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  1. #1
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    Predefinito Il Fascismo come Controriforma

    «…Egli [Mussolini] è piuttosto l’iniziatore della ribellione, già in atto, dello spirito italiano, rimasto pur sempre naturalmente antico, nonostante gli inquinamenti e le compromissioni, contro quello moderno nordico e occidentale; l’iniziatore della rivoluzione italiana, rivoluzione antimoderna, cioè antieuropea, Controriforma.

    Bisognerà ch’egli sia giusto e implacabile contro noi stessi; che non abbia rispetto o pietà dei familiari; ch’egli sia antiborghese, antiproletario, antiliberale, antieuropeo, antimoderno, in casa nostra; che non abbia timore di far guerra alla gente del suo sangue, prima d’essere spietato contro gli estranei. In questa sua guerra contro noi, in questa sua ribellione, che dal marzo del 1919 tuttora continua, contro il nostro comune spirito nazionale, son contenuti gli elementi della sua inevitabile funzione europea».

    Kurt Erich Suckert (Curzio Malaparte, L'Europa vivente: teoria storica del sindacalismo nazionale)
    Ultima modifica di Giò; 10-09-11 alle 17:21

  2. #2
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    «La questione, più volte posta negli ultimi tre secoli, di una pretesa necessità di adattamento delle forme latine di civiltà a quelle nordiche, non ha altro significato all'infuori di una pretesa piena accettazione, da parte nostra, dello spirito della Riforma. Non è chi non veda come non sia possibile, per quei popoli ancora imbevuti del tradizionale dogmatismo cattolico, accedere senza tragedie, o travisamenti, all'etica moderna, che è nata dalla Riforma. Questa nostra impossibilità naturale ad essere moderni non è mai tanto chiaramente apparsa quanto nel secolo passato, di fronte al delinearsi della grande corrente liberale anglosassone, e quanto oggi al contatto del nuovo elemento storico nazionale, di origine nordica, che è il socialismo. Gli stessi grandi mediatori della statura di Cavour nulla possono, nel campo delle attuazioni pratiche, se la mentalità dei popoli non cambia.
    Ciò significa, in altre parole, che i popoli di mentalità cattolica (e alla mentalità è necessario aggiungere i costumi, le tradizioni, la cultura, forze imponderabili ed enormi) sono destinati a rimanere esclusi dalla civiltà moderna, nata dalla Riforma, civiltà che nulla può conciliare con quella latina, antica, nata dal tronco millenario del cattolicismo. Il che potrebbe essere doloroso per noi, popoli condannati a un'antichità insopprimibile, e per questo, appunto, a uno stato d'inferiorità, che molti han chiamato barbarico, rispetto alle forme anglosassoni del viver civile, se non ci soccorresse il pensiero che le probabilità di un movimento di rinascita non sono ancora del tutto perdute.
    Chi osservi attentamente gli aspetti dell'attuale crisi della civiltà anglosassone e ne indaghi le cause, può rendersi conto dell'importanza di queste probabilità.
    Rendersene conto è facile ; più difficile è il non aver timore di pronunciare, a questo punto, una parola che ha un certo suo profondissimo e preoccupante significato storico: Controriforma. Poiché nessuno fra noi può dire ancora che cosa oggi significhi per l'Italia questa parola; la quale ha avuto tuttavia per i russi, or sono quattro anni, un significato non certo momentaneo e trascurabile. Ma se è facile, attraverso l'ortodossia e lo slavofilismo, giungere al bolscevismo, è altrettanto sommamente difficile, dal pieno cattolicismo, sboccare in una etica nuova che stia nella tradizione e che la superi».

    IL DRAMMA DELLA MODERNITÀ

  3. #3
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Ho sempre considerato Malaparte un grande scrittore. Un "intellettuale suo malgrado".
    Ed ho sempre adorato una sua definizione di Napoli, la mia città:
    "Napoli è la più misteriosa città d'Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell'immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l'altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare. [...] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli."

    Queste affermazioni su Mussolini sono sicuramente corrette: Mussolini fu anche e soprattutto questo.

