è arrivata un'altra proposta: la creazione di un "Consiglio della Fatwa" composto da grandi ayatollah. Rafsanjani ha illustrato le virtù dello sciismo sottolineandone la natura innovativa, la capacità di evolvere attraverso l'"ijtihad", l'interpretazione.

    "Esiste un consenso generalizzato tra i ‘religiosi modernizzatori' - ha commentato un suo collaboratore - che ci troviamo a un punto di svolta ed è necessario essere teologicamente al passo con i tempi, altrimenti corriamo il rischio di perdere fedeli, a vantaggio della secolarizzazione che attraversa la società".


    Secondo il settimanale Shahrvand Emruz, le posizioni di Rafsanjani riguardo all'"interpretazione innovativa" e al "Consiglio della fatwa" sono motivate dall'esigenza di "razionalizzare il rapporto tra il seminario e la società" e dal bisogno di "aggiornare alcuni aspetti antiquati che rimontano al medio evo, come per esempio il rifiuto di alcuni ayatollah di usare il telescopio e la confusione derivante per stabilire l'inizio dell'eid ul fitr".

    Ma sottotraccia è evidente che una riforma dottrinale indebolirebbe i falchi e l'ayatollah Khamenei. Lo stesso Shahrvand Emruz ha pubblicato una serie di dichiarazioni in cui Rafsanjani critica il Consiglio dei guardiani e sostiene che "i sistemi democratici sono generalmente preferibili agli stati islamici dittatoriali".

    Lo squalo torna a flirtare con l'occidente dando l'impressione che un'evoluzione del regime
    khomeinista sia possibile, prefigura un Iran ancora clericale ma addomesticato nei suoi eccessi e dunque più presentabile agli occhi degli investitori internazionali. Ma il suo è anche un tentativo di riaffermare gli antichi rapporti di forza tra clero e pasdaran.

    L'ansia di rinnovamento teologico dell'inquieta nomenklatura khomeinista è un effetto collaterale dell'alleanza tra l'ayatollah Khamenei e Ahmadinejad. "I tradizionalisti non staranno ad aspettare di essere fatti fuori", ha chiarito il cognato di Rafsanjani, Hussein Marashi, intervistato dal quotidiano Kargozaran.

    Il "lato teologico" di Rafsanjani non è passato inosservato. Gholam Reza Elham, portavoce di Ahmadinejad, ha qualificato le proposte come "un tentativo per indebolire la Guida Suprema". Il giornale dei falchi Parto è stato altrettanto negativo, ma un rappresentante dell'autorevole Istituto di ricerca imam Khomeini ha definito "sagge" le sue idee in un'intervista al quotidiano Etemaad.

    Nessun elogio è però stato più gradito di quello del Grande ayatollah Ali Sistani. Secondo Ayandenews, nel corso di un incontro con Rafsanjani Sistani ha manifestato apprezzamento per gli scritti del "kuseh" e auspicato che la sua visione non venga emarginata nell'Iran di oggi, un commento che ai più è apparso come una critica velata all'Amministrazione Ahmadinejad.

    L'avallo del primus inter pares della comunità sciita non soltanto nobilita le posizioni di Rafsanjani, ma rafforza il suo status agli occhi dell'establishment clericale. Forte di quella che i suoi estimatori presentano, fin troppo ambiziosamente, come un'investitura il Richelieu della nomenklatura iraniana è tornato a lanciare sassi nello stagno come la prospettiva di sostituire la Guida Suprema con un consiglio costituito da 3-5 leader religiosi.

    L'ipotesi tutt'altro che inedita - la possibilità fu avanzata dopo la morte di Khomeini e lo stesso Khamenei per un momento la caldeggiò - comporterebbe una riforma costituzionale (la legge infatti prevede che sia un individuo a ricoprire l'incarico).

    Ma non sarà certo la Costituzione a fermare Rafsanjani, del resto è stato proprio un aggiustamento costituzionale a consentire a Khamenei di diventare il leader supremo della Repubblica islamica anche senza il titolo di ayatollah. Per i protagonisti della scena politica iraniana il fantapolitico valzer delle possibilità intorno alla successione a Khamenei ruota intorno a sei nomi.

    I riformisti caldeggiano un triumvirato formato da Rafsanjani, Mohammed Khatami e Mehdi Karroubi, i falchi puntano sugli ayatollah Mesbah Yazdi, Mahmoud Hashemi Shahroudi e Ahmad Jannati.

 

 
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