Quelli che già non possono «né vendere né comprare»
Maurizio Blondet 03 Ottobre 2012


Gli Stati Uniti hanno avvertito minacciosamente gli
Stati europei – scrive il Guardian – di non appoggiare la richiesta all’ONU,
da parte dell’Autorità Palestinese, di essere riconosciuta come Stato. «La
condizione di Stato può essere ottenuta solo per mezzo di negoziati diretti
con Israele», si legge nel memorandum presentato agli europei, altrimenti la
Autorità Palestinese soffrirà «conseguenze negative rilevanti», fra cui
«sanzioni finanziarie». (US warns European governments against supporting
Palestinians at UN)

In realtà, la Autorità (d’ora in poi PA), lo
staterello fantoccio che Sion lascia vivacchiare nei Territori Occupati dopo
averlo messo contro Hamas (che continua a soffrire l’assedio a Gaza) già sta
morendo: perché i donatori internazionali hanno smesso di dare i fondi
promessi. A cominciare dagli Stati del Golfo, sauditi ed emiri, ormai
alleati di fatto ad Israele; ma anche i Paesi occidentali. «Nessuno firma
più un assegno ai palestinesi», gongola il finanziere David Goldman, il
neocon che scrive su Asia Times con lo pseudonimo «Spengler» (1).

Presto Israele, come desidera da sempre, non avrà
nessuno con cui fare accordi diretti. «Il processo di Oslo sta finendo con
un gemito anziché con un grido, si compiace il razzista ebraico David
Goldman». La PA, che «governa», la zona occupata, a cui i coloni appoggiati
dal governo sionista portano via terreno dopo terreno, e dove gli israeliani
distruggono le infrastrutture, scuole ed ospedali per cui gli europei hanno
pagato, soggetta ad una strisciante pulizia etnica, non ha un’economia
propria e funzionante per reggersi da sé: ogni merce deve passare attraverso
lo Stato ebraico. Le tasse sui beni, che il governo PA ha il potere di
prelevare, dipendono dal buon volere dello Stato ebraico, che si degna di
prelevarle al posto dell’amministrazione palestinese. La disoccupazione dei
giovani, alle stelle, costringe la PA (il governuzzo di Mahmud Abbas) ad
«impiegare» un giovane su quattro nella sua «Polizia» ed altra «sicurezza»
con uniformi ed armi, perché non finiscano attratti dagli estremisti (e
rivali) di Hamas. Ma ora, mancano i soldi. E i Territori sono scossi da
continue manifestazioni di protesta contro il «governo», accusato di essere
corrotto, ma soprattutto per il rincaro dei generi alimentari e l’incapacità
di pagare gli stipendi pubblici. (Why Palestinians Protest)

Nel compiacersi di questa neutralizzazione della PA
abbandonata dai donatori occidentali, «Spengler» rivela che è in corso un
piano più sottile per disciplinare e neutralizzare un Paese ben più grande,
che dopo la «primavera araba» s’è dato un governo poco gradito, nel furbo
capo dei fratelli Musulmani Mohamed Morsi: metterlo alla fame. Retto per
decenni da Mubarak, sicuro alleato dell’Occidente e perciò compensato con
miliardi di dollari di donativi e «aiuti allo sviluppo», oggi l’Egitto piace
meno ai «donatori». Mohamed Morsi, all’ONU, ha denunciato con forza i
delitti di Israele verso i palestinesi, il fatto che Israele abbia armi
atomiche; la continua minaccia di bombardare preventivamente l’Iran, ha
detto, è un comportamento che non pare obbedire alle norme internazionali ma
«alla legge della giungla». Inoltre, ha stretto rapporti cordiali con l’Iran
di Ahmadinejad, il bersaglio di tutti gli odii giudaici e perciò delle più
spietate sanzioni americane ed europee, di tutte le provocazioni e
sovversioni: attentati terroristici sul suo territorio, omicidi mirati di
scienziati nucleari, ed altre ben note specialità del Terrorista sistemico.

Ma c’è un modo semplice e poco visibile per
disciplinare Morsi: mettere alla fame il suo popolo di 80 milioni di anime,
fargli mancare gli «aiuti» dall’estero.

La «rivoluzione di piazza Tahrir», durata mesi, ha
disorganizzato la già debole economia egiziana; il turismo ne ha sofferto
gravemente, le esportazioni di greggio sono crollate. Le banche non danno
più finanziamenti alle imprese egiziane per l’import-export, e le
importazioni di cibo sono dimezzate dall’inizio della rivoluzione, gennaio
2011. Sicché – si compiace «Spengler» – il governo ha oggi riserve di grano
per soli sei mesi. La nazione, che non ha l’autosufficienza alimentare
(importa metà di quel che mangia), vive di quel che è rimasto nei magazzini.
L’assottigliamento delle riserve in valuta, il rincari dei cibi a livello
globale, il dollaro alto rispetto alla moneta egiziana, minacciano di
ridurre del 40% i rifornimenti di cibo. Specialmente i fagioli, il primo
cibo dopo il pane, mancano. Ma mancano anche i vaccini infantili, sicché una
generazione di neonati è esposta alle malattie infettive come morbillo,
rosolia, orecchioni. Solo i più ricchi possono far vaccinare i figli in
cliniche private, a 50 dollari ad iniezione. C’è un mercato nero dei
farmaci.