  4. #4
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    "Roma è il nome che riempie tutta la storia per 20 secoli. Roma dà il segnale della civiltà universale; Roma che traccia strade, segna confini e che dà al mondo le leggi eterne dell'immutabile suo diritto. Ma se questo è stato il compito universale di Roma nell'antichità, ecco che dobbiamo assolvere ancora un altro compito universale. Questo destino non può diventare universale se non si trapianta nel terreno di Roma. Attraverso il cristianesimo, Roma trova la sua forma e trova il modo di reggersi nel mondo. Ecco Roma che ritorna centro dell'impero universale che parla la sua lingua. Pensate che il compito di Roma non è finito, no, perché la storia italiana del medioevo, la storia più brillante di Venezia, che regna per 10 secoli, che porta le sue galee in tutti i mari, che ha ambasciate e governi , governi di cui oggi si è perduta la semente, non si è chiusa. La storia dei comuni italiani, è una storia piena di prodigi, piene di grandezza, di nobiltà. Andate a Venezia, a Pisa, ad Amalfi, a Genova, a Firenze, e voi troverete là sui palazzi, nelle strade, il segno, l'impronta di questa nostra meravigliosa e non ancora marcita civiltà".

    Benito Mussolini, Trieste settembre 1920

  5. #5
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

  6. #6
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Citazione Originariamente Scritto da Antonio Visualizza Messaggio
    "Napoli è la più misteriosa città d'Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell'immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l'altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare. [...] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli."
    stupendo!

  7. #7
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Citazione Originariamente Scritto da Malaparte Visualizza Messaggio
    Grande testo. So che Il Giornale lo aveva ripubblicato, ma credo che sia introvabile ormai.

  8. #8
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Mino Maccari - Il fascismo di Orco Bisorco

    Pino Tosca


    Nell’estate del 1989 se ne andava anche Maccari. Doveva pur accadere a chi come lui s’era giocato novanta primavere. Forse è anche vero, come si maligna, che qualche gazzetta aveva già messo da tempo in freezer il solito bell’articolo “ad memoriam”, attendendo il momento fatale del trapasso dell’avvocato di Colle Val d’Elsa. Sta di fatto che solo calandosi “maccarianamente”, nei panni del Mino defunto (che irride ai suoi postumi critici da salotto) Fausto Gianfranceschi riusciva a scrivere il più bel pezzo sul “selvaggio” senese.

    Si è scritto di lui citando il pittore originale, il graffiante disegnatore, l’umorista all’acido solforico. Ma su ciò che su piano della cultura politica la bella squadra di "Strapaese" ha rappresentato nell’Italia fascista, il silenzio e la reticenza la fanno ancorata da padroni nelle redazioni dei grandi quotidiani.

    Per chi scrive, invece, Mino Maccari ha rappresentato la strada “maestra” del fascismo storico italiano, del Fascismo migliore, quello “Tradizionalista” e “popolare”, cattolico e antiborghese, anticalvinista e antiamericano, antidealista e antimodernista, quello dei superstiti della "Disperata" che se ne infischiavano dei pennacchi e degli orbaci all’ultima moda, quello contadino e quello strapaesano che contrastava ogni barbara industrializzazione e ogni urbanizzazione forzata (altro che i “verdi” nostrani: poveri dilettanti).

    Beppe Niccolai considerava Berto Ricci l’espressione culturalmente più dura e profetica del fascismo. E, forse, sul piano umano ed esistenziale, può esser stato così (senza nulla togliere a Barbiellini, ai Palliotta, ai Giani). Ma sul piano della testimonianza culturale, ritengo che "Strapaese" abbia rappresentato l’ambito più incisivo, più “forte” più “ortodosso” del fascismo (rispetto ai princìpi tradizionalisti). Proprio su "L’Eco della Versilia", la battagliera rivista di Niccolai, campeggiava infatti un motto famoso di Maccari: «Sia fatto arrosto chi s’è messo a posto».

    Eh sì. Perché Orco Bisorco (uno degli pseudomini preferiti) «a posto» non si mise mai. Si può discutere sulla parabola umana, finita, nel dopoguerra, in una disillusa “apoliticità”. Ma sulla sua dirittura morale non penso vi possano essere dubbi.

