Il popolo leghista non è soddisfatto. Non basta più sventolargli la muleta-secessione per farlo girare a comando. La crisi economico-finanziaria esportata dagli Usa ha dato più voce a quelli, e sono tanti, convinti che senza la palla del Sud si troverebbero alla pari con i tedeschi. La paura di rimetterci quattrini in un pozzo senza fondo investe anche l’alleanza con Berlusconi. Se il Cavaliere viene disarcionato – dicono in parecchi – meglio stargli lontano per evitare di essere coinvolti nella caduta. Due elementi forti, dunque: la crisi che sarebbe, secondo loro, sopportabile senza il Sud-parassita e l’asse Umberto-Silvio da rompere prima che sia troppo tardi. Ma c’è una terza componente che confonde il toro leghista: la lotta per l’egemonia sul partito del dopo Bossi. La Lega ha perso il movimentismo classico degli aggregati a metà tra il ribellismo e la protesta sociale. E’ un partito, fatto di correnti e capicorrente, dirigenti e aspiranti tali, rivalità e rivendicazioni, poltrone e strapuntini. Il guru, il senatùr, l’Umberto celodurista, deve assicurarsi di continuo la fedeltà del popolo, tenere la propria leadership al riparo dagli scontri (soprattutto tra Calderoli e Maroni) e pilotare l’inevitabile (non fosse che per l’anagrafe) successione. Senza la base (come ben sapevano i partiti della cosiddetta prima repubblica) non si combina granché. E’ vero che c’è la televisione, per cui un cicciobello qualsiasi conquista consensi dicendo niente ma con una bella presenza, ma per fare politica sul serio è indispensabile una base di militanti che lavorino con entusiasmo senza nulla a pretendere. Anche una personalità carismatica come Bossi ha un rapporto diretto con la base finché i numeri sono bassi, dopodichè deve affidarsi ai gradi intermedi, per esempio ai sindaci. Se da Macherio un Giancarlo Porta strilla: “Sono un sindaco leghista che si è stancato di mandar giù bocconi amari…”, non è la fine del mondo ma è un segnale da non ignorare. Votare in difesa di parlamentari minacciati d’arresto mantiene salda l’alleanza con il Pdl, dà pure qualcosa in cambio, ma non fa un bell’effetto sui leghisti duri e puri, inferociti contro Roma ladrona. In più le manovre anti-crisi penalizzano parecchio i Comuni ed i sindaci non ci vogliono stare. I catini sotto il tetto che gocciola si riempiono goccia a goccia fino a traboccare, se non li si svuota a tempo o se non si sostituiscono le tegole rotte. Fare la sceneggiata dei ministeri spostati a Monza è roba da respiro corto. Contare su gente bisognosa di recuperare consensi, come il fallimentare sindaco di Roma, perché si scateni un putiferio sulla proposta di spostare a Milano la Consob (la commissione che vigila sulla Borsa e dintorni), riscalda il popolo leghista e fa fare bei titoli ai giornali ma è robetta. Vale di più riuscire a far nominare un proprio candidato a governatore della Banca d’Italia, ma non è cosa da strombazzare più di tanto. I leghisti più accorti, quelli che lavorano per una evoluzione (ed una successione) senza strappi, spostano altrove l’attenzione. Ieri il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, ha mandato a dire al Pd: “Sento parlare di questione morale. Vorrei però ricordare che non c’è nessun esponente della Lega coinvolto in inchieste. C’è invece il capo della segreteria di Bersani coinvolto in un'inchiesta grave. Nella sinistra penso proprio che ci sia un problema etico: quello di una doppia morale. Poi c’è un problema politico che è quello di una politica che si azzuffa su queste cose e non si occupa dei problemi concreti della gente”. E un problema concreto è quello delle quote latte. Ieri Alessio Crippa e altri 15 produttori di latte sono stati condannati a Milano per peculato e truffa aggravata. Il Robin Hood degli allevatori ha reagito così alla condanna: “In Italia si fanno i processi solo per chi, a casa sua, va con le donne e chi munge le vacche”. Tocca però stare attenti a paragonarsi a Berlusconi. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi (corrente Maroni) ha detto che ora “non si può aprire una crisi politica al buio” facendo così capire che appena possibile Berlusconi dovrà mollare. E Bossi con lui.
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