Il regime di Morsi dichiara ufficialmente di aver
bisogno di 12 miliardi di dollari per il prossimo anno. Fonti indipendenti
dicono il doppio. Ben poco arriva davvero: il Qatar ha depositato 5.000
milioni di dollari presso la Banca Centrale del Cairo ad agosto, e promesso
altri 1,5 miliardi, che non sono ancora arrivati. Il presidente Obama, da
Washington, aveva promesso un miliardo – metà del quale è però un condono di
debiti pregressi, non denaro fresco con cui acquistar i fagioli – ma ha
dimezzato la promessa dopo gli incidenti attorno all’ambasciata americana al
Cairo, seguiti al filmetto blasfemo anti-musulmano. «L’Arabia Saudita non ha
alcuna intenzione di finanziare la Fratellanza Musulmana, il più pericoloso
oppositore interno della monarchia» wahabita, se la ride «Spengler». La
Turchia ha promesso 2 miliardi: ma uno servirà a finanziare le attività
delle imprese turche in Egitto, e l’altro miliardo di dollari è
semplicemente un anticipo su un prestito di 4,8 miliardi che il Fondo
monetario ha promesso, e che verrà se e quando verrà. Con la crisi globale,
tutti i donatori, europei in prima linea, sono meno che mai disposti ad
aprire il portafoglio.

Dagli anni ‘70 i generi di prima necessità –
compresa l’energia – sono sussidiati, ossia venduti alla popolazione a
prezzi più bassi di quel che costano; sarà impossibile al governo Morsi
continuare questo tipo di assistenza sociale, e il rincaro dei cibi è la più
sicura scintilla di qualche nuova fiammata di protesta nazionale. (Hunger
economics: Do rising food prices mean trouble ahead?)

«Spengler» accusa Morsi di stare facendo dell’Egitto
«La Corea del Nord sul Nilo» per rendere più salda la presa della
Fratellanza Musulmana nel Paese: «La privazione economica, carestia
compresa, non è necessariamente un ostacolo al potere totalitario... L’Egitto
sta per avere un sistema di razionamento per il pane. Se gli egiziani
vorranno mangiare o cuocere col la bombola del gas, dovranno chiedere la
tessera al locale ufficio della Fratellanza Musulmana». (North Korea on the
Nile)

Questa osservazione maligna ha tutta l’aria di una
tipica «proiezione» israeliana, il tipo di psicologia «con cui il soggetto
espelle da sé e localizza in un altro sentimenti e desideri che sono suoi,
ma che egli rifiuta di riconoscere in sé». «I palestinesi sono affossati; l’Egitto
sarà il prossimo?», si domanda ridendo il sayan. È una domanda, o un
progetto punitivo? «Dopo soli due mesi al governo, Morsi persegue un
ravvicinamento a Teheran... L’Egitto è diventato una minaccia per Israele
per la prima volta in 30 anni», scrive. Obama credeva che «l’enorme bisogno
egiziano di aiuti esteri avrebbe tenuto la fratellanza musulmana al
guinzaglio di Washington», ma si sbagliava. Bisogna ridurre Morsi alla
condizione «di proprietario di uno Stato fallito e affamato», come già la
Somalia o l’Iraq, o l’Afghanistan. O i palestinesi. (North Korea on the
Nile)

L’uso della fame e della privazione è la tattica che
Israele usa contro gli assediati di Gaza, e contro l’autorità palestinese. E
che – su suo incitamento – il mondo «libero» sta usando contro l’Iran, per
piegarlo: in Iran è recente la notizia che, essendo l’export di greggio
crollato del 55% per l’embargo degli americani ed europei, la moneta
iraniana, il Rial, s’è svalutata del 150% sul dollaro da inizio d’anno.

È la guerra contro i musulmani in quanto musulmani,
scatenata con tutti i mezzi.

Corre l’obbligo di citare di nuovo il passo dell’Apocalisse
13. Quello sulla Bestia che somiglia ad un agnello «ma parla come il
dragone», ed «esercitava tutta l’autorità della prima bestia per conto di
essa». Alla prima bestia «fu data potestà su ogni tribù, popolo, lingua e
nazione». La seconda, che esercita il potere della prima, «farà sì che
nessuno possa comprare o vendere, all’infuori di coloro che portavano il
marchio, ossia il nome della bestia, o il numero del suo nome».



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1) Da Wikipedia, la nota autobiografica: «David
Goldman, come ebreo religioso, scrive da un punto di vista giudeo-cristiano
partendo dalla teoria formulata dal teologo ebreo Franz Rosenzweig: la
mortalità dei popoli. L’Occidente muore di secolarismo, e l’Islam muore
perchè inadattabile». Con lo pseudonimo di «Spengler», costui sfoga la sua
islamofobia forsennata sul sito di Asia Times. (David P. Goldman)