    “Maestro”, Maccari, più che di disegno, lo fu di cultura. Lo fu certamente per “intuito”, per una “cultura” (intesa come senso di “civiltà” più che da lui esistenzialmente vissuta che ideologicamente assorbita. Certo non gli mancavano preparazioni specifiche (specie in architettura), ma egli viveva naturalmente il diritto naturale in tutti i suoi aspetti. E gustava visceralmente le tradizioni del Paese.

    Quante cose noi sosteniamo oggi e "Strapaese" sosteneva ben mezzo secolo fa! Si pensi alle nostre polemiche contro la rivoluzione francese e rileggiamo il n. 1 de "Il Selvaggio", che si scagliava contro «i vigili custodi della verginità costituzionale» alleati «con i berretti frigi della repubblica pollaiola», che «bestemmiando i nomi sacri di Cristo e di Patria, patteggiano con i massoni della social-democrazia e si alleano con gli atei del materialismo storico».

    Si pensi alle nostre denunce contro la civilizzazione consumistica ed all’automobile come “camicia di Nesso”, e riandiamo all’eticità anticonformista dei “selvaggi” che si erano imposti (allora, anni trenta!) di non usare mai l’auto (cosa che procurò loro gravi inconvenienti logistici per i loro numerosi traslochi).

    Si rifletta, nel tempo di certe cotte (fortunatamente finite) per il De Benoist, alla posizione di rottura assunta da "Il Selvaggio" quando si cercò di scimmiottare certe risibili tesi razziste giunte da Oltralpe. Lo stesso Telesio Interlandi fu ampiamente ridicolizzato da Maccari con una serie interminabili di battute, al punto che gli fu dedicata una quarta di copertina con la seguente didascalia: «A Telesio Interlandi / Or ciascun si raccomandi / presentando com’è logico / l’albero genealogico». È un merito, questo di antirazzismo controcorrente, che a Maccari è stato riconosciuto dalla stessa critica antifascista (Luciano Troisio) che pure lui aveva denunciato «la ben più grave adesione alle squadracce delle cui prodezze il nostro fu spesso appassionato protagonista».

    Ci si ricordi, mentre combattiamo le nostre sacrosante battaglie contro la nuclearizziazioni e le urbanizzazioni più folli delle nostre campagne, che "Strapaese" si autodefiniva «colonia dei fascisti selvaggi, che è quanto dire degli italiani rurali, di quelli che si salvano dalla società americana». Si dice che i “Selvaggi” erano “eretici” rispetto al fascismo mussoliniano. Ne siamo sicuri? A parte che già Vittorio Vettori ha smentito questa illazione, non era forse un “Selvaggio” di Mussolini che scriveva: «L’urbanesimo assume in Italia aspetti sempre più inquietanti… Bisogna ruralizzare l’Italia, anche se occorrono miliardi e mezzo secolo»? A queste parole del Duce, Orco Bisorco faceva allegramente notare: «O Mussolini, gli Strapaesani hanno già cominciato: da qualche anno e senza un quattrino».

    «Noi possiamo vantarci -diceva fiero l’Orco toscano- di essere i più strenui difensori del fascismo rurale e delle qualità probe, oneste, forti della nostra gente; noi soli la difendiamo -e non per estetismo- dal bastardume novecentista, dalle teorie futuriste-bolsceviste, dalle impostazioni sfacciate della cosiddetta civiltà di marca americana».

    Non ci si dimentichi, inoltre, di ciò che lo “squadrismo culturale” (la definizione è dell’antifascista Giuseppe C. Martino) rappresentò per la tutela di quelli che oggi si chiamano “beni culturali”: dalla accanita difesa della toponomastica tradizionale di paesi e di città contro «contro lo stolto vezzo inaugurato dalle amministrazioni comunali dell’epoca liberale, di mutare i nomi più propri, i nomi più significativi è più giustificati con altri che non hanno nulla a che fare in modo che la pietra domini il fango».

