Rycerz Niepokalanej, I 1926

[...]Una parte del popolo ebreo ha riconosciuto in lui il Messia, gli altri, soprattutto i superbi farisei, non han voluto riconoscerlo, hanno perseguitato i suoi seguaci e hanno dato il via ad un gran numero dileggi che obbligavano gli ebrei a perseguitare i cristiani. Queste leggi, insieme ad alcune narrazioni di rabbini precedenti, furono raccolte nell'anno 80 dopo Cristo dal rabbi Johanan ben Sakai e vennero definitivamente ultimate verso l'anno 200 da rabbi Jehuda Hannasi e in tal modo ebbe origine la «Misnah». I rabbini posteriori aggiunsero ancora molte altre cose alla «Misnah», così che verso l'anno 500 rabbi Achai ben Huna poté ormai raccogliere queste appendici formando un volume distinto, chiamato «Gemara». La «Misnah» e la «Gemara» costituiscono insieme il «Talmud». Nel «Talmud» quei rabbini chiamano i cristiani: idolatri, peggiori dei turchi, omicidi, libertini impuri, sterco, animali in forma umana, peggiori degli animali, figli del diavolo, ecc. I sacerdoti vengono chiamati «kamarim», vale a dire indovini, e «galachim» ossia teste pelate, ma in particolare non sopportano le anime consacrate a Dio nella vita religiosa. Invece che «bejs tefila», casa di preghiera, chiamano la chiesa «bejs tifla», casa di scempiaggine, di sporcizia. Le immagini, le medagliette, i rosari, ecc., li chiamano «elylym», cioè idoli. Nel «Talmud» le domeniche e le feste vengono denominate «jom ejd», ossia giorni di perdizione. Insegnano, inoltre, che ad un ebreo è permesso ingannare, derubare un cristiano, poiché «tutti i beni dei goim, miscredenti», vale a dire dei cristiani, «sono come il deserto: il primo che li prende, ne diviene proprietario» (baba batra). Quest'opera, quindi, che raccoglie dodici grossi volumi e che spira odio contro Cristo Signore e i cristiani, viene messa in testa ai rabbini e si obbligano questi ultimi ad istruire il popolo sulla base di essa, aggiungendo che si tratta di un libro sacro, più importante della s. Scrittura, tanto che Dio stesso impara il «Talmud» e si consulta con i rabbini esperti nel «Talmud». Nulla di strano, quindi, che ne un comune ebreo né un rabbino abbia, di solito, un'idea esatta della religione di Cristo: nutrito unicamente di odio verso il proprio Redentore, sepolto nelle faccende di ordine temporale, bramoso di oro e di potere, non immagina neppure quanta pace e quanta felicità offra fin da questa terra il fedele, ardente e generoso amore verso il Crocifisso! come esso superi tutte le «felicità» dei sensi o dell'intelligenza offerte da questo misero mondo! Non molto tempo fa mi sono incontrato in treno con un giovane ebreo, che avrà avuto 18 anni circa. La conversazione si indirizzò sul tema della felicità. Dichiarò con tutta sincerità che né il denaro né le ricchezze danno la felicità, anzi questa non la si può trovare neppure nei piaceri dei sensi. Mentre, tanto desideroso di conoscere la vera fonte della felicità, continuava a trattenersi in conversazione, improvvisamente si fece udire, dallo scompartimento accanto, la voce di un ebreo più anziano che lo esortava a non inoltrarsi tanto nell'argomento. Dispiaciuto per un simile impedimento frapposto alla sua ricerca della verità, il giovane si rivolse all'altro ebreo per chiedergli: «Ditemi voi, allora, come stanno le cose». Ma non ricevendo alcuna risposta in proposito, non poté trattenersi dal pronunciare alcune parole più dure di rimprovero. Vi sono, dunque, anche tra gli ebrei taluni che ricercano la verità, sia tra la gente comune, sia tra i rabbini. Sovente capita pure che sincere ricerche, sostenute da ferventi preghiere, accompagnate da una vita pura, conducano alla conoscenza della verità, alla conversione. Fece un gran clamore in tutto il mondo la conversione di Ratisbonne, un ebreo accanito, avvenuta dopo che egli aveva accettato la medaglia miracolosa; inoltre, l'istituto religioso da lui fondato successivamente ha lavato molti suoi connazionali con l'acqua del santo battesimo. Non dimenticherò mai le preghiere di un ebreo convertito, celebre musico dell'Italia settentrionale, divenuto poi religioso, francescano, p. Emilio Norsa. Lo conobbi a Roma. Amava molto l'Immacolata. Durante la sua ultima malattia teneva sempre un'immaginetta dell'Immacolata sul tavolino e spesso la baciava. Quando gli si diceva che quei momenti di solitudine potevano essere favorevoli per la sua ispirazione musicale, indicava il quadro della Madre di Dio appeso alla parete di fronte a lui e diceva: «Ecco da dove mi verrà l'ispirazione». Ebbene, questo ardente devoto dell'Immacolata, ebreo, sacerdote, dell'Ordine dei PP. Francescani, mi chiese di congiungere, nella celebrazione della s. Messa, le sue alle mie intenzioni (sentendo un momentaneo miglioramento, pensava di riuscire a celebrare la s. Messa per altri tre giorni). Le intenzioni erano le seguenti: 1) per il santo Padre, 2) per la pace nei mondo, 3) per là conversione degli ebrei. Accogliendo il desiderio del defunto p. Norsa, chiedo anche a voi, egregi lettori, una preghiera all'Immacolata «per la conversione degli ebrei», di questo popolo che, com'era solito dire p. Norsa, è «il più infelice tra tutti i popoli», poiché sepolto in faccende terrene e passeggere.[...]

SCRITTI DI MASSIMILIANO KOLBE
Edizioni ENMI, Roma 1997
Centro Nazionale Milizia dell'Immacolata