ORA COMINCIA LA VERA CRISI. NEANCHE LA SVIZZERA SI SALVERA’
DI ALFONSO TUOR*
Ora comincia la vera crisi. Infatti ciò che abbiamo visto finora erano rose e fiori rispetto a quanto ci aspetta. È inutile e anche stupido girarci attorno: il mondo occidentale è sull’orlo di una depressione e la moneta unica europea nella sua forma attuale non sopravviverà.
La ricaduta in recessione degli Stati Uniti (chiaramente preannunciata dal fortissimo rallentamento della crescita e da un mercato del lavoro che non crea più nuovi impieghi) e di gran parte dei Paesi europei è destinata a rendere ingestibile la riduzione dell’enorme quantità di debiti accumulata negli ultimi decenni da Stati, banche, imprese e famiglie. Anzi, la contrazione dell’economia farà aumentare sensibilmente l’ammontare dei debiti inesigibili e incrinerà, come sta già succedendo, la credibilità di soggetti indebitati che fino a poco tempo fa erano ritenuti solidi. Insomma, i nodi stanno arrivando al pettine, mentre gran parte degli strumenti per reagire a questa crisi sono già stati bruciati.
I Governi di gran parte dei Paesi occidentali, che hanno speso miliardi e miliardi per tentare di rilanciare la crescita e soprattutto per salvare il sistema bancario, sono costretti ad adottare misure di risparmio, che aggravano la contrazione dell’economia. Le grandi banche internazionali sono di nuovo sull’orlo del collasso, come ha sottolineato il Fondo monetario internazionale, secondo cui le banche europee nascondono nei loro bilanci almeno 200 miliardi di euro di perdite. Queste stesse banche riscontrano una crescente difficoltà a rifinanziarsi, per cui sono sempre meno disponibili ad erogare crediti, attuando nei fatti una stretta creditizia che acuisce la recessione.
Gli unici attori rimasti in campo sono le banche centrali, che hanno esaurito le possibilità di operare sui tassi di interesse che sono ora pressoché ovunque di poco superiori allo zero, ma che hanno ancora la possibilità di stampare moneta (teoricamente all’infinito).
È quanto stanno già facendo ed è quanto faranno ancor più nei prossimi mesi. Il massiccio ricorso alla zecca rischia di farci entrare in una nuova fase di questa crisi, ossia in una crisi monetaria. Le avvisaglie sono già sotto gli occhi di tutti: l’estrema debolezza del dollaro, l’agonia della moneta unica europea, la sfiducia nelle monete e la conseguente corsa verso i beni rifugio (dall’oro al franco svizzero). La stampa di sempre maggiori quantità di moneta apre scenari poco conosciuti. Il primo, e più probabile, è che imprese e famiglie non usino questi soldi per investire e spendere (è la famosa trappola della liquidità di Keynes).
Essi verranno però usati dal sistema finanziario per evitare la bancarotta e per alimentare nuove bolle speculative. Insomma, di nuovo politiche a beneficio della finanza e a scapito dell’economia reale. La seconda non è l’inflazione (che è impossibile in un contesto di pressione al ribasso su prezzi e salari), ma l’iperinflazione, ossia un fenomeno ben conosciuto da alcuni Paesi dell’America latina. La crisi monetaria alle porte è destinata ad essere accelerata dall’agonia dell’euro e dalla fine della moneta unica europea. Occorre dirlo chiaramente: la moneta unica europea nella sua attuale forma non è più salvabile.
Dunque non si deve discutere sulla sopravvivenza dell’euro, ma sui tempi e i modi della frantumazione dell’Unione monetaria europea. Questa affermazione è fondata su dati di fatto inconfutabili. La Grecia è oramai fallita e la manovra italiana (pur tenendo conto delle correzioni dell’ultima ora) è assolutamente insufficiente, poiché si fonda su previsioni di crescita economica irrealistiche. Il Fondo salva-Stati non esiste ancora e non è certo che esisterà: deve superare l’esame dei Parlamenti europei. Inoltre è già sin d’ora evidente che non basta la sua dotazione di 440 miliardi di euro.
Dopo l’esborso dei finanziamenti alla Grecia, a Portogallo ed Irlanda avrà ancora a disposizione solo 200 miliardi di euro, con i quali dovrebbe ricapitalizzare le banche europee, intervenire sul mercato dei capitali per sostituire la Banca centrale europea nel tentativo di calmierare i rendimenti dei titoli di stato italiani e spagnoli e aiutare altri Paesi in crisi. Se l’aritmetica non è un’opinione, i soldi non basteranno. Anzi il Fondo salva-Stati europeo è un altro tassello di quel fragile castello di carte che sorregge l’enorme quantità di debiti dell’economia mondiale. Non si può far finta di saldare i debiti facendo altri debiti e – come ha detto un ministro slovacco – questo Fondo europeo è paragonabile al “folle tentativo di spegnere un incendio con un ventilatore”. Quindi, è certo che l’agonia dell’euro diventerà sempre più dolorosa e foriera di instabilità fino al punto di concludersi con l’uscita dei Paesi forti (Germania, Francia, Olanda, Austria, Finlandia, Slovacchia e Slovenia) dall’Unione monetaria europea. L’euro resterà la valuta dei Paesi deboli dell’Europa. Ed è molto probabile che quest’ultima sarà la regione dove si manifesterà l’iperinflazione.
Alla luce dello stato agonico dell’euro è molto pericolosa la decisione della Banca nazionale svizzera di definire un tasso di cambio minimo di 1,20 rispetto all’euro. Questa mossa è sicuramente dovuta all’incapacità di Consiglio federale e partiti politici di varare misure efficaci ed incisive per attutire gli effetti del superfranco, come l’esenzione dall’IVA per il settore turistico, l’esonero dal pagamento degli oneri sociali per le imprese esportatrici, il pagamento all’industria di esportazione di una percentuale del prezzo dei beni esportati, ecc. Queste misure avrebbero potuto essere finanziate dalla nostra banca centrale e sarebbero costate molto meno degli acquisti di enormi quantità di euro e di dollari che dovrà fare la BNS. Per di più, ad un tasso di cambio di 1,20 non si risolvono i problemi di competitività di molte aziende esportatrici né quelli dell’industria turistica.
Non si previene il rischio di deflazione causato dalla pressione al ribasso su prezzi e salari causata dalla forza del franco e si alimenta ulteriormente la bolla immobiliare. Quindi la BNS si assume costi altissimi (diventerà un altro Fondo salva-Stati europeo, poiché con gli euro acquistati comprerà titoli statali europei), che si tradurranno in perdite di decine di miliardi in cambio di risultati modesti. Il pericolo maggiore a medio termine è comunque quello di aver legato le sorti del nostro Paese a quelle dell’euro. Rischiamo di venire risucchiati dalla crisi della moneta unica.
Dopo questa decisione della BNS non si può più essere certi che la Svizzera supererà la crisi economica e finanziaria del mondo occidentale molto meglio degli altri Paesi.
*CORRIERE DEL TICINO
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