    E si pensi, infine, all’importantissimo lavoro che "Il Selvaggio" compì negli anni Trenta, sul piano dell’antropologia culturale, raccogliendo e schedando testi dispersi e misconosciuti di poesie e canti popolari tramandati oralmente. Se oggi si conservano ancora i bruscelli ciociari, istriani, fiumani, arabo-siculi e toscani lo si deve essenzialmente a Maccari.

    Checché se ne dica, "Strapaese" (da "Il Selvaggio") maccariano all’italiano longanesiano) costituì il più interessante apporto organico di tipo “tradizionalista” al fascismo italiano. Di un “tradizionalismo” ben inteso, non certo su un elaborato corpus dottrinale (come, invece, per il carlismo spagnolo) o su un’esperienza totalizzate nel rapporto fede-mondo (come per il guardiamo romeno), ma forgiato su alcuni princìpi semplici e chiari e su genuini sentimenti capaci di dargli una sua dignità culturale.

    Se "L’universale" di Ricci proponeva per un “ghibellinismo” spiritualista, (sfiorato, a volte, da ventate “laiche”), se "900" di Bontempelli era condizionato da polemiche “antitradizionaliste” ed “europeizzanti”, "Il Selvaggio" dell’avvocato Maccari e del vinaio Bencini si autoidentificò, invece, in quella cultura post-squadrista che però dell’esperienza squadrista aveva raccolto solo lo stile aspro a canzonatorio (e senza compromessi) che -come ha riconosciuto certa intellighenzia di sinistra- «consiste nella guerra ad oltranza al pompierismo littorio e alla vuota magniloquenza».

    Nessuno potè considerarsi immune dall’aggressività strapaesana. Nemmeno uomini come Gentile e Evola, Spirito e Chiurlo, Pende e De Stefani, Volpe e Ansaldo furono risparmiati dalle mitragliate antimoderniste dei “selvaggi”. Nessuna istituzione di regime, per quanto intoccabile, fu considerata “città aperta”: «che seccatura / l’istituto fascista di cultura».

    Nonostante le sue frecciate da toscanaccio gli avessero già una volta procurata l’espulsione dal partito, Maccari non sapeva restar muto di fronte al carrierismo gerarchista: «Ispezionate le provincie, camerata Farinacei, ma ispezionatele a fondo e troverete delle carogne da buttar via e dei buoni da utlizzare. Perché molto spesso la disciplina, localmente, diventa il mezzo col quale un pugno di faziosi stretti da vincoli oscuri, sottomettono i nuclei pensanti e le intelligenze che oltre a portare al partito un contributo di pensiero, di idee e volontà, romperebbero le uova nel paniere misterioso dei sullodati signori».

    E l’orco “salvatico” (attenzione però: salvatico è "colui che salva”) che non risparmiava nulla e nessuno, sapeva ridere e sorridere, al punto di imputare al regime di aver ereditato e fatto proprio una certa tetra “austerità” di tipo “mazziniano”: «Abbiamo spesso considerato che il Fascismo non ha, oggi, manifestazioni d’allegria. I suoi giornali umoristi fanno piangere. I giornali politici son quasi sempre lugubri. Il Fascismo che non sa ridere ci stringe il cuore. L'apolitica che non sa ridere non fa per noi».

    Questo, in sintesi, fu il Fascismo di Orco Bisorco e della “tribù selvaggia”di "Strapaese" (nella quale militarono Soffici e Malaparte, Pelizzi e Bilenchi, Ungaretti e Bencini): una miscela esplosiva fatta di squadrismo e tradizionalismo, oggi utilizzabile più che mai.

    Oltre il “tradizionalismo” spurio e laicistico degli Omodeo, oltre il “tradizionalismo” esoterico e neo-pagano di Evola, quello di Maccari e della sua squadraccia fu il tradizionalismo popolare cattolico, rivoluzionario e antiborghese, antiamericano e antimodernista che spavaldamente proclamava:

    «Siamo nati in campagna! Abbiamo bazzicato per le osterie! Abbiamo amici fra i barrociai, fra i vetrai, fra i contadini, fra gli artigiani!… Si finisse a Piccadilly, ed alla Fifth Avenue, sempre ragioneremo e discorremo alla maniera antica italiana. Se la civiltà dei nostri tempi è, come dicono, una civiltà meccanica, ovvero macchinista, non saremo così sciocchi da farci schiacciare o rimbecillire dalle macchine».

