Conversioni in Sicilia sabato 24 settembre 2011 | Claudio Fava | Nessun commento



C’è Berlusconi, c’è il berlusconismo, ci sono le notti rutilanti di palazzo Grazioli, gl’inni alla patonza e le bocciature senza rimedio di Stardard & Poor. Ma ci siamo anche noi, lesti a nascondere dietro lo spaventapasseri del cavaliere le nostre più modeste vergogne. Scriveva ieri Guido Crainz che il default che rischia oggi l’Italia è un’eredita morale ancor prima che politica. E trova origine in tempi in cui Berlusconi s’occupava solo del Milan e di “Colpo grosso”, quando si stabilì un patto di reciproca tolleranza tra governanti e governati. Da allora, un trentennio fa, la spesa pubblica è stata utilizzata anzitutto per creare consenso, per fare sistema, per adeguare la politica alla realtà delle cose. Era così a Sesto San Giovanni, è così nella Sicilia di Raffaele Lombardo. E se non si mette mano a una seria riforma della politica (la sua funzione, la sua autonomia, la sua tensione etica) non basterà cacciare Berlusconi con i suoi cortigiani. Sesto e la Sicilia sono patologie che riguardano noi, non il partito del cavaliere.

A Catania l’inchiesta sul governatore Lombardo si è conclusa ricorrendo a forme di giustizia sudamericana, con il vecchio Procuratore della repubblica Vincenzo D’Agata, buon amico dell’imputato, impegnato per un anno a duellare con i suoi sostituti per evitare il rinvio a giudizio del governatore per concorso in associazione mafiosa. Inchiesta paralizzata fino a quando D’Agata è andato in pensione (adesso è in corsa per la presidenza dell’Autorità portuale di Catania…). In attesa di conoscere il nome del nuovo procuratore, il facente funzioni ha avocato a sé l’indagine, ha derubricato il reato e ha disposto il giudizio per violazione della legge elettorale mandando a farsi benedire i due anni d’inchiesta dei Ros, le 80 mila pagine di riscontri giudiziari e l’evidenza (riconosciuta dallo stesso Lombardo) dei suoi incontri con alcuni capimafia catanesi. Lombardo risponderà in giudizio “solo” per voto di scambio. E come accadde a Palermo quando Totò Cuffaro fu condannato “solo” per favoreggiamento alla mafia e pensò di dover festeggiare con una guantiera di cannoli, si fa festa anche adesso: che sarà mai un voto di scambio in una terra educata a ben più gravi compromessi?

Festeggia anche il PD siciliano che preme per trasformare il proprio appoggio alla giunta Lombardo, un insolito governo destra-centro-sinistra, in un formale ingresso in giunta con propri assessori e con la piena condivisione dei destini politici del governatore. E quando un dirigente del PD s’è chiesto, nel corso dell’ultima direzione del partito, che c’entri la storia di Piersanti Mattarella e Pio La Torre con Rafè Lombardo, è finita a ceffoni.

Abbiamo già scritto su questo inciucio siciliano. Ci tocca scriverne di nuovo oggi che c’è stato, sia pure ammorbidito dalle benevolenze della Procura di Catania, un formale rinvio a giudizio. Il governatore sarà processato a dicembre ma già adesso viene beatificato dal partito che, per coerenza, dovrebbe rappresentare la più ferma e rigorosa opposizione al suo governo. In Sicilia s’è votato tre anni fa, il Pd contrappose a Lombardo Anna Finocchiaro e i toni della campagna elettorale furono netti, anche perché Lombardo s’avventurava verso la presidenza della regione dopo aver a lungo mal governato a Catania come vicesindaco e presidente della provincia. Diceva la Finocchiaro in quei giorni: “La candidatura di Lombardo sancisce la perfetta continuità con il precedente governo di centrodestra. Si tratta della conferma di una concezione del potere fatta di occupazione della pubblica amministrazione, di clientele, di inefficienze e di sprechi. Oggi tutto è uguale a ieri: Lombardo come Cuffaro”.

Cos’è cambiato nelle qualità politiche di Lombardo per determinare un voltafaccia così ostinato del PD verso i propri elettori? Come ha fatto un vecchio e navigato boiardo della politica siciliana a trasformarsi in un campione del nuovo riformismo al quale portare in dote voti d’aula, opere di bene e fumi d’incenso? Ce lo spiega in una interrogazione parlamentare il senatore Lumia, lo sponsor più convinto di questa operazione: “L’Mpa (il partito di Lombardo) è un movimento che per le sue caratteristiche e la sua valenza riformatrice sta creando una disarticolazione del sistema politico e sta contribuendo a determinare un percorso di riforme che può inclinare il consolidato potere affaristico mafioso”. Ipse dixit, negli stessi giorni in cui i giudici descrivevamo il patto tra Lombardo e Cosa Nostra “in un arco temporale particolarmente esteso per ricevere voti in numerose competizioni elettorali, con la promessa di attivarsi in favore della stessa organizzazione mafiosa nell’adozione di scelte politico-amministrative”. Insomma, voti in cambio “di concessioni, di autorizzazioni, di appalti, di servizi pubblici…”. Un bel quadretto. Auguri.

Claudio Fava

pubblicato su L’Unità

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