    Pino Tosca

    Mino Maccari - Il fascismo di Orco Bisorco

  9. #9
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    Mino Maccari - Il fascismo di Orco Bisorco

    Pino Tosca


    Nell’estate del 1989 se ne andava anche Maccari. Doveva pur accadere a chi come lui s’era giocato novanta primavere. Forse è anche vero, come si maligna, che qualche gazzetta aveva già messo da tempo in freezer il solito bell’articolo “ad memoriam”, attendendo il momento fatale del trapasso dell’avvocato di Colle Val d’Elsa. Sta di fatto che solo calandosi “maccarianamente”, nei panni del Mino defunto (che irride ai suoi postumi critici da salotto) Fausto Gianfranceschi riusciva a scrivere il più bel pezzo sul “selvaggio” senese.

    Si è scritto di lui citando il pittore originale, il graffiante disegnatore, l’umorista all’acido solforico. Ma su ciò che su piano della cultura politica la bella squadra di "Strapaese" ha rappresentato nell’Italia fascista, il silenzio e la reticenza la fanno ancorata da padroni nelle redazioni dei grandi quotidiani.

    Per chi scrive, invece, Mino Maccari ha rappresentato la strada “maestra” del fascismo storico italiano, del Fascismo migliore, quello “Tradizionalista” e “popolare”, cattolico e antiborghese, anticalvinista e antiamericano, antidealista e antimodernista, quello dei superstiti della "Disperata" che se ne infischiavano dei pennacchi e degli orbaci all’ultima moda, quello contadino e quello strapaesano che contrastava ogni barbara industrializzazione e ogni urbanizzazione forzata (altro che i “verdi” nostrani: poveri dilettanti).

    Beppe Niccolai considerava Berto Ricci l’espressione culturalmente più dura e profetica del fascismo. E, forse, sul piano umano ed esistenziale, può esser stato così (senza nulla togliere a Barbiellini, ai Palliotta, ai Giani). Ma sul piano della testimonianza culturale, ritengo che "Strapaese" abbia rappresentato l’ambito più incisivo, più “forte” più “ortodosso” del fascismo (rispetto ai princìpi tradizionalisti). Proprio su "L’Eco della Versilia", la battagliera rivista di Niccolai, campeggiava infatti un motto famoso di Maccari: «Sia fatto arrosto chi s’è messo a posto».

    Eh sì. Perché Orco Bisorco (uno degli pseudomini preferiti) «a posto» non si mise mai. Si può discutere sulla parabola umana, finita, nel dopoguerra, in una disillusa “apoliticità”. Ma sulla sua dirittura morale non penso vi possano essere dubbi.

    “Maestro”, Maccari, più che di disegno, lo fu di cultura. Lo fu certamente per “intuito”, per una “cultura” (intesa come senso di “civiltà” più che da lui esistenzialmente vissuta che ideologicamente assorbita. Certo non gli mancavano preparazioni specifiche (specie in architettura), ma egli viveva naturalmente il diritto naturale in tutti i suoi aspetti. E gustava visceralmente le tradizioni del Paese.

    Quante cose noi sosteniamo oggi e "Strapaese" sosteneva ben mezzo secolo fa! Si pensi alle nostre polemiche contro la rivoluzione francese e rileggiamo il n. 1 de "Il Selvaggio", che si scagliava contro «i vigili custodi della verginità costituzionale» alleati «con i berretti frigi della repubblica pollaiola», che «bestemmiando i nomi sacri di Cristo e di Patria, patteggiano con i massoni della social-democrazia e si alleano con gli atei del materialismo storico».

    Si pensi alle nostre denunce contro la civilizzazione consumistica ed all’automobile come “camicia di Nesso”, e riandiamo all’eticità anticonformista dei “selvaggi” che si erano imposti (allora, anni trenta!) di non usare mai l’auto (cosa che procurò loro gravi inconvenienti logistici per i loro numerosi traslochi).

    Si rifletta, nel tempo di certe cotte (fortunatamente finite) per il De Benoist, alla posizione di rottura assunta da "Il Selvaggio" quando si cercò di scimmiottare certe risibili tesi razziste giunte da Oltralpe. Lo stesso Telesio Interlandi fu ampiamente ridicolizzato da Maccari con una serie interminabili di battute, al punto che gli fu dedicata una quarta di copertina con la seguente didascalia: «A Telesio Interlandi / Or ciascun si raccomandi / presentando com’è logico / l’albero genealogico». È un merito, questo di antirazzismo controcorrente, che a Maccari è stato riconosciuto dalla stessa critica antifascista (Luciano Troisio) che pure lui aveva denunciato «la ben più grave adesione alle squadracce delle cui prodezze il nostro fu spesso appassionato protagonista».

    Ci si ricordi, mentre combattiamo le nostre sacrosante battaglie contro la nuclearizziazioni e le urbanizzazioni più folli delle nostre campagne, che "Strapaese" si autodefiniva «colonia dei fascisti selvaggi, che è quanto dire degli italiani rurali, di quelli che si salvano dalla società americana». Si dice che i “Selvaggi” erano “eretici” rispetto al fascismo mussoliniano. Ne siamo sicuri? A parte che già Vittorio Vettori ha smentito questa illazione, non era forse un “Selvaggio” di Mussolini che scriveva: «L’urbanesimo assume in Italia aspetti sempre più inquietanti… Bisogna ruralizzare l’Italia, anche se occorrono miliardi e mezzo secolo»? A queste parole del Duce, Orco Bisorco faceva allegramente notare: «O Mussolini, gli Strapaesani hanno già cominciato: da qualche anno e senza un quattrino».

    «Noi possiamo vantarci -diceva fiero l’Orco toscano- di essere i più strenui difensori del fascismo rurale e delle qualità probe, oneste, forti della nostra gente; noi soli la difendiamo -e non per estetismo- dal bastardume novecentista, dalle teorie futuriste-bolsceviste, dalle impostazioni sfacciate della cosiddetta civiltà di marca americana».

    Non ci si dimentichi, inoltre, di ciò che lo “squadrismo culturale” (la definizione è dell’antifascista Giuseppe C. Martino) rappresentò per la tutela di quelli che oggi si chiamano “beni culturali”: dalla accanita difesa della toponomastica tradizionale di paesi e di città contro «contro lo stolto vezzo inaugurato dalle amministrazioni comunali dell’epoca liberale, di mutare i nomi più propri, i nomi più significativi è più giustificati con altri che non hanno nulla a che fare in modo che la pietra domini il fango».

    E si pensi, infine, all’importantissimo lavoro che "Il Selvaggio" compì negli anni Trenta, sul piano dell’antropologia culturale, raccogliendo e schedando testi dispersi e misconosciuti di poesie e canti popolari tramandati oralmente. Se oggi si conservano ancora i bruscelli ciociari, istriani, fiumani, arabo-siculi e toscani lo si deve essenzialmente a Maccari.

    Checché se ne dica, "Strapaese" (da "Il Selvaggio") maccariano all’italiano longanesiano) costituì il più interessante apporto organico di tipo “tradizionalista” al fascismo italiano. Di un “tradizionalismo” ben inteso, non certo su un elaborato corpus dottrinale (come, invece, per il carlismo spagnolo) o su un’esperienza totalizzate nel rapporto fede-mondo (come per il guardiamo romeno), ma forgiato su alcuni princìpi semplici e chiari e su genuini sentimenti capaci di dargli una sua dignità culturale.

    Se "L’universale" di Ricci proponeva per un “ghibellinismo” spiritualista, (sfiorato, a volte, da ventate “laiche”), se "900" di Bontempelli era condizionato da polemiche “antitradizionaliste” ed “europeizzanti”, "Il Selvaggio" dell’avvocato Maccari e del vinaio Bencini si autoidentificò, invece, in quella cultura post-squadrista che però dell’esperienza squadrista aveva raccolto solo lo stile aspro a canzonatorio (e senza compromessi) che -come ha riconosciuto certa intellighenzia di sinistra- «consiste nella guerra ad oltranza al pompierismo littorio e alla vuota magniloquenza».

    Nessuno potè considerarsi immune dall’aggressività strapaesana. Nemmeno uomini come Gentile e Evola, Spirito e Chiurlo, Pende e De Stefani, Volpe e Ansaldo furono risparmiati dalle mitragliate antimoderniste dei “selvaggi”. Nessuna istituzione di regime, per quanto intoccabile, fu considerata “città aperta”: «che seccatura / l’istituto fascista di cultura».

    Nonostante le sue frecciate da toscanaccio gli avessero già una volta procurata l’espulsione dal partito, Maccari non sapeva restar muto di fronte al carrierismo gerarchista: «Ispezionate le provincie, camerata Farinacei, ma ispezionatele a fondo e troverete delle carogne da buttar via e dei buoni da utlizzare. Perché molto spesso la disciplina, localmente, diventa il mezzo col quale un pugno di faziosi stretti da vincoli oscuri, sottomettono i nuclei pensanti e le intelligenze che oltre a portare al partito un contributo di pensiero, di idee e volontà, romperebbero le uova nel paniere misterioso dei sullodati signori».

    E l’orco “salvatico” (attenzione però: salvatico è "colui che salva”) che non risparmiava nulla e nessuno, sapeva ridere e sorridere, al punto di imputare al regime di aver ereditato e fatto proprio una certa tetra “austerità” di tipo “mazziniano”: «Abbiamo spesso considerato che il Fascismo non ha, oggi, manifestazioni d’allegria. I suoi giornali umoristi fanno piangere. I giornali politici son quasi sempre lugubri. Il Fascismo che non sa ridere ci stringe il cuore. L'apolitica che non sa ridere non fa per noi».

    Questo, in sintesi, fu il Fascismo di Orco Bisorco e della “tribù selvaggia”di "Strapaese" (nella quale militarono Soffici e Malaparte, Pelizzi e Bilenchi, Ungaretti e Bencini): una miscela esplosiva fatta di squadrismo e tradizionalismo, oggi utilizzabile più che mai.

    Oltre il “tradizionalismo” spurio e laicistico degli Omodeo, oltre il “tradizionalismo” esoterico e neo-pagano di Evola, quello di Maccari e della sua squadraccia fu il tradizionalismo popolare cattolico, rivoluzionario e antiborghese, antiamericano e antimodernista che spavaldamente proclamava:

    «Siamo nati in campagna! Abbiamo bazzicato per le osterie! Abbiamo amici fra i barrociai, fra i vetrai, fra i contadini, fra gli artigiani!… Si finisse a Piccadilly, ed alla Fifth Avenue, sempre ragioneremo e discorremo alla maniera antica italiana. Se la civiltà dei nostri tempi è, come dicono, una civiltà meccanica, ovvero macchinista, non saremo così sciocchi da farci schiacciare o rimbecillire dalle macchine».

    Pino Tosca

    Mino Maccari - Il fascismo di Orco Bisorco
    Stupendo !
    _Non rinnegare e non restaurare__


    Difendi la nazione come nei tempi passati, in modo moderno:" fotti lo Stato antifascista! "(Giò)
    L'invidia ha due bocche; con una sputa miele , con l'altra sputa veleno e fiele

  10. #10
    Me ne frego
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    Predefinito Rif: Il Fascismo come Controriforma

    Citazione Originariamente Scritto da Antonio Visualizza Messaggio
    Ho sempre considerato Malaparte un grande scrittore. Un "intellettuale suo malgrado".
    Ed ho sempre adorato una sua definizione di Napoli, la mia città:
    "Napoli è la più misteriosa città d'Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell'immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l'altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare. [...] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli."

    Queste affermazioni su Mussolini sono sicuramente corrette: Mussolini fu anche e soprattutto questo.
    Veramente stupendo.
    _Non rinnegare e non restaurare__


    Difendi la nazione come nei tempi passati, in modo moderno:" fotti lo Stato antifascista! "(Giò)
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